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Prezzi e distorsioni del mercato: gli esiti della liberalizzazione in Italia e l'indagine condotta dall'Autorità settoriale

TAB 3.3: Quota percentuale di ciascun operatore divisa per macro-aree (2005)

3.4 Problematiche relative al modello di borsa elettrica e all’organizzazione del mercato

3.4.3 Strumenti finanziari derivat

Tra le criticità che furono evidenziate nell'indagine condotta dall'Autorità vi era la mancanza di un mercato dove potessero essere trattati strumenti finanziari derivati, che avessero come sottostante il prezzo dell'energia elettrica. La predisposizione di tale mercato si riteneva necessaria per motivi relativi alla copertura dei rischi connessi alla volatilità del prezzo nel tempo. “Le imprese consumatrici di elettricità avevano bisogno di acquistare corrente a prezzi convenuti e di poter programmare i costi delle forniture.”(Giliberto, 2008). Gli strumenti derivati avrebbero aumentato la sicurezza delle transazioni (Termini, 2001), rendendo la borsa più attrattiva per gli operatori (Giliberto, 2008), i quali avrebbero potuto “gestire in maniera più efficace il rischio prezzo dell'energia elettrica negoziando contratti a termine con i quali soddisfare le diverse esigenze di copertura finanziaria” (Sergio Agosta, Amministratore Delegato del GME, 2008). Sarebbe di conseguenza aumentata la liquidità della borsa (Termini, 2001), intesa come il valore della quantità di energia scambiata nel mercato centralizzato rispetto al totale, rendendo quindi più significativi i prezzi che vi si fossero formati (Termini, 2001). Inoltre, sembrava a molti improponibile eliminare il già citato PUN, completando in tal modo la liberalizzazione del mercato, ma “esponendo alla volatilità del prezzo all’ingrosso gli operatori che utilizzavano l’energia elettrica come input produttivo” (AEEG, 2005. Termini, 2005).

In realtà, il rischio di volatilità del prezzo veniva già coperto attraverso il regime di contrattazioni bilaterali. (AEEGSI, 2005. Termini, 2001). La stessa Autorità descrive le modalità di copertura attraverso i già introdotti (Cap 1, Par 1.3.1) contratti alle differenze che si rifanno alla struttura dei future (che, come vedremo, sarebbero stati successivamente introdotti). Dunque, i due soggetti che stipulavano il contratto, definivano ex-ante un prezzo fisso, che sarebbe stato valido per entrambi alla data di chiusura del contratto. Quindi, per tutta la durata del contratto stesso, l’acquirente e il fornitore sarebbero stati coperti da eventuali variazioni dei prezzi, in quanto avevano la certezza di pagare/incassare quanto stabilito nell'accordo bilaterale.

I contratti bilaterali a termine, pur coprendo i rischi connessi alla variabilità dei prezzi, sono comunque stipulati attraverso trattative che implicano l’utilizzo del potere negoziale delle parti. Non limitano quindi la posizione dominante di una delle parti contrattuali (AEEG, 2005). Inoltre

comportano il cosiddetto rischio di controparte, legato all’eventuale inadempienza del soggetto con cui si stipula il contratto. Infine, essendo personalizzati, non sono scambiabili sul mercato a causa della loro eterogeneità. Gli strumenti finanziari derivati avrebbero potuto contribuire al superamento di queste criticità. Gestiti in un mercato appositamente regolamentato e soggetto a vigilanza, avrebbero innanzitutto eliminato il rischio di controparte; inoltre, i derivati sono estremamente standardizzati: ogni elemento del contratto (prezzo, quantità, modalità di negoziazione) è definito, e le controparti non possono modificarlo. Essi sono quindi interscambiabili sul mercato, e avrebbero offerto “la possibilità di replicare le caratteristiche dei contratti bilaterali nella borsa elettrica” (Termini, 2001).

Tipologie di contratti derivati

Futures: l'acquirente di un future sul prezzo dell'energia può acquistare (o vendere) un determinato quantitativo di energia per un periodo futuro, ad un prezzo prestabilito. Egli si copre così da possibili variazioni del prezzo. L'arco temporale che separa il momento dell'acquisto del titolo dalla sua scadenza viene detto delivery period. Parlando di questi strumenti, possiamo distinguere quelli prettamente finanziari da quelli che invece prevedono la consegna fisica del bene sottostante. Con i futures finanziari, avviene la liquidazione del differenziale tra il prezzo di borsa al momento della scadenza e il prezzo fissato dal contratto future stesso. Il differenziale viene (accreditato) o addebitato ogni giorno durante il delivery period. Il criterio per il quale ci si limita alla liquidazione finanziaria, e non si trasferisce la quantità di energia legata al titolo, prende il nome di cash settlement.

I futures con consegna fisica implicano, invece, che alla scadenza del contratto si scambi l'energia elettrica connessa al periodo di riferimento, al prezzo concordato.

Forwards: costituiscono, insieme ai future, la tipologia principale e più utilizzata di contratti derivati a termine (www.borsaitaliana.it). La principale differenza tra le due tipologie è che i forwards vengono scambiati OTC, e cioè fuori dai mercati regolamentati. Nel caso di forward finanziario, il profilo è identico a una posizione future. La sola differenza consiste nel fatto che, mentre per il future il pagamento del differenziale tra prezzo di borsa e prezzo di riferimento avviene su base giornaliera durante il delivery period, per il forward la liquidazione si ha solo alla scadenza. Con l'opzione che prevede la consegna fisica dell'energia, l'energia che deve essere consegnata nel delivery period passa attraverso la borsa elettrica e, alla scadenza, viene compensata la differenza tra prezzo del derivato e prezzo di borsa.

Options: vengono così definiti contratti che danno al compratore il diritto, ma non l’obbligo, di vendere o acquistare ad un determinato prezzo (detto strike) una data quantità di sottostante (in questo caso l’energia elettrica) ad una data specifica. Possiamo distinguere in opzioni call e put. Le opzioni “call” danno il diritto, ad una determinata scadenza, di ricevere il sottostante (oppure il corrispettivo in denaro) ad un prezzo fissato. Ovviamente, l’esercizio del diritto ha luogo solo nel momento in cui il prezzo del sottostante sarà superiore allo strike. Il possessore dell’opzione ottiene in questo caso un profitto dato dalla differenza tra prezzo del sottostante e strike.

Le opzioni “put” danno invece il diritto di vendere, alla data di scadenza, il sottostante al prezzo strike. La vendita avrà senso nel momento in cui il prezzo assumerà valore inferiore alla strike, il profitto realizzato ammonterà alla differenza tra lo strike e il prezzo di mercato.

Mentre i contratti a termine coprono da oscillazioni del prezzo sia negative che positive, dando garanzia di stabilità, le opzioni, dietro pagamento di un premio (corrispondente allo strike), coprono solamente dalle perdite dando ad esempio la possibilità ai consumatori di sfruttare i vantaggi del calo del prezzo o ai produttori di sfruttare quelli connessi al suo rialzo. Vengono infatti utilizzate spesso per scopi speculativi.

L'esempio del Nord Pool e il mercato italiano

Le modalità con cui si era affrontato il percorso di liberalizzazione del settore elettrico nella penisola scandinava costituivano un esempio di come ci si sarebbe potuti muovere in Italia (Termini, 2005) in quanto erano presenti delle similitudini soprattutto riguardo a due aspetti: vincoli di rete (e conseguente divisione del mercato in aree) e presenza di monopolisti a livello nazionale. Il successo del Nord Pool, in termini di prezzi e di crescita costante della liquidità del mercato, imponeva di porre attenzione a questo modello.

Ma quali erano i caratteri di questo mercato che sarebbe stato opportuno replicare anche in Italia? In realtà vi erano più aspetti da prendere in considerazione, non solo relativi al modello di mercato. Parliamo ad esempio del rinforzo della rete ai confini per allargare i mercati rilevanti e ridurre il potere dei monopolisti, nonché della collaborazione e della coerenza delle politiche prese tra Stati confinanti.

Tuttavia, riferendoci in particolare al mercato, inteso come borsa elettrica, due elementi in particolare vengono richiamati dalle nostre fonti:

• sviluppo e introduzione graduale degli strumenti derivati; • sviluppo altamente sinergico dei mercati fisico e finanziario.

Nelle figg. 2.1 e 2.2 (Cap. 2) abbiamo già osservato una rappresentazione grafica di questi aspetti. L'esperienza scandinava mostra come si sia progressivamente “irrobustito” il mercato fisico dell'energia (nel senso di aumento della liquidità di quest'ultimo) con l'introduzione graduale di strumenti finanziari derivati (Termini, 2005), che gestiti in parallelo con il mercato all'ingrosso dell'energia hanno consentito la copertura delle oscillazioni di prezzo.

Altro aspetto fondamentale di tali strumenti è che essi riducono la convenienza del monopolista ad esercitare il potere di mercato, “compensando sui flussi finanziari i ricavi degli scambi di elettricità sottostante” (Termini, 2005). Infine, il caso scandinavo mostrò come la liquidità della borsa elettrica e della borsa dei derivati finanziari si alimentassero vicendevolmente (Termini, 2005). L'aumento della liquidità della borsa elettrica costituiva un tema fondamentale in quanto, nel 2005, le trattative in borsa costituivano solamente il 30% circa del totale.

3.5 Conclusioni

Ripercorriamo, in sintesi, quanto emerso dall'analisi condotta in questo capitolo.

Nel momento in cui fu svolta l'indagine conoscitiva da parte dell'AEEG, la liberalizzazione del settore elettrico italiano poteva dirsi completa. Siamo nel 2005, e l'ultimo “passo” che effettivamente mancava al completamento del percorso era la totale apertura del mercato che di lì a poco (2007) si sarebbe verificata. In ogni caso, in procinto di aprire il mercato anche ai piccoli consumatori domestici, era necessario verificare se effettivamente le caratteristiche del settore permettessero il normale svolgersi della concorrenza, in una situazione di sostanziale parità tra i vari produttori, o se ci fosse stato ancora spazio per rendite monopolistiche.

In effetti, il profilo dei prezzi italiani rispetto alla media europea (Fig. 3.1) faceva propendere verso la seconda ipotesi, e, come abbiamo visto, le più colpite da questa situazione erano le piccole-medie imprese dei settori meccanico, siderurgico, cartario, dell'editoria e del mobilio: in altre parole la stragrande maggioranza del tessuto industriale italiano.

Dove andavano ricercate le cause di questo dislivello riscontrato nel costo dell'energia che gravava sulle imprese italiane rispetto al resto d'Europa? Era effettivamente imputabile, tale situazione, alla mancanza di una reale concorrenza nel settore o erano presenti anche altri aspetti?

L'Autorità richiamò l'attenzione a più tematiche, che abbiamo raccolto, in generale, sotto tre ambiti: 1) composizione delle fonti utilizzate per produrre energia;

2) aspetti relativi alle infrastrutture tangibili del settore; 3) borsa elettrica ancora poco “evoluta”.

L'eccessiva concentrazione della produzione di elettricità su determinate fonti è un aspetto che richiama, come altri, all'esempio scandinavo nel quale, attraverso la collaborazione e l'unificazione

tra mercati nazionali adiacenti, si è ovviato alla concentrazione su poche o su una singola fonte delle economie costituenti il Nord Pool. L'alternativa, ovviamente, era la diversificazione delle fonti di produzione nel singolo mercato.

Tuttavia, la connessione con i mercati extra-nazionali e lo sviluppo della rete di trasmissione costituiva in ogni caso una necessità del nostro sistema di produzione di elettricità, in quanto avrebbe contribuito a limitare il potere dell'ex monopolista ENEL che come abbiamo visto aveva ancora una grande quota percentuale degli impianti di produzione, oltre a godere di numerosi vantaggi connessi al secondo gruppo di problematiche individuato, quello cioè degli aspetti relativi alle infrastrutture: in particolare, lo squilibrio nella tipologia e nella distribuzione degli impianti di produzione sul territorio, unito ai già noti problemi di rete, rendevano molto debole la concorrenza sui mercati all'ingrosso e di fatto la inibivano facendo sì che nonostante la riduzione della propria capacità produttiva e l'introduzione di norme liberalizzanti, l'ex monopolista continuasse ad operare come tale sul territorio italiano.

La borsa elettrica, che avrebbe dovuto avere il ruolo di strumento utile a indirizzare gli investimenti nella giusta direzione attraverso segnali di prezzo, non riusciva ad ottemperare a questa funzione in maniera ottimale. Abbiamo visto come questo aspetto potesse essere connesso alla presenza di un meccanismo quale il PUN che poco sensibilizzava i consumatori alla necessità di investimenti in nuove infrastrutture, sebbene riguardo a questo punto ci fosse una sorta di stallo, poiché 1) il PUN non contribuiva a risolvere gli squilibri territoriali nelle infrastrutture 2)proprio tali squilibri rendevano poco conveniente, in ottica redistributiva, rimuovere il PUN.

Altro aspetto relativo alla borsa elettrica era l'assenza di strumenti finanziari derivati che coprissero le oscillazioni del prezzo e contribuissero all'aumento della ancora scarsa liquidità della borsa stessa. Nel prossimo capitolo, vedremo se e come questi problemi sono stati affrontati, introducendo inoltre nuove tematiche che riguardano l'evoluzione attuale e futura del settore elettrico.

Capitolo 4