SOLLECITAZIONE TELEVISIVA DELLA CREDULITÀ POPOLARE
2. La disciplina applicativa
2.3. Il decreto presidenziale di attuazione
Il provvedimento attuativo delegato ad intervenire in materia, mercè la nuova norma definitoria così come novellata dall’art. 31, comma 3, secondo periodo, del decreto-legge modificativo n. 185/2008, è stato approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13 marzo 2009, recante la «Definizione di materiale pornografico e di trasmissioni volte a sollecitare la credulità popolare, nonché relative disposizioni di carattere fiscale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 dello stesso giorno.
(26) Sulla genericità di tale delega, si è espresso T.LAMEDICA, Asterischi. Addizionale per chi abusa della credulità popolare, in Corr. trib., 2009, 813-814.
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Il primo dei due articoli di cui si compone il decreto, rubricato «Oggetto», reca le definizioni richieste dalla norma delegante.
Più in dettaglio, la lettera a), si occupa di esplicitare la nozione di «materiale pornografico» nei seguenti termini: per esso devono intendersi «i giornali quotidiani o periodici, con i relativi supporti integrativi, e ogni opera teatrale, letteraria, cinematografica, audiovisiva o multimediale, anche realizzata o riprodotta su supporto informatico o telematico, in cui siano presenti immagini o scene contenenti atti sessuali espliciti e non simulati tra adulti consenzienti».
La successiva lettera b), invece, dedicata ad accogliere il concetto di «trasmissioni volte a sollecitare la credulità popolare», si esprime nel senso di considerare tali «le trasmissioni, accessibili attraverso servizi telefonici a pagamento o nelle quali sia prevista, a carico dell’utente, ogni altra dazione economica, in qualunque forma corrisposta in relazione alla prestazione, nell’ambito della trasmissione stessa, resa da cartomanti, indovini, taumaturghi e medium o comunque da soggetti che fanno riferimento a credenze magiche, astrologiche, divinatorie e analoghe».
Con riferimento alla lettera a), appare ictu oculi come il titanico sforzo tassonomico atteso sia rimasto inevaso e le aspettative nutrite dagli interpreti del diritto e dagli operatori economici soggetti al tributo, in ordine alla chiarificazione dell’aspetto forse più sensibile e maggiormente suscettibile di creare aporie ermeneutiche, siano rivelatesi deluse. Invero, il decreto ripropone integralmente e testualmente la disposizione legislativa che avrebbe dovuto essere esplicata.
Peraltro, giova rilevare che nella medesima identica direzione sono andate le istruzioni amministrative per la compilazione della dichiarazione dei redditi contenute nei modelli dichiarativi a partire dall’anno 2009 (periodo d’imposta 2008).
Tale mancata estrinsecazione, con ottima evidenza, presta il fianco non solo e non tanto al rilievo critico di inutilità di un siffatto intervento di
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attuazione, ma anche e soprattutto alla censura di mancata emanazione del provvedimento attuativo in parte qua, stimolando il pavento circa una presumibile difformità applicativa dell’addizione sul territorio ascrivibile alla non univocità della definizione del suo presupposto. Forse, come fondatamente osservato, la replica fedele da parte della norma delegata delle espressioni contenute in quella delegante sarebbe indizio del fatto che «il redattore della legge prima, e quello del decreto poi, non se la sono sentita – evidentemente e, forse, a ragione – di invischiarsi in definizioni scabrose e difficili da essere rappresentate» (27).
Siffatto eccesso di emulazione normativa ha, puntualmente, alimentato un contenzioso giudiziale promosso dalla Associazione Distributori Nazionali e da una società distributrice nazionale di quotidiani e periodici, in sede amministrativa, formando oggetto di specifico motivo di ricorso ai fini dell’annullamento per vizi propri del decreto de quo. Più in particolare, nel ricorso proposto si deduce l’illegittimità di tale decreto per il vizio proprio di violazione della legge n. 2/2009 (di conversione del citato decreto-legge n. 185/2008), in base all’assunto che sarebbe stata realizzata una “violazione per omissione”, essendosi l’amministrazione limitata alla pedissequa riproduzione della norma primaria, quando invece quest’ultima imponeva l’introduzione di norme di dettaglio.
Orbene, tale motivo di doglianza è stato respinto dalla giurisprudenza amministrativa adita. Più in particolare, nella sentenza n. 1413 del 2 febbraio 2010 (28), il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sezione II, ha reputato legittima la fedele riproposizione della definizione di «materiale pornografico» da parte della norma secondaria, in base all’indirizzo che la fedele riscrittura sarebbe espressione implicita del convincimento non censurabile dell’amministrazione, giacché conforme al potere discrezionale alla stessa attribuito, circa la sufficienza della norma primaria ad individuare
(27) Così, T.LAMEDICA, Asterischi. Addizionale 25%: un decreto attuativo inutile, in Corr. trib., 2009, 1249.
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adeguatamente siffatto materiale. Né, coerentemente, i giudici amministrativi di prime cure hanno ravvisato alcuna illiceità per essersi l’amministrazione limitata a dettare ulteriori specificazioni unicamente per le «trasmissioni volte a sollecitare la credulità popolare», lasciate indefinite nella norma primaria. Non è inutile evidenziare, infine, come il Collegio giudicante, di contraltare, lamenta la mancata allegazione da parte dei ricorrenti in ordine a quali ulteriori specificazioni sarebbero state necessarie (29).
Data l’assenza di una adeguata ed esaustiva specificazione normativa del concetto di “pornografia”, non è apparso inutile indulgere brevemente sulla ricognizione di talune significative caratterizzazioni della relativa nozione: per questo, si rimanda, per economia e sistematica della trattazione, alle riflessioni svolte infra al paragrafo 3.1.
(29) E’ conferente osservare che la decisione in rassegna contiene anche l’importante affermazione circa la giurisdizione del giudice amministrativo in materia. Più segnatamente, non si condivide l’eccezione di difetto di giurisdizione eccepita precipuamente dalla difesa erariale sui seguenti assunti: a) che l’impugnato D.P.C.M. detterebbe disposizioni tributarie, con conseguente devoluzione della controversia al giudice tributario, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992, al quale è consentito, dal successivo comma 5, di disapplicare i regolamenti o gli atti generali ritenuti illegittimi; b) che in specie non troverebbe applicazione la previsione di cui all’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 212/2000, secondo il quale «La natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa quando ne ricorrano i presupposti», in quanto non sussisterebbero nella fattispecie concreta tali presupposti, rappresentati in primo luogo dall’esistenza della giurisdizione secondo il criterio generale della natura della situazione fatta valere dalle ricorrenti, qualificata di diritto soggettivo. Respingendo una tale ricostruzione, i giudici, dopo aver ammesso che la materia disciplinata dall’impugnato D.P.C.M. è di natura tributaria e che l’art. 7, comma 5, del menzionato d.lgs. n. 546/1992 consente al giudice tributario di disapplicare i regolamenti e gli atti generali, eccepiscono nondimeno che la stessa disposizione conclude «salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede». In altri termini, secondo il Collegio giudicante, il legislatore ha voluto salvaguardare l’impugnazione di tali atti regolamentari o generali davanti al giudice competente che non può che essere il giudice amministrativo. Costituisce, infatti, giurisprudenza pacifica e condivisa (cfr. Cass. SS.UU., 1.3.2002, n. 3030) la tesi che, in materia di tributi, sono devolute alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla loro applicazione, restando invece attribuite al giudice amministrativo quelle relative agli atti autoritativi presupposti e cioè quelle relative agli atti regolamentari o generali, proprio in applicazione della richiamata previsione contenuta nell’ultima parte dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 546/1992. Né tale giurisdizione potrebbe escludersi alla luce della posizione soggettiva delle ricorrenti. Invero, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale, questa è qualificata di interesse legittimo, e non di diritto soggettivo, in quanto le ricorrenti non contestano un atto applicativo, in relazione al quale sono configurabili posizioni di diritto soggettivo, ma l’atto generale o regolamentare presupposto (i. e. il D.P.C.M. 13.3.2009), in relazione al quale la posizione giuridica fatta valere è di interesse legittimo, giacché si contesta l’esercizio del potere autoritativo dell’amministrazione.
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Relativamente alla lettera b), va riconosciuto l’indubbio impegno inventariale compiuto dall’estensore della norma secondaria. Ciononostante, si sarebbe certamente aumentata la pregevolezza del risultato classificatorio ottenuto allorché si fosse approfittato dell’occasione per disporre ulteriori precetti di dettaglio, attesa – in ogni caso – la scarna disciplina positiva.
Ad ogni modo, sembrano potersi ricondurre all’ambito soggettivo i molteplici e trasformisti “teleimbonitori”, che sempre più soventemente invadono ipnoticamente e folcloristicamente le trasmissioni televisive (specie a diffusione locale), i quali, facendo leva sulla credulità popolare, irretiscono a loro spese gli ignari (forse un po’ troppo!) telespettatori con le fallaci lusinghe di amori novelli o riconquistati, vincite a lungo sperate, lavori tanto agognati o – peggio – guarigioni miracolate.
Dalla formulazione lessicale della disposizione si desume che sono oggetto di tassazione i redditi d’impresa connessi tanto alla tariffazione telefonica posta a carico degli utenti quanto ad ogni altra remunerazione corrisposta da questi ultimi in controprestazione del servizio reso nel corso della trasmissione.
Peraltro, la omnicomprensività della nozione è tale da attrarre all’area applicativa qualsivoglia tipologia di collegamento telefonico, indipendentemente dalla modalità (pubblica o riservata) scelta per effettuare/ricevere la prestazione. Devono, pertanto, ritenersi rilevanti, esemplificativamente, altresì le consuete “chiamate in privato”, ovverosia le consulenze (rectius, i consulti) la cui prestazione non è visibile a tutti i telespettatori, ma resa in maniera confidenziale.
Ai fini operativi, inoltre, in prima approssimazione, può ritenersi che rientrino nelle numerazioni della telefonia a pagamento interessata al prelievo in esame, ad esempio, quelle che si riferiscono ai prefissi 899 e 144. Tuttavia, dall’ampio tenore letterale della norma sembra evincersi che l’inventario dei numeri rilevanti debba estendersi fino a ricomprendere tutte le numerazioni a pagamento, e non solo quelle che prevedono addebiti particolarmente
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Si segnala, infine, che in merito alla nozione di “sollecitazione della credulità popolare” la presente trattazione si soffermerà infra al paragrafo 3.3., al fine di svilupparne ulteriormente il contenuto.
Passando al secondo articolo del decreto, si nota che esso provvede a dettare disposizioni inerenti alle modalità di determinazione dell’addizionale, nonché altre norme di carattere tributario.
Più in particolare, nel primo periodo esso reca la previsione di uno specifico adempimento formale: l’obbligo per i soggetti passivi dell’addizionale
de qua della compilazione di «apposito prospetto» della dichiarazione dei redditi.
Riferendosi al modello di dichiarazione dei redditi delle società di capitali per il periodo d’imposta 2010, “Unico 2011 – SC”, si tratta della Sezione XII, titolata «Tassa etica (art. 1, c. 466, L. 23/12/05, n. 266», del Quadro RQ (destinato ad accogliere i dati relativi a «Imposte sostitutive ed addizionali») del modello.
Al secondo periodo è affidato il compito (vieppiù ingrato) di replicare fedelmente la norma di rinvio alla disciplina applicabile alle imposte sui redditi – per le disposizioni riguardanti la dichiarazione, gli acconti, la liquidazione, l’accertamento, la riscossione dell’imposta dovuta, il contenzioso, le sanzioni, nonché ogni altro aspetto non espressamente regolamentato dal decreto stesso e dalla disposizione istitutiva del 2005 (così come emendata) – già contemplata al penultimo periodo del più volte ricordato comma 466.
Con il terzo e ultimo periodo si prevede, infine, la facoltà di sottoscrivere, ai sensi dell’art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»), appositi accordi di collaborazione tra diverse entità pubbliche al fine dell’attuazione del tributo. Come noto, quest’ultima disposizione, rubricata «Accordi fra pubbliche amministrazioni», consente alle amministrazioni pubbliche di concludere tra loro accordi per
(30) Sul tema, v. anche T.LAMEDICA, Asterischi. Addizionale per chi abusa della credulità popolare, cit. 813, il quale esprimeva l’auspicio (dipoi tradito) che il decreto attuativo ne fornisse una compiuta elencazione.
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disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune (si pensi, ad esempio, alla nota “conferenza di servizi”).
Nel caso di specie sono coinvolti, da una parte, l’Agenzia delle entrate e, dall’altra, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria, la Direzione generale per il cinema e la Direzione generale per lo spettacolo dal vivo del Ministero per i beni e le attività culturali, il del Ministero dello sviluppo economico - Settore comunicazioni e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Da ultimo, va avvertito che, coerentemente con la norma delegante, il decreto attuativo tace completamente sul tema dell’incitamento alla violenza. Sicché, allo stato dell’arte, è dato registrare la totale assenza di una definizione legislativa rilevante in subiecta materia di «materiale di incitamento alla violenza». Ciononostante, piuttosto che seguire l’approccio passivo di invocare la (parziale) inapplicabilità della norma per carenza di uno degli elementi essenziali della fattispecie (i.e. l’evidenziata deficienza), si ritiene preferibile e possibile in via interpretativa proporne una nozione plausibile e ragionevole, una volta ricostruito il concetto stesso (anch’esso mancante) di “violenza”. Ma di questo si darà conto in appresso, al paragrafo 3.2.