• Non ci sono risultati.

Teoria della capacità contributiva “rafforzata”

SOLLECITAZIONE TELEVISIVA DELLA CREDULITÀ POPOLARE

6. Ricostruzione della ratio legis e rapporto fisco-etica

7.1. Teoria della capacità contributiva “rafforzata”

Secondo la teoria classica, che riconosce il primato della funzione

garantista dell’art. 53, comma 1, Cost. (postulante un limite al potere

impositivo), la capacità contributiva si identifica con la titolarità di situazioni giuridiche soggettive esprimenti una forza o ricchezza economica effettiva ed attuale, idonea a consentire l’estinzione dell’obbligazione (pecuniaria) tributaria (72).

Per i fautori di tale nozione di capacità contributiva, appellabile “qualificata” o “rafforzata”, la giustificazione dell’addizionale alla luce di tale canone costituzionale non è immediata e diretta. Allo stesso modo in cui non è parimenti palmare il riconoscimento della esistenza di una maggiore attitudine economica a contribuire alle pubbliche spese in capo ai soggetti titolari di redditi (di impresa) derivanti dalle precipue attività colpite dalla imposizione addizionale rispetto alle altre imprese.

Particolare e determinante rilievo assume, in proposito, la constatazione che l’art. 53 Cost. si innesta in un complesso organico di disposizioni che si integrano e si limitano reciprocamente e che prevedono, a loro volta, principi, ulteriori rispetto alla capacità contributiva, dotati di autonoma efficacia precettiva. Le norme costituzionali che recano tali principi possono atteggiarsi, allora, in guisa di disposizioni speciali prevalenti rispetto al precetto generale contenuto nell’art. 53 Cost. (secondo l’adagio lex specialis derogat generali).

Pertanto, l’impiego dello strumento tributario in una logica non neutrale di concorso ai carichi pubblici, con l’assunzione a giustificazione del presupposto di valutazioni ulteriori rispetto alla mera capacità economica

112

personale, risulta legittimo se e nella misura in cui risponde al perseguimento di finalità altrettanto tutelate dai precetti costituzionali. Benché, dunque, fondamentalmente caratterizzato dal fine di conseguire entrate, il tributo è siffattamente suscettibile di un azionamento a vocazione extrafiscale (73). Si assiste, in altri termini, ad una sorta di “relativizzazione” del sindacato di sussistenza della capacità contributiva, intesa nel senso che questo non viene limitato più a verificare solo la ricorrenza della forza economica del soggetto, mirandosi piuttosto a ricostruire tale precetto nel contesto di tutti gli altri principi e valori riconosciuti nell’ordinamento (74).

In definitiva, viene ad instaurarsi, sotto il profilo dinamico, una relazione di integrazione e concorrenza tra tali principi, che, lungi da integrare reciproca perniciosa interferenza, sostanziano invece un nesso sinaptico di sovraordinato “coordinamento” in vista del raggiungimento dei fini generali dell’ordinamento (75).

E’ attraverso questo percorso mediato ed indiretto, in definitiva, che può trovare legittimazione e giustificazione costituzionale il prelievo addizionale in questione, atteso che – come si è messo sopra in evidenza – la sua istituzione sottende la tutela di statuiti principi fondamentali afferenti alla sfera etico-sociale, rivolti alla salvaguardia della persona nel suo complesso, nelle sue varie attribuzioni, sensibilità ed aspirazioni.

Peraltro, nonostante, in genere, l’utilizzo del tributo in una prospettiva

extrafiscale sottenda, quoad effectum, un approccio positivo o agevolativo, non è

riscontrabile alcuna valida ragione per delegittimarne, a contrariis, l’uso oppositivo o disincentivante, inteso cioè a penalizzare un certo settore economico ovvero una determinata tipologia di consumi, specialmente in una logica di

(73) Per una dettagliata disamina dottrinaria storico-evolutiva sulla legittimità di tali scopi extrafiscali vedasi F. FICHERA, Imposizione ed extrafiscalità nel sistema costituzionale, Napoli, 1973, passim.

(74) Sul punto, cfr. A.FANTOZZI, Diritto tributario, cit. 37 ss.

(75) In questa prospettiva si pone F. FICHERA, Imposizione ed extrafiscalità nel sistema costituzionale, cit., 154.

113

“inasprimento” del carico impositivo (76). Insomma, deve senz’altro assentirsi a che l’incremento tributario addossato dal legislatore in capo ad operatoti economici di specifiche industrie possa lecitamente ascriversi ad una ipotesi di utilizzo extrafiscale dell’imposta, allo scopo di scoraggiare o disincentivare attività ritenute socialmente riprovevoli (77).

E tutto ciò, giova ribadire, pur se l’addizionale appaia prima facie irrimediabilmente irrispettosa del principio di capacità contributiva (qualificata), nonché – si aggiunge – di quello di eguaglianza (formale).

Il nuovo tributo soddisfa, del resto, anche l’indefettibile condizione di colpire pur sempre un indice di capacità contributiva o una manifestazione di ricchezza, rappresentato – nella fattispecie – dal reddito (78).

Qualche dubbio forse potrebbe sorgere in ordine all’ossequio della pur invocata necessità che non si addivenga ad un aggravio impositivo a carattere “espropriativo” o “confiscatorio”, laddove fosse dimostrabile – per tabulas – l’emersione di un effetto di “strozzamento” da cui discenda (anche in una visione cumulativa della tassazione) una sostanziale avocazione allo Stato dell’intero reddito posseduto dal contribuente (79). Un siffatto risultato

(76) In dottrina, pur nella convinta negazione di un qualsiasi rilievo giuridico-formale dei fini extrafiscali, anche se si tratti di principi recepiti costituzionalmente, e nella evocata estraneità di tali fini rispetto al fenomeno tributario, lo stesso A.D. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1968, 75-76, dopo l’affermazione di principio secondo cui lo scopo dell’imposta è quello di procurare una entrata allo Stato, non ha mancato di rilevare come questo scopo «non è esclusivo (…) né costituisce sempre il motivo unico dell’imposizione [prestandosi] il mezzo dell’imposta ad essere adoperato per il raggiungimento di scopi anche non fiscali [allorché] si cerchi di limitare, col mezzo di una elevata tassazione, alcune manifestazioni della vita economica o sociale ritenute dannose alla collettività». A tale risalente posizionamento, fa eco il più recente orientamento di R.LUPI, Diritto tributario. Parte generale, Milano, 2005, 15-16, che – concordemente su quest’ultimo punto – evoca all’uopo, a mò di esempio, «gli aggravi d’imposta sugli idrocarburi più inquinanti (o l’onerosissima imposta di fabbricazione che fu introdotta sui sacchetti di plastica) e gli aumenti (anche loro oggi soppressi) della rendita catastale per le abitazioni tenute sfitte in comuni ad “alta tensione abitativa”».

(77) Ammette esplicitamente un siffatto utilizzo dell’imposizione D.STEVANATO, La «Robin Hood Tax» e i limiti alla discrezionalità del legislatore, in GT - Riv. giur. trib., n. 10/2008, 843.

(78) Rimarcano questa esigenza, E.DE MITA, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 1991, 52, A. FANTOZZI, Diritto tributario, cit., 39, e G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, cit., 166.

(79) Ragiona in questi termini G.FALSITTA, I divergenti orientamenti giurisprudenziali in Italia e in Germania sulla incostituzionalità delle imposte dirette che espropriano l’intero reddito del contribuente, in Riv. dir. trib., 2010, I, 139 ss., il quale fa discendere tale necessità dalla tutela assicurata dalla

114

sottrattivo, invero incredibile per i non addetti ai lavori, può dipendere da diversi fattori, tra i quali, in particolare, la (anche parziale) indeducibilità ai fini dell’Ires e/o dell’Irap di determinati costi effettivamente sostenuti dall’impresa (come, ad esempio, interessi passivi, costi del personale, eccetera), la stessa indeducibilità agli effetti dell’Ires dell’Irap, la indetraibilità dell’Iva, la concorrente imposizione locale (80).

Vale solo la pena evidenziare, infine, come quello appena delineato risulti evidentemente un approccio che apprezza, in via prevalente, ciò che si è sopra definito il “profilo esterno” del binomio fisco-etica, vale a dire quello ricollegabile alla funzionalità (etica) del tributo.

Costituzione, in virtù degli articoli 41 e 42, alla proprietà privata ed all’iniziativa economica privata. Ai fini in questione, preme tuttavia precisare come siffatta valorizzazione dei diritti proprietari non significhi affatto smentire l’impianto (e l’orientamento) etico-normativo delineato dalla Carta fondamentale, su cui pur poggia la bontà del sindacato positivo di legittimità costituzionale del tributo addizionale “etico” de quo alla luce del suo profilo teleologico, ma è funzionale solo al giudizio sulla esistenza di un limite massimo alla imposizione “immanente” nel nostro ordinamento e rappresenta la base logico-argomentativa per invocare il divieto implicito di una tassazione dal carattere marcatamente ablatorio. Sulla inevitabile opportunità di affrontare l’indagine circa la sussitenza di limiti all’entità del prelievo legittimamente realizzabile dal fisco, non unicamente con riferimento ai parametri normativi e costituzionali interni, bensì anche alla luce dei principi di diritto di derivazione comunitaria ed internazionale, si sofferma S.DORIGO, Il limite massimo dell’imposizione nel diritto internazionale e dell’Unione europea ed i suoi effetti nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. trib., 2011, I, 41 ss. Tale Autore, tramite la valorizzazione delle disposizioni costituzionali – in specie: gli artt. 11 e 117, comma 1 – che consentono un’apertura del nostro sistema giuridico verso tale contesto sovranazionale, conclude anch’egli ravvisando già nel nostro ordinamento l’operatività di un limite al livello di imposizione desumibile dai principi Ue ed internazionali che sanciscono l’intangibilità del diritto di proprietà e ne consentono una restrizione solo laddove l’ingerenza dell’ente impositore, nel perseguimento di interessi collettivi, non attenti al nucleo essenziale del rapporto proprietario, riconoscendo, da ultimo, quanto al rapporto tra i diversi interessi coinvolti (pubblici-privati), la bontà del ricorso ad un approccio caratterizzato in termini di stretta proporzionalità.

(80) Una massima dell’antico diritto francese recita: «droits sur les fruits sont impôts, droits sur les fonds sont pillage» (v. P-M. GAUDEMET, Les Protections constitutionnelles et légales contre les impositions confiscatoires, in Revenue internazionale de droit comparé, anno 42, n. 2, Parigi, aprile-giugno 1990, 808), che, tradotto, suona così: «i diritti sui frutti sono imposte, i diritti sui patrimoni sono saccheggio». In questa prospettiva, si è, in dottrina (cfr. F.F.LEOTTA, Tasse: XI comandamento? Spunti per una riflessione sui rapporti tra fisco e morale, in Dir. prat. trib., 2009, I, 39 ss.), rilevato come ancor oggi una tassazione può stimarsi confiscatoria allorché il tasso impositivo globale è talmente elevato da costringere il contribuente, non bastandovi – in estrema ratio – il reddito disponibile, a mutilare il proprio patrimonio per soddisfare l’obbligazione tributaria.

115