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Sulla (dubbia) legittimità dello strumento legislativo usato per estendere l’ambito

SOLLECITAZIONE TELEVISIVA DELLA CREDULITÀ POPOLARE

5. Le criticità applicative

5.3. Sulla (dubbia) legittimità dello strumento legislativo usato per estendere l’ambito

soggettivo di applicazione del tributo.

E’ stato in precedenza riferito come, nel 2008, il legislatore, con l’intento di ampliare la disciplina sostanziale del tributo al fine di ricomprendere nel suo alveo applicativo anche il settore economico delle trasmissioni televisive funzionale all’industria (già) tassata, nonché di quelle volte a sollecitare la credulità popolare mediante la telefonia a pagamento, ha provveduto ad emanare, a mezzo del decreto-legge n. 185/2008, l’apposita norma contenuta nella disposizione di cui all’art. 31, comma 3.

Ebbene, il ricorso a tale strumento legislativo è idoneo a sollevare una rilevante questione di compatibilità con l’art. 77 della Costituzione, il quale statuisce la liceità di ricorrere a tale forma di decretazione esclusivamente «in casi straordinari di necessità e d’urgenza».

La qual cosa in considerazione dell’antitetico carattere di “ordinarietà” di siffatta estensione applicativa: ossia della sua natura di norma inserita strutturalmente nell’ordinamento tributario e suscettibile quindi di un’applicazione stabile nel tempo (ovviamente, sino ad una eventuale abrogazione).

In proposito, invero, appare tutt’altro che peregrina la censura che si appunta sulla possibile violazione del menzionato art. 77 Cost. specialmente ove inteso alla luce del disposto dell’art. 4 dello Statuto del contribuente, rubricato «Utilizzo del decreto-legge in materia tributaria», il quale sancisce il principio di diritto secondo cui «Non si può disporre con decreto-legge

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l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre

categorie di soggetti» (64).

A tal riguardo, giova – anche qui – anticipare che omologhe doglianze, sebbene con profilo ed impatto più considerevoli, interessando invero lo stesso momento genetico-istitutivo del tributo, sono formabili con riferimento all’addizionale di cui al Capitolo successivo, a cui – per economicità di trattazione – si stima opportuno rimandare (segnatamente: si veda il par. 8.1. di tale Capitolo) per una maggior compiutezza nella ricostruzione del quadro giuridico, giurisprudenziale e dottrinario di riferimento.

In via preliminare, va osservato che la finalità sottesa alla succitata norma statutaria si indovina limpidamente: la protezione, non solo dall’onere di nuovi tributi, sovente di affrettata ideazione e realizzazione, ma altresì dal severo gravame, per l’interprete, di intendere la nuova disciplina in completa autonomia, data l’assenza dell’ausilio cartolare ritraibile proprio dallo svolgimento di adeguati lavori preparatori. Isolamento ancor più pernicioso allorché si consideri la consuetudine di accompagnare i nuovi precetti con adempimenti applicativi dalle scadenze ravvicinate all’entrata in vigore del provvedimento.

Peraltro, giova notare che tale canone statutario sembra recuperare fedelmente la volontà – per anni abiurata – dei “padri costituenti”.

Orbene, alla luce dell’orientamento espresso dalla giurisprudenza costituzionale, deve stimarsi senz’altro legittimo l’utilizzo della decretazione d’urgenza in materia tributaria al fine di apportare emendamenti “non strutturali” al relativo ordinamento, come avviene – ad esempio – nella circostanza in cui, in presenza dei presupposti previsti all’art. 77 Cost., si intenda modificare le aliquote di un tributo. A ben guardare, d’altronde, ciò è pienamente conforme a quanto evocato in sede costituente.

(64) Il possibile contrasto tra decretazione d’urgenza e imposizione ordinaria è invocato, con specifico riferimento al nuovo tributo sulle imprese operanti nei settori petrolifero, del gas e dell’energia elettrica, trattato al Capitolo successivo, da G.MARONGIU, Robin Hood Tax: taxation without “constitutional principles”?, in Rass. trib. n. 5/2008, 1335 ss. e sp. par. 4.

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In aggiunta, proprio ai sensi e per gli effetti della disposizione costituzionale da ultimo citata, coerente può definirsene un azionamento che abbia attitudine di spingersi fino alla istituzione di nuove fattispecie tributarie, a patto però che emerga una sostanziale collimazione ontologica tra esigenza e tributo, compendiabile nella equazione: ad una urgenza grave ed eccezionale corrisponde (e può corrispondere solo) una imposizione di carattere straordinario.

Non appare compatibile, all’opposto, l’ipotesi in cui mediante il decreto-legge si avesse in animo, a fronte di speciali necessità finanziarie, di introdurre norme tributarie destinate ad innestarsi stabilmente nel tessuto ordinamentale, in quanto così prospettando si spezzerebbe quel nesso sinaptico legittimante sopra indicato.

In altri termini, l’istituzione di un nuovo tributo o – come in specie – l’estensione di un tributo già esistente ad ulteriori categorie di contribuenti mediante l’adozione dello strumento legislativo del decreto-legge troverebbe giustificazione nell’esigenza straordinaria di intervenire urgentemente a favore della fiscalità statale (segnatamente: al fine di reperire mezzi per il bilancio dello Stato in una situazione economica del Paese denotata da notevole gravità).

Tuttavia, valorizzando il combinato disposto dei precetti costituzionali e statutari in esame, l’opzione per una misura tributaria a carattere ordinario, mostrandosi aliena al paradigma del sacrificio straordinario e temporalmente circoscritto in capo ai cittadini, appare, in via generale e astratta, irrimediabilmente contrastare con il criterio costituzionale recato dall’art. 77 Cost. e, in via particolare, preclusa dal canone statutario sancito all’art. 4, che del primo dà integrazione ed esplicitazione in materia tributaria.

In proposito, inoltre, si è, in dottrina, rimarcata la significativa e pacifica opinione secondo la quale un vizio del decreto-legge (ossia l’inesistenza di una situazione di straordinaria necessità e urgenza) si riflette inesorabilmente sulla legge di conversione, che quel vizio non sana, onde risultano illegittimi il primo e la seconda.

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In aggiunta, deve segnalarsi che si è pure valorizzato l’emergente contrasto con i valori sottesi allo stesso art. 23 Cost (e all’art. 1, comma 2, Cost.) che regge il principio di riserva (relativa) di legge: è necessaria un’ampia discussione parlamentare per riferire il tributo alla rappresentanza democratica, per conoscere come si sia formata la volontà legislativa, per rafforzare la certezza del diritto. Ancora una volta, per rispettare il cittadino.

Altrimenti, mercè l’(ab)uso della decretazione d’urgenza “blindata” (ossia assistita dall’apposizione del voto di fiducia), si finisce per integrare un intollerabile svuotamento dei delicati equilibri politico-istituzionali, tra maggioranza e opposizioni, tra governo e parlamento; invero, proprio riguardo ai tributi, occorre assicurare un sistematico e ineludibile bilanciamento tra governo (il momento decisionale) e parlamento (momento del consenso), dacché le imposte si legittimano con il consenso e questo può derivare solo da un effettivo dibattito pubblico nella sede naturale.

Da ultimo, giova osservare come, a rigore, debba sottrarsi al diagramma sin qui delineato la precipua estensione riguardante il settore della “sollecitazione”, rilevandosi dirimente la constatazione circa la sua previsione, non nel provvedimento originario (decreto-legge), bensì in sede di conversione in legge.

La circostanza dell’esser tale previsione figlia dell’iter legislativo di conversione sembrerebbe approntare tutte le richieste garanzie di ordine tecnico-normativo, procedimentale e informativo, assenti invece nella decretazione d’urgenza. Per l’effetto, dunque, legittimarne l’esistenza.