Si è fin qui delineato il contesto economico in cui sono germinati gli istituti applicativi, tra i vari schemi di coordinamento dei sistemi tributari centrali e locali, del regime di partecipazione alle imposte statali da parte degli enti pubblici territoriali.
Seguendo ora un’impostazione più squisitamente giuridica, l’indagine può muoversi con l’asserzione generale ed astratta – aderente all’insegnamento della dottrina classica (15) – secondo cui il congegno che va sotto il nome tecnico di
sovrimposizione, nell’ambito delle varie strutturazioni in cui si spiegano i rapporti
fra l’attività tributaria dello Stato e quella degli enti locali subalterni, si distingue sia dalla fattispecie dei tributi imposti e riscossi dal governo centrale ed attribuiti – in tutto o in parte – agli enti locali secondo predefiniti criteri o indici di riparto, sia dall’ipotesi di tributi direttamente e autonomamente imposti e riscossi dagli enti medesimi; invero, mentre in questi casi il soggetto passivo del tributo viene posto in esclusiva relazione o con il soggetto attivo/impositore Stato o con il soggetto attivo/impositore ente pubblico territoriale, il rapporto giuridico sotteso alla sovrimposizione sorge soggettivamente tra contribuente ed ente locale, ma in relazione a fattispecie ed elementi propri del corrispondente rapporto d’imposta erariale.
Così preliminarmente definita, si intuisce nitidamente come la nozione di sovrimposizione si innesti nell’alveo naturale della fenomenologia giuridico-tributaria della “sovrapposizione di fattispecie tributarie”.
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Al riguardo, si è limpidamente rilevato (16) come inesatta o preconcetta debba stimarsi la comune opinione secondo cui un determinato avvenimento della vita giuridica od economica sia (o almeno: dovrebbe essere) colpito da una sola fattispecie impositiva.
Sebbene un legislatore diligente cercherà di evitare il più possibile le sovrapposizioni di fattispecie, esistono nondimeno casi – affatto peregrini – in cui un duplice (ovvero plurimo) carico economico imposto ad un solo rapporto o situazione del soggetto passivo, mediante l’attuazione di più fattispecie d’imposta, deve opinarsi coscientemente ricercato dallo stesso legislatore. La qual cosa tradisce soventemente ragioni di semplificazione amministrativa nell’attuazione del prelievo complessivo in capo ai contribuenti.
Accade così, allora, che l’ordinamento può assecondare l’utilizzo, in tutto o in parte, di una fattispecie impositiva già perfetta ed esattamente accertata, qualificabile “imposta base” o “imposta madre”, per applicarla, mutata od invariata, come fattispecie di un’altra imposta, che assume la configurazione di «imposta figlia» (17).
In particolare, la sovrapposizione “vera e propria” o “integrale”, vale a dire senza varianti, si verifica nelle seguenti ipotesi:
a) sovrimposta; b) addizionale.
Nella sovrimposta, si ottiene, sinteticamente, che «presupposto ed imponibile di un’imposta costituiscono presupposto ed imponibile anche di un’altra imposta» (18).
Sviluppando il concetto in termini più estesi, può definirsi la sovrimposta (19) come una forma di imposizione tributaria che, pur nell’ambito di una
(16) In questo senso, cfr.A.HENSEL, Diritto tributario, Milano, 1956, 80-81.
(17) Come riportato da A.HENSEL, Diritto tributario, cit., 81, nota 94, la felice espressione è stata coniata da KÄRCHER, Die Tochterbagabe, dissertazione, Monaco, 1926.
(18) Così G.FALSITTA, Manuale di diritto tributario, cit., 232, il quale ritiene altresì che un caso, invece, di sovrapposizione con varianti si verifica(va) con l’imposta locale sui redditi (Ilor). In senso concorde, vedasi F.TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Vol. 1 Parte generale, cit., 87.
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concreta autonomia giuridica, è caratterizza da un legame di dipendenza strutturale rispetto ad un altro tributo; tale vincolo si manifesta, in particolare, nel rinvio normo-applicativo (circa il binomio presupposto-imponibile) alle corrispondenti disposizioni disciplinanti detta altra fattispecie tributaria. L’autonomia giuridica della sovrimposta si appalesa, in genere, nella diversità dei soggetti attivi della potestà impositiva ad essa riferibile e/o nella possibilità che eventuali vicende collegate all’attuazione del tributo principale non si ripercuotano sull’applicazione di quello suppletivo. Vale la pena di segnalare, d’altronde, che l’identità del soggetto impositore non deve ritenersi di ostacolo alla definizione di sovrimposta, atteso che la sua riconosciuta autonomia è apprezzabile anche solamente sotto il profilo strutturale, a prescindere quindi dal(l’ulteriore) riferimento soggettivo dell’ente impositore (20).
Nell’addizionale, invece, si attua un «inasprimento di una imposta esistente mediante applicazione di una ulteriore aliquota percentuale sull’ammontare dell’imposta anziché sulla base imponibile» (21).
In altre parole, nella fattispecie tributaria addizionale, viene imposto il pagamento di un quantum che è ragguagliato ad una frazione o multiplo di quanto dovuto per un altro prescelto tributo (22).
In linea generale, quindi, la differenza sostanziale tra le due testé descritte forme impositive è rappresentata dal prevalente carattere di autonomia giuridica goduto, di regola, dalla sovrimposta ed alieno per contro all’addizionale, la quale ultima segue sempre la disciplina dell’imposta cui si aggiunge (salvo limitati profili di indipendenza relativi alla mera fase di attuazione pratica del tributo).
Altrimenti detto: l’addizionale si riconduce anch’essa in maniera sistematica e strutturale ad un altro tributo, ma senza quel grado di autonomia (19) Per la cui più dettagliata ricostruzione quale categoria generale di tributo (oltre le limitatissime ipotesi espressamente definite dal legislatore) si rimanda a G. LORENZON, Sovrimposte e supercontribuzioni, in Enc. dir., XLIII, 1990, 230 ss.
(20) Per U.D’ALESSIO, Sovrimposte, in Noviss. dig. it., XVII, 1970, 1960, la sovrimposta sarebbe, invece, «per definizione tributo locale».
(21) Questa la definizione formulata da A.FANTOZZI, Diritto tributario, Torino, 1991, 51. (22) In questi termini, v. F.TESAURO, op. loc. cit.
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giuridica che, invece, contraddistingue la sovrimposta; insomma, mentre la prima segue in tutto e per tutto il tributo principale, tanto da diventarne (quasi sempre) una semplice maggiorazione quantitativa, per la seconda il nesso con il tributo medesimo è limitato alla definizione del suo presupposto di imposizione, in guisa che le particolari vicende (a mò d’esempio: esenzioni od altri previsioni peculiari) caratterizzanti il tributo principale non si estendono al tributo sovrimposto e viceversa (23).
In quest’ordine di problematiche si sono posizionati i numerosi pronunciamenti di vari organi giurisdizionali (Consulta, Suprema Corte) chiamati, in passato, a decidere in ordine ai profili di criticità applicativa scaturenti da diverse previgenti forme di sovrimposizione; le sentenze hanno riguardato, principalmente, gli effetti giuridici conseguenti al nesso tra i seguenti binomi tributari: imposta comunale sulle industrie, commerci, arti e professioni (Icap) e imposta di ricchezza mobile; sovrimposta comunale sui redditi dei fabbricati (Socof) e imposta sul reddito delle persone fisiche/giuridiche (Irpef/Irpeg) (24).
Per compiutezza espositiva, va registrata una ulteriore (per la verità, meno rilevante) classificazione nell’ambito del concetto di addizionale.
Questa, infatti, può assumere la natura di: 1) addizionale in senso proprio;
2) mera maggiorazione di aliquota.
In buona approssimazione, il discrimen riposa essenzialmente sulla circostanza che, mentre l’addizionale in senso proprio rappresenta – come detto – un quantum (percentuale) ragguagliato all’importo dovuto per l’imposta principale e può avere un seppur limitato margine di indipendenza in fase pratico-applicativa (con riguardo, ad esempio, alle fasi accertative e liquidatorie, ma talvolta – raramente – anche spingendosi fino a coinvolgere segmenti di
(23) In questo senso, cfr. A.BERLIRI, Corso istituzionale di diritto tributario, Milano, 1965, 188. (24) Per una esauriente rassegna degli orientamenti giurisprudenziali in subiecta materia, nonché per ulteriori precipui riferimenti bibliografici, giova rimandare al contributo di G.LORENZON, Sovrimposte e supercontribuzioni, cit., 237 ss.
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base imponibile), la mera maggiorazione di aliquota costituisce un puro incremento di percentuale dell’aliquota d’imposta applicato sulla (medesima) base imponibile (25).
Al quadro concettuale di quest’ultima forma impositiva è da ricondurre, del resto, il fenomeno delle cosiddette “supercontribuzioni” (26), il cui termine era adottato, nell’ordinamento tributario in vigore prima della riforma del 1972 e 1973, per indicare quelle maggiorazioni quantitative di alcuni tributi, la cui applicazione era consentita in via eccezionale da specifici provvedimenti legislativi a favore del finanziamento di particolari categorie di enti locali (per lo più in stato deficitario); esse, dunque, non costituiscono tributi autonomi, ma semplici quote addizionali applicate su altri tributi, dei quali mutuano integralmente il relativo regime, senza la minima autonomia strutturale.
Orbene, pur dovendosi ammettere la difficoltà di enucleare dei concetti univoci ed oggettivamente certi delle esaminate diverse tipologie impositive, le testé svolte notazioni appaiono idonee per lo meno ad una qualificazione delle stesse in senso generale, tale da consentire l’assorbimento in un’unica categoria di varie forme di tributi dotati di comuni caratteristiche.
L’utilità della ricostruzione ed aggregazione nozionistica, si badi, non si esaurisce solo nell’ambito della speculazione concettuale e teorico-scientifica, esplicando bensì rilevanti riverberi altresì – e soprattutto – dal punto di vista giuridico-pratico.
In buona sostanza, la definizione a priori di certe prerogative che modellano ed a cui si conformano le diverse forme impositive qui analizzate risulta particolarmente pregevole, posto che il loro riscontro effettivo in una fattispecie tributaria comporta la realizzazione in essa di alcuni specifici effetti giuridici.
Senza alcuna pretesa di esaurirne il catalogo, possono individuarsi, a titolo meramente esemplicativo, quelli relativi:
(25) In tale ottica si esprime G. MARONGIU, Robin Hood Tax: taxation without “constitutional principles”?, in Rass. trib. n. 5/2008, 1335 ss., sp. par. 6.
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a) alla possibilità o meno di estendere in via interpretativa l’applicazione del tributo di riferimento a fattispecie non rientranti nel presupposto impositivo del tributo principale;
b) alla estensione o meno al tributo di riferimento delle ipotesi di esenzione/esclusione soggettiva od oggettiva previste per il tributo principale; c) alla autodeterminazione o meno ai fini dell’ottemperamento agli obblighi di dichiarazione, liquidazione e versamento del tributo di riferimento rispetto al tributo principale;
d) alla permeabilità o meno del tributo di riferimento alle vicende interessanti il tributo principale e viceversa.
Alla luce di quanto sinora descritto, può concludersi rilevando come sotto le locuzioni appena catalogate (i.e. sovrimposta, addizionale, mera maggiorazione) si nascondono realtà giuridiche tra loro tecnicamente diverse, cui si riconnettono effetti differenti.
Ciò sembra, tuttavia, non esser sempre ben presente al legislatore, il quale nella elaborazione delle norme di diritto positivo opera riferimenti nominalistici sovente impropri, che rischiano di fuorviare l’interprete e di generare aporie esegetiche, le quali, anche laddove non insormontabili, sviliscono nondimeno il principio della certezza del diritto, nonché i canoni di tecnica legislativa della chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie.
Ma ancor più potenzialmente grave si rivela l’eventuale effetto (fine?) di mascheramento giuridico-tributario in predicato di sostanziarsi a seguito dell’errata nominazione di un tributo; travestimento in grado di produrre l’estrema conseguenza, in ipotesi di istituzione di nuove ed autonome forme di tassazione dissimulate sotto le mentite spoglie della sovrapposizione di fattispecie, di sottrarre l’esercizio della funzione impositiva all’ineludibile vaglio circa l’ossequio delle garanzie costituzionali poste a tutela della giusta contribuzione pubblica.
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6. La fattispecie sovrapposta tra doppia imposizione e (rischio di) eccesso di tassazione. Si è in precedenza (v. supra, par. 2) già anticipato come il legislatore, nella ricerca dei fatti e situazioni da elevare a presupposti d’imposta, beneficia di una vasta libertà di scelta e di altrettanta ampia discrezionalità.
Tali prerogative, tuttavia, non possono esercitarsi ad libitum fino al punto di metter a serio repentaglio il limite o principio-base invalicabile della «capacità contributiva» statuito all’art. 53, comma 1, della Carta costituzionale, nelle differenziate conformazioni precettive in cui lo stesso può predicarsi (rectius, interpretarsi) (27).
Ecco, allora, che il tema della sovrimposizione si intreccia saldamente, da un parte, con la questione della doppia imposizione e, dall’altra parte, con il dibattuto argomento dell’eccesso di tassazione.
Attesa la rilevanza – sia di ordine pratico che ai fini della speculazione scientifica – della catalogazione nell’una ovvero nell’altra delle sopraindicate classi giuridico-tributarie, di siffatte interrelazioni concettuali conviene, sia pure in maniera succinta, dar subito in appresso conto.
Quanto al primo aspetto, deve avvertirsi che, sebbene promiscui e apparentemente sovrapponibili, il fenomeno della sovrimposizione è altro rispetto a quello della doppia imposizione, con cui è bene teoricamente non confondere e dal quale è oltremodo opportuno, in questa sede, esplicitamente e concisamente distinguere.
La differenza è patente ed esaurientemente spiegata sin dalla dottrina risalente, di cui vale all’uopo riportare un eloquente passo: «Si ha doppia imposizione quando, senza ragione plausibile, due comuni dello stesso stato o due stati colpiscono lo stesso reddito derivante dalla stessa cosa. Ma il reddito di uno stabilimento industriale può essere senza doppia imposizione tassato dallo stato, dalla provincia e dal comune. Sebbene tre imposte differenti si
(27) Sulla ermeneutica di tale canone costituzionale si rinvia alle osservazioni ed ai riferimenti bibliografici riportati supra, in nota 8.
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abbattano sul medesimo reddito, tuttavia non si può parlare di tripla imposizione perché tre enti hanno sovranità tributaria su quel medesimo reddito; tutti tre gli enti rendono servigi di carattere differente, ed ognuno di essi ha diritto di stabilire imposte (28). Non dell’istituto della doppia imposizione si può parlare in questo caso; ma di quello della sovraimposizione, che è legittima» (29).
Con riferimento, invece, al secondo profilo della eccessività dell’imposizione, va avvisato che il ricorso alla sovrimposizione non deve integrare una metodologia suscettibile surrettiziamente di produrre l’insopportabile (etimologicamente inteso), oltreché iniquo ed irragionevole, effetto di addivenirsi ad un aggravio impositivo assumente complessivamente un carattere “espropriativo” o “confiscatorio”.
La qual cosa – si badi – potrebbe, risolutamente, invocarsi laddove fosse dimostrabile, per tabulas, l’emersione di un effetto di “strozzamento” a carico del soggetto inciso, da cui discenda, anche in una visione cumulativa della tassazione, una sostanziale avocazione allo Stato (e sue appendici territoriali) dell’intero reddito posseduto dal contribuente.
La dottrina che ragiona nei predetti termini (30) fa derivare la necessità di scongiurare un tale inammissibile effetto dalla tutela assicurata dalla Carta costituzionale, in virtù degli articoli 41 e 42, alla proprietà privata ed all’iniziativa economica privata.
Ai fini che ne occupa, preme precisare come siffatta valorizzazione dei diritti proprietari sia funzionale al giudizio finale sulla esistenza di un limite massimo alla imposizione “immanente” nel nostro ordinamento, edificando da ciò la base logico-argomentativa per invocare la sussistenza di un divieto implicito della tassazione dall’assetto marcatamente ablatorio.
(28) Nell’ordinamento tributario odierno, potrebbe essere, ad esempio, il caso della tassazione personale sul reddito, che annovera la imposizione principale erariale, quella addizionale regionale e quella addizionale comunale.
(29) Queste le parole di L.EINAUDI, Principii di scienza della finanza, Torino, 1940, 140.
(30) Cfr. G. FALSITTA, I divergenti orientamenti giurisprudenziali in Italia e in Germania sulla incostituzionalità delle imposte dirette che espropriano l’intero reddito del contribuente, in Riv. dir. trib., 2010, I, 139 ss.
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La ricostruzione dottrinaria, d’altro canto, in una logica di completamento, si è altresì soffermata sulla inevitabile opportunità di affrontare l’indagine circa la sussitenza di limiti all’entità del prelievo legittimamente realizzabile dal legislatore, non unicamente con riferimento ai parametri normativi e costituzionali interni, bensì anche alla luce dei principi di diritto di derivazione comunitaria ed internazionale (31).
Tale dottrina attenta all’esito ed inquadramento sovranazionali della ricerca, conclude anch’essa, tramite la valorizzazione delle disposizioni costituzionali – in specie: gli artt. 11 e 117, comma 1, Cost. – che consentono un’apertura del nostro sistema giuridico verso tale contesto internazionale, nel senso di ravvisare già nel nostro ordinamento l’operatività di un limite al livello di imposizione desumibile dai principi Ue ed internazionali che sanciscono l’intangibilità del diritto di proprietà e ne consentono una restrizione solo laddove l’ingerenza dell’ente impositore, nel perseguimento di interessi collettivi, non attenti al nucleo essenziale del rapporto proprietario, riconoscendo, da ultimo, quanto al rapporto tra i diversi interessi coinvolti (pubblici-privati), la bontà del ricorso ad un approccio caratterizzato in termini di stretta proporzionalità.
7. Fattispecie di sovrimposizione (sui redditi) nell’ordinamento tributario italiano. La forma di tassazione tecnicamente nota come sovimposizione, con le sue specifiche declinazioni, ha trovato una particolare diffusione nell’ordinamento in vigore prima della riforma tributaria del 1972 e 1973.
Per contro, la sua adozione, quanto meno dal punto di vista della nomenclatura legislativa, è risultata decisamente ridotta nell’ambito del sistema tributario post-riforma.
(31) In questo senso, cfr. S.DORIGO, Il limite massimo dell’imposizione nel diritto internazionale e dell’Unione europea ed i suoi effetti nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. trib., 2011, I, 41 ss.
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Negli ultimi lustri, tuttavia, si è assistito ad un rinnovato interesse del legislatore verso tale forma di imposizione (essenzialmente sub specie di «addizionale»), sebbene – come si accennerà al paragrafo finale – il relativo azionamento abbia sostanzialmente perso la caratterizzazione genetica originaria promossa in seno al contesto del coordinamento tra finanza statale e finanza locale.
Di seguito, è appena il caso di passare brevemente in rassegna le principali tipologie di sovrimposizione che si sono sperimentate in Italia nel settore delle imposte dirette sui redditi, la cui ricognizione permette di seguire l’evoluzione storico-legislativa avvenuta nell’ordinamento, suscettibile di costituire utile bussola per la navigazione normativa futura (32).
8. (Segue): le sovrimposte sui redditi fondiari.
L’utilizzo della sovrimposizione come forma di tassazione il cui gettito era destinato agli enti locali si affermò fin dalle prime leggi dell’ordinamento unitario (33).
Essa trovò applicazione principalmente nell’ambito dell’imposizione diretta sui redditi fondiari, in adesione al principio – ancor oggi attuale – secondo cui le proprietà immobiliari costituiscono il più idoneo e ragionevole presupposto per la tassazione locale, in ragione sia della facilità di accertamento (fondato sul criterio di ubicazione fisica dei cespiti), sia della constatazione circa il loro marcato indice di immediato riscontro dei benefici diretti ed indiretti ascrivibili alla fruizione dei servizi pubblici finanziati dalle spese degli enti territoriali nella cui circoscrizione insistono.
(32) Per una attenta e dettagliata esplorazione storica, si rinvia a G.LORENZON, Sovrimposte e supercontribuzioni, cit., 231 ss.
(33) Con la l. 20 marzo 1865, n. 2248, venne estesa a tutto il Regno la disciplina delle sovrimposte fondiarie.
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Dal punto di vista tecnico, la struttura di tali sovrimposizioni (rectius, sovrimposte) si basava sul sistematico rinvio, per la definizione del presupposto e della base imponibile, alle norme disciplinanti i corrispondenti tributi erariali sul reddito dei fondi rustici e sul reddito dei fabbricati (34).
Il margine di manovrabilità dell’entità delle sovrimposizioni da parte dei comuni e delle province subì, nel corso degli anni, varie e continue modifiche; sino all’organico riordino attuato con il Testo unico della finanza locale approvato con r.d. 14 settembre 1931, n. 1175. In dettaglio, nella parte relativa alle disposizioni generali sulle entrate (tit. III, cap. I), si prevedeva – per l’appunto – la facoltà per tali enti locali, nei limiti ed in conformità delle vigenti leggi, di “sovrimporre” alle contribuzioni dirette sui terreni e sui fabbricati. Più in particolare, nella sezione dedicata precipuamente alle sovrimposte fondiarie, era disposto che l’ente locale potesse azionare la sovrimposizione attraverso la fissazione di alcuni limiti (indicati da un’apposita tabella) e commisurati al
quantum di imposta erariale; successivamente, però, detto quantum di riferimento
venne variato dall’imposta erariale al corrispondente reddito imponibile.
Il quadro normativo delle sovrimposte fondiarie, che testimoniano la storica funzione della sovrimposizione quale agile ed elastico strumento tributario locale e che garantiscono agli enti territoriali gran parte dello loro risorse finanziarie, si completa con la previsione in ordine alla facoltà di estensione delle stesse agli aumenti avvenuti nell’imposta erariale sui terreni e fabbricati, nonché con la precisazione della possibilità per i medesimi enti di concedere anch’essi, ai fini delle sovrimposte, le sospensioni, gli sgravi e abbuoni riconosciuti dall’ente impositore centrale sul tributo statale. Tali prerogative normative sanciscono indirettamente l’autonomia tecnico-giuridica delle sovrimposte, la cui attuazione, seppur vincolata ai tributi erariali di riferimento, non si riduce a semplice adempimento accessorio.
(34) Una esaustiva trattazione della materia si trova in L.EINAUDI -F.REPACI, Il sistema tributario italiano, Torino, 1954, 390 ss.
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9. (Segue): l’imposta comunale sulle industrie, i commerci, le arti e le professioni. Il citato Testo unico della finanza locale del 1931 consentiva, poi, ai comuni, in via ordinaria, ed alle province, attraverso l’applicazione di apposite “addizionali” (35), di istituire l’imposta comunale sulle industrie, i commerci, le arti e le
professioni (cosiddetta “Icap”).
Nella pratica del tributo, l’Icap assumeva a proprio presupposto il medesimo riferimento quantitativo dell’imposta di ricchezza mobile (36) e veniva applicata con aliquota differenziata per diverse categorie reddituali. Inoltre, sui redditi esenti dal tributo erariale, la legge consentiva l’applicazione dell’Icap comunale, ma non di quella provinciale, con aliquote che, di regola, superavano i corrispondenti limiti posti in via ordinaria; mentre, in caso di sgravio del reddito assoggettato all’imposta statale, se ne postulava il medesimo