• Non ci sono risultati.

SOLLECITAZIONE TELEVISIVA DELLA CREDULITÀ POPOLARE

1. Premessa: la difficile genesi del tributo

Quella che, mercè la semplificazione propria del gergo giornalistico, viene oramai comunemente – e omnicomprensivamente – denominata “porno-tax” affonda le proprie radici in un passato non recente e racconta di una origine travagliata.

Essa fu prospettata ufficialmente, per la prima volta, nel 2002 dal deputato dell’allora partito politico Forza Italia on. Vittorio Emanuele Falsitta, avvocato tributarista (già relatore della legge delega per la riforma fiscale statale

40

del 2003) (1), in sede di disegno di legge Finanziaria per il 2003, con l’intento di contrastare la pornografia nelle sue plurime e multiformi configurazioni (2).

Tuttavia, a dispetto dell’entusiasmo bipartisan registratosi all’indomani della presentazione – in fase di emendamenti alla Finanziaria – della proposta, tale prima versione registrò un inatteso fallimento, non riscontrando un fattivo e convinto accoglimento in seno all’assemblea parlamentare; pertanto, fu subito accantonata.

Come emerge dai lavori parlamentari (3), dopo l’intervento del deputato proponente, tutto centrato sul “Fisco etico”, la maggioranza si divide subito, sviluppandosi, di seguito, un dibattito nel quale si sovrappongono due piani. Il primo è quello dei “valori”: Stato laico contro Stato etico (con la richiesta, poi, da parte delle opposizioni di centro-sinistra, di soppressione degli emendamenti giacché – in sintesi – tassare la pornografia avrebbe significato legittimarla); il secondo si sviluppa su un livello, decisamente “più materiale”, appuntandosi sulla opportunità o meno di aumentare il prelievo fiscale su un settore particolarmente profittevole. Le risultanze del voto, con la bocciatura degli emendamenti di interesse, danno ragione non solo di un clima politico ancora acerbo a recepire siffatta nuova imposizione, ma anche delle molte paventate pressioni lobbistiche.

(1) Legge 7 aprile 2003, n. 80.

(2) La misura ideata, inserita nell’art. 12 (rubricato «Prelievo speciale sugli utili derivanti dalla produzione, dalla vendita e da altre forme di sfruttamento di materiale pornografico») del disegno di legge, disponeva – in estrema sintesi – un prelievo aggiuntivo sui redditi dell’industria pornografica pari al 25 per cento, un incremento dell’aliquota Iva riferita alle pubblicazioni pornografiche e un inasprimento significativo delle sanzioni pecuniarie dovute in caso di elusione del tributo.

Non è inutile segnalare che, all’epoca di tale proposta originaria, il mercato dell’hard in Italia aveva dimensioni imponenti (fonte dati: indagine del quotidiano La Repubblica del 17 ottobre 2002): 400 mila le videocassette annue vendute, circa 300 i film a luci rosse girati all’anno, 40 le case di produzione specializzate, diffusione a macchia d’olio sul territorio dei circa 2.500 sexy-shop, 1200 le hot-line telefoniche, 35 mila i siti hard sulla rete web, diverse migliaia gli utenti abbonati a pay-tv specializzate nel genere. Tutto per un fatturato che si aggirava complessivamente intorno ai 1.000 milioni di euro, calcolando il mercato delle pay per view, dell’home video, dell’oggettistica e dell’abbigliamento intimo.

(3) Cfr. resoconto stenografico della seduta della Camera dei Deputati n. 219 del 7 novembre 2002.

41

Si dovette attendere 4 anni circa affinché i tempi fossero più propizi e si maturasse una coscienza legislativa condivisa (o, perlomeno, maggioritaria) sull’argomento. Invero, l’idea di un tributo a caratterizzazione “etica” fu rilanciata formalmente dalla relatrice alla manovra finanziaria per l’anno 2006, anch’ella forzista, on. Daniela Santanchè, traendo ispirazione da analoghi regimi di sovrimposizione già adottati in altri Paesi, e segnatamente rifacendosi al paradigma normativo delineato dal legislatore francese. Fu così, allora, che l’“addizionale” de qua (4) si fece spazio in sede di dibattito parlamentare dedicato alla sessione di bilancio, a seguito di apposito emendamento presentato in seconda lettura alla Camera dei Deputati, riuscendo alla fine a conquistare un posto, per l’appunto, nella legge n. 266/2005, recante le «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (c.d. “legge Finanziaria 2006”).

Ma il recepimento nel testo di legge non era sufficiente a garantire la piena efficacia al nuovo tributo, dacché si rendeva necessaria l’emanazione, da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, di un decreto attuativo delle disposizioni varate. Senonché, tale attuazione è rimasta inevasa per diversi anni, forse per un transeunte ripensamento governativo.

Si è dovuto attendere il 2008, e in particolare la manovra “anti-crisi” d’autunno, approvata con decreto-legge n. 185/2008, per annotare un nuovo slancio dell’addizionale, con innovazione della relativa normativa a seguito di specifica estensione applicativa. Attesa la sedes materiae in cui sono state inserite le disposizioni emendative, non è peregrino opinare che, oltre alla riconquista del convincimento politico-legislativo all’attivazione dell’addizionale, nella scelta abbiano pesato altresì le crescenti ed emergenziali esigenze di gettito.

Siffattamente rispolverato, il nuovo tributo non ha tardato poi a veder compiutamente perfezionata la sua disciplina: dapprima, è seguito il decreto presidenziale di attuazione (marzo 2009); successivamente, sono state diramate

(4) Preme avvertire che nel prosieguo della trattazione si discorrerà di «addizionale», così come nominata nel testo legislativo, con la riserva, tuttavia, di rinviare all’ultimo paragrafo del presente Capitolo l’indagine circa la reale natura del nuovo tributo.

42

le istruzioni amministrative contenenti i codici-tributo per il versamento d’imposta (aprile 2009).

L’addizionale, da ultimo, è stata interessata da una ulteriore disposizione contenuta nel provvedimento anticrisi d’estate 2009, il decreto-legge n. 78/2009, con cui, al fine della sua attuazione, è stata prevista la facoltà di sottoscrivere appositi accordi di collaborazione tra l’Agenzia delle entrate e talune entità della pubblica amministrazione. A tutt’oggi, non v’è traccia alcuna di tali intese.

Sempre nella stessa disposizione del decreto n. 78, infine, si provvede a stabilire altresì la destinazione delle eventuali maggiori entrate ritraibili dall’addizionale, ulteriori rispetto a quelle già previste con il succitato provvedimento modificativo del 2008.