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La prosopopea, annoverata tra le figure di pensiero e codificata dalla tradizione classica come risorsa del genere oratorio, si presta ad essere impiegata in altri contesti (incluso quello teatrale) e, proprio in virtù di tale flessibilità, si caratterizza per una notevole mobilità definitoria.39 Ai fini di una riconsiderazione

della figura, può essere utile prendere le mosse dalla classica sistemazione di Pierre Fontanier, che esclude tassativamente l'identificazione tra personificazione e prosopopea. La prima sarebbe infatti un tropo in più parole, ovvero figura d'espressione basata su un meccanismo di finzione:

La Personnification consiste à faire d'un être inanimé, insensible, ou d'un être abstrait et purement idéal, une espèce d'être réel et physique, doué de sentiment et de vie, enfin ce qu'on appelle une personne; et cela, par simple façon de parler, ou par une fiction toute verbale, s'il faut le dire. Elle a lieu par métonymie, par synecdoque, ou par métaphore.40

La definizione è chiara e non necessita di commenti. Dopo aver proposto esempi di personificazione metonimica, sineddotica e metaforica, Fontanier si limita a specificare che «les seules personnifications vraiment figures d'expression, ce sont ces personnifications courtes, rapides, qui ne se font qu'en passant, sur lesquelles on n'appuie pas, et qui ne sont visiblement qu'une expression un peu plus recherchée, substituée à l'expression ordinaire».41

Tali personificazioni brevi, le sole da intendersi come vere e proprie figure d'espressione, sono le stesse cui si riferisce Aristotele nell'ambito della trattazione relativa alla metafora nel terzo libro della Retorica. Occupandosi più specificamente della necessità di portare di fronte agli occhi dell'uditorio (prÕ

39 Cfr. almeno H. LAUSBERG, Elementi di retorica [1949], Bologna, il Mulino, 1969, § 425, pp.

236-237; A. MARCHESE, Dizionario di retorica e stilistica, Milano, Mondadori, 1978, pp. 213-

214; B. VICKERS, Storia della retorica [1988], Bologna, il Mulino, 1994, p. 611; B. MORTARA

GARAVELLI, Manuale di retorica, Bologna, il Mulino, 1989, pp. 264-265; O. REBOUL,

Introduzione alla retorica, Bologna, il Mulino, 1996, pp. 165-166; M.P. ELLERO-M. RESIDORI,

Breve manuale di retorica, Milano, Sansoni, 2001, p. 184.

40 P. FONTANIER, Les figures du discours [1821-1827], a c. di G. Genette, Paris, Flammarion, 1968,

p. 111.

Ñmm£twn) l'oggetto del discorso, Aristotele chiama in causa l'efficace espediente di animare (ovvero dotare di azione) gli oggetti inanimati: «per “porre davanti agli occhi” intendo parole che rappresentano oggetti in azione [ænergoànta]»; e ancora: «“azione” è anche [...] rendere animati gli oggetti inanimati [tÕ t! ¥yuca œmyuca poieîn] attraverso la metafora: in tutti questi casi essa deve la sua popolarità al fatto di creare azione [tù æn"rgeian poieîn]».42 Personificazione

e metafora convergono dunque nella realizzazione del prÕ Ñmm£twn: «“la Grecia gridò” è in un certo modo una metafora ed è davanti agli occhi».43 La Grecia

personificata che grida è un esempio di oggetto inanimato reso animato, corrispondente a quella che nella retorica post-aristotelica sarà definita come metafora attiva (kat! æn"rgeian).44 Come mostrano gli esempi omerici addotti da

Aristotele, questo tipo di metafora rende animati gli oggetti inanimati creando una parvenza di azione: facendo leva sulla sfera sensibile, essa si imprime con maggior forza nella mente dell'ascoltatore.45

Di tutt'altra natura è, secondo Fontanier, la personificazione intesa come rappresentazione di un essere astratto organicamente concepito. Essa esula dallo spazio verbalmente ristretto della figura d'espressione perché pertinente all'ambito delle figure di pensiero e, più puntualmente, a quello dell'allegoria:

Quant à ces personnifications si étendues et si marquées, par lesquelles on crée, on décrit, ou l'on caractérise un être allégorique et moral, avec une sorte d'intention de faire croire que cet être existe réellement; telles, par exemple que le Sommeil, la Famine et l'Envie, dans Ovide; que les Prières, dans l'Iliade; que la Chicane, le Rhin, la Piété, la Mollesse et son cortège, dans Boileau; que la Politique, la Discorde, le Fanatisme, l'Amour, et même les Vices, dans la Henriade: il faut, je crois, les rapporter à l'Allégorie, non pas dans les sens particulier et restreint auquel nous allons la réduire ici, mais dans son sens le plus étendu; il faut, dis-je, les ranger dans la classe des fictions ou inventions poétiques; et, si l'on veut absolument en faire des figures, c'est parmi les figures de pensées qu'il faut leur donner rang.46

42 ARIST., Rhet., 1411b 34-35. 43 ARIST., Rhet., 1411a 28. 44 Cfr. DEMETR., De eloc., 81.

45 Cfr. ARIST., Rhet., 1412a 1-3: «“Nuovamente verso la pianura rotolava il masso impudente”,

“Volò il dardo”, “Desideroso di volare”, “Si piantavano in terra, bramose di saziarsi di carne”, e “Balzò furiosa la punta fuori del petto”. In tutti questi esempi vi è apparenza di azione, perché gli oggetti sono visti come animati».

Le personificazioni ovidiane ed omeriche, come quelle di Boileau e Voltaire, sono quindi finzioni o invenzioni poetiche propriamente allegoriche: esse danno corpo a concetti astratti facendone oggetti di descrizione e soggetti attivi all'interno di una narrazione.

La specifica di Fontanier ci porta molto vicino all'ambito di quelle che lo studioso definisce figure di pensiero per immaginazione, in particolar modo la !prosopopea" (prosopopée) e la !fabulazione" (fabulation). La prima, che Fontanier tende a distinguere rigorosamente dalla personificazione, «consiste à mettre en quelque sorte en scène, les absents, les morts, les êtres surnaturels, ou même les êtres inanimés; à les faire agir, parler, répondre, ainsi qu'on l'entend; ou tout au moins à les prendre pour confidents, pour témoins, pour garants, pour accusateurs, pour vengeurs, pour juges, etc.».47 La definizione, fortemente improntata ad una

tradizione retorica di marca classicista pensata anzitutto in funzione della performance oratoria, sottolinea la componente interlocutoria della prosopopea. Gli assenti, i defunti, gli esseri soprannaturali e gli esseri inanimati sono concepiti come attori che, letteralmente messi in scena, agiscono, parlano, dialogano all'interno di un macro-discorso che li evoca, li impersona, dà loro voce.

La prosopopea così intesa pare escludere quelle personificazioni-personaggi che Fontanier stesso aveva ricondotto all'ambito delle figure di pensiero. Esse trovano però spazio nel dominio della !fabulazione , figura d'ampio raggio che" consiste nel considerare concrete e reali le creazioni dell'immaginazione poetica: «il n'y aurait qu'à ouvrir le premier poëte venu: on verrait les êtres fabuleux, les êtres moraux, allégoriques, se présenter en foule».48 Dopo aver ricordato

nuovamente le personificazioni allegoriche della Henriade di Voltaire e del Lutrin di Boileau, Fontanier sottolinea l'istanza vivificante della finzione poetica, capace di dar corpo, anima, spirito e volto ad ogni cosa.49 Se è vero che la definizione di

47 Ivi, p. 404. 48 Ivi, p. 406.

49 Cfr. N. BOILEAU, Art poétique, 3.164-166: «Tout prend un corps, une âme, un esprit, un visage. /

Chaque vertu devient une divinité; / Minerve est Prudence, et Vénus la Beauté» (cit. in FONTANIER, Les figures du discours, cit., p. 408). Cfr. le considerazioni già ricordate di WEBSTER,

prosopopea è in Fontanier molto ristretta, quella di fabulazione (che finisce per includere le personificazioni allegoriche propriamente dette) è al contrario piuttosto ampia ed ha il merito di esplicitare il nesso importante che esiste tra personificazione e personaggio nel segno metaforico del ruolo teatrale:

Mais par Fabulation, faut-il n'entendre qu'un personnage fictif donné par jeu d'esprit pour un personnage réel? Il me semble qu'il faut entendre encore tout ce qu'on raconte de ce personnage, toutes les actions qu'on lui attribue, et en général tout le rôle qu'on lui fait jouer.50

La raffinata distinzione operata da Fontanier tra personificazione, prosopopea e fabulazione risponde all'esigenza di mettere ordine all'interno di una tradizione retorica piuttosto articolata. La prima difficoltà in sede classificatoria è infatti di ordine terminologico. Prima dell'avvento del francesismo !personificazione", attestato in Italia dalla fine del Settecento, il termine che più precisamente evoca l'atto di personificare è il grecismo !prosopopea".51

L'etimologia del termine è chiara – prÒswpon poieín significa letteralmente !fare una persona" –, ma la scomposizione della parola ci mette di fronte ad un sostantivo e ad un verbo dai significati complessi. Il verbo poieín indica un !fare" concreto, una vera e propria creazione: la poesia, poíesij, è infatti atto creativo. Il poeta lavora con le parole come se fossero materia plasmabile ed il suo prodotto è concepito dalla cultura greca alla stregua di un oggetto tangibile (la terminologia premia, come è stato più volte osservato, la dimensione artigianale e materialmente fattiva del lavoro poetico). PrÒswpon, analogamente al corrispondente latino persona, è parola fortemente polisemantica. Ai significati

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primari di faccia , volto o più genericamente aspetto – principalmente riferiti ! "

all'uomo – si aggiunge infatti l'ambiguo figura , da intendersi come sinonimo di !immagine : prÒswpon sarà pertanto l'immagine di un antenato (con riferimento" all'usanza di conservare ed esporre le immagini degli avi), ma anche la maschera

50 Ibidem.

51 Cfr. GDLI, s.v. Personificazione (XIII, p. 116), e Prosopopea (XIV, p. 701-702); DEI, IV, p.

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teatrale, il personaggio , il carattere e la persona . Proswpopoi!a andrà dunque inteso come creazione – ovvero finzione poetica – di un prÒswpon, cioè di una !persona nelle sue possibili e varie accezioni, inclusa quella di personaggio di" ! " un'opera letteraria, come attestato nel De poematibus di Filodemo.52

52 È questa l'accezione che il termine assume in PHILOD., De poem., 15.5, dove è associato ad altre