5. L E FAVOLE MORALI COME TEATRO DELLA VANITAS 1 Tra psicomachia e triumphus mortis
5.2 Theatrum vanitatis
Analogamente a quanto visto per i Discorsi morali, la metafora del theatrum mundi trova una piena applicazione nella Ragione sprezzata. L'immagine del teatro si rivela qui in tutta la sua ambivalenza: se infatti il dramma rappresenta il Mondo come scena teatrale su cui si muovono i vari personaggi implicati nella fabula, il teatro è anche evocato come ricorrente immagine di vanitas. I Sensi non fanno altro che richiamare all'attenzione dell'Uomo l'opportunità di dedicare gli anni della giovinezza ai piaceri, emblematizzati da alcuni topoi che, cari alla tradizione letteraria, suggeriscono atmosfere di distensione ed intrattenimento. Si vedano, a titolo d'esempio, le parole dell'Udito:
Siam qui Signor noi pronti
ovunque andrete, per servirvi sempre. Ma meglio sia trovarsi a lieta piazza nel teatro, o 'n le loggie, o ne' giardini, che 'n tempio malenconico e divoto, in queste feste, in questo allegro giorno.256
La piazza, il teatro, le logge e i giardini – contrapposti alla chiesa – sono spazi di evasione che tengono l'uomo lontano da pensieri tristi e infausti. La Natura stessa, madre sconsiderata che, troppo amante dei suoi figli, non saprà far frutto dei premurosi consigli della Ragione, descrive il regno dell'Uomo, reggia sontuosamente addobbata a festa, in termini che ricordano la similitudine tra il Palazzo Ducale di Venezia e la sfera del mondo sviluppata da Glissenti nei Discorsi morali:
Io stessa i grati, i sontuosi cibi, i canti, i suoni, et i festevol balli, et i giuochi de l'armi, e de le giostre, di contese d'honor, le scene, e gli archi d'apparati trionfi, e illustri mostre, tutte veder potei, tutte godere,
256 Ivi, I.2, c. 24v.
sì che questo teatro un picciol cielo parmi che per arte luminoso splenda.257
Quando i Sensi si trovano a discutere su quale di loro apporti maggior diletto all'Uomo, il Viso rivendica la propria priorità e conferma il valore emblematico della metafora teatrale: in un lungo catalogo di cose che si offrono alla vista dell'Uomo, ecco tornare, insieme a danze, giochi, giostre, e tornei, i «superbi apparati» e le «ricche scene» che, accostati alle «imagini lascive scolte e pinte», evocano un universo di apparenze meravigliose inevitabilmente destinato a frustrare le aspettative di chi si perde ad osservarle.258 L'insistenza con cui i Sensi
richiamano l'Uomo maturo, che inizia ad avere dubbi angoscianti sulla propria condotta e sul proprio destino, verso «il gran theatro ove solenni / si fanno i giuochi e i comici apparati» ribadisce l'accezione negativa dell'immagine.259
Lo splendido teatro del mondo, coacervo di tutto ciò che diletta l'uomo,260 è
pronto a rivelare – proprio come il Palazzo Ducale – la sua vera natura di theatrum vanitatis e spetta alle Parche mostrare il fine ultimo della tragedia umana. In occasione della loro prima comparsa, a metà del terzo atto, esse descrivono il proprio lavoro come parte integrante del «theatro immenso de' mortali»261 ed evocano la presenza della Morte attraverso l'immagine della fiera
della vita umana, metafora complanare a quella del theatrum mundi.262 Sarà poi il
257 Ivi, II.1, c. 37v. 258 Ivi, II.3, c. 41v. 259 Ivi, III.3, c. 76v.
260 Cfr. quanto affermato dal Gusto a proposito del Mondo; ivi, II.8, c. 54v: «Tutto quivi si trova
insieme accolto, / Acciò che 'l mio padron, padron del mondo / possi con noi qui sodisfarsi a pieno».
261 Ivi, III.7, cc. 85v-86r: «Noi nel theatro immenso de' mortali / scorrendo, affaticando e
rivedendo, / altre finite habbiam tele, e lavori, / comincian altre, e tali a meza meta / ridotte sono, e intanto apparecchiando / n'andiam de l'altre per non starsi indarno, / com'appunto hor facciam vigile e preste».
262 Ivi, III.7, c. 86r-v: «LACHESI Non saprei che mi dir, né che pensarmi, / se non che forsi la gran
fiera humana / dove i mortai dopo fatiche lunghe / ne vanno a far de i loro acquisti il conto, / per trarne lettre e cambio a l'altro mondo / al ricco banco d'infallibil Morte, / non sia per anco publicata o giunta». L'immagine della fiera tornerà ad essere associata a quella del teatro dei viventi nel dramma Il mercato overo la fiera de la vita humana, cit., per il quale cfr. almeno a
Tempo a suggerire alla Ragione di ricorrere all'aiuto delle Parche affinché, mostrando all'uomo il proprio destino mortale, lo spingano alla redenzione. Estremamente suggestiva la descrizione dell'«albergo» delle Parche che viene di fatto a coincidere – ancora una volta nei termini della metafora teatrale – con il Mondo e con il Tempo stesso, poiché lo «spatioso theatro» è figurato come immagine dell'anno solare, con riferimenti chiari ai mesi, alle ore e ai giorni che lo compongono:
Esse stan dentro in quell'aperto albergo, ma grande sì, che tutto il mondo adegua. Dodici corridori fan corona
a spatioso theatro, Anno nomato, per cui d'intorno a maraviglia incisi sono cento quarantaquattro gradi, per cui s'ascende, e si discende ogn'hora, da' ministri fatali de le Parche;
ne lo spatio di mezo ovato e grande stanno i telai de' miseri viventi dove le tele lor si van tessendo. Quivi ottomila son sopra sessanta, e settecento damigelle intente a trar da le conocchie il loro stame. [...]
Tutte queste li stami apparecchiando a dodici orditoi, ch'altro non fanno; e a tessitori ben trecento e cinque sopra sessanta, con le mogli appresso le tele prima ordite van porgendo.263
L'artificiosa immagine mostra come, a quest'altezza cronologica, la metafora teatrale si presti a declinazioni d'ogni sorta. D'altra parte, proprio visitando l'«albergo» delle Parche, l'Uomo è messo di fronte all'evidenza della propria morte imminente. L'episodio, raccontato fedelmente dal Viso alla Ragione, è di un certo
titolo di paragone le parole della Sperienza nel prologo («Voi dunque attenti a questo essempio stando, / che qui spiegar fra poco vederete, / potrete per mio mezo farvi accorti / di diportarvi meglio di molt'altri, / quali venuti a questa nobil fiera / che in gratia de la vita è publicata / nel mezo del theatro d'esto mondo»: ivi, c. A6v) e quelle che il Nobile pronuncia in apertura del primo atto («Mondo cortese, albergator fedele, / nel cui theatro si fa la gran fiera / di questa humana vita [...]»: ivi, I.1, p. 1).
263 Ivi, IV.9, cc. 126r-127r.
interesse ai fini del percorso che stiamo tracciando. L'Uomo, incauto, si è infatti lasciato attrarre dal canto delle Parche, sirene rovesciate di segno, e si è inoltrato a visitare il loro «strano albergo»:
Il padron nostro in questo strano albergo de le fatali Parche al dolce canto incauto tratto, a riveder le tele de' viventi mortai curioso entrossi. E quivi tanti stammi, fila e tele, orditori, telai, conocchie e fusi, arcolai, naspi, navicelle e spole con tanta gente ritrovammo e tanta ch'un altro mondo di veder ci parve.264
Vivendo un'esperienza topica della tradizione letteraria, l'Uomo entra nell'«albergo» delle Parche che, precedentemente descritto nei termini di un grandioso teatro, acquista adesso la parvenza di un «altro mondo», doppio dell'ingannevole scena mondana che rivela all'uomo la realtà del proprio destino di morte.