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4. L E FAVOLE MORALI DI F ABIO G LISSENT

4.3 Temi e spaz

Una delle ragioni per cui le favole morali di Fabio Glissenti sembrano più adatte alla lettura che alla messa in scena risiede nel rapporto che le lega all'opera maggiore del medico bresciano. Si è accennato al fatto che i testi teatrali derivano da materiali già impiegati dall'autore nei Discorsi morali. Come si ricorderà, il dialogo è di tanto in tanto interrotto dalla narrazione di novelle, definite dall'autore «ragionamenti» o «favole morali». Nella stesura dei suoi drammi, Glissenti attinge alle novelle della Athanatophilia che, pur essendo destinate alla lettura, presentano spesso una forte componente dialogica che ne facilita la riscrittura teatrale. Lo scopo degli inserti novellistici è analogo a quello dichiarato nella nota ai lettori della Ragione sprezzata: il Filosofo, ritenendo opportuno

235 Cfr., per ulteriori dettagli sulla visualizzazione dell'inferno e sulle strategie che animano il

memento mori glissentiano, § III.5.3.

inframezzare le proprie argomentazioni con narrazioni più piacevoli e distensive, intende portare davanti agli occhi di chi l'ascolta contenuti morali importanti per la formazione del buon cristiano. Il codice adottato è, come si è detto a più riprese, quello allegorico: esso permette infatti all'autore di mettere letteralmente in scena l'anima umana, le sue componenti, i suoi avversari.

Scorrendo l'indice delle novelle fornite in appendice, è possibile farsi un'idea di trame e motivi ricorrenti.236 Basti qui osservare, in funzione della

riscrittura teatrale cui Glissenti sottopone tali materiali, che le novelle si dividono fondamentalmente in due gruppi. Da un lato quelle che, insistendo sulla necessità di accettare benevolmente la Morte, ne fanno il personaggio principale con cui l'Uomo è chiamato ad interagire. Dall'altro lato un discreto numero di novelle si concentra invece, in ossequio alla tradizione della psicomachia, sul conflitto tra la componente spirituale dell'Uomo (l'Anima, lo Spirito, le funzioni intellettive) e quella terrena (i Sensi, la Carne, il Mondo, la Pompa). Tale bipartizione, peraltro suscettibile di sfumature, torna puntualmente nei drammi morali che Glissenti dà alle stampe a partire dal 1606. Alcune favole mettono in scena exempla volti a ribadire la necessità di fuggire i Sensi privilegiando i beni dell'Anima (L'Andrio, Il Diligente, L'Androtoo, Lo Spenserato e La Sarcodinamia che, a differenza dei titoli precedenti, si risolve tragicamente); altre si concentrano invece sul tema della meditatio mortis insistendo sulla ineludibilità del comune destino umano (La Morte innamorata, La giusta Morte, Il Mercato overo la fiera della Vita humana). Improntata ad un'allegoria non solo morale, ma anche civica è Il bacio della Giustizia e della Pace che, prendendo spunto dalla celebre immagine del Salmo 85, si configura come celebrazione dell'armonia che governa Venezia, scena della pièce analogamente a quanto accade nei Discorsi morali.237 Un caso a sé stante è

dato dalla Ragione sprezzata, primo e più ambizioso testo teatrale di Fabio

236 Cfr. appendice documentaria e bibliografica. 237 Cfr. Psalm. 85.10.

Glissenti, opera di dimensioni ragguardevoli che innesta in una prospettiva universale il modello della psicomachia su quello del triumphus mortis.238

Un'attenzione particolare meritano le ambientazioni delle favole morali glissentiane. Ad eccezione del Bacio della Giustizia e della Pace, che si svolge di fronte alla maggiore e più emblematica emergenza architettonica di Venezia (il Palazzo Ducale),239 gli altri testi delimitano spazi che esulano dalla tradizionale

scena cittadina tipica del teatro cinquecentesco.

In linea con la poetica del theatrum mundi, alcune delle favole morali individuano come scena proprio il Mondo. Nella Ragione sprezzata l'indicazione per cui «la scena è il Mondo»240 assume una connotazione particolare: la pièce

ambisce a ripercorrere il destino degli uomini e chiama in causa tutte le componenti dell'universo, dai sette pianeti alle sette età dell'uomo, dai demoni agli angeli, dagli spiriti dannati a quelli eletti. L'accezione di Mondo è qui molto ampia e non si riduce alla scena mondana che fa invece da sfondo alla Morte innamorata e al Mercato. Nel primo caso la scena è il fantomatico paese di Lungavita, «dinanzi l'albergo del Mondo»,241 luogo in cui l'Uomo crede

erroneamente di essere al riparo dalla Morte: il Mondo, oste ingannevole, è infatti pronto ad illudere gli uomini facendo loro vagheggiare i favori della Fortuna per poi consegnarli alla Morte e trattenere le ricchezze che essi hanno accumulato. Il mercato, overo la fiera della Vita humana si svolge invece «dinanzi al Palaggio del Mondo nel cui gran cortile si fa la fiera de tutti i viventi»:242 analogamente a

quanto accade nella Morte innamorata, il Mondo – qui non oste, ma «soprastante» della fiera –, accoglie e illude i mortali per poi liberarsene affidandoli alla Morte. Si tratta, in questo caso, di rifunzionalizzare nell'ottica del memento mori uno

238 Cfr. qui, § III.5.

239 GLISSENTI, Il bacio della Giustitia e della Pace, cit., p. 4: «La scena è in Venetia, che da l'un

canto rappresenta il Palazzo, da l'altro alcune case di private persone».

240 GLISSENTI, La Ragione sprezzata, cit., c. 10v. 241 GLISSENTI, La Morte innamorata, cit., c. A4v.

242 F. GLISSENTI, Il mercato overo la fiera della Vita humana, Venezia, Marco Ginammi, 1620, c.

[A7]v.

spazio spesso evocato nella letteratura coeva come immagine sintetica del mondo. Se la piazza cittadina è infatti uno dei luoghi per eccellenza della tradizione teatrale – essa è la scena su cui più frequentemente si svolgono commedie e tragedie – la sua funzione di “raccoglitore” dà adito ad impieghi diversi: basti pensare alla Piazza universale di tutte le professioni del mondo di Tommaso Garzoni, che trasforma il topos in catalogo enciclopedico di profili umani e professionali, ma anche alla di poco posteriore Fiera di Michelangelo Buonarroti il Giovane che rende esplicita, sotto forma di rappresentazione teatrale, la reciproca corrispondenza di spazi quali la piazza, la città e, appunto, la fiera, concepita – analogamente al precedente garzoniano – come convergenza dei più disparati destini mondani.243

Il teatro del mondo lascia spazio a quello dell'anima nelle favole che si ispirano più puntualmente al topos della psicomachia. L'Andrio, incentrata sul tema della libera volontà umana, si svolge in uno spazio a dir poco curioso, ovvero «il Campo del Libero Arbitrio»,244 sfondo allo scontro tra l'Uomo

(affiancato dai propri servitori Intelletto e Senso) e i demoni infernali che hanno preso l'aspetto del Mondo, della Pompa e della loro figlia Carne. Nella Sarcodinamia l'analogo conflitto tra lo Spirito e sua moglie Carne, che coinvolge il maggiordomo Arbitrio, il segretario Intelletto, il coppiere Pensiero, nonché le

243 Per la Piazza garzoniana (Venezia, G.B. Somasco, 1585, con varie edizioni successive), cfr.

l'ed. T. GARZONI, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, cit. (cui si rinvia anche

per la ricca introduzione). La Fiera michelangiolesca, caso su cui ci ripromettiamo di tornare in altra occasione, rappresenta un capitolo molto interessante nella storia del teatro allegorico: la piazza diventa infatti nell'esperienza teatrale di Buonarroti un luogo ambivalente in cui le azioni dei personaggi “reali” sono contrappuntate da quelle dei personaggi allegorici. Per le tre redazioni della commedia, cfr. M. BUONARROTIIL GIOVANE, La Fiera, a c. di P. Fanfani, Firenze,

Le Monnier, 1860, 2 voll. [il curatore offre l'ultima versione dell'opera che, ormai valicati dimensioni e limiti del testo per la scena, conferma la propria vocazione enciclopedica]; La

fiera. Redazione originaria (1619), a c. di U. Limentani, Firenze, Leo S. Olschki ed., 1984; La fiera. Seconda redazione, a c. di O. Pelosi, Napoli, Liguori, 2003. Per un inquadramento

dell'opera, cfr. (oltre alle introduzioni di Pelosi e Limentani alle ed. cit.): B. PORCELLI, Le misure

della fabbrica. Studi sull’Adone del Marino e sulla Fiera del Buonarroti, Milano, Marzorati,

1980; O. PELOSI, La fiera come gran teatro del mondo. Michelangelo Buonarroti il giovane fra

tradizione accademica e prospettiva barocca, Salerno, Palladio stampa, 1983.

244 GLISSENTI, L'Andrio, cit., p. [10].

governatrici di casa Ragione e Coscienza, è ambientato anch'esso in uno spazio tutto mentale: come si legge in calce all'elenco dei personaggi, «la scena è la propria consideratione di ciascuno».245 Ancor più esplicita nel senso di una vera e

propria messa in scena dell'interiorità umana è l'indicazione offerta nell'Androtoo:

La scena è la casa del cuore di ciascheduno, dove gli affetti interni et esterni dell'huomo, gareggiando a diverso fine, si risolvono finalmente dove lo stesso huomo vuole.246

In linea con la tradizione cardiocentrica di marca aristotelica, l'anima umana e tutte le funzioni mentali ad essa pertinenti sono localizzate da Glissenti nel cuore, sede dei conflitti tra gli affetti interni ed esterni, spazio interiore di un teatro delle passioni nel quale si gioca il destino dell'uomo. Il protagonista, Androtoo ossia l'Uomo innocente, vi si muove in compagnia dei propri servitori (Discorso, Arbitrio, Senso, Pensiero, Ricordo), spalleggiato dall'azione coordinata di Coscienza e Rimorso, in costante pericolo di cadere preda della Vanità mondana, figlia del Peccato.247

La rassegna delle ambientazioni delle favole morali delinea un quadro di notevole suggestione. L'impiego del codice allegorico è principalmente finalizzato alla definizione di spazi scenici interiori che permettono di dare corpo alla psicologia umana. Estremamente puntuali a questo proposito alcune considerazioni della Recitante nel quarto dialogo della Athanatophilia. Il Filosofo illustra la sua tesi attraverso l'exemplum del conflitto tra l'Anima e il Corpo: la moglie, stanca dell'ingratitudine del marito, vorrebbe liberarsene; consolata dalla Ragione, sua cameriera, l'Anima attende con ansia l'intervento della Morte per divorziare dal Corpo.248 Il commento della Recitante, che possiamo utilmente

245 GLISSENTI, La Sarcodinamia, cit., c. A4v.

246 F. GLISSENTI, L'Androtoo cioè l'Huomo innocente, Venezia, Marco Ginammi, 1616, c. A5v. 247 Per una trattazione più approfondita della pièce, cfr. qui, § III.6.

248 La novella in GLISSENTI, Discorsi morali, IV.10: «Si lamenta l'Anima della ingratitudine del

Corpo suo marito, e desidera di abbandonarlo: viene avvertita dalla Ragione sua camariera. Et ella con patienza sta aspettando la Morte, che venga a farle far divortio».

estrapolare e applicare anche ai testi teatrali di Glissenti, individua una caratteristica essenziale del linguaggio allegorico impiegato dall'autore: la fabula permette di vedere «con gli occhi della mente» ciò che pertiene usualmente all'ambito dell'invisibile:

Stette la Recitante molto attenta alla novella del Filosofo, sì che non movendosi mai pur un poco, né levando gli occhi di lui, mostrò d'haver diletto di così fatto ragionamento; e considerando poi come la verità si stava nascosta sotto la morale favola, così disse: «Non poco obligo habbiamo a quel leggiadro inventore, che ci lasciò scritto così utile dialogo; in cui, come in un bel quadro dipinto, che con colori distinti e varii rappresenti a gli occhi qualche memorabile historia, habbiamo veduto espresso al vivo con gli occhi della mente la natura dell'Anima, l'ufficio della Memoria, la prontezza della Volontà, et i buoni e veri avisi della Ragione. E certamente chi le gratie, chi i doni, chi le grandezze, chi la nobiltà, c'habbiamo dall'anima ricevute rimira, non può se non se stesso chiamare ingrato, quando di così segnalati e copiosi favori egli non tiene memoria alcuna. E perché questa ingratitudine, che chiunque usa con lei, è quasi mal commune et universale, ha ben occasione l'Anima, come diceste, di desiderare il partirsi dal mortal corpo».249

Attraverso la similitudine pittorica la Recitante rivela una dinamica di fruizione del testo che implica una visualizzazione interiore della fabula: la portata pedagogica dell'esercizio emerge laddove la donna spiega come la novella abbia saputo rendere visibili all'ascoltatore – attraverso gli occhi della mente – la natura dell'Anima, l'ufficio della Memoria, la prontezza della Volontà e gli avvisi della Ragione. Le funzioni intellettuali della psicologia aristotelica, volgarizzate e rifunzionalizzate nel pieno rispetto della dottrina cristiana, diventano accessibili all'uditorio non specialistico della gente comune.