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6.1 «Gareggiando a diverso fine».

Il contrasto degli affetti sulla scena del cuore

Dopo aver ascoltato con attenzione una delle novelle morali narrate dal Filosofo nel quarto dialogo della Athanatophilia, la Recitante aveva lodato il racconto perché capace di mostrare agli «occhi della mente» quello che, per restare all'interno della metafora che lega i vari testi di cui ci stiamo occupando, potremmo definire come teatro dell'Anima.301 Il codice allegorico basato

sull'impiego delle personificazioni permette di scomporre l'uomo nelle varie parti, materiali e spirituali, che lo costituiscono.302 I rapporti tra queste componenti,

spesso conflittuali, assumono la forma di relazioni tra personaggi allegorici che interagiscono secondo schemi narrativi ripetitivi, cui non sono però estranei spunti di originalità.

Uno dei testi drammatici di Fabio Glissenti che meglio risponde al quadro delineato dal breve commento della Recitante, è senza dubbio L'Androtoo, pubblicato nel 1616 all'indomani della morte dell'autore. La fabula portata sulla scena è una puntuale drammatizzazione del conflitto interiore che vede l'Uomo alle prese con le fallaci profferte della Vanità mondana. Si è già accennato alla particolare ambientazione del testo, ma è opportuno riprendere la questione: in calce alla lista dei personaggi si specifica che «la scena è la casa del cuore di

301 Cfr. GLISSENTI, Discorsi morali, c. 356r (brano cit. qui, § III.4.3).

302 L'idea che la sede dell'anima possa diventare vera e propria scena di un'azione drammatica che

coinvolge gli «spiriti» trova una celeberrima formulazione d'ascendenza cavalcantiana in apertura della Vita nova dantesca. Dopo aver dato corpo alla memoria attraverso la suggestiva metafora del libro, Dante si sofferma sugli effetti prodotti dall'apparizione di Beatrice. Lo «spirito della vita, lo quale dimora nella secretissima camera del cuore», esprime tremante il proprio sconvolgimento; dalle rispettive sedi – il cervello ed il fegato – rispondono puntualmente gli spiriti «animale» e «naturale», coinvolti in un vero e proprio dialogo. Cfr. DANTE, Vita nova, 1.5-7; per il fondamento filosofico della teoria degli spiriti, cfr. ALB. MAGN.,

Somn. et vig., 1.1.7 sgg.

ciascheduno, dove gli affetti interni et esterni dell'uomo, gareggiando a diverso fine, si risolvono finalmente dove lo stesso huomo vuole».303 L'indicazione è di

estremo interesse perché, coerentemente con quanto accade in altri drammi dello stesso autore (si pensi in particolar modo all'Andrio e alla Sarcodinamia, ambientati rispettivamente nel «campo del Libero arbitrio» e nella «propria consideratione di ciascuno»), essa delinea un teatro che – volendo ricorrere ad un topos di grande fortuna – apre letteralmente una finestra sul cuore dell'uomo.304

Cuore inteso, ovviamente, come sede delle funzioni vitali e intellettive, «stanza» per eccellenza dell'anima umana, spazio interiore in cui si muovono gli affetti e le passioni.305 Il topos della finestra aperta sul cuore, ampiamente diffuso nella

poesia lirica e presto fortunatissimo nell'emblematica, si basa sull'idea che il cuore sia ricettacolo delle impressioni che l'uomo raccoglie attraverso l'esperienza sensibile.306 Restando nella metafora, per conoscere realmente qualcuno, occorre

poterne vedere il cuore.

D'altro canto, come rileva Torquato Accetto nel trattato Della dissimulazione onesta, «gran diligenza ha posta la natura per nasconder il cuore, in poter del quale è collocata, non solo la vita, ma la tranquillità del vivere», e

303 GLISSENTI, L'Androtoo, cit., c. A5v.

304 Ripercorre alcune importanti occorrenze della metafora L. BOLZONI, Fra corpo e anima: lo

statuto delle immagini, in EADEM, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici

nell'età della stampa, Torino, Einaudi, 1995, pp. 135-186: 154-164; cfr. sullo stesso tema M.A.

RIGONI, Una finestra aperta sul cuore (note sulla metafora della sinceritas nella tradizione

occidentale, «Lettere italiane», 4 (1974), pp. 434-458.

305 Per il cuore come «stanza» dell'anima, cfr. almeno un esempio emblematico quale G. PICO

DELLA MIRANDOLA, Comento sopra una canzone di Girolamo Benivieni, 7-8: «Però che el core è

più appropriata stanza all’anima, che è per la natura sua fonte di vita e di calore, e per el suo continuo moto al cielo, donde lei descende, molto si conforma» (cfr. il testo in G. BENIVIENI,

Opere, Firenze, Filippo Giunta, 1519). Destinato a notevole fortuna è l'analogo topos del cuore

come “albergo” degli spiriti vitali, dei pensieri, delle passioni e degli affetti.

306 Chiara in tal senso la fenomenologia descritta in B. CASTIGLIONE, Libro del cortegiano, cit.,

3.66: «que' vivi spirti che escono per gli occhi, per esser generati presso al core, entrando ancor negli occhi, dove sono indrizzati come saetta al segno, naturalmente penetrano al core come a sua stanza ed ivi si confondono con quegli altri spirti e, con quella sottilissima natura di sangue che hanno seco, infettano il sangue vicino al core, dove son pervenuti, e lo riscaldano e fannolo a sé simile ed atto a ricevere la impression di quella imagine che seco hanno portata».

ancora: «quando gli occorre di star nascosto, conforme alla condizion morale, serba la salute delle operazioni esterne».307 Il capitolo Del cuor che sta nascosto

individua nel cuore uno spazio abissale, imperscrutabile, paradossalmente più vasto del mondo esterno di cui pure l'uomo fa parte. Analogamente ai potenti che si proteggono stando chiusi nei loro «palagi» e nelle «camere segrete», ogni uomo, «ancorch'esposto alla vista di tutti», può «nasconder i suoi affari nella vasta ed insieme segreta casa del suo cuore».308 Tale occorrenza della metafora

della casa del cuore, ben posteriore agli anni in cui Glissenti compone le proprie favole morali, è interessante ai fini del nostro discorso perché mette in evidenza il problematico nesso tra l'interiorità umana e il modo in cui essa si offre all'esterno. Accetto privilegia nel suo impiego dell'immagine la dimensione della simulazione, necessaria a proteggere gli «affari» personali. Nel caso del teatro morale di Fabio Glissenti, la casa del cuore si afferma invece come spazio aperto all'esterno, specchio esemplare auspicabilmente performativo per coloro – gli spettatori – che lo scrutano. Poiché la scena rappresenta «il cuore di ciascheduno», chi osservi lo spettacolo – o legga il dramma – si trova di fronte all'allestimento della propria interiorità, ovvero alla messa in scena della “gara” tra gli affetti interni ed esterni, esperienza interiore comune a tutti gli uomini. Volendo seguire l'indicazione offerta dall'autore, sarà opportuno vedere quali forme assuma tale gara per individuare i moventi culturali più rilevanti che stanno alla base dell'esperimento teatrale-pedagogico del medico bresciano.

La trama dell'Androtoo è, come d'abitudine, illustrata puntualmente dall'Argomento che, in questo caso non prevede un'appendice di esegesi morale, ma la include al suo interno. Come risulterà evidente scorrendo anche rapidamente il breve testo, esso si presenta quasi come un exemplum autosufficiente. Nella prima parte, vengono individuati i due poli opposti del

307 T. ACCETTO, Della dissimulazione onesta, a c. di S.S. Nigro, Torino, Einaudi, 1997, p. 59. 308 Ivi, pp. 59-60.

male:

Va procurando il demonio con ogni suo potere la rovina dell'huomo; e perciò col mezo dell'angelo cattivo assistente a lui (che va sempre suggerendo agli sentimenti dell'huomo che i beni apparenti del mondo siano i veri beni, dove consista la felicità humana), lo induce all'amor delle vanità di questo mondo. Acciò che in queste si immerga, e colpevole al fine se ne muoia.309

e del bene:

All'incontro vuole Iddio che l'huomo si salvi, et acciò da queste fallaci suggestioni del demonio non resti ingannato, gli ha dato il Discorso, la Conscienza, et il Rimorso interno, come censori acerrimi delle sue operationi. Da i quali avvertito, et ammonito per mezo della Penitenza si riduce nello stato dell'Innocenza, per cui finalmente si viene a salvare, e questa è l'occasione della favola, come segue.310

Dio, desideroso della salvezza spirituale dell'uomo, l'ha dotato di tre preziosi strumenti di auto-censura. Come vedremo, se il Discorso è fedele assistente dell'Uomo in quasi tutte le favole glissentiane, l'Androtoo assegna un ruolo di assoluto rilievo alla collaborazione della Coscienza e del Rimorso. La Penitenza, in una successione di pratiche di contrizione, completa il quadro e permette al protagonista di ridursi allo stato dell'Innocenza.

Date queste premesse, la seconda parte della fabula vede un nuovo attacco dei Sensi che tentano di avvicinare Androtoo alla Vanità mondana. La Coscienza ed il Discorso – intuito il pericolo grazie ad una curiosa immagine sacra che muta aspetto quando l'Uomo si avvia per la strada del peccato – intervengono prontamente a salvarlo:

Persuadono i sentimenti a l'huomo, che voglia prender in moglie la Metamonia, che è la vanità del mondo. Egli non pensando far male vi mette il pensiero, del che avvedutasi la Conscienza, et il Discorso (per mezo d'una immagine miracolosa, la quale cangiava il viso al cangiar dei costumi di chi l'honorava), ritornano l'huomo (aiutandolo in ciò la Penitenza) nella sua prima innocenza. E questa essendogli molto lodata dalla Conscienza, e dalla Penitenza viene ad esser molto stimata da

309 GLISSENTI, L'Androtoo, cit., c. A4r. 310 Ivi, c. A4r-v.

lui.311

Ai Sensi non resta che praticare la via dell'inganno e far credere all'Uomo che la Vanità mondana sia in realtà l'Innocenza. Fortunatamente, ancora una volta saranno il Discorso, la Coscienza ed il Rimorso, con l'ausilio della Penitenza, a riportarlo sulla retta via:

Dil che avertiti i Sentimenti danno a creder a lui un'altra volta, che la vanità del mondo sia l'innocenza amata da lui, e dal quelle lodata. E così facendola travestire, et imitar l'operationi della innocenza la suppongono a lui, et egli credendo d'accostarsi all'Innocenza, un'altra volta si accosta alla vanità. Pur in fine per mezo del Discorso, della Conscienza, e del Rimorso ravvedutosi del suo errore con l'aiuto della Penitenza viene a ritornarsi nello stato di prima.312

La glossa morale, esplicitando l'allegoria della favola, sottolinea l'importanza dell'aiuto divino, senza il quale l'Uomo rischia di perdersi:

Dal che si comprende, che quantunque l'huomo habbia voglia di mantenersi Innocente, non può tuttavia senza l'aiuto del soccorso divino. Perché da i propii Sentimenti ingannato, e per la sua fragilità e ignoranza molto debole, facilmente cade nell'amore delli affetti mondani. In tanto che, se col ragionevole Discorso, con la Conscienza, et con la Penitenza non viene soccorso, resta facilmente abbattuto, e vinto. E dove tal volta crede andarsi verso l'Innocenza, ingannato dalli proprii Sentimenti s'accosta alle vanità mondane.313

L'argomento dell'Androtoo offre al lettore tutti gli elementi necessari per decodificare l'allegoria della favola. Come si evince dalle poche righe, l'intreccio non è di per sé complesso, e si basa anzi su un medesimo modulo che viene ripetuto. Oltre a fornire un riassunto della vicenda, l'argomento costituisce però anche, relativamente alla materia trattata, una sorta di sintesi disciplinare. Il ricorso alle personificazioni permette infatti di mostrare in atto componenti dell'animo umano altrimenti inattingibili. Oltre al Discorso, che esercita tautologicamente la funzione di ragionare (ovvero impiegare la ragione nella

311 Ivi, c. A4v. 312 Ivi, cc. A4v-A5r. 313 Ivi, c. A5r.

valutazione delle circostanze), un ottimo esempio del principio che anima le personificazioni nel teatro allegorico morale di Fabio Glissenti è dato dall'interazione tra la Coscienza, «governatrice di casa», ed il Rimorso, «paggio della Coscienza». La metafora vulgata del “rimorso della coscienza”, ormai entrata nell'uso comune, viene efficacemente drammatizzata. Come emerge dal riassunto della trama, intervenendo in suo soccorso ogniqualvolta Androtoo stia per perdere la propria innocenza, i personaggi Coscienza e Rimorso mettono letteralmente in scena quello che significano. La propria funzione è chiaramente delineata nel quinto atto dalla Coscienza che, in un breve intervento, offre una sintesi di disciplina morale:

Ben si può dire, che lecito ogn'hor sia far ad ogn'un quel che 'l suo cor desia quando non v'è veruna conscienza, o rimorso verun nel cor interno. O come facilmente l'huomo cade da l'innocenza sua, da la bontate, quando non ha rimorso che lo rodi, né conscienza che lo punga o fieda. Ma non è sì gran fatto, che l'huom cada quando che per natura è frale e lieve, e per natura ancor nasce ignorante. Per questo il grand'Iddio, che ben conobbe che tal fragilità, che tal insitia

potean farlo cader, me col mio paggio pose a lui presso; acciò per nostro mezo ritornasse innocente, come prima.314

La Fragilità e l'Ignoranza – che compaiono anche tra i personaggi del dramma, serve della Vanità mondana – impediscono all'uomo di mantenersi innocente. L'intervento divino, che fornisce al proprio figlio due strumenti di censura quali la Coscienza e il Rimorso, è determinante ai fini della salvazione. Il concetto, già esplicitato nell'Argomento, è ribadito nel prologo della favola morale, non casualmente pronunciato dall'Innocenza, personificazione della condizione umana

314 Ivi, V.7, pp. 166-167.

perseguita da Androtoo nel corso della pièce. Rievocando lo stato di grazia edenica in cui l'Uomo viveva prima della caduta, l'Innocenza dichiara di essere pronta ad accoglierlo nuovamente tra le sue braccia.315 La sua presenza in scena

come spettatrice non vista del dramma («Qui d'intorno staromi, a la veduta / quantunque ascosta, con pietoso sguardo / a rimirar s'egli la sua salute / provido un tratto ricovrar procuri»)316 costituisce una sorta di suggello alla fabula e crea un

interessante scarto tra l'azione dei personaggi e la percezione dell'intreccio da parte del pubblico, soprattutto nel momento in cui la Vanità mondana vestirà i panni dell'Innocenza.

Nel conflitto tra gli affetti interni ed esterni che ha luogo nel cuore dell'uomo, la Coscienza gioca un ruolo decisivo. Nella prima scena dell'Androtoo, Cacodemone, uno dei servitori di Lucifero, rileva come i propri piani siano ostacolati più dalla Coscienza («quella rimbambita e scaltra vecchia») che dal Discorso: «questa co 'l suo rimorso l'huom sì assale, / sì lo rode e lo lacera sempre / ch'ei timido s'arretra, quanto io innanzi / lo vo guidando del peccato in grembo».317 Con l'aiuto dell'«aspra Penitenza», la Coscienza guida l'uomo «ad

acquistar quell'Innocenza bella / che fu da noi, come tu sai, perduta».318 Essa,

«governatrice di casa», assume nell'economia dell'intreccio un'importanza perfino maggiore dei più comuni servitori dell'uomo, ossia delle funzioni intellettive dell'anima umana: Discorso, Senso, Pensiero, Ricordo, Arbitrio.

In occasione della sua prima comparsa in scena, l'Uomo, circondato dai cinque servitori, si interroga – e li interroga – sulla ragione per cui la Natura

315 Ivi, prol., c. A6v: «E pur con ciò, ch'egli a Dio più volte / e da me si ribelli, quell'amore / che

con lui nacque, quando con lui nacque / mi sforza a ribramarlo tante volte, / quant'ei da me prevaricando parte. / A questo fin qui dunque son comparsa / vaga, ch'ei faccia a me ritorno; / a me, che tante volte l'ho raccolto / benigna sempre fra le braccia aperte».

316 Ibidem. Anche negli altri drammi di Glissenti, in linea con un uso ampiamente attestato nella

drammaturgia del Rinascimento, i personaggi che recitano il prologo dichiarano di restare in scena non visti.

317 GLISSENTI, L'Androtoo, cit., I.1, p. 15. 318 Ibidem.