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Il termine “giudiziarizzazione della politica” è divenuto molto diffuso in letteratura ma stenta a trovare un significato univoco. Da un punto di vista più generale, esso sta ad indicare un processo di rafforzamento delle corti, sebbene alcuni autori lo considerino la conseguenza di tale espansione, ed altri ad un comportamento quasi-giudiziario di istituzioni non giuridiche.

Alcuni autori (Hamelin e Sala 2018) l’hanno considerato “un concetto essenzialmente contestato”18, sottolineando che spesso lo stesso fenomeno viene descritto utilizzando termini diversi, o che fenomeni differenti vengano sovrapposti nella più ampia categoria della giudiziarizzazione. Ad esempio, attivismo giudiziario19 e giudiziarizzazione della politica vengono spesso inter-scambiati, sebbene non siano da considerarsi come sinonimi (Hirschl 2008). Il primo, infatti, fa riferimento al comportamento individuale dei giudici, mentre il secondo guarda al fenomeno in ottica più sistemica (Coman e Dallara 2010). Resta vero che il primo è da ricomprendersi nel secondo, dato che i giudici avranno un ruolo più attivo sia nel caso le competenze delle corti siano più estese, che quando la loro indipendenza è ben tutelata. Nonostante le numerose difficoltà definitorie, la nostra analisi procederà prendendo in esame alcune delle definizioni di

18 Basti considerare che Hamelin e Sala (2018) hanno individuato nove facce della giudiziarizzazione della politica: judicial review; costituzionalizzazione; attivismo giudiziario; indipendenza giuridica; mega-politica; corti indaffarate; processo avversariale nella Pubblica Amministrazione; corti come referenti culturali; auto-limitazione legislativa.

19Sebbene i problemi definitori siano numerosi (Urbano 2015), si tratta di un termine coniato da Arthur Schlesinger Jr in un articolo pubblicato su Fortune nel 1947, ed era volto a descrivere negativamente il comportamento dei giudici della Corte Suprema americana nell’interpretazione della costituzione. All’ attivismo dei giudici si contrappone quello di moderazione (judicial restraint), che incoraggia i giudici ad esercitare con parsimonia decisioni che potevano avere conseguenze politiche. Possiamo aggiungere, inoltre, che rispetto al significato originario, relegato al momento del sindacato di revisione di costituzionalità, oggi intendiamo con questo termine anche l’attività del giudiziario nel perseguire pratiche illecite come la corruzione politica.

giudiziarizzazione della politica maggiormente accettate in letteratura.

Muoveremo da un livello più astratto ad uno più concreto per poi prendere in esame le principali forme di espansione del potere giudiziario.

Secondo Stone Sweet e Shapiro (2002, 181) la giudiziarizzazione della politica è da considerarsi “un processo generale tramite cui il discorso legale – norme di comportamento e linguaggio- penetrano e sono assorbiti dal discorso politico”. Mentre il primo è tipico dei giudici in quanto guidato dalla regola (rule-laden), il secondo lo è dei politici e si caratterizza per essere guidato dall’interesse (interest-laden). Si parla di politica giudiziarizzata nel caso in cui il discorso, regole e procedure tipiche del discorso legale trasmigrano in quello politico.

Una seconda definizione è fornita da Vallinder (1995, 13) secondo cui la giudiziarizzazione della politica indicherebbe l’“espandersi dei metodi di decisione giudiziaria al di là dell’amministrazione della giustizia in senso stretto”. Ciò realizzerebbe un mutamento dei modi in cui i cittadini adottano strategie di mobilitazione per sostenere attraverso le corti i loro diritti, e utilizzano discorsi legali per ottenerli20 (Sieder et al. 2005).

In questo scenario, l’affermarsi di una cultura della legalità impone una crescente domanda di giustizia da parte dei cittadini, che hanno individuato le corti come canale per difendere i loro diritti e conseguire obiettivi individuali o collettivi21. Come evidenziato da Epp (1998) le corti svolgono un ruolo importante per l’affermazione dei diritti dei cittadini, tanto da parlare di una rivoluzione dei diritti attraverso il ricorso a corti di giustizia.

Le condizioni affinché ciò avvenga sono la presenza di un giudiziario attivo e una società civile impegnata, poiché “i diritti non sono doni: sono vinti attraverso un’azione collettiva concertata sia da una società civile vibrante che dal supporto del settore pubblico” (Epp 1998, 197). Una rivoluzione dei diritti che parta dal basso, e che presuppone sia una matura coscienza civile

20 Si parla anche di giudiziarizzazione from without (Tate 1995).

21 Giudici e PM hanno saputo ritagliarsi un ruolo politico crescente attraverso una forte capacità d’adattamento all’ambiente politico e a educare la società a una cultura della legalità (Couso et al. 2010). Di fatto, “il magistrato deve (e non può non) partecipare ad una funzione di coordinamento politico della società civile (Morisi, cit. in Calise 1993, 55).

dei cittadini che un potere giudiziario in grado di creare o espandere i diritti civili tramite la reinterpretazione delle disposizioni costituzionali e l’evoluzione della giurisprudenza. Il giudice non è solo il “guardiano” dei diritti fondamentali dei cittadini espressi dalla costituzione ma, nel caso in cui le istituzioni maggioritarie non riescono a svolgere adeguatamente determinate funzioni, agisce in maniera sinergica rispetto alle istanze provenienti dalla cittadinanza.

Ad un livello più concreto, ricordiamo la definizione fornita da Vallinder (1995, 13), secondo cui la giudiziarizzazione della politica può essere definita come l’“espansione del raggio d’azione dei tribunali o dei giudici a scapito dei legislatori e/o amministratori, ovvero lo spostamento delle competenze decisionali dal legislativo, dall’esecutivo o dall’amministrazione verso i tribunali”22. Questa definizione è stata oggetto di integrazione da parte di Guarnieri e Pederzoli (2017), che possiamo riassumere in tre punti fondamentali.

In primo luogo, gli autori hanno osservato che l’allargamento del raggio d’azione dei giudici non causa un arretramento obbligatorio dei parlamenti e dei governi, e dunque non significa che le decisioni politiche non vengono più prese nelle sedi a ciò deputate. Di conseguenza, non avremo un gioco a somma zero. Una prima motivazione riguarda il fatto che le corti agiscono all’interno del sistema politico, per cui dovranno tenere in considerazione delle reazioni degli altri attori alle loro decisioni. In particolare, parlamento e governo hanno solitamente a disposizione degli strumenti tali da ovviare disposizioni poco gradite delle corti e modificarne gli orientamenti. La seconda motivazione concerne la necessità di cooperazione di altri attori per mettere in pratica le decisioni giudiziarie. Occorrerà, quindi, un institutional dialogue tra le parti che può “generare tensioni, episodiche o protratte nel tempo, ma può anche aprirsi a forme di aperta o tacita collaborazione” (Guarnieri e Pederzoli 2017, 17).

22 Vallinder (1995) offre anche la definizione di un secondo tipo di giudiziarizzazione della politica, che abbiamo qui trattato separatamente.

La seconda integrazione riguarda la tendenza a dotare le corti di poteri rilevanti che è da considerarsi come un processo reversibile. Questo fenomeno può avvenire con maggior frequenza nelle democrazie non consolidate, dato che se da un lato la presenza di corti giudiziarie può garantire un meccanismo di legittimità, riparando le élite al governo da critiche dell’opposizione, dall’altro richiede alle corti una forte lealtà verso le stesse élite. Tuttavia, la compresenza di un’alta frammentazione politica, la possibilità di elezioni semi-competitive e di revisione di costituzionalità, unita alla possibilità di giudizio in aree politiche salienti, possono favorire un ruolo politico delle corti anche in democrazie più giovani (Trochev 2013). Per queste ragioni, si assiste spesso a modifiche delle prerogative in capo alle corti Supreme, fino ad un controllo “militare” sui suoi vertici, in modo da proteggere i poteri governativi23.

L’ultima integrazione sottolineata da Guarnieri e Pederzoli (2017) è la centralità che assume il grado di indipendenza di chi giudica, dato che essa rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente dell’autonomia.

Saranno cruciali gli strumenti – competenze e poteri decisionali - messi a disposizione delle corti per influire sulla sfera pubblica. Se non sussistessero queste condizioni l’azione di controllo dei giudici sull’attività politica può essere sterilizzato attraverso una sua politicizzazione24. Questa circostanza, tipica dei totalitarismi, mostra un controllo strettissimo degli apparati di governo sulla magistratura, tanto da divenire uno strumento di giustizia politica. Il potere giudiziario, quindi, diventerebbe un attore tale

23 A riguardo, potremmo considerare l’involuzione autoritaria della Turchia a seguito del referendum indetto dal premier Erdogan. Quest’ultimo ha portato ad una riforma della giustizia, al ridimensionamento dei poteri della Corte Suprema e del Consiglio Superiore della Magistratura Turco. La Corte Suprema sarà privata della facoltà di indire lo stato d’emergenza- ora nelle mani del parlamento- e ad una diminuzione dei suoi membri da 17 a 15. Il consiglio superiore della magistratura passa da 22 a 13 membri e svolgerà il suo ruolo in stretta dipendenza del ministro della giustizia. Si ricordi, inoltre, la riforma Costituzionale ungherese del 2013 voluta dal premier Viktor Orban che ha seguito una traiettoria similare (Musella 2018).

24 Nei regimi non pienamente democratici, inoltre, l’attivismo giudiziario è da interpretarsi in maniera strumentale, in quanto il giudice è maggiormente vulnerabile perché i principi della rule of law non sono ancora ben consolidati (Popova 2012).

da garantire il raggiungimento di determinati scopi politici attraverso l’utilizzo della legge25 (Kirchheimer 1961).

Tornando alle definizioni, passiamo in rassegna quella fornita da Hirschl (2008) secondo cui il concetto di giudiziarizzazione della politica non sarebbe più in grado di leggere adeguatamente la transizione delle democrazie contemporanee verso una juristocracy. L’autore parla di una

“giudiziarizzazione della mega-politics”, ovvero della “dipendenza dalle corti e i mezzi giudiziari per indirizzare questioni morali difficili, questioni di politiche pubbliche, e controversie politiche” (Hirschl 2008,119). Di fatto,

“dalle prerogative chiave dell’esecutivo come le questioni di sicurezza nazionale e la politica macroeconomica ai problemi di costruzione dell’identità collettiva e della nazione, dalla giustizia riparativa alle controversie legate al cambio di regime, alle dispute elettorali, le corti sono diventate le sedi cruciali in cui una società democratica può imbattersi”

(Hirschl 2004, 6). Le corti sono da considerarsi attori fondamentali nel risolvere issue potenzialmente divisive per l’opinione pubblica, nonché difficili da controllare per le istituzioni democraticamente elette in quanto interessano aspetti definitori della polity, ceteris paribus.

Gli aspetti che abbiamo appena delineato ci aiutano a comprendere meglio l’oggetto della nostra ricerca, evidenziando un passaggio di competenze, poteri decisionali, policy dai tavoli delle istituzioni rappresentative a quelli delle aule giudiziarie. Nel prossimo paragrafo comprenderemo meglio il fenomeno guardandone le principali manifestazioni: l’impatto del judicial review sul policy-making e la criminalizzazione delle responsabilità politiche.

2.2 Le facce della giudiziarizzazione della politica