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Seconda fase: dagli anni Settanta a metà anni Ottanta

scelta dal Presidente Scalfaro, l’ultima Silvana Sciarra eletta da una maggioranza di centro-sinistra nel 201491.

L’azione della Corte, infine, si mostra incline a favorire una maggiore parità di genere anche attraverso un’altra sentenza in materia di adulterio femminile. Si tratta della decisione numero 126 del 1968 che asserisce che

“il principio che il marito possa violare impunemente l’obbligo della fedeltà coniugale, mentre la moglie debba essere punita […] risale a tempi remoti nei quali la donna […]si trovava in stato di soggezione alla potestà maritale.

Da allora molto è mutato nella vita sociale”.

Questi provvedimenti mettono in luce come la Corte sia sensibile rispetto all’ambiente esterno e allo stesso tempo evidenziano un ruolo di supporto e crescente responsabilità nel favorire lo smantellamento della legislazione fascista. La Corte, dunque, dopo aver dichiarato la propria indipendenza dagli altri poteri con la sentenza 15 del 1969, si affaccia agli anni Settanta con una maggiore consapevolezza del proprio ruolo politico. Un processo che inizia con la presidenza Sandulli e continua con quella Branca, ma che risulta confinato nel dibattito tradizionale della cultura giuridica europea, secondo cui il diritto e la politica non devono intersecarsi. “Scelte politiche, non, però, di partito” sottolinea Branca, in cui non vi è traccia “d’arbitrio in quanto le decisioni si ricavano solo dall’ordinamento vigente”.

politica”92 (Cheli 1999). La Corte tenta, infatti, una ricerca di punti d’equilibrio con il potere legislativo, in modo da agire come mediatore dei numerosi conflitti sociali e politici che animarono quegli anni. Le sentenze in materia di divorzio e aborto, i giudizi sull’ammissibilità dei referendum, l’intervento nello scandalo Lockheed, e la definizione della supremazia del diritto comunitario su quello nazionale sono alcuni casi caratterizzanti di questa fase storico-istituzionale.

In primo luogo, è interessante focalizzarsi sul caso del divorzio. La legge 352 del 25 maggio 1970 aveva stabilito le modalità d’attuazione del referendum, mentre il 1° dicembre era stata approvata la legge 898 Fortuna-Baslini sul divorzio. Fu una decisione criticata apertamente da papa Paolo VI che sottolineò il “danno gravissimo che il divorzio reca alla famiglia cristiana e specialmente ai figli”, ma anche una lesione del Concordato (Chimenti 1999). La questione venne infatti portata all’attenzione della Corte che con la sentenza 169 del 1971 stabilì la legittimità costituzionale della Fortuna-Baslini, sostenendo che il Concordato era rispettato e che lo Stato era competente a regolare e giudicare in materia matrimoniale. Questa tesi è riaffermata in quattro occasioni (sentt. 175/1973; 127/1974; 169/1974).

Nel 1972, il fronte antidivorzista guidato dalla DC e dall’MSI e supportato dalla Chiesa, tenta di ottenere il supporto popolare tramite referendum per rimediare alla questione. La Corte è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità del referendum93, aprendo la strada, con la sentenza numero 10 dello stesso anno, alla battaglia sul divorzio. Quest’ultima si concluderà con la vittoria del No col 59,1 % alla consultazione del 1974, sancendo il fallimento dell’ala conservatrice della DC, della destra e del Vaticano. L’intervento della Corte, dunque, risulta decisivo nel definire i rapporti tra Stato-Chiesa. Implicitamente, la Corte sostenne la

92Tra le altre si ricordino: diritto allo sciopero (sent. 290/1980); Incostituzionalità della discriminazione salariala dei dipendenti pubblici (sent. 10/1973); Miglioramento dello Statuto dei lavoratori (sent. 54/1974).

93 La Corte dispone l’ammissibilità del referendum in quanto la questione non rientrava nelle fattispecie espresse dall’art. 75 che dispone le situazioni in cui il referendum è proibito.

costituzionalità del divorzio civile perché dichiara che non occorreva un processo di revisione costituzionale. Tuttavia, come si evince dall’art. 7 della Costituzione “le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. In questo caso, però, le parti non erano in accordo, anzi, per cui l’atteggiamento della Corte si mostra decisivo nel processo di policy making oltre che in continuità con le opinioni espresse dalla maggioranza parlamentare (De Franciscis e Zannini 1992).

L’introduzione della pratica dell’aborto rappresenta una seconda area di grande interesse nello sviluppo del ruolo della Corte e nel processo di secolarizzazione della società italiana. Già con la sentenza 49/1971, essa si era pronunciata in merito all’art. 553 del Codice Rocco, dichiarando illegittima la punibilità dell’“incitamento a pratiche contro la procreazione”.

La sentenza 27 del 1975 introdusse l’aborto volontario nell’ordinamento giuridico italiano, pur chiarendo che “la liceità dell’aborto deve essere ancorata ad un previo accertamento medico circa la realtà e la gravità di un pericolo non altrimenti evitabile per la salute della donna”.La sentenza 75 del 1975 definì la non punibilità dell’aborto terapeutico, il riconoscimento del diritto alla vita del nascituro, ed infine afferma la prevalenza del diritto alla vita della madre su quella del concepito. Questa sentenza mostra l’attenzione ai diritti civili che l’eco della rivoluzione sessantottina aveva contribuito a far germogliare (Barbera 2015).

Basti considerare l’influenza delle decisioni della Corte sul policy-making parlamentare, che nel maggio del 1978 approva la legge 194 che disciplina la pratica dell’aborto e lo depenalizza94. In direzione simile vanno altre sentenze chiave di questa fase come la 15/1982 in materia di carcerazione preventiva, la 161/1985 che si inserisce in aree delicate delle libertà individuali come la transessualità; la sentenza 239/1984 sulla libertà di associazione e l’incostituzionalità dell’obbligo d’appartenenza alla

94 La stessa legge sarà oggetto del referendum abrogativo del 1981. Erano presenti due quesiti: uno proposto dai Radicali e l’altro dai conservatori di Movimento per la Vita.

Comunità ebraica; ed infine l’obiezione consenziente al servizio militare (164/1985).

Il tema dell’ammissibilità dei referendum è un’altra area in cui la Corte ha mostrato fin da questo periodo forti segni di attivismo. Basti considerare che a fine anni Settanta si parlava di “Corte Beretta” per descrivere plasticamente l’azione di “giudici costituzionali come plotone d’esecuzione dei referendum” (Chimenti 1999, X). Tra il 1978 e il 1981, infatti, la Corte è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità di numerosi referendum abrogativi, che erano divenuti uno strumento del partito dei radicali per opporsi al “regime partitocratico”.

La sentenza 16/1978 mette in luce come un istituto chiave della democrazia diretta sia stato effettivamente scritto dalla Corte, e denota un suo atteggiamento più attivo nel disciplinare e regolare l’attività politica italiana95. Di fatto, si è assistito ad un progressivo allontanamento dall’ancora dell’art. 75 della Costituzione, che ha portato nel 1978 la Corte ad aggiungere via creatività giurisprudenziale i criteri di chiarezza, omogeneità ed unità della richiesta (in relazione al quesito), e la categoria di “leggi a contenuto costituzionalmente necessario” (in relazione alle fonti) (De Vergottini e Frosini 2010). Una volta delineati i binari, la Corte è riuscita negli anni, in maniera piuttosto elastica, “ad ammettere arbitrariamente alcune questioni e bloccarne altre” (Volcansek 1999, 112).

Nel 1978, inoltre, la Corte è chiamata ad assolvere al proprio ruolo di

“giustizia politica” a causa del coinvolgimento di due ex ministri nello scandalo Lockheed: il democristiano Luigi Gui e il socialdemocratico Mario Tanassi. La reazione dei partiti alle indagini fu durissima e rispecchia il forte ésprit de corps che anima la prima fase repubblicana. Esemplari le parole di

95 La Corte assume quindi un ruolo di supplenza rispetto al legislatore ed allarga le maglie del sindacato di ammissibilità. Nella sentenza si legge che: “uno strumento di democrazia diretta quale il referendum abrogativo non può essere trasformato -insindacabilmente- in un distorto strumento di democrazia rappresentativa, mediante il quale si vengono in sostanza a proporre plebisciti o voti popolari di fiducia nei confronti di complessive inscindibili scelte politiche dei partiti o dei gruppi organizzati che abbiano assunto o sostenuto le iniziative referendarie”.

Aldo Moro, che nel 1976 dichiarò “la DC non si processa”96. Lo scandalo ha portata internazionale, coinvolgendo anche Paesi Bassi, Germania Ovest, Giappone, e mette in luce interconnessioni tra il settore privato e quello pubblico, incentrato su un meccanismo di tangenti pagate a politici e militari per la vendita di aerei. Tanassi sarà condannato a 2 anni e 4 mesi, e il coinvolgimento nello scandalo -sebbene non indagato- del presidente della Repubblica Leone porterà alle sue dimissioni. Il caso Gui, invece, si conclude con l’assoluzione, una decisione molto discussa su cui ha probabilmente influito le aree politiche di riferimento del collegio giudicante. Come nota Volcansek (1999, 81) “tutte le nomine presidenziali alla Corte erano state fatte da Presidenti democristiani, due quinti delle nomine parlamentari erano andate ai democristiani, e sicuramente una proporzione significativa dei laici […] erano supporter dei democristiani”.

Un ultimo aspetto che va messo in evidenza di questa seconda fase è l’affermazione del “primato del diritto europeo” su quello nazionale, come sancito dalla sentenza 170/1984. Tale primato non è espressamente previsto dai Trattati fondativi dell’Unione ma si è creato gradualmente, soprattutto grazie all’azione della Corte di Giustizia europea. Quest’ultima, fin dalla sentenza Costa-Enel del 1964, formula la supremazia del diritto comunitario su quello nazionale, ponendosi come principio che “non può soffrire deroghe o eccezioni nei singoli Stati membri, neppure per ragioni d’ordine costituzionale, pena la perdita della sua stessa ragion d’essere”

(Cartabia 2005, 585). In un primo momento (1964-1973) le decisioni della Corte costituzionale non riconoscono questo principio giustificandosi sulla base del criterio cronologico, per cui la legge nazionale successiva può abrogare la norma comunitaria precedente. Con la sentenza 183/1973 si ha un primo mutamento del suo orientamento, che sarà definitivo con la

96 Non va sottovalutato, inoltre, l’impatto che questo evento ebbe sull’opinione pubblica.

Lo scandalo Lockheed rappresenta, infatti, l’inizio di una crescente sfiducia dei cittadini verso i partiti politici, che sarà alimentato dallo scandalo della Loggia P2 e, nei primi anni

’90, dallo scandalo Tangentopoli. Il primo si rivelò decisivo nella caduta del governo Forlani e ad una forte destabilizzazione politica che si mostrerà compiutamente nei primi anni ’90 con il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.

sentenza Granital del 1984. Quest’ultima apre ad una nuova fase del rapporto tra l’ordine giuridico europeo e quello nazionale, in cui la Consulta li riconosce separati e autonomi e limita il loro rapporto sull’attribuzione alla Comunità di competenze definite (Cassese 2009). La sentenza, oltre a riconoscere il primato del diritto comunitario, sancisce l’inapplicabilità di sentenze in contrasto con esso. Si tratta, dunque, di una decisione che sembra essere in linea con la spinta “europeistica promossa (o progressivamente accettata) dalle forze politiche, sociali e culturali che […]

hanno visto nella scelta europeistica la continuità, non la rottura, con le iniziali scelte dei costituenti” (Barbera 2015, 275) favorendo, così, tale orientamento della Corte costituzionale97.