Il tribunale di Roma condanna la presidenza del Consiglio a risarcire i danni patiti dai magistrati onorari per quanto riguarda indennità di fine rapporto e le tutele per gravidanza, malattia e infortunio
Tribunale di Roma, Seconda Sezione Civile, 13 gennaio 2021, r.g. n. 56477/17
Armando Montemarano
Senior partner Studio Montemarano, avvocati e commercialisti in Roma e Milano
LA MASSIMA
La presidenza del Consiglio dei ministri è tenuta al risarcimento in favore dei magistrati onorari dei danni derivanti: a) dall'inadempimento, sino alla sca denza del quarto anno successivo al 15 agosto 2017, della direttiva 2003/88 nella parte relativa al riconoscimento di un periodo di ferie annuali retribuite; b) dall'inadempimento della direttiva 1992/85 sulla maternità e sul ricono scimento del congedo di maternità, tranne che, a partire dal 15 agosto 2017, per quanto riguarda la previsione per cui la gravidanza non comporta la di spensa dall'incarico; c) dall'inadempimento della direttiva 199/70 sul lavoro a tempo determinato, nella parte relativa ai limiti alla reiterazione di incarichi a termine nei confronti di uno stesso lavoratore e nella parte relativa al divie to di disparità di trattamento rispetto ai magistrati professionali per quanto riguarda l'indennità di fine rapporto, la tutela della gravidanza, della malattia e dell'infortunio, e, fino al 15 agosto 2017, anche per quanto riguarda la tutela previdenziale e assistenziale e la copertura contro gli infortuni e le malattie professionali.
¶ Tribunale di Roma, Seconda Sezione Civile, 13 gennaio 2021, r.g. n. 56477/17, est. Papoff, ord.
Rapporto di Lavoro / Pubblico impiego
ne del quoziente per il numero di giornate lavorative prestate dal magistrato onorario. D'altro lato, lamen-tavano di non avere goduto di alcuna forma di tutela previdenziale o assistenziale e di non avere fruito di alcun tipo di trattamenti per fine servizio, per ferie annuali, per assenze di maternità e di malattia. Ag-giungevano che le conferme o proroghe per periodi superiori ai 36 mesi previsti quale durata dell'incarico dal previgente art. 42-bis R.D. n. 12/1941 («ordina-mento giudiziario»), sulla base delle varie disposizio-ni di legge succedutesi nel tempo, avrebbero configu-rato un abuso degli incarichi a termine, nonché una violazione della carta costituzionale e della normativa europea in materia di tutela dei lavoratori.
I ricorrenti chiedevano il risarcimento dei danni, contestando alla presidenza del consiglio dei ministri ed ai ministri della giustizia e dell'economia una re-sponsabilità per inadempimento dell'obbligazione dello Stato italiano di esatto e tempestivo adempi-mento delle norme europee. In particolare, ritenendo di dover essere considerati lavoratori subordinati, de-ducevano le seguenti violazioni delle direttive comu-nitarie:
› l'assenza di limiti alla reiterazione di incarichi a termine nei confronti di uno stesso lavoratore, in violazione della direttiva 1999/70 sul lavoro a tem-po determinato;
› la disparità di trattamento rispetto ai magistrati professionali, in tema di retribuzione, di indennità di fine rapporto e di regimi di sicurezza sociale, in violazione della stessa direttiva 70;
› il mancato riconoscimento di un periodo di ferie annuali retribuite, in violazione della direttiva 2003/88 sull'orario di lavoro;
› il mancato riconoscimento del congedo di mater-nità, in violazione della direttiva 1992/85 sulla ma-ternità o - a seconda della natura del servizio pre-stato - della direttiva 2010/41 sulla parità di tratta-mento tra uomini e donne che esercitano un'attivi-tà di lavoro autonomo.
Si sarebbero inoltre violati gli artt. 4 e 10 della Carta comunitaria dei diritti fondamentali dei lavoratori, adottata dal Consiglio europeo nel 1989, in materia di diritti alla non discriminazione, all'idoneità del tratta-mento retributivo ed alla protezione sociale, nonché, nei confronti dei magistrati onorari che non dispon-gono della copertura sociale alternativa, l'art. E della parte V (non discriminazione) in combinato disposto con l'art. 12 (sicurezza sociale) della Carta sociale
eu-ropea adottata a Torino nel 1961 e riveduta a Stra-sburgo nel 1996, ratificata con L n. 30/1999.
La condotta denunciata, ad avviso dei ricorrenti, si sarebbe protratta nonostante l'entrata in vigore della riforma della magistratura onoraria introdotta dal D.Lgs. n. 116/2017, che avrebbe reso strutturale il pre-cariato, persistendo nell'inottemperanza alle norme eurounitarie.
La difesa delle amministrazioni resistenti si fonda-va essenzialmente sulla considerazione che l'art. 106 Cost. articola la magistratura in due distinte strutture organizzative, cui corrispondono due diversi status di coloro che vi sono preposti: nella magistratura pro-fessionale, selezionata in base a concorso, si instaura con lo Stato un rapporto di pubblico impiego, carat-terizzato dalla continuità ed esclusività e dalla retri-buzione, mentre nella magistratura «non professio-nale», al contrario, non è configurabile un rapporto d'impiego bensì un rapporto di servizio volontario con attribuzioni di funzioni pubbliche. Ciò esclude-rebbe che i magistrati onorari possano essere ritenuti «lavoratori» ai fini dell'applicazione della direttiva 2003/88 e, di conseguenza, lavoratori «comparabili» con i magistrati ordinari, almeno ai fini dell'applica-zione delle norme dell'Unione invocate dai ricorrenti. Il danno da inattuazione delle direttive
La Cassazione ha da tempo affermato (Cass. Sez. Un. 17 aprile 2099, n. 9147) sia la risarcibilità del danno subìto per la mancata attuazione di direttive europee, sia la sua riconducibilità alla violazione dell'obbliga-zione «ex lege» dello Stato inadempiente per attività non antigiuridica, rigettando la tesi, che inizialmente pareva maggioritaria, della riconducibilità della pre-tesa risarcitoria alla responsabilità da illecito civile (art. 2043 cod. civ.).
Ciò perché, stante il carattere autonomo e distinto tra l'ordinamento eurounitario e l'ordinamento na-zionale, il comportamento del legislatore è suscettibi-le di essere qualificato come antigiuridico nell'ambito dell'ordinamento comunitario, ma non alla stregua dell'ordinamento interno, secondo princìpi fonda-mentali che risultano evidenti nella stessa Costituzio-ne. Per risultare adeguato al diritto europeo, tuttavia, il diritto interno deve assicurare una congrua ripara-zione del pregiudizio patito dal singolo per il fatto di non avere acquistato la titolarità di un diritto in con-seguenza della violazione dell'ordinamento sovrana-zionale.
Rapporto di Lavoro / Pubblico impiego Dal che conseguono in seguenti princìpi, formulati
nella citata decisione delle Sezioni Unite:
› anche l'inadempimento riconducibile al legislatore nazionale obbliga lo Stato a risarcire i danni causa-ti ai singoli dalle violazioni del diritto eurounitario; › il diritto al risarcimento dev'essere riconosciuto quando la norma comunitaria, non dotata del carat-tere di immediata applicabilità («self-executing»), sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la vio-lazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso cau-sale diretto tra tale violazione e il danno subìto dai singoli, fermo restando che è nell'ambito delle nor-me del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare il danno, ma a con-dizioni non meno favorevoli di quelle che riguarda-no analoghi reclami di natura interna e, comunque, non tali da rendere praticamente impossibile o ec-cessivamente difficile ottenere il risarcimento; › il risarcimento non può essere subordinato alla
sussistenza del dolo o della colpa;
› il risarcimento dev'essere adeguato al danno, spet-tando all'ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere me-no favorevoli di quelli applicabili ad analoghi re-clami di natura interna, o tali da rendere pratica-mente impossibile o eccessivapratica-mente difficile otte-nere il risarcimento; in ogni caso, non può essere escluso in via generale il risarcimento di compo-nenti del danno, quale il lucro cessante;
› il risarcimento non può essere limitato ai soli dan-ni subìti successivamente alla pronunzia di una sentenza della Corte di Giustizia che accerti l'ina-dempimento:
› il diritto risarcitorio è assoggettato alla prescrizio-ne ordinaria decennale.
La presidenza del consiglio dei ministri, ha argomen-tato il tribunale della capitale, è legittimata passiva-mente nell'azione risarcitoria perché è l'unico sogget-to istituzionale che rappresenta lo Stasogget-to rispetsogget-to all'attività legislativa di recepimento delle direttive europee, a prescindere dalle competenze di ciascun ministero. L'art. 3 D.Lgs. n. 30/1999 attribuisce infatti al presidente del consiglio la promozione e il coordi-namento dell'azione del governo diretta ad assicurare la piena partecipazione dell'Italia all'Unione europea e lo sviluppo del processo di integrazione europea. In particolare, poi, al secondo comma stabilisce che a lui compete la responsabilità per l'attuazione degli impe-gni assunti nell'ambito dell'Unione.
La violazione delle direttive europee
Per affermare la qualificazione dei magistrati onorari come lavoratori a tempo determinato il tribunale ha richiamato essenzialmente la su citata sentenza resa nel 2020 dal giudice di Lussemburgo nella causa C-658/18, attribuendole rettamente valore di preceden-te vincolanpreceden-te quanto alla portata applicativa della no-zione eurounitaria di «lavoratore», avendo la Corte di boulevard Adenauer anche la competenza di assicu-rare l'uniforme interpretazione del diritto comunita-rio per una sua corretta e uniforme applicazione (art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione)
Le statuizioni della Corte di Giustizia hanno, al pari delle norme comunitarie, operatività immediata nell'ordinamento interno (Corte Cost. 13 luglio 2007, n. 284), risultando prevalenti - afferma il tribunale - anche rispetto al diritto vivente originato dalla giuri-sprudenza della Cassazione quando emergano profili di incompatibilità tra questo e le norme dell'Unione così come interpretate dal giudice europeo.
Indennità di fine rapporto e sicurezza sociale
In relazione alla denunciata inattuazione della di-rettiva 1999/70 relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, il tribunale ha così concluso che sebbene, come risulta dal considerando 17 e dalla clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro, la direttiva lascia agli Stati membri il compito di definire i termi-ni «contratto di assunzione» o «rapporto di lavoro», utilizzati nella clausola, secondo la legislazione o la prassi nazionale, ciò non toglie che tale potere discre-zionale non è illimitato: questi termini possono esse-re definiti in conformità con il diritto o le prassi na-zionali a condizione di rispettare l'effetto utile della direttiva e i princìpi generali del diritto dell'Unione.
Il magistrato onorario svolge funzioni giurisdizio-nali, sebbene di contenuto eterogeneo, sostituendo il magistrato in udienza oppure esercitando l'azione penale o emettendo provvedimenti di contenuto de-cisorio; il carattere formalmente onorario delle fun-zioni esercitate e la non esclusività del rapporto non giustificano il mancato godimento dell'indennità di fine rapporto, trattandosi di indennità che spetta a tutti i lavoratori, anche a tempo determinato, e di re-gimi di sicurezza sociale analoghi a quelli di un pub-blico dipendente.
Attualmente l'art. 25 D.Lgs. n. 116/2017 prevede che, ai fini della tutela previdenziale e assistenziale, i giudici di pace e i vice procuratori onorari sono iscritti alla Gestione Separata dell'Inps (art. 2, comma
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26, L. n. 335/1995), ad eccezione degli iscritti agli albi forensi, per i quali si applicano le disposizioni conte-nute nel regolamento ordinistico (art. 21, commi 8 e 9, L. n. 247/2012).
Secondo i ricorrenti si sarebbe trattato solo di un'apparente attuazione della normativa dell'Unione, perché l'intero onere contributivo è posto a carico dei magistrati onorari. Il tribunale non ha condiviso la doglianza, rilevando che la misura dell'indennità an-nuale lorda è determinata in modo da tenere conto del relativo onere contributivo, essendo comprensiva degli oneri previdenziali ed assistenziali, oltre che dell'eventuale retribuzione di risultato (art. 23 D.Lgs. n. 116/2017).
Maternità
La medesima nozione di «lavoratore» è valida, ad av-viso del tribunale, anche ai fini dell'applicazione della direttiva 1992/85 in materia di tutela della maternità.
Il concetto di lavoratore nel contesto di tale diretti-va è stato infatti definito dalla Corte europea in base a criteri obiettivi, che caratterizzano il rapporto di la-voro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi della persona interessata: «la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un'altra e sotto la direzione di quest'ultima, presta-zioni in contropartita delle quali riceva una retribu-zione» (Corte Giust. 20 settembre 2007, C-116/06).
Con la riforma del 2017 (art. 25, comma 2) si è pre-visto che la gravidanza non comporta la dispensa dall'incarico, la cui esecuzione rimane sospesa, senza diritto all'indennità di maternità, durante i due mesi precedenti la data presunta del parto e nel corso dei tre mesi successivi al parto o, alternativamente, a partire dal mese precedente la data presunta del par-to e nei quattro mesi successivi.
In questo modo, si legge nell'ordinanza, risulta solo parzialmente attuata la direttiva, sempre sul presup-posto della natura non lavorativa delle prestazioni re-se. Difatti, pur rimanendo sospeso l'incarico, è esclu-sa la conservazione del diritto all'indennità, sostituita da un'indennità economica corrisposta dall'Inps, op-pure dalla Cassa Forense, assimilandosi quindi la la-voratrice madre ad una libera professionista, priva dell'attribuzione delle garanzie previste per le lavora-trici dipendenti.
Quando la direttiva si riferisce ad un'indennità adeguata, ha concluso il tribunale, si riferisce ad
un'indennità in grado di assicurare redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice otterrebbe ove non prestasse servizio per ragioni di salute; ma sif-fatto adeguamento non è possibile, perché anche l'as-senza dal lavoro per motivi di salute, per i magistrati onorari, è discriminata rispetto a quella di una lavo-ratrice del settore pubblico.
Ferie
Inizialmente non era prevista per i magistrati onorari alcuna disciplina dell'orario di lavoro e delle ferie, nonostante fosse intervenuta la direttiva 2003/88, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, la quale stabilisce che «gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di alme-no quatto settimane» (art. 7). Sarebbe stata quindi violata, secondo i ricorrenti, questa direttiva, per non avere potuto i magistrati onorari godere di un perio-do minimo retribuito di ferie.
Il tribunale ha invece ritenuto che non fosse stato dedotto in maniera specifica dagli interessati sotto quale profilo sarebbero stati lesi dalla mancata appli-cazione della disciplina sull'orario di lavoro e, pertan-to, ha negato la rilevanza di tale profilo ai fini del ri-sarcimento.
Attualmente l'art. 24 D.Lgs. n. 116/2017 prevede che i magistrati onorari non prestino attività durante il periodo feriale di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742, e che l'indennità annuale sia loro corrisposta anche durante tale periodo. Occorre però tenere conto che il successivo art. 31, che contiene la disciplina transito-ria per i magistrati onorari già in servizio alla data di entrata in vigore del decreto, stabilisce al comma 1 che la liquidazione delle indennità continua ad essere disciplinata, sino alla scadenza del quarto anno suc-cessivo alla medesima data, con i criteri previsti dalle disposizioni previgenti. Persiste, quindi, la violazione del citato art. 7 della direttiva 88 fino alla scadenza del quarto anno successivo alla data di entrata in vi-gore del decreto (15 agosto 2017).
Malattia e infortunio
La clausola 4 dell'accordo quadro sul tempo determi-nato vieta che i lavoratori a tempo determidetermi-nato siano trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tem-po indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determina-to, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
Rapporto di Lavoro / Pubblico impiego In caso di malattia o infortunio, la conservazione
del posto di lavoro durante il periodo di comporto e il mantenimento della retribuzione, integrale per un certo periodo di tempo e parziale per un periodo suc-cessivo, rappresentano nell'ordinamento sia interno che comunitario - si legge nell'ordinanza - una con-tropartita necessaria della subordinazione che lega il lavoratore al proprio datore di lavoro nel tempo che dedica al rapporto.
Il magistrato onorario non ha mai goduto di un ta-le tipo di tutela. Anche a seguito della riforma ta- legisla-tiva del 2017 è titolare del solo diritto alla conserva-zione del lavoro per un massimo di sei mesi, ma non del diritto alla retribuzione.
Trattamento retributivo
Il principio del «pro rata temporis» è sancito dall'art. 4, comma 2, dell'accordo quadro sul tempo determi-nato, tranne che sussistano ragioni oggettive che giu-stifichino un diverso trattamento.
Talune disparità di trattamento tra lavoratori a tempo indeterminato assunti per concorso e lavora-tori a tempo determinato assunti all'esito di una pro-cedura diversa da quella prevista per i lavoratori a tempo indeterminato possono, in linea di principio, essere giustificate dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui devono assumere la responsabilità (Corte Giust. Ue 20 settembre 2018, C-466/17). Nella specie rileva la particolare importan-za attribuita dall'art. 106 Cost. ai concorsi per il reclu-tamento dei magistrati ordinari, che indica una pecu-liare natura delle mansioni e un diverso livello delle qualifiche richieste ai fini del loro assolvimento.
Nella sentenza n. 267 del 2020 la Corte Costituzio-nale ha ribadito la tesi secondo cui la posizione giuri-dico-economica dei magistrati togati non si presta ad un'estensione automatica nei confronti dei magistrati onorari tramite evocazione del principio di ugua-glianza, in quanto gli uni esercitano le funzioni giuri-sdizionali in via esclusiva e gli altri solo in via con-corrente, operando così una distinzione tra, da un la-to, diversità qualitativa e quantitativa delle mansioni svolte da magistrati ordinari e onorari e, dall'altro, identità funzionale dei singoli atti.
Sulla scorta di tali condivisi precedenti, ben più diffusamente illustrati nell'ordinanza, il tribunale ro-mano ha ritenuto non ravvisabile la violazione del principio di non discriminazione con riferimento all'entità della retribuzione.
Verso la «riforma della riforma»
La disciplina della magistratura onoraria è stata rifor-mata con il D.Lgs. n. 116/2017, in modo tale da non incidere, tuttavia, sulle motivazioni poste a base dell'inquadramento come «lavoratore» del magistrato onorario.
L'intrinseca temporaneità dell'incarico, che costitu-isce un elemento coessenziale alla natura onoraria dell'ufficio, e la necessaria compatibilità dello stesso con lo svolgimento di altre attività remunerative non sono state ritenute sufficienti ad occultare la ricono-scibilità della qualifica di lavoratore, dal momento che - rileva il tribunale di Roma - in base ai princìpi formulati dalla Corte di Giustizia si deve tenere conto della situazione di fatto in cui un soggetto svolge la propria attività e non della cornice giuridica. E il ma-gistrato onorario, nella previsione di legge, è configu-rato come un soggetto lavoconfigu-ratore, seppure per un pe-riodo predeterminato, in quanto le modalità del pro-prio lavoro sono dirette dal presidente del tribunale o dal procuratore della Repubblica, nei limiti stabiliti dalla legge e dalle norme secondarie. È inoltre statui-to che è tenustatui-to all'osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari; in quanto compatibili, e in parti-colare è tenuto ad esercitare le funzioni ed i compiti attribuitigli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio, oltreché dover adem-piere ad obblighi formativi. Il compenso, seppure de-finito come indennità, è per la parte prevalente stabi-lito in misura fissa annuale e prescinde dal quantita-tivo di attività svolta. Le funzioni esercitate dal magi-strato onorario sono dunque assimilabili, pure dopo la riforma del 2017, a quelle di un «lavoratore», in ba-se alla definizione eurounitaria di soggetto che svolge attività remunerata, non marginale né accessoria, alle dipendenze di un datore di lavoro.
La pronuncia del giudice romano si aggiunge ad altre decisioni di merito che si muovono nello stesso solco, tracciato dalla più volte citata sentenza della Corte di Giustizia del 16 luglio scorso. Sono spesso menzionate due sentenze. Il tribunale di Napoli ha ri-conosciuto che il giudice di pace rientra nella nozione di lavoratore secondo il diritto eurounitario e conse-guentemente: a) ha dichiarato il diritto dei giudici di pace ricorrenti ad un trattamento economico e nor-mativo equivalente a quello assicurato ai lavoratori comparabili che svolgono funzioni analoghe alle di-pendenze del ministero della giustizia, condannato al pagamento delle differenze retributive; b) ha
dichia-Rapporto di Lavoro / Pubblico impiego
rato l'abusiva reiterazione del termine apposto ai sin-goli incarichi e condannato lo stesso ministero al ri-sarcimento del danno (Trib. Napoli, Sezione Lavoro, 26 novembre 2020, r.g. n. 23450/18, est. Picciotti, di-sp.). Il Tribunale di Vicenza ha adottato provvedi-menti sostanzialmente identici con riferimento al ca-so di specie, riguardante un vice procuratore onora-rio (Trib. Vicenza, Sezione Lavoro, 16 dicembre 2020,