di recesso
È illegittimo il recesso per giusta causa dal contratto di collaborazione coordinata e continuativa motivato da un'intervista critica del collaboratore avente ad oggetto l'operato della committente, in quanto estrinsecazione del diritto di critica costituzionalmente garantito
Tribunale di Milano 29 dicembre 2020, n. 2565
Francesco d'Amora
Avvocato
Partner Quorum Studio Legale e Tributario Associato
LA MASSIMA
Diritto di critica – Co.co.co. – Recesso per giusta causa – Lesione del vinco lo fiduciario – Danno all'immagine e reputazionale
È illegittimo il recesso per giusta causa dal contratto di collaborazione coor dinata e continuativa motivato da un'intervista del collaboratore che, seppur critica nei confronti dell'operato della società committente, costituisca un'estrinsecazione del diritto, costituzionalmente garantito, di libera manife stazione del pensiero di cui all'art. 21 della Costituzione, con riferimento ai tre requisiti della continenza formale delle espressioni utilizzate, del rilievo pubblico delle dichiarazioni e della rispondenza a verità dei fatti esposti. Inol tre, il recesso per giusta causa che si riveli infondato è idoneo a cagionare al collaboratore danni non patrimoniali, nella specie danni all'immagine, da va lutare sulla base della diffusione dello scritto, della rilevanza dell'offesa e del la posizione sociale della vittima.
¶ Tribunale di Milano 29 dicembre 2020, n. 2565 Giud. Lombardi Ric. Z.B.; Res. A.C. M. S.p.A.
Rapporto di Lavoro / Collaborazioni coordinate e continuative (Co.co.co) chiesto un’intervista all’amministratore delegato,
pri-ma, e al ricorrente, poi. Il primo aveva sostenuto l’as-soluta coesione e unità tra il management della società e lo staff tecnico, mentre il ricorrente con tono critico, aveva auspicato maggiori collaborazione e coinvolgi-mento dell’area tecnica da parte del management.
In seguito a tale intervista, la società consegnava al ricorrente una lettera di recesso per giusta causa dal contratto di collaborazione. Nello specifico, la società contestava al collaboratore la violazione del dovere contrattualmente previsto di coordinarsi con la società in riferimento ai rapporti con la stampa, oltre che tutta una serie di passaggi dell’intervista giudicati contrari alla verità oggettiva e pregiudizievoli per la società, per la proprietà e per l’amministratore delegato. In partico-lare, la società definiva non corrispondenti al vero i fatti sottesi alle critiche mosse dal ricorrente alle poco chiare e inclusive dinamiche relazionali tra
manage-ment, proprietà della società e staff tecnico, con
riferi-mento ai contatti con l’allenatore tedesco, alla mancata fissazione del budget di mercato e all’assenza di sinto-nia sulle strategie. Infine, la società contestava al ricor-rente la violazione dell’obbligo di riservatezza previsto dal contratto.
I motivi della decisione
Chiamato a dirimere la controversia, anzitutto il Giudi-ce si esprimeva sulla domanda di rivendicazione della natura subordinata del rapporto da parte del ricorren-te. In particolare, la difesa del collaboratore sosteneva la concreta ricorrenza degli indici tipici della subordi-nazione quali: stabile inserimento del ricorrente nel-l’organizzazione aziendale, assoggettamento a pre-gnante etero-organizzazione e supervisione da parte dell’amministratore delegato e a vincoli di presenza, essere assegnatario di una postazione presso i locali aziendali e dei supporti segretariali di proprietà della società.
Sul punto, il Tribunale ha escluso la natura subordi-nata del rapporto, rilevando che gli elementi addotti dal ricorrente, da un lato, non erano idonei a sostenere un concreto discostamento dallo schema legale utiliz-zato dalle parti e, dall’altro lato, erano pienamente compatibili con gli elementi letterali del contratto i quali convergevano sulla genuinità del rapporto di co.co.co.
Successivamente, la decisione si concentrava sul no-do centrale della controversia: la giusta causa del re-cesso intimato al ricorrente.
Anzitutto, la sentenza in commento ribadisce l’appli-cabilità dell’art. 2119 c.c. ai co.co.co. Sul tema, il Tribu-nale precisa che la giusta causa di recesso dal rapporto di collaborazione si concreta in un inadempimento agli obblighi contrattuali, da valutarsi ai sensi dell’art. 1455 c.c., che non consenta la prosecuzione neanche tempo-ranea del rapporto in ragione dell’irrimediabile lesione del vincolo fiduciario.
Secondo il Tribunale, un tale inadempimento non è rinvenibile nel comportamento del ricorrente per due ordini di motivi.
Innanzitutto, i toni esasperati e volti a contrapporre la figura dell’amministratore delegato e quella del ri-corrente nell’ambito di due interviste rilasciate allo stesso quotidiano, non sono ideologicamente ricondu-cibili al collaboratore, bensì esclusivamente a una deci-sione del quotidiano medesimo. Rispetto a tale decisio-ne il Giudice ha escluso anche la responsabilità del ri-corrente sotto il profilo della prevedibilità della circo-stanza, secondo i parametri di esperienza e diligenza connaturati alla professione del ricorrente.
Sotto altro profilo, il Tribunale rileva che le dichiara-zioni del ricorrente hanno costituito espressione di pieno e legittimo diritto di critica, quale estrinsecazio-ne del diritto, costituzionalmente garantito, di libera manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 della Co-stituzione, con riferimento al triplice profilo della con-tinenza formale delle espressioni utilizzate, del rilievo pubblico delle dichiarazioni, reso manifesto dall’indi-scutibile mediaticità dell’ambito professionale del ri-corrente, e della rispondenza a verità dei fatti esposti. Infatti, tutte le parole dell’intervista del ricorrente sono state giudicate coerenti con le dichiarazioni rese in qualità di testi dal direttore dell’area tecnica della so-cietà e dal direttore sportivo.
Sull’istruttoria svolta – Il Giudice ha rilevato come dalle dichiarazioni dei due testi sia emersa una condi-zione di ingravescente deficit comunicativo tra lo staff tecnico e le funzioni apicali della società, di incertezza vissuta e, in riferimento a talune vicende, di percezione di esautoramento di compiti e funzioni e delegittima-zione che hanno indotto il ricorrente a una pubblica presa di posizione sulla vicenda (“…ma dopo la
delegit-timazione di novembre i rapporti non erano idilliaci…”).
In particolare, dai documenti e dall’istruttoria è emerso che l’allenatore tedesco, al momento in cui era stato contattato dalla società, rivestiva una posizione dirigenziale all’interno di un noto gruppo sportivo e ri-sultava professionalmente idoneo ad assumere una
Rapporto di Lavoro / Collaborazioni coordinate e continuative (Co.co.co) posizione manageriale più ampia rispetto alla mera
conduzione sportiva della squadra, con mansioni po-tenzialmente sovrapponibili a quelle dello staff tecnico della società. Infatti, i testi dichiaravano che il tedesco “non rappresentava un candidato plausibile perché non
allenava da un po’ di anni e si era messo a fare il dirigen-te”.
Per quanto riguarda il fatto che i contatti tra la so-cietà e l’allenatore tedesco fossero di pubblico dominio, anche tale elemento è risultato chiaramente dall’istrut-toria (“…viene fuori in maniera ricorrente sui giornali
co-me allenatore in pectore o dirigente in pectore…si parlava sui giornali e in televisione tutti i giorni di lui
[l’allenato-re tedesco n.d.r.] …”; “…si parlava molto mediaticamente
di questo personaggio, tanto che io ho organizzato un’in-tervista…nella quale ho detto che non era un profilo adat-to a fare l’allenaadat-tore…”).
È stato confermato che i componenti dello staff tec-nico non avevano partecipato alle riunioni tra la socie-tà e l’allenatore tedesco, né erano stati informati a ri-guardo e ciò nonostante le numerose richieste in tal senso (“…nel lungo periodo da ottobre in poi ci sono stati
più incontri nei quali chiedevamo conto di queste voci in-sistenti [all’amministratore delegato n.d.r.]…il quale ne-gava di aver preso qualunque accordo…”; “…Successiva-mente, e parlo di luglio/agosto 2020, mi è stato detto che i contatti erano andati avanti…Sia ad ottobre che nei mesi successivi c’è stata una richiesta di chiarimenti su quello che stava succedendo poiché attraverso tanti agenti ci ve-niva detto che i contatti stavano andando avanti…A que-sta richieque-sta di chiarimento la società non ha risposto…”).
Il Giudice rilevava poi che nel corso del rapporto di collaborazione la società aveva deciso di creare un co-mitato tecnico con contestuale inserimento di una nuova figura (c.d. General Contractor) alla quale erano affidate funzioni di primaria conduzione delle trattati-ve di mercato (ruolo in precedenza svolto dal direttore dell’area tecnica della società in collaborazione col ri-corrente e con il direttore sportivo) e che riportava di-rettamente all’amministratore delegato. A tal proposi-to, l’istruttoria ha confermato la percezione del ricor-rente che le decisioni assunte dal management potesse-ro preludere a un ppotesse-rogressivo esautoramento delle funzioni contrattualmente assegnate allo staff tecnico (“…Era previsto che il contractor partecipasse
direttamen-te alle trattative e questo ci ha sinceramendirettamen-te delegittimato anche nei confronti degli agenti che avevano fatto le trat-tative e delle squadre…”).
Con riferimento alla mancata fissazione del budget,
le dichiarazioni testimoniali hanno confermato che nel momento in cui il ricorrente ha rilasciato l’intervista non erano noti allo staff tecnico i margini finanziari a disposizione. Anzi, le risultanze istruttorie hanno fatto emergere che il budget, inizialmente definito e concor-dato tra lo staff tecnico e la società, era poi stato unila-teralmente azzerato da parte di quest’ultima. Inoltre, le dichiarazioni dei testi hanno convinto il Giudice anche circa l’assenza di sintonia tra staff tecnico e
manage-ment della società in merito alle strategie da adottare e
seguire ( “…Durante l’incontro, quindi, non venne
defini-to un budget per il mercadefini-to di gennaio…”; “…Comunque, dopo la riunione…parlo della riunione di fine novembre, quella del comitato tecnico per intenderci, ci è stato detto che il budget era zero, lui [l’amministratore delegato
n.d.r.] insisteva particolarmente sul fatto che non
sapeva-mo chi sarebbe stato l’allenatore…”).
Gli orientamenti giurisprudenziali
Nel valutare la vicenda, di particolare interesse è il ri-chiamo ad un orientamento dei Giudici di secondo grado della Sezione Lavoro di Milano (17 settembre 2003), la quale argomentava che “in tema di rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa, in mancanza di esplicita pattuizione in ordine alla possibilità di recedere senza preavviso, trova applicazione l’istituto del recesso per giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., essendo anche in questo caso le parti legate da un intuitus fiduciae, il cui venir meno giustifica la immediata risoluzione del rap-porto. Tuttavia, tenuto conto della peculiare e diversa po-sizione del collaboratore continuativo rispetto al lavora-tore subordinato, l’estensione del criterio della giusta cau-sa quale valida giustificazione del recesso in tronco ad opera del committente, deve trovare fondamento nella di-sciplina generale in tema di risoluzione del contratto per inadempimento”.
Ebbene, seppur tale argomentazione convinca sotto un profilo strettamente logico-giuridico, essendo inne-gabile la validità della premessa che vede collaboratore e committente legati da un vincolo fiduciario soggetto a rottura in caso di grave inadempimento di una delle parti, è doveroso segnalare che non vi sono precedenti giurisprudenziali formulati dalla Suprema Corte (fatta eccezione per una pronuncia in tema di recesso per giusta causa nei co.co.pro. Cass. n. 21700 del 6.9.2018) né in senso contrario, né in senso concorde.
Ciò premesso, correttamente il Tribunale di Milano sottolinea che non può essere considerato inadempi-mento contrattuale idoneo a fondare la giusta causa di
Rapporto di Lavoro / Collaborazioni coordinate e continuative (Co.co.co) recesso da un rapporto di lavoro (autonomo o
subordi-nato che sia) l’esercizio legittimo del diritto di critica. Con riferimento a tale ultimo punto, la giurisprudenza è costante nel definire legittimo l’esercizio del diritto di critica in presenza dei tre requisiti della rispondenza a verità dei fatti esposti, della continenza formale e del rilievo pubblico delle dichiarazioni rese (ovvero della pertinenza delle stesse al rapporto di lavoro) (così Cass. n. 9710 del 26.5.2020; nello stesso senso Cass. n. 113 del 7.1.2020, Cass. n. 31395 del 2.12.2019, Cass. n. 1379 del 18.1.2019, Cass. n. 19092 del 18.7.2018, Cass. n. 18176 del 10.7.2018, Cass. n. 14527 del 6.6.2018, Cass. n. 17735 del 18.7.2017, Cass. 5523 del 21.3.2016).
Con riferimento alla quantificazione dei danni deri-vanti dall’illegittimo recesso dal contratto a tempo de-terminato, il Tribunale richiama la giurisprudenza del-la Suprema Corte del-laddove stabilisce che “il risarcimento
del danno dovuto va commisurato all’entità dei compensi retributivi che sarebbero maturati dalla data del recesso fino alla scadenza del contratto” (Cass. 24335 del
29.10.2013, in senso conforme Cass. n. 11692 del-l’1.6.2005).
Per quanto concerne la risarcibilità del danno all’im-magine, il Tribunale ha correttamente applicato il prin-cipio della possibilità di rilevare il nesso eziologico tra atti gestori del rapporto di lavoro (quale, ad esempio, il recesso) e i danni non patrimoniali patiti dal lavorato-re/collaboratore, trattandosi di danni derivanti da comportamenti collegati al rapporto da un nesso di mera occasionalità ed integranti una violazione del ge-nerale principio del neminem leadere (Cass. n. 28722 del 30.11.2017). Invero, secondo l’orientamento degli Er-mellini il nesso eziologico non viene travolto neppure in caso di successivo giudizio di legittimità del recesso per giusta causa che abbia cagionato danni all’immagi-ne del licenziato. Pertanto, a fortiori, tale all’immagi-nesso può sussistere nel caso in cui l’accertamento del Giudice definisca illegittimo l’atto gestorio del datore di lavoro.
Infine, la sentenza in commento richiama i principi giurisprudenziali in materia di liquidazione del danno all’immagine ed alla reputazione. In particolare, il Giu-dice ha applicato l’ormai consolidato orientamento se-condo il quale la liquidazione deve avvenire sulla base “del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla
vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé, ed assumendo quali parametri di riferimento la dif-fusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione
sociale della vittima” (Cass. n. 4005 del 18.2.2020, in
senso conforme Cass. n. 25420 del 26.10.2017, Cass. n. 13153 del 25.5.2017).
Osservazioni conclusive
Il comportamento del ricorrente è stato giudicato legit-timo esercizio del diritto di critica, in quanto le sue di-chiarazioni erano rispondenti alla verità dei fatti, espresse nel rispetto del principio di continenza e cer-tamente fornite di pubblico rilievo, vista l’indiscutibile mediaticità del settore calcistico ove operava il ricor-rente.
Al contrario, le censure mosse dalla società con la lettera di recesso non hanno convinto il Giudice neppu-re con riferimento agli asseriti inadempimenti contrat-tuali. Infatti, in primo luogo, il ricorrente non era vinco-lato contrattualmente a concordare con la società ogni dichiarazione pubblica concernente il club di calcio, es-sendo le disposizioni contrattuali richiamate dalla so-cietà relative all’attribuzione di funzioni al collaboratore (nella specie la funzione di mantenere i rapporti con i media). A tal proposito, il Giudice non manca di sottoli-neare come un tale obbligo avrebbe inevitabilmente frustrato il diritto alla libera manifestazione di pensiero del ricorrente. Sotto altro profilo, contrariamente a quanto asserito dalla società, le dichiarazioni del ricor-rente non hanno violato gli obblighi di riservatezza de-dotti nel contratto in quanto è risultato chiaramente dall’istruttoria e dai documenti in atti che tutti i fatti oggetto dell’intervista erano già di pubblico dominio.
Pertanto, il recesso è stato giudicato illegittimo e, in virtù del termine del termine apposto al contratto, la società è stata condannata a corrispondere al ricorren-te un risarcimento pari a tutti i compensi che il ricor-rente avrebbe percepito dalla data di recesso fino alla naturale scadenza del contratto.
Infine, la capillare diffusione del testo della lettera di recesso (di cui è stata provata l’ampia eco internazio-nale, attraverso la produzione di articoli di diversi quo-tidiani stranieri), la gravità degli addebiti ivi contenuti, l’infondatezza degli stessi accertata in giudizio e la po-sizione sociale e professionale del ricorrente, hanno fatto ritenere al Giudice la sussistenza di un danno re-putazionale nei confronti del collaboratore, perdurato quanto meno dal momento della comunicazione del recesso fino a quello della pubblicazione della sentenza e conseguentemente liquidato dalla sentenza in com-mento in una somma pari ai compensi che il ricorrente avrebbe percepito in tale ultimo periodo. •
Rapporto di Lavoro PUBBLICO IMPIEGO
A
poca distanza dall'inter-vento della Consulta, con il quale è stato sancito il diritto dei giudici di pace al rim-borso delle spese di difesa nei giu-dizi di responsabilità (Corte Cost. 9 dicembre 2020, n. 267), e dalla decisione del giudice europeo, con la quale l'attività lavorativa dei giudici di pace è stata ritenuta comparabile con quella dei magi-strati togati (Corte Giust. 16 luglio 2020, C-658/18), il tribunale di Roma ha inserito un altro tassello nella ricomposizione per via giuri-sprudenziale dello status dei ma-gistrati onorari.Osservavamo allora (in Guida al
Lavoro n. 50/2020) che il giudice
delle leggi, nel rilevare nella magi-stratura onoraria «l’identità della funzione del giudicare» e la «pri-maria importanza nel quadro co-stituzionale», apriva la strada ad ulteriori passi sulla via del ricono-scimento della dignità giuridica di
una figura istituzionale su cui la giustizia italiana, impoverita di strutture umane e materiali ed onerata di un numero spropositato di avvocati, deve necessa-riamente fare affidamento. E questo riconoscimento sta avvenendo ad opera della magistratura togata, be-ne avvertita di quella sostanziale identità sotto molti aspetti.
Il fatto
Numerosi magistrati onorari, che avevano prestato servizio ricoprendo le qualifiche di giudici onorari di tribunale («Got») o vice procuratori onorari («Vpo»)
oppure giudici di pace («Gdp»), introducevano un giudizio sommario di cognizione dolendosi, da un la-to, di avere percepila-to, per l'esercizio delle medesime attività svolte dai magistrati ordinari, indennità in misura tale da evidenziare una discriminazione con questi ultimi, per la mancata applicazione del princi-pio, sancito dalla normativa europea, del «pro rata temporis», ossia della retribuzione commisurata al tempo di lavoro e proporzionata alla retribuzione a tempo pieno; l'attuazione del principio avrebbe pre-teso il frazionamento in 365mi della retribuzione me-dia lorda del magistrato ordinario e la