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la crisi è temporanea

Nel documento Guidaal Lavoro (pagine 34-43)

In materia di società cooperative, la delibera per la riduzione dei trattamenti economici è legittimata unicamente dalla temporaneità dello stato di crisi dichiarato ai sensi della legge n. 142/2001

Cass. 12 novembre 2020, n. 25631

Mauro Marrucci

Consulente del lavoro in Livorno Marrucci & Partners

1. Il campo di applicazione della legge n. 142/2001 si estende sia alle cooperative di produzione e lavoro che a quelle miste ed in ogni caso a tutte

quelle che, in ragione dello scopo sociale, di carattere mutualistico, intendano assicurare ai propri soci continuità di occupazione e le migliori o più qualificate condizioni economiche, ivi comprese le cooperative sociali.

2. Per una ricostruzione delle teorie che si erano sviluppate in materia cfr. F. Alvaro, nel commento alla legge n. 142/2001, in Commentario

Grandi-Pera, Cedam.

Rapporto di Lavoro / Cooperative cietà cooperativa, in questo quadro, veniva

conside-rata datore di lavoro indipendentemente dal fatto che la prestazione fosse o meno subordinata in virtù di una fictio iuris4, derivante anche da un’impostazione

di natura previdenziale. Nelle disposizioni in cui tro-va fondamento il sistema previdenziale nazionale5 si legge infatti, tra l’altro, che «le società cooperative sono

datori di lavoro anche nei riguardi dei loro soci che im-piegano in lavori da esse assunti»

In questo quadro, il lavoro svolto dal socio nella cooperativa avrebbe quindi assunto mera valenza strumentale al raggiungimento dei suoi fini istituzio-nali, configurandosi quale adempimento del contrat-to sociale sotcontrat-toscritcontrat-to al momencontrat-to dell’ammissione, nell’ambito dell’impresa mutualistica. Tra il socio e la società si sarebbe così instaurato un rapporto dicoto-mico dove il perseguimento dell’interesse sociale va-leva anche in prospettiva satisfattiva dell’interesse in-dividuale dell’associato e viceversa.

Per questa ragione, secondo alcuni autori, l’attività del cooperatore avrebbe costituito una vera e propria prestazione accessoria sul presupposto che gli artt. 2516 e 2345 c.c.6 consentivano all’atto costitutivo di stabilire l’obbligatorietà di prestazioni accessorie da eseguire in termini aggiuntivi ai conferimenti veri e propri.

Sotto un diverso profilo, per la concezione dualista invece il socio lavoratore avrebbe assunto contestual-mente le qualità di imprenditore e prestatore di lavo-ro dell’impresa gestita dalla società7 e, per questo, di soggetto terzo rispetto alla cooperativa8 con cui avrebbe potuto contrarre un autonomo rapporto di lavoro subordinato.

Tale opzione era peraltro avallata dalla giurispru-denza sul presupposto che, in linea di principio, non sussisteva alcuna contraddizione o incompatibilità fra la qualità di socio di cooperativa di produzione e lavoro e di prestatore di lavoro subordinato -

ancor-ché quest’ultima fosse coincidente con le finalità so-ciali della cooperativa medesima - nella circostanza in cui la subordinazione fosse comprovata da indici qualificatori quali, ad esempio, il corrispettivo per l’attività lavorativa, l’esclusione del rischio d’impresa, l’assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare dell’organo apicale e l’assenza di un potere di con-trollo diretto da parte del lavoratore sulla gestione economica dell’impresa9.

L’intervento normativo sul rapporto di lavoro tra socio e cooperativa

La legge n. 142/2001 oltre a colmare il vuoto di tute-la[10] venutosi a creare nell’ordinamento attraverso la definizione della figura del socio lavoratore della società cooperativa, ha complessivamente razionaliz-zato la materia.

Proprio con riferimento all’aspetto lavoristico l’art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001, ha stabilito che il socio lavoratore instaura, contestualmente o succes-sivamente alla propria adesione al rapporto associati-vo, «un ulteriore rapporto di lavoro, in forma

subordi-nata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compre-si i rapporti di collaborazione coordinata non occacompre-sio- occasio-nale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali», precisando che dalla tipologia dei

rapporti «associativi e di lavoro instaurati derivano i

relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti dalla (pre-sente) legge, nonché, in quanto compatibili con la posi-zione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte».

La forma contrattuale con cui configurare il rap-porto di lavoro tra socio e cooperativa deve quindi essere individuata sulla base delle concrete modalità di svolgimento della prestazione, potendo astratta-mente assumere quella del lavoro subordinato o del lavoro autonomo così come di qualunque altra forma

4. Cfr. Cass. n. 2175/2000; Cass. n. 5450/2000.

5. R.D.L. 7 dicembre 1924 n. 2270 (regolamento per l'esecuzione del R.D.L. 30 dicembre 1923 n. 3158) e R.D.L. 28 agosto 1924 n. 1422 (regolamento per

l'esecuzione del R.D.L. 30 dicembre 1923 n. 3184).

6. Nella versione antecedente alla riforma societaria del 2004.

7. Cfr. L. Nogler, M. Tremolada, C. Zoli,, Nuove leggi civ. comm., n. 2-3/2002, 348.

8. F. Galgano, Ras. Dir. Civ. 85, 1051.

Rapporto di Lavoro / Cooperative

presente nell’ordinamento, compresa – anche se

ex-trema ratio - la collaborazione coordinata e

continua-tiva. Sarebbero invece da escludersi rapporti contrat-tuali estremamente “volatili” come quelli di matrice occasionale11.

In merito alla prestazione incardinata nell’ambito contrattuale subordinato, l’art. 3, comma 1, della leg-ge n. 142/2001, impone, quanto meno sotto il profilo economico, un trattamento complessivo proporzionato

alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analo-ghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine.

La funzione del regolamento interno

Le vicende peculiari del rapporto di lavoro tra socio e cooperativa trovano il proprio contemperamento nel regolamento previsto dall’art. 6 della legge n. 142/2001 che rappresenta il crocevia tra le diverse norme che lo disciplinano. Esso discende infatti da una relazione intricata12 tra fonti esterne – leggi e contratti collettivi – ed interne – statuto e regola-menti di vario genere – che pur occupandosi, di volta in volta, di aspetti lavoristici e di aspetti societari, ne-cessitano di trovare un punto di equilibrio.

Proprio per la sua funzione, secondo il dettato nor-mativo, il regolamento deve contenere:

a) il richiamo ai contratti collettivi applicabili (che non può derogare in pejus13), per ciò che attiene ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato;

b) le modalità di svolgimento delle prestazioni la-vorative da parte dei soci, in relazione all’organizza-zione aziendale della cooperativa e ai profili profes-sionali dei soci stessi, anche nei casi di tipologie di-verse da quella del lavoro subordinato;

c) il richiamo espresso alle normative di legge vi-genti per i rapporti di lavoro diversi da quello subor-dinato;

d) l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deli-berare, all’occorrenza, un piano di crisi aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i li-velli occupazionali e siano altresì previsti: i) la possi-bilità di riduzione temporanea dei trattamenti econo-mici integrativi di cui all’art. 3, comma 2, lett. b), della legge n. 142/2001; ii) il divieto, per l’intera durata del piano, di distribuzione di eventuali utili;

e) l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deli-berare, nell’ambito del piano di crisi aziendale di cui alla precedente lettera d), forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacità finanziarie;

f) la facoltà per l’assemblea della cooperativa di de-liberare un piano d’avviamento alle condizioni e se-condo le modalità stabilite in accordi collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, al fine di promuovere nuova im-prenditorialità nelle cooperative di nuova costituzio-ne.

In via prioritaria, il regolamento assume la funzio-ne di individuare, all’interno della singola società, le tipologie contrattuali applicabili alla prestazione di lavoro in considerazione della fattispecie aziendale. Tra le suddette tipologie contrattuali, considerata la fattuale modalità di esercizio della prestazione, sarà selezionata quella giuridicamente rilevante. Secondo l’interpretazione del Ministero del Lavoro, resa con la circolare n. 10/2004, la mancata adozione del regola-mento interno delegittimerebbe la società cooperati-va ad inquadrare i propri soci con un rapporto diver-so da quello di lavoro subordinato. Tale opzione in-terpretativa è corroborata dall’orientamento dottrina-le che individua nell’approvazione del regolamento ex art. 6, legge n. 142/2001, la precondizione per l’affer-mazione dell’intera disciplina14 in guisa tale da de-10. Cfr. F. Alleva, Le Società, n. 6/2001, 641.

11. Per una ricostruzione delle motivazioni si rinvia a Costantini, Crisi della cooperativa e trattamento dei soci lavoratori, RIDL, 2/2010, 302 ss.

12. Cfr. S. Costantini, op. cit., 300.

13. T. Milano, 22-09-2017: «Sono illegittimi l'esclusione e il licenziamento intimati al socio lavoratore di cooperativa per il superamento di un

periodo di comporto stabilito dal regolamento interno, in deroga peggiorativa rispetto alla misura posta dal c.c.n.l.: l'individuazione del periodo di comporto è infatti rimessa all'autonomia collettiva dall'art. 2110 c.c., che si deve considerare norma imperativa e non derogabile». In dottrina, Palladini S., Le diverse vie alla derogabilità: il rapporto tra contratto collettivo e regolamento interno di cooperativa, in Lavoro giur., 2016, 41.

Rapporto di Lavoro / Cooperative notare efficacia costitutiva alla specialità del rapporto

di lavoro de quo15.

In merito al rapporto di lavoro instaurato tra socio e cooperava, dal regolamento emerge con vigore la necessità del rispetto della contrattazione collettiva. Pleonastico affermare che il contratto collettivo deb-ba essere rispettato integralmente, sia sotto il profilo economico che normativo, ivi compresa la c.d. parte obbligatoria, nel caso in cui la società sia iscritta al-l’associazione stipulante.

Per lungo tempo si era ipotizzata la possibilità di derogare alla contrattazione collettiva in seno alle so-cietà cooperative in ragione del rapporto contrattuale di matrice societaria tra socio e cooperativa. Sulla ba-se di questa opzione interpretativa era invalsa l’usan-za, per mano di imprenditori poco affidabili, di favo-rire la costituzione di società cooperative cui appalta-re determinati servizi a costi ridotti per effetto del-l’applicazione derogatoria al ribasso della contrattazione leader mediante il ricorso ai c.d.

con-tratti collettivi pirata, vale a dire accordi «negoziati e

poi firmati da sindacati minori, privi di una reale rap-presentatività, e da compiacenti associazioni impren-ditoriali con la finalità, aperta e dichiarata, di costitu-ire un’alternativa rispetto al contratto collettivo na-zionale di lavoro, in modo tale da consentire al dato-re di lavoro di assumedato-re formalmente la posizione giuridica - e, quindi, i conseguenti vantaggi - di chi applica un contratto collettivo»16. Proprio per con-trastare il conseguente dumping contrattuale l’art. 7, comma 4, della legge n. 31/2008, ha disposto che, «in

presenza di più contratti collettivi della medesima cate-goria, le società cooperative che svolgono attività ricom-prese nell’ambito di applicazione di quei contratti di

ca-tegoria applicano ai soci lavoratori, ai sensi dell’art. 3, comma 1, legge n. 142/2001, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali compa-rativamente più rappresentative a livello nazionale della categoria».

La disposizione, per l’apparente conflitto con il principio di libertà sindacale, è stata sottoposta a va-glio di costituzionalità con riferimento all’art. 39 Cost. con ordinanza di rimessione del Tribunale ordinario di Lucca il 24 gennaio 2014. Corte Costituzionale n. 51/2015, ha concluso per l’infondatezza della questio-ne di legittimità, argomentando che la norma impu-gnata «lungi dall’assegnare ai [...] contratti collettivi

stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativa-mente più rappresentative, efficacia erga omnes, in con-trasto con quanto statuito dall’art. 39 della Costituzio-ne, mediante recepimento normativo degli stessi, richia-ma i predetti contratti, e più precisamente i trattamenti complessivi minimi ivi previsti, quale parametro esterno di commisurazione, da parte del giudice, nel definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento econo-mico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi del-l’art. 36 della Costituzione».

Si consolida quindi il principio per cui il trattamen-to economico contrattuale assume la portata di limite minimo inderogabile tanto che, ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 142/2001, il regolamento non può contenere disposizioni derogatorie in pejus ri-spetto al trattamento economico minimo di cui all’ar-ticolo 3, comma 1, a pena della nullità di ogni clauso-la che violi tale principio17.

Restano tuttavia fatte salve le possibilità derogato-rie offerte dall’art. 6, comma 1, lett. d), e) ed f) della

15. . Tremolada, in L. Nogler, M. Tremolada, C. Zoli, cit., 373. Altri autori, al contrario, ridimensionano molto gli effetti dell'approvazione del

regolamento basandosi sul presupposto che l'applicazione delle norme legislative non può essere condizionata da un atto lasciato all'autonomia privata (così F. Alvaro op.cit.).

16. Cfr. A. Maresca, Accordi collettivi separati: tra libertà contrattuale e democrazia sindacale, in RIDL, 2010, I, 29 ss.

17. Per Cass. n. 4951/2019: «Ai sensi dell'art. 3, l. n. 142/2001 e dell'art. 7, d.l. n. 248/2007 conv. in l. n. 31/2008, il parametro per la definizione del

trattamento economico complessivo da riconoscere ai soci lavoratori di cooperativa è costituito dai minimi previsti dal contratto collettivo sottoscritto, sia per la parte sindacale che per la parte datoriale, dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria» Nel caso di specie, il c.c.n.l. applicato alla cooperativa, pure sottoscritto dalle sigle sindacali confederali dei lavoratori Cgil, Cisl e Uil, risulta stipulato, per parte datoriale, da un'unica organizzazione sindacale, il che - ad avviso della corte - rende evidente il ristretto ambito applicativo dello stesso e, nel contempo, non soddisfa il requisito previsto a livello legislativo. Secondo Cass. n. 5189/2019, poi: «In tema di società cooperative, nel regime dettato dalla l. n. 142 del 2001, al socio lavoratore subordinato spetta la corresponsione di un trattamento economico complessivo (ossia concernente la retribuzione base e le altre voci retributive) comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, la cui applicabilità, quanto ai minimi contrattuali, non è condizionata dall'entrata in vigore del regolamento previsto dall'art. 6 l. n. 142 del 2001, che è destinato a disciplinare, essenzialmente, le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci e ad indicare le norme, anche collettive, applicabili, non può contenere disposizioni derogatorie di minor favore rispetto alle previsioni collettive di categoria».

Rapporto di Lavoro / Cooperative

legge n. 142/2001 nel rispetto di una serie di strin-genti garanzie.

Il regolamento interno con particolare riferimento alla crisi endo­societaria

La possibilità di deviare dalle previsioni economiche e normative assume un particolare interesse in deter-minati momenti della vita societaria e al cospetto di particolari situazioni.

Viene così in evidenza, da una parte, la possibilità di agevolare la promozione dell’imprenditorialità nel-le cooperative di nuova costituzione (nel-lett. f) e, dall’al-tra, si determinano le condizioni per affrontare situa-zioni di criticità societarie attraverso l’attribuzione al-l’assemblea della facoltà di deliberare uno specifico piano di crisi per salvaguardare l’occupazione attra-verso la riduzione temporanea dei ristorni e il divieto, per l’intera durata del piano, di distribuzione di even-tuali utili (lett. d) e l’individuazione di forme di ap-porto anche economico, da parte dei soci lavoratori, in proporzione alle disponibilità e capacità finanziarie a fronte della crisi (lett. e).

Se non si rendono necessarie considerazioni parti-colari in merito al significato del piano di avviamento della cooperativa, alcune criticità interpretative po-trebbero sorgere per quanto concerne l’individuazio-ne della situaziol’individuazio-ne di crisi della società l’individuazio-nel silenzio della legge. Si è infatti evidenziato come, per la deter-minazione dello stato di crisi, il legislatore non abbia predisposto formule particolari lasciando grande di-screzionalità all’interprete18. Se in ambito societario il termine crisi evoca risvolti di carattere “concorsua-le”, nelle vicende lavoristiche richiama le situazioni di criticità aziendale che permettono il ricorso alle varie soluzioni di sostegno al reddito offerte dagli ammor-tizzatori sociali di cui al D.Lgs. n. 148/2015, a seconda dell’inquadramento contributivo della società. Tra tali soluzioni, ricorrendone la possibilità, in presenza di squilibri di natura produttiva, finanziaria, gestionale o derivanti da condizionamenti esterni, sarebbe pos-sibile ricorrere alla CIGS per crisi aziendale, ex art. 21, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 148/2015, allorquando la soluzione utile sia da individuare nella riduzione o nella sospensione dell’attività lavorativa con il

perso-nale. In tale logica sarebbe astrattamente ipotizzabile anche il ricorso alla CIGS con la causale del contratto di solidarietà, ex art. 21, comma 1, lett. c) del medesi-mo Decreto ove si palesasse un’eccedenza di perso-nale.

In assenza della facoltà di utilizzare gli strumenti di sostegno al reddito19 – ad esempio per il supera-mento del limite massimo specifico o complessivo di durata – sarebbe per altro verso possibile procedere a sospensioni del personale in ragione di criteri ogget-tivi e sulla base di specifiche previsioni al riguardo, comunque inserite nell’ambito del regolamento inter-no. Tale opzione è stata avallata con la risposta ad In-terpello 24 gennaio 2013, n. 1 (prot. n. 37/1763), con la quale il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha precisato che, in caso di riduzione dell’attività la-vorativa per cause di forza maggiore o di circostanze oggettive, ovvero nelle ipotesi di crisi determinate da difficoltà temporanee della cooperativa, il regolamen-to interno potrebbe prevedere l’istituregolamen-to della sione del rapporto di lavoro e, dunque, della sospen-sione delle reciproche obbligazioni contrattuali, scon-giurando in tal modo il rischio di eventuali licenzia-menti.

Secondo il dicastero tale possibilità sarebbe preor-dinata dall’art. 1, comma 2, lett. d), della legge n. 142/2001 laddove si stabilisce che i soci lavoratori «mettono a disposizione le proprie capacità

professiona-li anche in relazione al tipo e allo stato dell’attività svol-ta, nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro di-sponibili per la cooperativa stessa».

La sospensione deve comunque rigorosamente sot-tostare a principi di trasparenza e parità di tratta-mento, tanto che le cause che la legittimano senza la richiesta di ammortizzatori sociali, devono essere analiticamente individuate dal regolamento interno quale presupposto per le deliberazioni di volta in vol-ta assunte dall’organo di amministrazione della so-cietà.

La previsione regolamentaria dovrà anche declina-re inequivoche condizioni che consentano, nel perio-do di sospensione concordata delle reciproche pre-stazioni, un equilibrato utilizzo di tutta la forza lavo-ro della cooperativa, mediante specifica

individuazio-18. Cfr. D. Simonato, in Commentario L. Nogler, M. Tremolada, C. Zoli, 471.

Rapporto di Lavoro / Cooperative ne di criteri oggettivi di turnazione e rotazione del

personale.

L’assenza di una previsione attraverso cui procede-re alla sospensione – ma anche alla riduzione - del-l’orario da parte del regolamento interno impedireb-be alla società d’intervenire unilateralmente sull’ora-rio di lavoro dei propri soci lavoratori ove con essi fosse instaurato un rapporto di lavoro subordinato. Tale circostanza è stata avvalorata anche dal parere 14 febbraio 2012 (prot. n. 37/2598) con il quale il Di-castero del Lavoro ha infatti ricordato il principio ge-nerale secondo cui allorquando la prestazione offerta dal dipendente non venga accettata per ragioni im-putabili al datore di lavoro, questi è comunque obbli-gato al pagamento della retribuzione dovuta per l’orario di lavoro pattuito (mora del creditore, artt. da 1206 a 1217 c.c.) in quanto non gli è consentita la ri-duzione unilaterale dell’orario di lavoro e con essa la retribuzione ai sensi degli artt. 1372 e 2094 c.c..

Sotto un diverso profilo, in ragione delle condizioni contingenti della cooperativa, si possono tuttavia pre-sentare situazioni nelle quali la produzione debba es-sere assicurata a pieno regime da tutto il personale in forza. In questa circostanza il ricorso agli ammortiz-zatori sociali o, d’altro lato, la sospensione dell’attivi-tà, non rileverebbero quali soluzioni rimediali ad hoc. In questo caso sarà necessario allora intervenire per alleviare, pro-tempore, gli oneri economici a carico della società e tra questi, in primis, il costo del lavoro coinvolgendo l’assemblea dei soci per favorire le so-luzioni offerte dall’art. 6 comma 1, lett. d) ed e) della legge n. 142/2001.

Gli strumenti individuabili per la gestione della crisi Al fine del corretto utilizzo degli strumenti rimediali appena richiamati, versati nell’ordinamento per af-frontare la crisi endo-societaria, occorre indagare sul significato di apporto anche economico da parte dei soci assunto in seguito a deliberazione assembleare.

Sotto il profilo logico-giuridico, non si può non os-servare la curiosa locuzione usata dal legislatore per qualificare l’apporto del socio, sia in ragione della congiunzione “anche” che del riferimento alla

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