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della Cassazione OBBLIGO DI ASSUNZIONE E ACCORDO SINDACALE

Nel documento Guidaal Lavoro (pagine 66-71)

Obbligo di assunzione - Accordo sindacale - Conte-nuto - Determinazione dell'oggetto del contratto di lavoro - Esecuzione in forma specifica - Ammissibi-lità

Ove le parti abbiano concordato, in sede di accordo sindacale, l'obbligo per il datore di lavoro di assume-re personale in forza passume-resso un'altra azienda, passume-reve- preve-dendo il contratto collettivo applicabile ai nuovi di-pendenti la relativa categoria di inquadramento, non-ché il riconoscimento dell'anzianità pregressa e del superminimo individuale, l'oggetto del contratto di lavoro deve ritenersi sufficientemente determinato. Ne consegue che il lavoratore, in caso di inadempi-mento, può richiedere, ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di conclu-dere il contratto, senza che rilevi la mancata prede-terminazione della concreta assegnazione della sede lavorativa e delle mansioni, che attiene alla fase di esecuzione del contratto.

¶ Cass. Sez. Lav. 14 dicembre 2020, n. 28415 - Pres.

Rai-mondi; Rel. Lorito; Ric. CLP S.I. S.p.A.; Controric. D.A.

Nota

Il dipendente di una società esercente attività di tra-sporto pubblico nella provincia di Caserta lamentava di essere stato licenziato dalla curatela del fallimento della società, nonostante fosse subentrata nell'appalto pubbli-co, prima gestito dal proprio datore di lavoro, una nuo-va società la quale si era impegnata in base ad accordi con la Regione Campania, nel corso della procedura fal-limentare, ad assumere i dipendenti della società appal-tatrice fallita, ad eccezione di quelli che avessero optato per l'iscrizione alle liste di mobilità.

Il ricorrente lamentava di non esser stato assunto dalla nuova società appaltatrice, essendo stato in precedenza dichiarato non idoneo al servizio di guida, in evidente

violazione delle obbligazioni assunte dalla nuova appal-tatrice, e domandava al Tribunale di Napoli che venisse accertato il proprio diritto all'assunzione a far tempo dal 18 aprile 2012 «con inquadramento nel parametro 183 e la condanna della società alla costituzione del rapporto ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalla stessa data fino alla data di effettiva assunzione» Il Tribunale di Napoli accertava la sussistenza dell'ob-bligo all'assunzione del dipendente sulla base degli im-pegni contrattualmente assunti dalla società appaltatri-ce, ma non pronunciava sentenza costitutiva del rap-porto, ritenendo inutilizzabile lo strumento dell'esecu-zione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. sulla base di un ritenuto difetto di specificazione all'interno dello stesso di alcuni elementi, come le mansioni alle quali sarebbe stato in concreto adibito il ricorrente.

Questa sentenza veniva in parte riformata dalla Corte di appello di Napoli, adita da entrambe le parti, che re-spingeva l'appello principale proposto dalla società ap-paltatrice e, in parziale accoglimento dell'impugnazione proposta dal dipendente, dichiarava costituito fra le parti un rapporto di lavoro subordinato con «inquadra-mento nella qualifica di operatore di esercizio parame-tro 183 c.c.n.l. Autoferrotranvieri con decorrenza dal 24/5/2012».

La Corte di Cassazione, adita dalla società appaltatrice, conferma la statuizione della Corte d'Appello, afferman-do che l'accorafferman-do raggiunto in sede sindacale, inerente all'obbligo della nuova appaltatrice di assumere il per-sonale già in forza alla precedente affidataria, può esse-re azionato dai lavoratori coinvolti, ai sensi dell'art. 2932 c.c. Condizione necessaria a tal fine è che l'accordo individui il contratto collettivo applicabile ai nuovi di-pendenti, la relativa categoria di inquadramento ed il riconoscimento dell'anzianità pregressa. Al contrario, la Corte non ritiene necessaria la predeterminazione della concreta assegnazione della sede lavorativa e delle man-sioni, circostanze che attengono alla fase di esecuzione

a cura di Elio Cherubini Avvocato

Toffoletto De Luca Tamajo e Soci Studio legale in Milano

Rapporto di Lavoro / Giurisprudenza

del contratto. La Suprema Corte, pertanto, rigetta il ri-corso proposto dalla società appaltatrice, confermando l'obbligo della stessa di assumere il lavoratore, seppur divenuto inidoneo alle mansioni cui era inizialmente adibito.

LAVORATORE CHE ASSISTE FAMILIARE DISABILE E DIVIETO DI TRASFERIMENTO

Lavoratore che assiste familiare disabile – Divieto di trasferimento – Decorrenza – Data di presentazione della domanda INPS – Rilevanza – Data concessione benefici ex L. 104/1992 – Irrilevanza

In ragione dell'esigenza di tutela del disabile – al di là di ogni preclusione collegata all'inesistenza di un provvedimento formale che confermi lo stato di han-dicap – i diritti del dipendente che assiste un familia-re con disabilità, tra cui quello a non essefamilia-re trasferito senza il suo espresso consenso, sorgono al momento della presentazione della domanda volta ad ottenere i benefici di cui alla L. 104/1992, e non alla data del provvedimento autorizzativo emesso dall'INPS. Lavoratore che assiste familiare disabile – Trasferi-mento – Limiti – Consenso del lavoratore – Necessi-tà – Vicinanza tra nuova sede e residenza del fami-liare – Irrilevanza

Ai sensi dell'art. 33, comma 5, L. 104/1992, il trasfe-rimento, per iniziativa datoriale, di un lavoratore che assiste un familiare disabile, non può avvenire senza il consenso del lavoratore medesimo. Tale consenso è imprescindibile e, come tale, necessario ai fini della legittimità del trasferimento. In presenza di un rifiuto espresso da parte del lavoratore interessato, è irrile-vante la vicinanza tra la nuova sede di lavoro ed il luogo di residenza del familiare da assistere.

¶ Cass. Sez. Lav. 17 dicembre 2020, n. 29009 - Pres.

Ra-imondi; Rel. Arienzo; P.M. Sanlorenzo; Ric. R.S.; Con-troric. B.N. S.p.A.

Nota

La Corte d'Appello di Napoli, in accoglimento del grava-me del datore di lavoro, rigettava la domanda del dipen-dente volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del suo trasferimento ai sensi della L. 104/1992, in quanto incaricato dell'assistenza ad un familiare disabi-le. In particolare, la Corte rilevava che l'invocato benefi-cio ex L. 104/1992 decorresse dalla data del

provvedi-mento di accogliprovvedi-mento reso dall'INPS, e non dalla data di presentazione della domanda. La Corte d'Appello rite-neva, in ogni caso, il trasferimento legittimo nonostante il rifiuto espresso dal lavoratore, poiché la nuova sede di lavoro era più vicina al comune di residenza del fami-liare da assistere.

Il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione avverso tale pronuncia lamentando, inter alia, la violazione de-gli artt. 3 e 33, L. 104/1992, e dell'art. 12 delle Preleggi, in relazione alla decorrenza dei benefici di cui all'art. 33, comma 5, L. 104/1992 dal provvedimento dell'INPS invece che dalla richiesta.

La Suprema Corte, dopo aver dato atto dei principali in-terventi giurisprudenziali in merito alla necessità di fa-vorire la socializzazione dei soggetti disabili ed al ruolo fondamentale della famiglia nella cura e assistenza dei soggetti portatori di handicap, osserva che sebbene la ci-tata normativa sui trasferimenti presupponga l'accerta-mento di una condizione di disabilità grave, la giuri-sprudenza di legittimità ha ritenuto vietato il trasferi-mento di un lavoratore anche nel caso in cui tale condi-zione di disabilità non si configuri come "grave", a meno che il datore di lavoro provi la sussistenza di esi-genze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di esse-re altrimenti soddisfatte (in tal senso, Cass. 12 dicembesse-re 2016, n. 25379 e Cass. 11 ottobre 2017, n. 23857).

In altri termini, tali pronunce valorizzano l'esigenza di tutela del disabile al di là di ogni preclusione collegata all'inesistenza di un provvedimento formale che confer-mi la situazione di fatto dalla quale deriverebbero i di-ritti del lavoratore che assiste un familiare con disabili-tà. In adesione a questo principio, la Corte di cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, ancorando l'insor-genza del diritto del lavoratore a non essere trasferito senza il suo espresso consenso al momento della presen-tazione della domanda volta ad ottenere i benefici di cui alla L. 104/1992, e non alla data del provvedimento au-torizzativo emesso dall'INPS.

Quale ulteriore motivo di ricorso, il lavoratore denun-ciava la violazione dell'art. 12 delle Preleggi, dell'art. 2103 c.c. e della L. 104/1992, in relazione alla ritenuta irrilevanza del rifiuto al trasferimento in ragione dell'avvicinamento della sede di lavoro alla residenza del disabile.

La Suprema Corte accoglie anche questo motivo di ri-corso, evidenziando come ai sensi dell'art. 33, comma 5, L. 104/1992, il trasferimento per iniziativa datoriale non possa avvenire senza il consenso del lavoratore. Tale consenso è imprescindibile e, come tale, necessario ai

fi-Rapporto di Lavoro / Giurisprudenza

ni della legittimità del trasferimento medesimo. In pre-senza di un rifiuto espresso da parte del lavoratore, è ir-rilevante la mera vicinanza tra la nuova sede di lavoro ed il luogo di residenza del familiare disabile da assiste-re.

In accoglimento dei suddetti motivi di ricorso, quindi, la Corte di cassazione rinvia alla Corte d'Appello di Napoli in diversa composizione per la definizione della contro-versia nel merito con la corretta applicazione dei princi-pi appena richiamati.

TRASFERIMENTO DI SEDE DI LAVORO

Rito lavoro – Modifica della domanda – Limiti – Ammissibilità – Nuova domanda – Esclusione Art. 2103 c.c. – Trasferimento – Carenza di organico – Assegnazione ad altro punto vendita – Legittimità – Scelta aziendale – Sindacabilità – Esclusione

Nel processo del lavoro l'unica modifica della do-manda consentita è quella che integra una "emenda-tio libelli": non v'è dubbio, infatti, che, ricorrendo gravi motivi e previa autorizzazione del giudice, le parti possano modificare ex art. 420 c.p.c. domande, eccezioni e conclusioni già formulate, ma deve esclu-dersi che possano, altresì, proporre domande nuove per "causa petendi" (ragione su cui si fonda la do-manda) o "petitum" (oggetto della dodo-manda), neppu-re con il consenso della controparte, sia esso esplici-to, mediante l'espressa accettazione del contradditto-rio, sia esso implicito, nella difesa nel merito.

È legittimo il trasferimento della dipendente ad altro punto vendita motivato dalla necessità di colmare il vuoto di organico ivi verificatosi a seguito delle di-missioni rassegnate dall'originario responsabile. Ai sensi dell'art. 2103 c.c. nella formulazione "ratione temporis" applicabile, la sussistenza delle comprovate esigenze produttive rappresenta, infatti, l'unico ele-mento da valutarsi come determinante ai fini della legittimità del trasferimento, essendo, viceversa, in-sindacabili le scelte aziendali in virtù della libertà di iniziativa imprenditoriale garantita dall'art. 41 della Costituzione.

¶ Cass. Sez. Lav. 24 dicembre 2020, n. 29596 - Pres.

Ra-imondi; Rel. Piccone; P.M. Sanlorenzo; Ric. P.G.; Con-tr. C.E. s.c.

Nota

La Corte di appello di Bologna ha confermato la

senten-za del Tribunale di Parma che aveva rigettato il ricorso proposto da una lavoratrice per l'impugnativa del tra-sferimento disposto dalla società datore di lavoro. In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto legittimo il trasferimento disposto in quanto sorretto da compro-vate ragioni tecniche, organizzative e produttive, esclu-dendone la natura vessatoria.

Avverso tale decisione la lavoratrice ha proposto ricorso per Cassazione, censurando la decisione sotto svariati profili.

Con il primo motivo di ricorso, la dipendente lamenta di aver chiesto, sin dal proprio atto introduttivo del primo grado, la sussistenza di un suo obbligo di assistenza nei confronti della madre, e di aver poi specificato la relati-va domanda nelle note conclusive.

La Suprema Corte, tuttavia, ritiene tale motivo infonda-to in quaninfonda-to correttamente la Corte d'Appello aveva ri-tenuto la domanda inerente in merito ai permessi ex L. 104/1992 come attinente ad una diversa "causa petendi" (ovvero ad una diversa ed ulteriore ragione alla base della domanda iniziale), per l'inserimento di un fatto nuovo a fondamento della pretesa e di un diverso tema di indagine e di decisione, atteso che l'obbligo di assi-stenza era stato allegato solo con riguardo all'aggrava-mento della situazione della ricorrente in esito al trasfe-rimento e soltanto nelle note conclusive era stata invo-cata la tutela privilegiata in esame.

La Corte di Cassazione chiarisce, infatti, che nel proces-so del lavoro "l'unica modifica della domanda consenti-ta è quella che integra una "emendatio libelli"(ossia una modifica della domanda): non v'è dubbio, infatti, che, ricorrendo gravi motivi e previa autorizzazione del giu-dice, le parti possano modificare ex art. 420 c.p.c. do-mande, eccezioni e conclusioni già formulate, ma deve escludersi che possano, altresì, proporre domande nuove per "causa petendi" (ragione su cui si fonda la doman-da) o "petitum" (oggetto della domandoman-da), neppure con il consenso della controparte, sia esso esplicito, mediante l'espressa accettazione del contraddittorio, sia esso im-plicito, nella difesa nel merito".

La Suprema Corte respinge anche il secondo motivo di ricorso, ovvero l'asserita violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c., ritenendo che il giudice d'appello abbia correttamente verificato la sussistenza di un motivo tec-nico organizzativo-produttivo la cui configurabilità le-gittima l'esercizio del relativo potere datoriale, consi-stente nel vuoto di organico nel punto vendita di desti-nazione, determinato dalle dimissioni rassegnate da una collega della dipendente.

Rapporto di Lavoro / Giurisprudenza

Il Collegio ritiene, dunque, che correttamente entrambi i giudici di merito abbiano provveduto ad accertare il nesso di causalità fra il venir meno della attività lavo-rativa nella sede di destinazione della dipendente ed il trasferimento e, quindi, l'effettività della ristrutturazio-ne organizzativa, essendo le scelte aziendali insindaca-bili in virtù della libertà di iniziativa imprenditoriale garantita dall'art. 41 della Costituzione.

Conclusivamente, la Corte di Cassazione respinge il ri-corso della lavoratrice.

ASSEGNAZIONE A MANSIONI INFERIORI E ONERE DELLA PROVA

Rapporto di lavoro – Mansioni inferiori – Tratta-mento retributivo – RisarciTratta-mento del danno ulterio-re – Assenza di automatismo – Fattispecie – Meno-mazione della professionalità – Perdita di chances – Onere della prova a carico del lavoratore – Sussiste

L'assegnazione dei dipendenti a mansioni inferiori rispetto a quelle proprie del loro livello contrattuale non determina di per sé un danno risarcibile ulterio-re rispetto a quello costituito dal trattamento ulterio- retribu-tivo inferiore cui provvede, in funzione compensato-ria, l'art. 2103 c.c., il quale stabilisce il principio della irriducibilità della retribuzione nonostante l'assegna-zione e lo svolgimento di mansioni inferiori e meno pregiate di quelle già attribuite, giacché deve esclu-dersi che ogni modificazione delle mansioni in senso riduttivo comporti una automatica dequalificazione professionale, connotandosi quest'ultima, per sua na-tura, per l'abbassamento del globale livello delle pre-stazioni del lavoratore con una sottoutilizzazione del-le sue capacità e una conseguenziadel-le apprezzabidel-le menomazione - non transeunte - della sua professio-nalità, nonché con perdita di chance ovvero di ulte-riori potenzialità occupazionali o di ulteulte-riori possibi-lità di guadagno.

¶ Cass. Sez. Lav. 17 dicembre 2020, n. 29012 - Pres.

Rai-mondi; Rel. Arienzo; P.M. Sanlorenzo; Ric. R.L.; Con-troric. I. S.p.a.

Nota

La Corte d'appello rigettava il ricorso del lavoratore che aveva chiesto la condanna della società al risarcimento dei danni da lucro cessante, diretti ed indiretti, dei dan-ni morali e di una penale quale ulteriore conseguenza dell'attribuzione di mansioni inferiori.

Secondo la Corte di appello doveva confermarsi la man-canza dei presupposti per riconoscere gli ulteriori danni connessi all' avanzamento di carriera, non dimostrato, e veniva negato il riconoscimento dell'indennità di pendo-larismo per non tempestiva comunicazione alla società del cambio di residenza, nonché dell'indennità di diaria, per genericità nella relativa indicazione.

Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso il lavoratore ma la Cassazione lo ha rigettato. Secondo la Suprema Corte deve escludersi che ogni mo-dificazione delle mansioni in senso riduttivo comporti una automatica perdita di chance ovvero di ulteriori po-tenzialità occupazionali o di ulteriori possibilità di gua-dagno, a ciò conseguendo che grava sul lavoratore l'one-re di fornil'one-re la prova, anche attraverso pl'one-resunzioni, dell'ulteriore danno risarcibile, mentre resta affidato al giudice del merito il compito di verificare, di volta in volta, se, in concreto, il suddetto danno sussista, indivi-duandone la specie e determinandone l'ammontare, eventualmente con liquidazione in via equitativa. Ed in-vero, la perdita di una "chance" configura un danno at-tuale e risarcibile, sempre che ne sia provata la sussi-stenza, anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni ed alla mancanza di una tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c., atteso che l'applicazione di tale norma richiede che risulti provata o comunque inconte-stata l'esistenza di un danno risarcibile ed è diretta a fare fronte all'impossibilità di provare l'ammontare pre-ciso del danno.

Per la Cassazione, la Corte di appello ha motivato in conformità a tali principi, ribaditi dalla Corte Suprema anche in pronunce successive, laddove ha evidenziato che riconoscere tale danno presupporrebbe un automa-tismo della carriera e quindi di raggiungimento del massimo livello contrattuale, che non sussisteva nella specie, considerata l'assoluta discrezionalità degli avan-zamenti di carriera nel settore oggetto di giudizio.

LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO

Lavoro subordinato - Licenziamento per supera-mento periodo di comporto – Ulteriore periodo di malattia non comunicato al datore di lavoro – Rile-vanza - Esclusione

Deve escludersi la rilevanza oggettiva della malat-tia, ancorchè non tempestivamente comunicata al

da-Rapporto di Lavoro / Giurisprudenza

tore di lavoro, in quanto non integrante ex se ragione obiettiva di illegittimità del licenziamento, ma ele-mento di fatto al fine del computo del periodo di comporto, rispetto al quale il datore di lavoro deve essere necessariamente edotto, tenuto conto del ra-gionevole lasso di tempo di cui dispone per una valu-tazione conveniente della sequenza di eventi morbosi del lavoratore e la conseguente mobilità del termine esterno di computo.

¶ Cass. Sez. Lav. 4 dicembre 2020, n. 27912 - Pres. Patti;

Rel. Leo; P.M. Mastroberardino; Ric. I.N..; Controric. O.V.V. S.p.a.

Nota

Un lavoratore dipendente impugnava il licenziamento comminatogli per superamento del periodo di comporto. In entrambe le fasi (sommaria e di opposizione) della causa di primo grado, svoltasi secondo il rito Fornero, il Tribunale di Bergamo accoglieva l'impugnazione con-dannando la società alla reintegrazione e al risarcimen-to del danno ex art. 18, comma IV, L. 300/1970.

La Corte di Appello territoriale riformava la sentenza del Tribunale e respingeva la domanda di impugnazione del licenziamento, osservando che "coglie nel segno la censura sollevata dalla società relativamente al fatto che «il primo giudice ha omesso la valutazione di un elemento di fatto essenziale: la non conoscibilità da par-te del datore di lavoro della nuova malattia del 12.12.2016 all'atto del licenziamento»", in quanto il la-voratore aveva fatto pervenire il certificato in data 13.12.2016 quando ormai il licenziamento era stato inti-mato con la spedizione della raccomandata e, pertanto «il datore di lavoro nel computare i giorni di assenza ri-levanti ai fini del superamento del comporto non poteva tenere conto della nuova malattia».

Inoltre, secondo la Corte territoriale, la sentenza non sa-rebbe condivisibile nella parte in cui, superando la pre-sunzione di continuità della malattia, ha omesso di con-siderare nel computo dei giorni di malattia le giornate dell'8 (festivo), 9 (ponte), 10 (sabato) e 11 (domenica) di-cembre e, pertanto, anche nell'ipotesi di computo del giorno 12.12.2016 quale data di inizio dell'ultimo episo-dio morboso del lavoratore, il periodo di comporto risul-terebbe comunque superato.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione il lavoratore, che con il primo motivo di ricorso lamen-tava la violazione e/o falsa interpretazione dell'art. 2110 c.c. e dell'art. 2, titolo VI, CCNL Metalmeccanici Indu-stria, assumendo che la Corte di merito avesse errato ri-tenendo che il giorno 12 dicembre, ancorchè coperto da certificazione di malattia non potesse ritenersi utile a tal fine in quanto di tale nuova malattia il datore di la-voro non era a conoscenza al momento della spedizione della raccomandata.

Con il secondo motivo di ricorso il lavoratore lamenta-va, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa interpretazione dell'art. 2110 c.c. e dell'art. 2, titolo VI, CCNL Metalmeccanici Indu-stria, assumendo che la Corte di Appello avesse errato nel considerare comunque superato il periodo di com-porto ricomprendendovi i giorni 8, 9, 10 e 11 dicembre, non tenendo conto del principio dell'immutabilità delle ragioni indicate nella lettera di licenziamento, che in-dicava, quale ultimo periodo di malattia, quello inter-corrente tra il 29 novembre e il 7 dicembre, per 9

Nel documento Guidaal Lavoro (pagine 66-71)