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derivativa giudeo

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Il presente capitolo affronterà quello che probabilmente è il dato più interessante emerso dall’indagine effettuata dal punto di vista linguistico: la rilevazione di innovazioni di ambito morfologico mai attestate in precedenza, quali l’aggiunta del morfema ésso ad alcuni prestiti ebraici come indicatore di genere maschile, oppure il complesso gruppo di derivati dall’ebraico zot.

Si è scelto di trattare assieme questi due distinti fenomeni poiché presentano aspetti morfologici e fasi storico-grammaticali strettamente intrecciati, tanto da necessitare un’analisi congiunta e parallela su più livelli per comprenderne a fondo le dinamiche ed i percorsi.

L’impiego del morfema derivativo ésso, sconosciuto alla letteratura specialistica e ai glossari fino ad oggi pubblicati, costituisce una consistente prova dell’esistenza di tendenze innovative nel parlata giudeo-livornese del XX° secolo, almeno nel campo dei processi di formazione della parola. Un’innovazione che presenta caratteri di eccezionalità non soltanto perché interessa l’ambito morfologico e non quello fonetico, ma soprattutto perché rappresenta una soluzione ignota al sistema di suffissazione dell’italiano.

Se da un lato è consueto oltre che logico riscontrare trasformazioni in ambito fonetico e fonologico nella parlata giudeo-livornese degli ultimi decenni, dall’altro l’attestazione di un’innovazione morfologica risulta straordinaria e inaspettata, soprattutto se si considera l’originalità della soluzione, a prima vista non direttamente inquadrabile nell’inesorabile meccanismo di livellamento che opera da più di un secolo sulla varietà. Infatti le trasformazioni di ambito fonetico fanno parte di un generale processo di

adeguamento della parlata al sistema fonologico dell’italiano e del toscano, e risultano dunque in linea con la progressiva regressione della varietà dialettale giudaica, sempre meno diffusa tra i parlanti, sempre meno estesa nel repertorio lessicale e nei relativi campi semantici, sempre più ristretta per quanto riguarda lo spettro delle funzioni comunicative deputate. In sostanza, i mutamenti fonetici costituiscono uno degli elementi della parabola involutiva della parlata giudeo-livornese. A prima vista, invece, la supposta creazione di un suffisso speciale per la morfologia derivativa degli ebraismi adattati sembrerebbe sfuggire dalla gabbia imposta dal livellamento dialettale: anzi, parrebbe valicare addirittura i canoni della lingua-tetto dominante. In realtà, come si vedrà più avanti, la più plausibile tra le spiegazioni possibili permette di reinserire questa derivazione anomala all’interno del generale – e secolare - allineamento fonomorfologico della parlata giudeo-livornese sull’italiano. Malgrado ciò, pare chiaro in ogni caso che il fenomeno non segnala certo un’involuzione, bensì un’evoluzione linguistica sorta probabilmente negli ultimi decenni in seno alla comunità dei parlanti, segno di un livello di vitalità e vigore della parlata forse sottostimato.

Prima di passare all’esposizione delle possibili ipotesi esplicative è tuttavia necessaria un’accurata descrizione del fenomeno in rapporto al

corpus e al nucleo degli informatori, ma anche sulla base di informazioni e indizi provenienti da varie prospettive di analisi: storico-grammaticale, etimologica, dialettologica, semantica.

Le parole formate dal suffisso “giudeo-livornese” –ésso fornite dagli informatori sono le seguenti:

a) bangadésso, sostantivo maschile adattato dall’ebraico bia‘al (‘padrone’) fornito da GD1924 con il significato di ‘padrone, uomo’.

b) mammoésso, sostantivo maschile adattato dall’ebraico mamon

(‘patrimonio’) fornito da RL1921 e DL con il significato di 'prezzo, valore'.

c) masciumadésso, sostantivo maschile adattato dall’ebraico

mešummad (‘apostata’) fornito da GD1924 con il significato di 'ateo, persona che non crede in nulla'.

d) nganavésso o ganavésso, sostantivo maschile adattato dall’ebraico

ġannab (‘ladro’) fornito da GD1924, GP1934, MG1940, AS1939 e attestato nel corpus anche nella forma plurale nganavéssi (GD1924).

I termini sopra elencati presentano tutti alcune caratteristiche comuni, prima tra tutte l’origine ebraica. In secondo luogo, gli etimi ebraici alla base dei prestiti presentano alcune somiglianze strutturali non indifferenti: sono tutti sostantivi accentati sull’ultima sillaba e terminanti per consonante. Inoltre, a tutti gli ebraismi di genere maschile menzionati corrisponde una forma flessa al femminile mediante il suffisso –éssa, stavolta coerentemente alle regole della morfologia derivativa dell’italiano. Per finire, un elemento legato alla semantica: tre lessemi su quattro indicano sostantivi animati attribuibili a persone.

Procedendo con le dovute cautele, da queste semplici osservazioni è possibile sollevare alcune questioni potenzialmente in grado di gettare luce

sull’origine di questo singolare fenomeno, mai attestato altrove in ambito giudeo-italiano.

In primo luogo, la struttura degli etimi ebraici rivela le ragioni della spinta verso l’adattamento: un sostantivo tronco con sillaba finale tonica chiusa è infatti quanto di più lontano si possa immaginare dalle regole di formazione del lessico della varietà dialettale pisano-livornese e dell’italiano. Malgrado ciò, sono numerosi gli ebraismi muniti della medesima struttura lessicale acquisiti dalla parlata giudeo-livornese senza alcun adattamento fonetico o morfologico. Ciò dipende principalmente dall’influenza dell’ebraico, lingua sacra insegnata nelle scuole israelitiche fino a non molto tempo fa e dotata di grande prestigio culturale tra i membri della comunità. I prestiti adattati spesso sono percepiti dagli ebrei livornesi più anziani come storpiature volgarizzanti, che debbono essere riportate alla “purezza” dell’originaria forma ebraica ogni qual volta la memoria e la sapienza linguistica lo permetta:

CB1967: guardia, tarzanìm

AS1939: tarzà! tarzà. tarzanìm è gguardie

I: e il capo della homunità c’avéva un nome? particolare..

AS1939: éh rav! rav..

CB1967: rav è rrabbino, va béne, mamma!..

I: ah, e rrav viéne..

AS1939: rav, rab, ràbbi.. allóra pé.. si lègge rav.. óra n.. e rrabbino, ràbbi si hiama

arcaizzante, basti notare che anche nel glossario giudeo-livornese estrapolato dal corpus raccolto dalla viva voce degli informatori resistono numerosi ebraismi non adattati dotati della medesima struttura lessicale dei quattro sostantivi sopra citati; alcuni esempi sono cacèr, cahàn, catàn, davàr, galàh, garòl, hazìr, manzér, miniàn, narèl, nascìr, purìm. Per avere ancora un’idea della diffusa resistenza all’adattamento tra i parlanti si consideri che i prestiti non adattati costituiscono ben il 48% del totale degli ebraismi, i quali sono stati interamente forniti oralmente da alcuni degli ultimi conoscitori della parlata tra il 2006 e il 2008, scelti secondo tre criteri di selezione - età avanzata, basso livello d’istruzione e appartenenza ai ceti popolari - che certamente non hanno privilegiato coloro che tentano una revisione colta di matrice “purista” del vocabolario bagitto.

Ciononostante, la scarsa conoscenza dell’ebraico, ed in particolare della complessa flessione nominale di questa lingua, ha indotto nel corso degli anni la comunità dei parlanti a individuare soluzioni fonomorfologiche per adattare gli ebraismi, soprattutto con lo scopo di risolvere il frequente problema dell’indicazione del genere femminile relativamente ad alcuni sostantivi animati indicanti persone. Questa esigenza comunicativa fu forse sentita con maggiore impellenza e forza rispetto all’indicazione del numero, per soddisfare la quale, probabilmente, la desinenza ebraica -ìm era sufficientemente chiara e perciò generalizzabile anche laddove le norme grammaticali imposte dalla lingua semitica non lo permetterebbero268.

Un fenomeno che potrebbe considerarsi emblematico della scarsa padronanza della grammatica e del lessico dell’ebraico da parte dei parlanti

268 L’indicazione grammaticale di numero mediante la desinenza –ìm, sebbene più resistente, è ugualmente destinata a non essere più percepita come distintiva dai parlanti. Nella corpus raccolto ciò appare già evidente, come dimostrano i numerosi casi in cui i parlanti hanno usato ed indicato

giudeo-italiano è costituito dalla confusione dimostrata dagli informatori circa le classi nominali da associare ai prestiti derivanti dagli etimi ebraici zeh

(‘quello’) e zot (‘quella’), palesemente evidente anche nelle raccolte lessicografiche pubblicate. Gli informatori della presente indagine non hanno fatto eccezione:

GP1934: c'è.. lo żżò.. che nganavéa

AS1939: nàina la żżò, nàina il żè.

GD1924: lo żżò è andato a bberahaìm

GD1924: la żżò..żò si dice dònna..żò

GD1924: lo żżò è llui, si dice lo żżò si dice è llui, è un uòmo, o lla żżoìna è la dònna

RL1921: daberàte lo żżò che sta nnainando!

Come si può osservare non c’è alcuna omogeneità tra gli informatori: alcuni considerano żò un pronome neutro, altri lo considerano esclusivamente femminile. C’è anche un informatore, GD1924, che fornisce al riguardo informazioni contrastanti, anche se introduce, come si vedrà in seguito, un elemento molto importante ai fini dello studio dei meccanismi di adattamento lessicale nella parlata giudeo-livornese.

Solo AS1939 riesce a fornire entrambe le forme żè e żò, attribuendo loro senza indugi l’esatta attribuzione etimologica di genere: non a caso, durante l’indagine, l’informatrice ha dato prova in più di un’occasione di possedere

una maggiore padronanza della lingua ebraica rispetto agli altri intervistati. Le attestazioni riportate da lessici, glossari e note esplicative, incoerenti tra loro, non permettono di imputare ad una recente regressione della parlata questo specifico caso di confusione nell’attribuzione del genere. Ecco i risultati del confronto bibliografico elencati in forma schematica per quanto riguarda i testi sulla parlata giudeo-livornese:

- in Beccani 1942 sono attestate due forme: uev (‘questo’) e ua

(‘questa’)269 e uottino.

- in Bedarida 1956 sono attestate tre forme: zà (‘costei’, dall’ebraico

zo, “questa”, e ze “questo”); zé (‘un tale’) e zodessa. (‘colei’, formato dall'ebr.

zo o zoth, «questa» e l'it. «essa»)270.

- in Modena Mayer 1979 sono attestate due forme: zé (‘quello’) e

zodessa (‘quella’)271.

- in Marchi 1993 sono attestate due forme: ze (‘questo’) e za

(‘costei’)272.

Il confronto con gli studi relativi alle altre parlate giudeo-italiane consultati ha invece prodotto i seguenti risultati:

- in Del Monte Milano 1955 è attestato per Roma zódde (‘quel o quella tale’)273.

269 A.BECCANI, Contributo alla conoscenza del dialetto degli Ebrei di Livorno, cit., p.16.

270 G.BEDARIDA, Ebrei di Livorno. Tradizioni e gergo in 180 sonetti giudaico-livornesi, cit., p.8, p.12,

p.34, p.117.

271 M.MAYER MODENA, Osservazioni sul tabù linguistico in giudeo-livornese, cit., p.177.

272 V. MARCHI, Lessico del livornese con finestra aperta sul bagitto, Belforte Editore Libraio, Livorno

1993, p.333.

- In Massariello Merzagora 1980 sono attestate per Torino due forme, entrambe maschili: ze (‘questo’) e zod (‘quello’); per il Piemonte è attestato

sod (‘egli, quello’)274.

A questo punto è importante evidenziare come già nell’opera di Guido Bedarida del 1956 sia attestata la forma suffissata femminile zodessa, che l’autore distingue dall’altra forma femminile zà mediante una sfumatura di significato molto debole (rispettivamente ‘colei’ e ‘costei’). Come è stato già osservato nei sostantivi uscenti in –ésso, anche in questo caso una delle ragioni principali dell’adattamento potrebbe risiedere nell’incompatibilità degli ebraismi terminanti per consonante con la struttura fonetica del lessico italiano e toscano. I parlanti per risolvere il problema optano dunque per due soluzioni: a) la caduta della consonante finale, come nel caso di zò oppure dell’allomorfo zà, nel quale la vocale tonica etimologica è sostituita per evitare confusioni sul modello di gojà275, avvicinandosi in questo modo alla

flessione nominale di genere dell’italiano276; b) il mantenimento della

consonante finale mediante l’aggiunta di un suffisso italiano indicante il genere femminile.

Queste due prassi distinte di adeguamento basate sulla perdita o sull’aggiunta di materiale fonetico coesistono nella parlata giudeo-livornese formando un doppio modello che ha prodotto anche altre coppie di allomorfi originati dal medesimo lessema ebraico: per esempio sciamì/sciaminóso

PROCACCIA E M.TEODONIO, La Giuntina, Firenze 2007, p.671.

274 G. MASSARIELLO MERZAGORA, La parlata giudeo-piemontese. Contributo alla conoscenza del lessico

impiegato nelle comunità ebraiche d’area piemontese, cit., pp. 105-136, p.125.

275 Si faccia riferimento alla voce omonima presente in Lessico ordinato dei termini, delle locuzioni, delle espressioni e delle forme notevoli presenti in Ebrei di Livorno. Tradizioni e gergo in 180 sonetti giudaico-livornesi di Guido Bedarida, posto in appendice al presente lavoro.

276 Questa prassi di adeguamento è attestata in giudeo-livornese anche per altre coppie di parole:

dal’ebr. šamir; tafù/tafùsse dall’ebr. tiapuś, oppure ganavù/ganavurre

dall’ebr. ġannab.

Tra i due allomorfi, solitamente quello dotato di suffisso o epitesi è percepito come topico e maggiormente dialettale:

AS1939: ma sciamì è ppròpio uno, un ò . nzò un ghèi, via.

AS1939: sciaminóso è n mòdo.. livornése, nzómma, sciaminóso.

Questa percezione è motivata in primo luogo dalla maggiore lontananza del prestito così adattato dall’etimo originale; oltre a ciò si tenga presente ovviamente che la scelta dei suffissi e delle sillabe epitetiche è fortemente condizionata dalle rispettive tendenze dialettali, le quali variano in Italia da regione a regione e da città a città.

Giunti a questo punto sarebbe molto utile ai fini dello studio delle tendenze innovative delle morfologia derivativa della parlata giudeo- livornese riuscire a collocare cronologicamente i fenomeni morfologici descritti finora, in modo da stabilire almeno una gerarchia temporale tra le forme attestate e giungere in ragione di ciò ad una descrizione storico- grammaticale di tali passaggi evolutivi. Purtroppo le fonti reperibili sono scarse e in alcuni casi poco attendibili, quindi non sarà possibile uscire dall’ambito delle semplici supposizioni supportate da indizi e deduzioni senza correre il rischio di elaborare giudizi avventati.

Malgrado ciò, può essere d’aiuto, per la comprensione dei fenomeni morfologici innovativi rilevati, prendere come punto di riferimento all’interno del repertorio lessicale giudeo-livornese il già menzionato pronome

dimostrativo zodéssa, e tentare di avanzare considerazioni di ordine diacronico. La prima osservazione da fare riguarda la fonetica storica: la consonante finale /t/ dell’ebraico si mantiene grazie al suffisso, ma nel prestito adattato si sonorizza e diventa una /d/. Questo fenomeno di sonorizzazione è evidentemente successivo alla suffissazione, in quanto nella fonetica della parlata giudeo-livornese non è prevista, al contrario ad esempio del giudeo-torinese277, la sonorizzazione delle consonanti sorde

finali, bensì la sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche278.

Questa caratteristica fonetica, oggi sostanzialmente scomparsa dal dialetto dei parlanti279, fu descritta già da Angelo Beccani come uno dei tratti più

tipici e radicati del bagitto nel suo Saggio storico-linguistico sugli Ebrei a Livorno del 1942280, ancora vitale all’epoca in cui scrive, anzi, “quella più

viva”.

Altro elemento da approfondire è la storia linguistica del suffisso –essa all’interno della morfologia derivativa dell’italiano: il morfema si impone nel corso dell’Ottocento non soltanto per creare la necessarie forme femminili di alcuni nomi di mestieri e professioni tradizionalmente maschili, ma anche per attribuire contemporaneamente a queste forme una connotazione semantica dispregiativa e offensiva, figlia dei pregiudizi di stampo sessista tipici della cultura dell’epoca281. Per adesso si ignori questo aspetto culturale connesso

alle neoformazioni della lingua, il quale rivelerà la propria attinenza più

277 G. MASSARIELLO MERZAGORA, La parlata giudeo-piemontese. Contributo alla conoscenza del lessico

impiegato nelle comunità ebraiche d’area piemontese, cit., pp.114-135. 278 Si veda a proposito il paragrafo §2.6.

279 Si veda il paragrafo §4.3 per approfondimenti.

280 A.BECCANI, Saggio storico-linguistico sugli ebrei a Livorno, cit., p.6.

281 A.L.LEPSCHY,G.LEPSCHY E H.SANSON, Lingua italiana e femminile, in “Quadrens d’Italià”, 6, 2001, pp.

avanti; per il momento sia sufficiente fissare la collocazione del fenomeno morfologico all’interno della storia della lingua italiana.

Come si è visto nel paragrafo §2.6, la sonorizzazione delle consonanti intervocaliche fa parte di quell’insieme di caratteri fonomorfologici giudeo- livornesi che hanno subito una prima regressione durante il periodo dell’assimilazione, all’incirca dalla metà dell’Ottocento fino ai primi decenni del Novecento. Successivamente sono quasi completamente scomparsi a causa dell’omologazione linguistica esercitata dalla scolarizzazione obbligatoria e dalla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa a partire dal secondo dopoguerra e in particolare modo durante gli anni Sessanta.

Come è stato già accennato in precedenza, il pronome maschile zé e il pronome femminile zodessa282sono le uniche forme che appaiono nello

studio sul tabù linguistico del giudeo-livornese pubblicato da Maria Modena Mayer nel 1978: il lessico raccolto, informa l’autrice in una nota, è stato controllato e arricchito grazie alle informazioni fornite da “alcuni anziani Ebrei livornesi”283. Si presuppone dunque che gli informatori consultati

fossero nati essenzialmente tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, e che quindi abbiano appreso la parlata prima della seconda fase regressiva. Diversamente, nessuno degli informatori selezionati per l’indagine svolta, tutti nati prima del secondo conflitto mondiale, ha mai fornito spontaneamente la forma zodessa. Un’assenza ancora più significativa, se si considera che l’ebraismo żò è attualmente una delle parole giudeo-livornesi d’uso più frequente tra i parlanti, nonchè la prima che sovviene alla mente degli informatori - assieme al gruppo lessicale derivante dall’ebr. ġannab - se li si invita a rammentare il bagitto. Le ricerche

282 M.MAYER MODENA, Osservazioni sul tabù linguistico in giudeo-livornese, cit., p.177.

effettuate sembrerebbero dunque segnalare l’imposizione di altri allomorfi rivali del pronome femminile storicamente attestato, il cui declino nell’uso orale sembrerebbe essere scandito dall’avvenuto passaggio generazionale. Ciò ovviamente non equivale ad affermare che la parola zodessa sia stata cancellata dalla memoria linguistica della comunità dei parlanti, ma solo che, almeno per quanto riguarda gli informatori intervistati, nelle situazioni comunicative ove ancora la parlata giudeo-livornese risulta funzionale si preferisce optare per altri allomorfi.

Un’ulteriore piccola conferma a sostegno di queste osservazioni diacroniche proviene, seppur indirettamente, dai sonetti contenuti in Ebrei di Livorno di Guido Bedarida, pubblicato nel 1956: il termine zodessa compare solo tre volte, sempre nel sonetto 25, e dunque all’interno di una cornice storica collocabile nel periodo immediatamente post-unitario. ‘La zodessa’ è l’appellativo di uno dei due personaggi femminili del sonetto: quasi a sottolineare la coesistenza delle due forme nella parlata, Bedarida sceglie proprio ‘la zà’ per indicare l’altra dialogante. Le ultime forme soggette a sonorizzazione delle sorde intervocaliche giungono invece fino alla fine dell’opera (con ‘fògo’ del sonetto 154), nei sonetti ambientati durante o subito dopo il secondo conflitto mondiale.

Alla luce di tutte queste considerazioni, è possibile ipotizzare con un margine di incertezza non troppo ampio che il pronome zodessa si sia diffuso a partire dalla parola ebraica zot in un periodo a cavallo tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Più precisamente, è probabile che la fase di formazione di questo pronome femminile sia da collocare al massimo entro la fine dell’Ottocento, ossia non oltre il periodo di larga diffusione del suffisso nella lingua italiana e

comunque non oltre il periodo di vitalità del fenomeno di sonorizzazione delle sorde intervocaliche operante sul lessico della parlata giudeo-livornese. Ammettendo la validità di queste speculazioni sul periodo di formazione del lessema, ai fini dell’analisi delle recenti innovazioni morfologiche della parlata giudeo-livornese ciò che è importante stabilire sull’asse diacronico è il punto che segna il declino di questa forma, non quello che ne indica la nascita. L’operazione, oltre a non essere proficua, potrebbe rivelarsi addirittura poco saggia: non va dimenticato che se è vero che il suffisso –essa si diffonde nella lingua nel corso dell’Ottocento, è altrettanto vero che la parola dottoressa è comunque attestata in Italia da cinque secoli284, e che

Bedarida inserisce tra i primi sonetti, ambientati nel sedicesimo secolo, termini come ‘ganavessa’ e ‘mehhalchessa’285. In ultima analisi, ciò che

realmente conta la è presenza di vari indizi che lasciano propendere per una formazione non recente del termine zodessa, e in ogni caso anteriore alla fine dell’influsso della fonetica giudeo-livornese sul dialetto dei parlanti.

A queste osservazioni è doveroso aggiungere che forme di derivazione simili condotte a partire da radici ebraiche sono attestate anche altrove in Italia. Nello specifico, la formazione di femminili con suffisso –essa è attestata da Massariello Merzagora per la parlata giudeo-fiorentina286,

mentre Bachi in un lavoro del 1929 ha sottolineato per il giudeo-piemontese l’uso di suffissi propri dell’italiano per la formazione del femminile, a loro volta influenzati dal dialetto e portatori di slittamenti di significato, come nel

284 A.L.LEPSCHY,G.LEPSCHY E H.SANSON, Lingua italiana e femminile cit., pp. 9-18.

285 G. BEDARIDA, Ebrei di Livorno. Tradizioni e gergo in 180 sonetti giudaico-livornesi, cit.,

rispettivamente p.5 e p.22.

286 G. MASSARIELLO MERZAGORA, Elementi lessicali della parlata giudeo-fiorentina, in «Quaderni

caso –ussa287. In generale si può inoltre affermare che la formazione con

suffissi italiani di nomi femminili da radici ebraiche costituisca una costante