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La varietà giudeo La varietà giudeo La varietà giudeo La varietà giudeo italiana a Livorno: ipotesi di fo italiana a Livorno: ipotesi di fo italiana a Livorno: ipotesi di fo italiana a Livorno: ipotesi di formazione rmazione rmazione rmazione e sviluppo

La parlata degli Ebrei di LivornoLa parlata degli Ebrei di Livorno

2.1 La varietà giudeo La varietà giudeo La varietà giudeo La varietà giudeo italiana a Livorno: ipotesi di fo italiana a Livorno: ipotesi di fo italiana a Livorno: ipotesi di fo italiana a Livorno: ipotesi di formazione rmazione rmazione rmazione e sviluppo

e sviluppoe sviluppo

e sviluppo

Secondo Wexler126 sono tre i fattori che concorrerebbero alla formazione

di una lingua giudaica: la segregazione, il separatismo religioso e le migrazioni. A queste tre condizioni andrebbero aggiunti gli “atti di identità” del gruppo ebraico in reazione alle pressioni sociali esterne, in grado di provocare una “compattazione” della norma linguistica ed il mantenimento di elementi difformi rispetto alla realtà linguistica esterna127.

Tuttavia, l’adozione di questo modello per l’analisi del processo di formazione della varietà dialettale degli Ebrei livornesi non trova totale aderenza alla storia della comunità ebraica di Livorno. Il primo dei tre fattori indicati come determinanti, e cioè la “segregazione”, di fatto non ha mai contraddistinto la volontà politica e l’attività legislativa delle istituzioni di governo: anzi, come è noto, gli ebrei livornesi godettero sin dalla fondazione

126 P.WEXLER, Jewish interlinguistics: facts and conceptual framework, in “Language”, vol. 57, 1981,

pp.102-103.

127 M. MANCINI, Sulla formazione dell’identità linguistica giudeo-romanesca tra tardo medioevo e

della città di un sistema di privilegi economici e di libertà civili e religiose senza paragoni nel resto d’Italia, nonché di un pieno accesso alla vita sociale128.

Sarebbe tuttavia errato escludere totalmente l’influsso della ‘segregazione’ della componente ebraica dalla società livornese sulla propria identità linguistica. Se infatti non vi fu segregazione etnica imposta dall’alto, vi fu certamente separazione spaziale all’interno di una zona della città dai confini relativamente netti, che non può essere definita “ghetto”, ma che comunque è stata caratterizzata per un certo periodo da un’alta densità abitativa e da un’ampia base demografica composta da appartenenti alle fasce sociali più basse. Nel 1603 è già documentato il toponimo “via dei Giudei”, per la strada ove l’anno seguente sarà edificata la sinagoga, con l’intento esplicito da parte dell’autorità di concentrare la popolazione ebraica129, e nel 1645 il coefficiente per unità abitativa è già molto alto130.

Non a caso il periodo in questione, che ha il proprio culmine nel secolo XVIII, coincide con il periodo di probabile gestazione e diffusione del bagitto, la varietà giudeo-italiana parlata a Livorno131.

D’altro canto, il terzo presupposto indicato da Wexler, e cioè l’esperienza migratoria, appare preponderante e decisamente ricco di conseguenze nella composizione della giudeo-lingua di Livorno. È infatti

128 Per approfondimenti si rimanda al paragrafo §1.1.

129 L.FRATTARELLI -FISCHER, Tipologia abitativa degli ebrei a Livorno nel Seicento, cit., p.584.

130 Ivi, p.599.

131 Fortis e Zolli, riferendosi al ruolo del ghetto nella formazione del giudeo-italiano, inquadrano la natura dell’ambiente in cui si attua questo processo, secondo coordinate interpretative valide anche per il giudeo-livornese:“[…] il ghetto non inteso in senso solamente fisico, come recinto coatto, con il suo complesso di restrizioni e le sue leggi discriminanti, ma soprattutto come forma distinta di “civiltà”, nella quale una specifica componente religiosa, unita e tradizionali elementi etnico-culturali, è giunta a creare una sensibilità e un modo di vita del tutto particolari” (U.FORTIS E P.ZOLLI, La parlata

palese che il peso degli apporti iberici132, mediterranei e gergali

transnazionali abbia conferito al bagitto una fisionomia ben precisa nel panorama linguistico giudeo-italiano. In particolare, le importanti relazioni tra Livorno e tutte le comunità sefardite del Mediterraneo, prolungatesi nei secoli successivi ben oltre il primo insediamento di ebrei portoghesi e spagnoli, svolsero un ruolo decisivo in favore dell’acquisizione di queste immissioni lessicali.

Premesso ciò, per poter parlare di giudeo-lingua, secondo alcuni studiosi, sarebbe condizione indispensabile una rete di interazione sociale parzialmente chiusa e un conseguente differenziamento degli indicatori sociolinguistici: ciò provocherebbe un atteggiamento sociale dell’ethnos

ebraico in grado di riflettersi sotto forma di discontinuità linguistica133.

In realtà, l’assenza di una reale separazione sociale della comunità ebraica livornese dal resto della città non ha impedito la formazione di una vera e propria giudeo-lingua, almeno per un certo periodo storico. Del resto, come ricorda Mancini134, nel caso del giudeo-italiano i tradizionali fattori

esplicativi della segregazione e del separatismo religioso sono insufficienti a spiegare la formazione e la storia delle varietà giudaiche della penisola.

Detto questo, l’elemento etnoreligioso come fattore di coesione identitaria a livello linguistico non deve essere assolutamente sottovalutato: Angelo Beccani, autore del primo saggio storico-linguistico sul giudeo-

132 La forza di questa componente ha permesso al Beccani di definire ancora nel 1942 “di tipo giudaico-spagnolo” il dialetto degli Ebrei di Livorno (A.BECCANI, Contributo alla conoscenza del dialetto

degli Ebrei di Livorno, in “L’Italia Dialettale”, vol. XVIII, 1942, pp.189-202, p.189).

133 M. MANCINI, Sulla formazione dell’identità linguistica giudeo-romanesca tra tardo medioevo e

rinascimento, cit., p.58.

134 Ivi, p.59. Relativamente al giudeo-romanesco, Mancini sostiene che il distacco tra dialetto giudaico e dialetto comune sia da ritenersi cronologicamente anteriore alla ghettizzazione (M.MANCINI,

Sulla formazione dell’identità linguistica giudeo-romanesca tra tardo medioevo e rinascimento, cit., p.96).

livornese e della prima raccolta lessicografica, nel 1942 si esprimeva così al riguardo:

“Tuttavia la pertinacia di tradizione, caratteristica di tutti gli ebrei, l’uso delle pratiche religiose, la tendenza a rifuggire dalla comunione con altri consorzi hanno lasciato in vita molte voci e costrutti per cui il “bagito” livornese vive ancora con caratteri ben distinti”135.

2.1. Il 2.1. Il 2.1. Il

2.1. Il bagittobagittobagittobagitto e la parlata giudeo e la parlata giudeo e la parlata giudeo e la parlata giudeo----livornese: prospettiva diacronica e livornese: prospettiva diacronica e livornese: prospettiva diacronica e livornese: prospettiva diacronica e questione terminologica

questione terminologica questione terminologica questione terminologica

Passando all’analisi storico-linguistica, la specificità della realtà affrontata pone alcuni problemi di denominazione che meritano, a nostro avviso, maggiore approfondimento. La ricerca di soluzioni terminologiche, anche se provvisorie e parziali, non può essere evasa se l’intento è quello di muoversi concettualmente senza confusioni tra le manifestazioni linguistiche dell’arco cronologico preso in esame.

Il confisso ‘giudeo-’ seguito dall’aggettivo toponimico sembrerebbe adeguato a definire la varietà giudaica di Livorno, collocandola all’interno di un determinato continuum omoglottico secondo principi di natura sociologica136. Ammettendo temporaneamente questo termine, occorre

tuttavia rilevare che i parlanti giudeo-livornese hanno impiegato un glottonimo specifico per indicare la propria varietà substandard, e lo fecero in un periodo storico conclusosi da tempo, ma che comunque si protrasse

135 A.BECCANI, Saggio storico-linguistico sugli ebrei a Livorno, cit., pp. 1-11, p.3.

136 M. MANCINI, Sulla formazione dell’identità linguistica giudeo-romanesca tra tardo medioevo e

probabilmente per più di due secoli. Ora, questo “traguardo” di coscienza linguistica, mai raggiunto altrove in Italia neanche nelle importanti e antiche comunità di Venezia e Roma137, nel caso di Livorno non ci sembra

francamente imputabile a spinte interne di matrice identitaria sul piano etnico-religioso. Mancano di fatto i presupposti storici e culturali per interpretare la forza e la vitalità di questa varietà giudeo-italiana sulla base di fattori in qualche modo assimilabili alla cosiddetta “giudaicità” così come è stata definita dal Weinrich138, concetto del resto difficilmente applicabile al di

fuori del mondo ashkenazita139.

Non è infatti chiaro, in realtà, se l’uso del termine bagitto sia un autoglottonimo, oppure sia invece da attribuire ai non ebrei di Livorno con scopi denigratori o comunque non positivi. Le fonti tacciono al riguardo, siano esse orali o scritte; a complicare il quadro si aggiungono i dubbi che ancora persistono tra gli studiosi circa l’etimologia stessa della parola e il suo significato.

In attesa della scoperta di materiali chiarificatori e testimonianze esplicative al riguardo, possono solo essere avanzate supposizioni a margine. In generale, si può affermare che sono state più volte attribuite connotazioni semantiche negative a questo termine, sia da parte di ebrei che di non ebrei, ed anche gli informatori consultati in questa indagine, come si vedrà più avanti, fondamentalmente non si discostano da questo giudizio. In sostanza, il parlar bagitto - e dunque l’esser bagitti, come la “Giuditta” della Betulia

137 Fortis e Zolli hanno evidenziato questo aspetto in U.FORTIS E P.ZOLLI, La parlata giudeo-veneziana,

cit., p.13, n.1.

138 M.WEINRICH, “Yidishkayt” and Yiddish: on the impact of religion on language in Ashkenazic jewry

(1953), ora in “Readings in the sociology of language”, a cura di J. A. Fishman, The Hague, Paris 1970, pp. 382-413, p.394.

139 Cfr. M.MANCINI, Sulla formazione dell’identità linguistica giudeo-romanesca tra tardo medioevo e

Liberata - significava essere identificati ad un gruppo sociale collocato in basso dal punto di vista diastratico. Questo aspetto ha influito nel dibattito sul significato dell’etimo iberico bajito a favore della spiegazione avanzata da Guido Bedarida, secondo cui il “basso” in questione indicherebbe lo status socio-culturale dei parlanti140, ipotesi cautamente ripresa da Massariello

Merzagora141, e sostenuta nuovamente in una recente pubblicazione a

carattere divulgativo sull’argomento142. L’opinione di Bedarida, certamente

autorevole, rischia tuttavia di essere fuorviante: concepire il bagitto

semplicemente come un socioletto è un’operazione riduttiva e lontana dalla realtà. È infatti noto che esso venisse parlato anche nelle famiglie altolocate, e che fosse conosciuto e compreso anche da esponenti della media e alta borghesia. Del resto sarebbe ingenuo credere che intellettuali come Guido Bedarida, Mario della Torre e Gabriele Bedarida, certamente non appartenti al “basso popolo”, abbiano scritto in e sul bagitto esclusivamente sulla base di nozioni acquisite indirettamente grazie al proprio interesse per il folclore e non sulla base di personali competenze linguistiche pregresse profondamente radicate nella tradizione familiare e comunitaria. Ovviamente, negli ambienti più alti, l’uso del giudeo-livornese per ragioni di prestigio sociale e culturale era limitato e non pubblico.

Fatta questa premessa, il glottonimo potrebbe essere un’invenzione maturata attorno all’altra grande funzione comunicativa espletata dal giudeo- livornese: quella criptico-gergale. Primo Levi, riferendosi al giudeo- piemontese, descrive efficamente questo aspetto:

140 G.BEDARIDA, Il gergo ebraico-livornese, cit., p.82.

141 G.MASSARIELLO MERZAGORA, Giudeo-italiano: dialetti italiani parlati dagli Ebrei d'Italia, in Profilo dei

dialetti italiani a cura di M. Cortelazzo, vol. XXIII, Pacini, Pisa 1977, p. 55.

142 Il riferimento è a P.FORNACIARI, Fate onore al bel Purim. Il bagitto, vernacolo degli ebrei livonesi,

“La funzione dissimulativa e sotterranea, di linguaggio furbesco

destinato ad essere impiegato parlando dei gojim in presenza dei gojim, o anche per rispondere arditamente, con ingiurie e maledizioni da non comprendersi, al regime di clausura da essi instaurato”143

L’uso del bagitto come lingua furbesca per non farsi intendere dagli estranei, per difendersi e per garantire l’identità del gruppo, appare più marcato rispetto ad altre varietà giudeo-italiane, se non altro per la quantità di lessico incorporato dai gerghi dei malviventi, degli ambulanti e dei girovaghi. In questo senso l’etimo bajito dovrà essere allora interpretato a livello semantico come un riferimento alla segretezza e all’intimità della comunicazione: da qui il riferimento alle espressioni andaluse hablar bajito o

cantar bajito proposte da Franceschini144.

Ragionamenti di questo tipo non debbono tuttavia ispirare una visione del giudeo-livornese come rigido indicatore etnico-religioso: sono numerose e antiche le testimonianze che sottolineano la diffusione della varietà anche

143 P.LEVI, Il sistema periodico, cit., pp. 8-9.

144 F. FRANCESCHINI, Giuditta veneziana e bagitta nella Livorno del primo Ottocento, in Sul filo della

scrittura. Fonti e temi per la storia delle donne a Livorno, a cura di L.FRATTARELLI FISCHER E O.VACCAI,PLUS,

PISA 2005, pp.569-70.

Spingendo questa interpretazione oltre i limiti imposti dalle informazioni a disposizione, può essere ipotizzata logicamente un’origine non propriamente interna del glottonimo. Si immagini una situazione comunicativa che potrebbe essere stata abbastanza frequente per l’epoca: un gruppo di non ebrei entra in contatto con un gruppo di ebrei dialoganti, che, per varie ragioni, decidono di abbassare il volume della conversazione e passare al giudeo-livornese con funzione gergale. È possibile che il segnale di avviso interno al gruppo utilizzato per la commutazione linguistica e intonazionale fosse proprio una messaggio del tipo sopra descritto contenente la parola bajito. A questo punto il gruppo di non ebrei o di non parlanti la varietà avrebbe recepito la suddetta formula come ultimo input

decifrabile prima di essere esclusi dal flusso comunicativo. Episodi di questo tipo avrebbero potuto ispirare l’identificazione della parola bajito con la varietà giudeo-livornese da parte di non ebrei, che in seguito avrebbero italianizzato la denominazione in bagitto. Ciò spiegherebbe in parte il rifiuto o l’indifferenza degli stessi ebrei livornesi per il glottonimo, che raramente viene considerato autoglottonimo con convinzione e senso di identità (solo Bedarida lascia trapelare in un passo questa inclinazione: G.BEDARIDA, Il gergo ebraico-livornese, cit., p. 78).

tra non ebrei. Sembrerebbe, a proposito, ancora una volta la funzione gergale ad aver favorito il passaggio di lessico ed espressioni alla popolazione cristiana145.

Questa fase storico-linguistica, quella del bagitto come varietà autonoma, ricco di olofrasi iberiche, diffusosi in un periodo in cui lo spagnolo e il portoghese erano ancora lingue vitali, dovrebbe essere scissa - almeno a livello terminologico - da una fase successiva in cui la varietà dialettale degli ebrei livornesi, fortemente livellata sull’italiano, sul toscano e sul vernacolo livornese, ha perso progressivamente e, probabilmente, in quest’ordine gli elementi difformi sul piano morfologico, fonologico e prosodico. Ciò che si conservò fu invece un repertorio lessicale ricco di ebraismi, aramaicismi, iberismi spesso adattati, ed alcuni fonemi particolari, oltre a discrete “iniezioni” di vocaboli provenienti dai gerghi furbeschi, marinareschi, degli ambulanti e dei girovaghi.

Fatte queste considerazioni, d’ora innanzi si utilizzerà il termine bagitto

per indicare la varietà giudeo-italiana diffusa all’incirca tra il Settecento e l’Ottocento, caratterizzata da peculiarità fonomorfologiche distintive e dalla caratteristica “cantilena” nasalizzata più e più volte descritta, nonchè da una tradizione letteraria dialettale, seppur tarda e riflessa.

La varietà dialettale livornese tipica - ma non esclusiva146 - degli ebrei

livornesi, arricchita di prestiti dall’ebraico, dalle lingue iberiche e dai gerghi furbeschi con l’aggiunta di alcuni fonemi specifici provenienti dalle lingue suddette, parlata all’incirca dalla seconda metà del XIX° secolo fino al secondo dopoguerra con strascichi fino ai giorni nostri, sarà indicata con la definizione “parlata giudeo-livornese”. L’aggettivo “livornese” indica in

145 Cfr. paragrafo §4.8.

questo caso la base vernacolare sulla quale si innesta il materiale linguistico di provenienza giudaica.

Detto questo, l’individuazione dei confini diacronici delle fasi linguistiche attraversate dalla parlata degli Ebrei livornesi resta comunque un’operazione molto difficile; gli studi specifici accennano vagamente a questo problema, e le rare affermazioni a proposito sembrano fondarsi più sulla memoria personale e sulla raccolta di testimonianze che su documenti e fonti storiche.