• Non ci sono risultati.

Fase attuale

Fase attuale

Fase attuale

della

della

della

della

parlata

parlata

parlata

parlata

giudeo

giudeo

giudeo

giudeo----

*lo zottino (questo piccino) la zottina (questa piccina)

Approfondita la questione dei prestiti provenienti dall’ebraico zot è adesso possibile tornare con qualche elemento di confronto in più al problema della suffissazione anomala in –ésso dei quattro sostantivi descritta all’inizio di questo capitolo. Alla luce di ciò che stato detto finora, parrebbe dunque ragionevole supporre che in una prima fase, probabilmente cronologicamente sovrapponibile a quella della formazione del pronome

zodessa, la lacuna comunicativa della varietà sia stata colmata mantenendo la forma non adattata per il maschile (derivazione zero), e utilizzando invece per il femminile il suffisso italiano per sostantivi animati –essa. Questa scelta morfologica è confermata dalle attestazioni presenti in tutti gli studi e glossari giudeo-livornesi pubblicati e da quelli inerenti ad altre varietà giudeo-italiane che sono stati consultati. Nello specifico, l’adattamento dell’ ebraico bia‘al è stato attestato solo nel glossario giudeo-romanesco pubblicato da Crescenzo Del Monte nel 1955: maschile bàngkal o bàngkade e femminile bangkaléssa292. Per l’adattamento di ġannab, invece, Beccani

registra nel glossario giudeo-livornese del 1942 la sola forma femminile, ġanavevssa293, mentre Guido Bedarida utilizza nei sonetti giudaico-livornesi

del 1956 il maschile gannàv e il femminile ganavessa294; infine Maria Modena

Mayer include nella raccolta lessicale giudeo-livornese del 1979 la forma maschile, ganàv e quella femminile, ganavessa295. L’ebraico mešummad è

inserito da Guido Bedarida nei mediante due allomorfi, entrambi maschili,

mesciumàd e mesciummàd; il femminile, al contrario del plurale

292 C.DEL MONTE, Sonetti giudaico-romaneschi. Sonetti romaneschi. Prose e versioni, cit., p.638.

293 A.BECCANI, Contributo alla conoscenza del dialetto degli Ebrei di Livorno, cit, p.8.

294 G. BEDARIDA, Ebrei di Livorno. Tradizioni e gergo in 180 sonetti giudaico-livornesi, cit.,

rispettivamente p.16 e p.22.

mesciummadìm296, non è attestato. Umberto Fortis e Claudio Zolli nello

studio pubblicato nel 1979 sulla parlata giudeo-veneziana riportano invece le due forme distinte in base al genere: mesumàd e mesumadésa297.

Relativamente al panorama giudeo-italiano, nessun altro testo riporta per i suddetti prestiti ebraici forme derivate composte mediante morfemi del tipo

ésso o simili, se si esclude un’unica rilevante eccezione, sebbene semanticamente lontana: la forma ganavieso, attestata a Venezia da Fortis e Zolli con il significato di ‘furto’298. La questione dell’attestazione di forme

adattate dal sostantivo inanimato ebraico mamon mediante i suffissi –éssa ed –ésso sarà trattata più avanti separatamente, a causa delle implicazioni semantiche che ne derivano. Sia sufficiente sapere in questa fase dell’analisi che non è attestato in letteratura nessun prestito adattato proveniente dal suddetto etimo.

In una seconda fase linguistica più recente, la parlata giudeo-livornese, orientata verso l’adeguamento e il livellamento dialettale, avrebbe prodotto le relative forme maschili applicando la normale flessione nominale in –o ai sostantivi rideterminati sul femminile mediante suffissazione, in modo da abbandonare gli originali ebraismi non adattati per il maschile, poco consoni al sistema fonomorfologico del toscano parlato a Livorno e dell’italiano.

Anche se già sostenuta da argomentazioni di un certo calibro, l’ipotesi di una formazione recente di questo gruppo di sostantivi dalla morfologia bizzarra a partire dalla forma rideterminata sul femminile mediante suffisso non può ancora essere data per scontata. Almeno in linea di principio, possono infatti essere vagliate altre interpretazioni possibili del fenomeno,

296 G. BEDARIDA, Ebrei di Livorno. Tradizioni e gergo in 180 sonetti giudaico-livornesi, cit.,

rispettivamente p.184, p.12, p.169 e p.163.

297 U.FORTIS E P.ZOLLI, La parlata giudeo-veneziana, cit., p.298.

partendo dal presupposto che le fonti scritte a disposizione per le ricerche sul lessico giudeo-livornese siano da considerarsi in qualche modo viziate dall’approccio ‘purista’ e autocensorio dei parlanti nei confronti degli ebraismi adattati. A ciò si aggiunga che, allargando la prospettiva, la riconosciuta tendenza giudeo-italiana alla scarsa deformazione dell’elemento ebraico lascia protendere verso l’idea di un’origine non popolare dell’inserzione dell’ebraico299. Questo atteggiamento culturale, già affrontato

in precedenza, impedirebbe a informatori e autori di palesare certe forme adattate, optando al loro posto per ebraismi non adattati, anche se meno usuali e familiari. Secondo questa visione, che al di là della fattispecie analizzata contiene certamente elementi di verità, esisterebbe dunque un

bagitto canonizzato dalla letteratura dialettale, livellato sull’ebraico, figlio, per così dire, del folclore erudito, e un bagitto orale non controllato, adatto alla strada e all’intimità delle pareti domestiche, non edulcorato e sempre teso alla funzionalità, ricco di curiosi adattamenti e varianti volgari che storpierebbero senza troppi riguardi i prestiti provenienti dalla “lingua sacra” degli ebrei. Troppo lontane dagli ambienti della ricezione culturale, nel corso degli anni, e forse dei secoli, l’insieme delle varianti che formerebbero questo livello dialettale più profondo ed esclusivamente orale potrebbero non aver lasciato alcuna traccia di sé nella letteratura e negli studi lessicografici. In questa ottica non si potrebbe escludere a priori per gli ebraismi adattati in –

ésso una formazione originale remota nel tempo, slegata da rapporti di subordinazione cronologica alla fase morfologica che ha imposto l’uso del suffisso –éssa come marca di genere femminile. Considerare il morfema ésso

un vero e proprio suffisso giudeo-livornese inesistente nella morfologia

derivativa dell’italiano e del toscano implica tuttavia il ricorso all’interferenza di elementi morfologici o morfosintattici allogeni per spiegare il fenomeno. Dal vaglio delle varietà linguistiche che storicamente hanno contribuito alla formazione del bagitto e di quelle con le quali la comunità ebraica livornese è stata in contatto possono scaturire alcune ipotesi possibili. Considerando la pressochè totale assenza di attestazioni e basi concrete a sostegno dei teorici scenari etimologici che saranno delineati, le ipotesi storico-grammaticali soggiacenti saranno accennate brevemente più per aumentare il grado di complessità analitica del quadro generale che per fornire interpretazioni plausibili del fenomeno.

a) Ipotesi dell’origine iberica

I sostantivi suffissati in –ésso potrebbero costituire l’ultimo stadio di adattamento di alcune costruzioni morfosintattiche importate dalle lingue iberiche, in seguito cristallizzatesi nell’uso. Ad esempio, sono fortemente diffuse nel castigliano parlato alcune formule sintattiche finalizzate a trasmettere enfasi dimostrativa, le quali avrebbero potuto produrre in epoca remota tra i sefarditi ispanofoni di Livorno costruzioni del tipo *el ganàv ese, *la bangàl esa, *el mamòn eso. Successivamente, questi sintagmi sarebbero passati dal morente spagnolo dei sefarditi alla parlata giudeo-livornese, subendo una fusione tra la componente lessicale e la componente pronominale e dando vita a sostantivi di nuova formazione dotati di flessione nominale.

Come è stato già accennato, l’unica attestazione in ambito giudeo- italiano relativa ai quattro sostantivi composti dal morfema –ésso forniti dagli informatori è la voce ganavieso (‘furto’), accompagnata dal plurale ganaviesi

per ‘ruberìe’, attestata da Umberto Fortis e Claudio Zolli nella parlata giudeo- veneziana300. Si potrebbe dunque ipotizzare l’ingresso e l’acquisizione del

termine dalla parlata giudeo-veneziana: un fenomeno di interferenza dialettale con successivo passaggio a sostantivo animato e conseguente spostamento semantico, provocato dai significativi rapporti migratori, economici e culturali tra gli ebrei di Venezia e di Livorno. Nei capitoli introduttivi è stato illustrato il ruolo fondamentale della componente ebraica di origine italiana nel processo di formazione della parlata degli Ebrei livornesi301: Venezia, assieme a Ferrara e Ancona, fu tra le città di

provenienza della maggior parte di essi302. A ciò si aggiunga che anche la

cosiddetta lingua franca degli scali del Levante303, conosciuta a Livorno e

parlata dagli ebrei livornesi, contiene elementi provenienti dal dialetto veneziano304; infine si ricordi che fu proprio un dotto rabbino veneziano, il

medico David Nieto, ad inaugurare il secolo d’oro della cultura ebraica a Livorno305. Il peso di questi contatti si riflette anche nel lessico: poco meno

di metà dei vocaboli contenuti nel glossario ricavato dal corpus di dati linguistici alla base del presente lavoro è attestata con forme diverse anche

300 U.FORTIS E P.ZOLLI, La parlata giudeo-veneziana, cit., p.197.

301 Per approfondimenti si rimanda al paragrafo §2.1 del presente lavoro.

302 Cfr. P.FORNACIARI, Fate onore al bel Purim. Il bagitto, vernacolo degli ebrei livornesi, cit., pp. 32-

34.

303 Cfr. paragrafo §1.2.5.

304 Per approfondimenti si veda la bibliografia indicata in F. FRANCESCHINI, Livorno, la Venezia e la

letteratura dialettale. Incontri e scontri di lingue e culture, cit., nota 55; H.KAHANE,R.KAHANE E A.TIEZTE,

The Lingua Franca in the Levant: Turkish nautical terms of Italian and Greek origin, cit.; P.FRONZAROLI,

Nota sulla formazione della lingua franca, cit.; G.CIFOLETTI, La lingua franca mediterranea, cit..

nella parlata di Venezia. È interessante notare che anche nella parlata giudeo-veneziana, fortemente influenzata dagli apporti degli ebrei ispanofoni che si stabilirono nella città lagunare306, il sostantivo ganavieso rappresenta

un caso isolato di derivazione morfologica, ancora di più che in giudeo- livornese: non sono presenti nella raccolta redatta da Fortis e Zolli altri sostantivi dotati dell’anomalo morfema. Il fatto che il lessema si riferisca ad un sostantivo inanimato potrebbe ricollegare l’origine di questa parola all’ipotesi iberica precedentemente esposta: in spagnolo, infatti, eso è un pronome neutro usato per indicare referenti inanimati privi di connotazione sessuale.

c) Ipotesi dell’origine meridionale

Cassuto ipotizzò l’esistenza di un fondo dialettale centro-meridionale, comune a tutte le comunità ebraiche, irradiatosi dall’Italia centrale e meridionale in tutta la penisola a partire dal XV° secolo307. Questa koiné

centro-meridionale si sarebbe diffusa anche verso il nord, in territori dialettali toscani, gallo-italici e veneziani, formando la base delle parlate giudaiche delle singole comunità, in seguito modificatesi sotto l’influsso delle parlate locali, ma conservanti fino ad epoca recente molti dei caratteri originari308. Questa tesi, che ha suscitato notevole interesse tra gli studiosi,

ma anche numerose e motivate perplessità309, è stata ripresa da Terracini nel

306 P.FORNACIARI, Fate onore al bel Purim. Il bagitto, vernacolo degli ebrei livornesi, cit., p.33.

307 U. CASSUTO, La tradizione giudeo-italiana per la traduzione della Bibbia, estr. da Atti del I

Congresso nazionale delle tradizioni popolari, Firenze, Rinascimento del libro, 1930, pp. 114-121, e ID., Saggi delle antiche traduzioni giudeo-italiane della Bibbia, in “Annuario di studi ebraici”, I, 1934-

35, pp.101-134.

308 U.CASSUTO, Saggi delle antiche traduzioni giudeo-italiane della Bibbia, cit., pp.107.

sottolineare la presenza di relitti meridionali nella fonomorfologia del giudeo-ferrarese310. Ai fini dell’ipotesi di un’origine meridionale dei

sostantivi giudeo-livornesi in –ésso è interessante l’uso dei pronomi personali eso, esi nella parlata di Ferrara, e in particolare l’attestazione di esclamazioni del tipo beati esi!311 Ancora una volta è chiamata in causa una

delle città maggiormente coinvolte nel popolamento della comunità ebraica di Livorno. A ciò si aggiunga inoltre che il giudeo-romanesco, così come il romanesco più arcaico, presentano come pronome di III° persona singolare esso, essa, essi e che in molti testi giudeo-romaneschi antichi è attestato l’uso del suffisso –ezze312. Questi elementi permettono di interpretare

l’attestazione di ebraismi in -ésso come l’ultimo stadio di adattamento di un remoto processo di cristallizzazione operante su sintagmi contenenti forme pronominali meridionali, a partire da costruzioni modellate sull’esclamazione giudeo-ferrarese come *ganàv eso! o simili313.

Oltre all’assoluta mancanza di attestazioni di forme intermedie, possono essere mosso diverse obiezioni contro ognuna delle tre ipotesi etimologiche appena descritte.

Per iniziare, non gioca certamente a favore dell’ipotesi dell’origine iberica il fatto che al momento non vi sia alcuna fonte documentale che

310 B. TERRACINI, Residui di parlate giudeo-italiane raccolti a Pitigliano, Roma, Ferrara, in “Rassegna

Mensile di Israel”, vol. XVIII, 1951, n. 1 pp. 311, n. 2 pp. 63-72, n. 3 pp. 113-121, p.277. 311 Ivi, p.282.

312 M. MANCINI, Sulla formazione dell’identità linguistica giudeo-romanesca tra tardo medioevo e

rinascimento, cit., p.100-101. Anche Beccani accenna a una “tenue influenza”, “relativamente recente” del giudeo-romanesco sulla morfologia del giudeo-livornese (A. BECCANI, Saggio storico-linguistico

sugli ebrei a Livorno, cit., pp. 1-11, p.9).

313 Se questa ipotesi potesse essere suffragata da ulteriori elementi, potrebbe essere allargata anche alle forme giudeo-veneziane ganavieso e ganaviesi, in quanto la diffusione delle varianti provenienti dalla koiné centro-meridionale avrebbe interessato anche la comunità ebraica di Venezia.

testimoni l’uso giudeo-livornese di pronomi spagnoli quali ese, esa, eso, eso,

esas, o delle loro ipotetiche derivazioni italianizzate esso, essa, essi, esse. Prima di immaginarne un’eventuale cristallizzazione legata a sostantivi animati, sarebbe infatti opportuno e ragionevole rinvenire qualche traccia di un anteriore impiego autonomo e libero del gruppo pronominale allogeno, come prova dell’effettiva esistenza delle componenti morfologiche chiamate in causa. A ciò è doveroso aggiungere che un’ipotesi etimologica del genere non risulta essere mai stata avanzata neanche relativamente ad altre varietà giudeo-italiane.

La seconda ipotesi, che imputerebbe ad interferenze dialettali giudeo- veneziane l’esistenza di certe soluzioni morfologiche, ruota esclusivamente attorno all’attestazione di un sostantivo analogamente adattato. In realtà nessun elemento oggettivo lascia pensare che il ganavieso giudeo-veneziano si sia formato antecedentemente al nganavesso giudeo-livornese. Non si comprende inoltre perché questo modello derivazionale, che in giudeo- livornese continua ad essere produttivo operando su vari prestiti dall’ebraico, dovrebbe originare da una attestazione isolata del morfema nel giudeo- veneziano, oltrettutto con diverso apporto semantico.

La terza ipotesi, che vede queste formazioni lessicali affondare le proprie radici etimologiche in una supposta koiné dialettale centro- meridionale, desta perplessità analoghe a quelle relative all’ipotesi dell’origine iberica. Le fonti giudeo-livornesi non documentano infatti l’uso di meridionalismi per la categoria pronominale. I vecchi bagitti, così come gli odierni parlanti, a giudicare dai testi e dalle testimonianze orali, sembrano trovarsi perfettamente a proprio agio con il sistema dei pronomi dimostrativi propri del toscano e del vernacolo livornese.

Oltre alle singole obiezioni, tutte le teorie che si basano sull’interferenza morfologica allogena in epoca remota cozzano poi con l’esistenza di alcune varianti di nganavésso che dimostrano la realtà dell’uso dialettale del maschile ganav, mettendo in crisi l’idea di fondo della ripresa colta degli ebraismi non adattati per celare le forme maschili adattate. Tali varianti dimostrano infatti che i parlanti nel corso degli anni hanno modificato per l’uso parlato certi prestiti a derivazione zero mutuati direttamente dall’ebraico mediante l’epitesi più o meno vistosa di materiale fonetico.

La prima variante allomorfa è stata fornita direttamente da uno degli informatori:

GP1934: ladro: nganavù, o nganavésso

La seconda invece è ganavèrre, annoverata tra le voci di un folcloristico ma discretamente attendibile dizionario del vernacolo livornese314:

““““ganavèrreganavèrreganavèrreganavèrre: il lèmma ormai caduto in disuso, è di sicura origine labronica, anche se [...] generato da una radice giudaico spagnola ganav (ladruncolo) [...] “A te ganavérre...” si diceva, per traslato, anche al ragazzino di buona famiglia di cui con benevolenza si voleva rimarcare qualche piccola braverìa”

Nel primo caso, all’etimo gannab (‘ladro’) è associato anetimologicamente il suffisso ebraico astratto –ut, in modo da formare un ebraismo uscente con una sillaba tonica che non ne muta il significato ma

314 G.MARCHETTI, Il Borzacchini universale. Dizionario ragionato di lingua volgare, anzi volgarissima

che ne facilita l’esecuzione. Lo stesso modello di adeguamento eufonico è stato seguito dai parlanti per il sostantivo o aggettivo animato cażżirù

(‘cattivo, persona malvagia’), che deriva etimologicamente da hkazirut

(‘porcheria’), ma che assume invece il significato di hkazir (‘porco in senso figurato, riferito a persona’).

Nel secondo caso invece ciò che è importante sottolineare è che l’ebraismo ha avuto evidentemente una diffusione talmente profonda da essere percepito dalla lessicografia dialettale come facente parte del vernacolo livornese. La forma lessicale rispecchia un prassi di adeguamento fonetico dei forestierismi uscenti in sillaba chiusa tipica sia della fonetica del dialetto pisano-livornese che della parlata giudeo-livornese, e cioè l’epitesi di una ‘e’ eufonica finale con raddoppio della consonante315. Il bisogno di

coniare questa ulteriore variante dialettale “livornesizzata”, lascia pensare che all’epoca della sua diffusione non si fosse ancora formato l’allomorfo maschile nganavesso, poiché in caso contrario, vista la facilità di pronunzia, i cosiddetti goìm avrebbero optato per esso senza necessità di altri adattamenti a partire da ganàv. Riguardo a ganaverre, resta da capire perché la comunità dialettofona abbia optato per un esito morfologico di questo tipo e non per una forma del tipo *ganàvve, effettivamente più prevedibile. Probabilmente l’inatteso risultato finale dipende dalle influenze collaterali di termini simili al milanese ganivèll316 (‘sbruffone, mariuolo’) o al tedesco

ganfer317 (‘ladro’), penetrati a Livorno attraverso il gergo dei vagabondi, dei

malviventi e degli ambulanti.

L’ipotesi finora più realistica, ossia l’origine recente degli ebraismi in –

315 Un esempio tra i più frequenti: bàrre per ‘bar’.

316 G.LIUZZI, Il gergo della mala, Libreria Milanese, Milano 2005, p.80.

ésso realizzata mediante un semplice cambio di vocale a partire dalle già esistenti forme rideterminate sul femminile -essa, è rafforzata in ultima istanza da alcune rilevanti osservazioni di ordine semantico e culturale. Come è stato già accennato relativamente all’analisi del pronome dimostrativo

zodessa, il suffisso –essa, quando durante il secolo XIX° si è diffuse nella lingua italiana, oltre a marcare il genere femminile serviva anche a dotare il sostantivo derivato di una connotazione dispregiativa. Il fatto che sostantivi come nganavéssa (‘ladra’) e masciumadéssa (‘convertita, atea’) identifichino figure femminili negative dal punto di vista morale ed etico si inserisce in maniera coerente con il clima culturale che ha caratterizzato dal punto di vista linguistico l’uso di questo morfema derivazionale nel corso dell’Ottocento. La forma femminile del terzo sostantivo fornito dagli informatori non fuoriesce da questo schema storico-linguistico, anzi vi aderisce con una certa precisione: l’essere chiamata bangadessa, ovvero ‘padrona’ solo in quanto moglie del vero padrone, il ba’al, poteva assumere la stessa sfumatura di dileggio e disprezzo che investì in italiano le analoghe versioni femminili dei nomi di ruoli e professioni di appannaggio tradizionalmente maschile. In questo senso, il meccanismo linguistico è simile a quello descritto da Levi in riferimento alla parola giudeo-piemontese

havertà:

“«Havertà» è voce ebraica storpiata, sia nella forma che nel significato, e fortemente pregnante. Propriamente è un’arbitraria forma femminile di Havèr = Compagno, e vale “domestica”, ma contiene l’idea accessoria della donna di bassa estrazione, e di credenze e costumi diversi, che si è costretti ad albergare sotto il nostro tetto”318

Il quadro non può dirsi completo senza l’analisi del quarto sostantivo,

mammoésso, fornito da RL1921 e DL con il significato di ‘prezzo’ o ‘valore’, la cui analisi come si vedrà sposta definitivamente la valutazione conclusiva a favore dell’ipotesi di una formazione recente e innovativa dei quattro lessemi uscenti in -ésso. La radice etimologica di questo termine è l’ebraico mamon, ‘patrimonio’, etimo che nel corpus raccolto da’ origine secondo gli informatori a ben quattro termini distinti per forma o per significato; sono elencato qui di seguito accompagnati dai singoli contesti di attestazione.

1)mamò con il significato di ‘prezzo, valore (di una cosa)’:

RL1921: l prèzzo d'una còsa.. è ccóme... mamò

2)mamò con il significato di ‘genitale maschile’:

RL1921: mamò e mamoéssa vuól dire la natura dell'uòmo e ddélla dònna

CB1967: péne: mamò, mamò. nzò se llo sai

DL: la cioncia, l mamò.

3)mamoéssa con il significato di ‘genitale femminale’:

RL1921: mamò e mamoéssa vuól dire la natura dell'uòmo e ddélla dònna

DL: la cioncia è lla mamoéssa

4) mammoésso (o mamoésso) con il significato di ‘prezzo, valore (di una cosa)’

I: il prèzzo? di una hòsa?

RL1921: il prézzo di una hòsa .. éeh come

DL: mamoésso!

RL1921: mamò. mamò

DL: dàbera l mamoésso

RL1921: dàbera, dabera l mamò

DL: costa di più!

RL1921: mammoésso, come dire, mammoésso vuòl dire che ccòsta di più

I: Ah. dàbera l mammoésso vuol dire ..

RL1921: dàbera l mammoésso perché ccòsta di più, di quéllo

La mole dei dati linguistici a disposizione permette di tirale le fila della