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Sul detto comune “La salute è la cosa più importante”

In quest’ultimo capitolo, cerco di tessere una tela tra concetti, idee, intuizioni, critiche, confutazioni e modifiche che ho elaborato finora, aggiungendo nuove considerazioni. Esplorando la rete di connessioni ne uscirà qualcosa di diverso, piuttosto che qualcosa di nuovo: i lineamenti di una base alternativa per una teoria politica normativa che è debitrice delle teorie dei filosofi indagate in questo lavoro e ne costituisce un progressivo sviluppo.

Le teorie della giustizia hanno bandito dal proprio vocabolario la parola “salute”. Esse, infatti, si preoccupano di distribuire diritti, risorse economiche, libertà civili e politiche, opportunità, ma nessuna si occupa di salute in modo specifico. Per indagare un determinante sociale della salute che è la distribuzione di assistenza sanitaria, ho analizzato il nesso comune tra i bioetici che si occupano maggiormente di questioni distributive e i filosofi politici. Nel terzo capitolo ho analizzato le ipotesi pionieristiche azzardate da alcuni filosofi che hanno cercato di applicare le teorie della giustizia alla distribuzione di assistenza sanitaria, proponendo alcune congetture. Il contributo più importante in tal senso è l’attività di ricerca di Daniels, indagata nel quarto capitolo.

Il filosofo politico Lawrence Becker accortosi dell’assenza della salute nelle teorie della giustizia, sostiene che ci si è dimenticato il proverbio del senso comune secondo il quale “La salute è la cosa più importante” e dovrebbe, invece, essere considerata un interesse

indipendente e autonomo al pari delle altre questioni di giustizia587. È difficile attribuire alla

salute un ruolo secondario rispetto agli altri beni588. Ciò è dovuto al fatto che avere una buona,

non perfetta, salute è anche un modo per accedere e utilizzare gli altri beni e diritti. Sen, che ha dato rilevanza alla salute all’interno dell’approccio delle capacità, scrive: «Possiamo fare

davvero poco se siamo disabili o costantemente afflitti da malattie, o se siamo morti»589. Per

questo motivo la salute è una questione di giustizia sociale, non solo giacché è collegata alle opportunità o al benessere, ma in quanto strettamente legata alla libertà sostanziale e reale

587 L.C.BECKER, Habilitation, Health, and Agency. A Framework for Basic Justice, Oxford University Press,

Oxford 2012, p. 20.

588 Ivi, p. 20.

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delle persone, non ai talenti. Il proverbio del senso comune di cui sopra, che è in armonia con l’affermazione seniana, non è banale né debole, giacché mostra una credenza condivisa che è forse il modo migliore per trovare un consenso o accordo fra gli individui in fatto di salute, a prescindere dal pluralismo delle loro concezioni del bene e dal disaccordo ragionevole tra queste. Il senso comune rende chiara non solo una credenza condivisa, ma una sapienza che non corrisponde alla δόξα intesa come opinione fallace. Il detto comune rafforza la sua verità

e validità poiché, per usare un’espressione di Giulio Preti, ha un’efficacia pragmatica590.

Quest’ultima fa esplodere la forza di una teoria incentrata sul rapporto tra salute e giustizia sociale.

“La salute è la cosa più importante”: quando è nato il detto comune? Chi l’ha detto per primo? Credo che il detto comune renda evidente un noi (in senso non comunitaristico), che ha le sue radici profonde nel costituzionalismo contemporaneo. Non è una sapienza antica in quanto, come visto nel secondo capitolo di questo lavoro, Walzer ha messo in evidenza che nell’Ottocento si dava preminente importanza alla cura delle anime, rispetto al corpo. Dunque, penso che il proverbio sia il portato della nascita di uno stato democratico e di diritto. Infatti, la prima Costituzione che formulò una lista di diritti sociali protetti dallo stato fu quella di Weimar nel 1919 che rappresentò il modello ispiratore per i paesi dell’Europa continentale dopo la Seconda guerra mondiale. Il problema filosofico-politico è cercare una giustificazione per il detto comune che in tale capitolo mi accingo ad argomentare. La questione, poi, dell’estensione verso una teoria globale ci espone a una sfida ardua. Infatti, guardando alle diverse concezioni di salute qua e là per il mondo sembra complicato trovare un nucleo

comune da condividere591. Tuttavia, la questione di una diversa teoria che tratti come suo

argomento peculiare la salute delle società occidentali deve trovare una giustificazione per il

detto comune592.

Discutendo il prezioso lavoro di Daniels, ho proposto la seguente definizione di salute: la salute è un set di funzionamenti tanto elementari quanto complessi, ma è anche un ideale cui una giusta società tende per continua approssimazione. L’idea di salute come ideale deriva

590 G.PRETI, Praxis ed empirismo, Prefazione di S. Veca, Postfazione di F. Minazzi, Bruno Mondadori, Milano

2007, p. 77.

591 Ho affrontato la diversità delle concezioni della salute mostrando le difficoltà di una visione universale di

salute nel mio P. RUSSO, Diritti, salute e distribuzione di risorse. Forme occidentali e africane, in A. CAMMARATA (a cura di), Chi dice universalità? I diritti tra teoria, politica e giurisdizione, L’Ornitorinco,

Milano 2011, pp. 193-215.

592 Va notato che il detto comune come spesso accade è radicale o meglio radicalizza e assolutizza un concetto. Il

mio intento non è dire che la salute è il più importante bene sociale rispetto ad altri beni, ma semplicemente aggiungere la salute come bene di pari rilevanza e importanza per la giustizia sociale.

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dalla constatazione che, a mio avviso, non è un argomento “pratico” come opposto ad “astratto”. Le semplici dicotomie non fanno vedere la complessità della realtà e delle argomentazioni filosofiche. La salute è semplicemente un tema reale quanto ideale. Ciò vuol dire che in una società gli individui aspirano ad avere una buona salute in quanto è un bene di bisogno necessario, ma abbiamo mai visto una società nella quale tutte le ineguaglianze relative alla distribuzione sanitaria, all’accesso alle cure, e alle complesse ineguaglianze in materia di salute, sono eliminate? La salute è forse la più ideale delle questioni filosofiche e le risorse, come quelle destinate all’assistenza sanitaria, sono scarse. Quali siano di volta in volta le forme variabili che riempiono di contenuto il set dei funzionamenti che costituisce la salute, non è così importante da precisare e definire. La mutevolezza (e perciò stesso, la vaghezza) delle forme appartiene alla contingenza storica, sociale, etica, culturale e naturale. Tuttavia, da tale contingenza si possono sottrarre le categorie di salute e malattia che come per le categorie del giusto e dell’ingiusto non sono separate, giacché coabitano nel medesimo spazio: si susseguono a vicenda, perché dove vi è l’uno vi è anche l’altro. La salute diventa, quindi, un bene di bisogno necessario e non contingente, perché astratto dalla mutevolezza delle forme dalle quali è possibile, però, ricavarne il concetto o l’idea: la salute è un ideale di una giusta società. Tale criterio permette di essere vaghi, ma così facendo si è in grado di rispettare le innumerevoli concezioni che le persone possiedono di salute e malattia e la molteplicità delle forme assunte nel tempo. La vaghezza non è un male per le teorie della giustizia. Il pluralismo delle concezioni del bene degli individui può convergere nella mia definizione di salute che individua un criterio molto ampio e perciò inclusivo e completo che può essere utilizzato anche per disegnare un modello di giusta distribuzione di assistenza sanitaria che è uno dei fattori sociali che influisce sulla salute di un popolo. Sarà così preservato il carattere ideale tipico dei discorsi filosofici, ma non sarà annullato il carattere reale: la salute diventa un fatto ideale. Il proverbio secondo il quale “La salute è la cosa più importante” è un’ottima base per formulare un accordo tra gli individui in quanto credenza condivisa e sapienza nascosta: filosofia e senso comune possono convivere in quanto la prima interroga il secondo, cercando per esso una giustificazione che il senso comune di per sé non dà e non dice. In altre parole, il senso comune non si stupisce, la filosofia sì. Poc’anzi ho accennato che vi è salute solo laddove vi è malattia, elaborando un’analogia con le categorie di giustizia e ingiustizia. Sostengo che non solo la salute è un argomento di giustizia sociale, ma che è possibile proporre un’analogia tra giustizia-salute e ingiustizia-malattia. Su questo terreno filosofico mi accingo a lavorare nel presente capitolo per formulare una base alternativa per una teoria della

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giustizia normativa con al centro la salute. Si tratta di elaborare i lineamenti generali e incompleti di un discorso utopico, ma reale perché orientato alla prassi, cioè del come potrebbe o dovrebbe essere una società giusta che si occupi di salute come argomento autonomo, e in modo specifico, della distribuzione di health care, costituendo quest’ultima un tassello di una più generale e possibile teoria, ovvero quella che ho chiamato Una teoria della giusta salute. Per società giusta intendo il set di istituzioni che dovrebbe essere disegnato secondo principi di giustizia. L’analogia è questa: come la giustizia si occupa di ingiustizia che è il suo centro nevralgico, la salute che rappresenta un ideale al pari della giustizia, si dedica alle malattie o meglio ai malati che danno vita allo spazio dell’ingiustizia. Se la giustizia si fa guidare dall’ingiustizia, la salute si fa guidare dai casi più ingiusti che rappresentano i più svantaggiati. Se per la giustizia rawlsiana lo spazio dello svantaggio sociale è formato dall’indice dei beni primari, lo svantaggio in fatto di salute in Una teoria della giusta salute è costituito dai soggetti più malati che rappresentano i casi più ingiusti. Il paradigma di Daniels e quello di Rawls si sono rivelati inadeguati per trattare i casi ingiusti. Questo è il paradosso della teoria di Daniels ed è per questo che non è una base promettente per una teoria politica normativa. Il problema, a mio parere, nell’applicare fedelmente le teorie della giustizia all’health care consiste proprio nell’applicazione coerente e perfetta di tali teorie, siano pure estensioni. Non si capisce bene se il fine di applicare una teoria della giustizia sia la perfetta coerenza o qualcosa di diverso. Infatti, con l’applicazione coerente si perde di vista lo stesso contenuto di ciò che si vuole applicare. L’obiettivo di una teoria della giustizia incentrata sulla salute è proprio la giusta salute, non il perfezionismo applicativo. Quest’ultimo contraddice pure lo scopo della giusta salute. La base per un discorso utopico alternativo alle precedenti teorie, nel presente capitolo è limitato esclusivamente al rapporto tra giustizia e assistenza sanitaria, apportando delle argomentazioni che provano a giustificare l’esigenza di Una teoria della giusta salute. Questa base nel tempo potrebbe essere ampliata includendo il rapporto tra giustizia e determinanti della salute. Ho cercato, però, di distinguere queste due prospettive. La filosofia morale e politica serve anche a questo: a cercare instancabilmente chiarezza nella confusione dei concetti filosofici che si utilizzano. Per il momento, i tratti di un discorso utopico sono ristretti al rapporto tra giustizia e distribuzione di assistenza sanitaria. Con quale nome si potrebbe chiamare l’abbozzo di siffatta teoria? utilitaristica? libertaria? comunitaristica? pluralistica o contrattualistica? Direi che poiché nessuna di esse si interessa di salute come argomento fondamentale e le applicazioni si son rivelate insufficienti, sarebbe meglio non far rientrare una simile teoria in una prestabilita o

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tradizionale. Ogni teoria della giustizia, infatti, riflette una visione del mondo e di una società giusta dalla quale la salute è stata esclusa. Le applicazioni portate avanti dai filosofi non fanno altro che rafforzare il non visto e il non detto nelle teorie della giustizia, giacché la salute è stata data per scontata e ovvia. Perché? Il mio lavoro ha cercato di porre le domande, interrogando quest’ovvietà. La mia ricerca muove da un quesito centrale che è il seguente: qual è la teoria migliore per trattare il rapporto tra salute e giustizia sociale? La mia risposta è: nessuna. E dico nessuna in quanto le stesse teorie lo dicono. E come lo dicono? Ho sottoposto le teorie della giustizia e le teorie applicative a un test articolato in quattro domande, giacché lo scopo è stato quello di scavare nelle domande e far emergere l’inadeguatezza delle offerte filosofiche. Poiché le teorie sono troppo strette e le applicazioni suonano come delle forzature, allora c’è bisogno di una diversa teoria che dia rilevanza esclusivamente alla salute. Nella ricerca di un nome da dare a siffatta teoria mi sono ispirata al titolo dell’opera di Daniels Just Health, ma non alle argomentazioni in essa contenute, e ho deciso di chiamarla, come nominato fin dall’inzio del mio lavoro, Una teoria della giusta salute. Una base alternativa per una teoria normativa vuole essere una teoria indipendente e autonoma dalle altre con al centro l’eguaglianza e la libertà delle persone e il loro costante sviluppo e protezione da parte delle istituzioni. Lavorare su una tale teoria vuol dire chiarire i suoi presupposti e contenuti che sono incompleti e tutti da elaborare, verificare, decostruire e revisionare. Più ci si avvicina alla fine di questo lavoro, più si è di nuovo punto e daccapo: è solo l’inizio.