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Domande di giustizia e risultati conseguiti

Il tentativo del mio lavoro è elaborare Una teoria della giusta salute. Le domande di giustizia fondamentali che mi pongo per raggiungere questo scopo sono quattro:

(1) quale valore attribuire alla salute?

(2) quale principio o principi di giustizia scegliere? (3) quali ineguaglianze sono giuste?

(4) qual è la giusta distribuzione di risorse sanitarie?

Un modello di teoria della giustizia è chiamato a rispondere a tali questioni centrali. Le teorie della giustizia prese qui in esame hanno dato risposte diverse alla prima e, in parte, alla seconda domanda. Quest’ultima condiziona fortemente anche le risposte al terzo e al quarto quesito. Per costruire un modello distributivo ho dovuto procedere per gradi attraversando, grazie a questa Pars destruens, i limiti e i meriti delle teorie della giustizia. Nel primo capitolo, ho trattato l’utilitarismo e in questo secondo capitolo il libertarismo, il comunitarismo e il pluralismo, operando una rete di connessioni tra filosofi politici e bioetici.

Il libertarismo di Nozick e di Engelhardt ammette un diritto alle prestazioni sanitarie solo sulla base della solvibilità degli individui ed esclude la possibilità di una discussione filosofica su una giusta distribuzione di risorse sanitarie, e conseguentemente non ipotizza un modello di teoria distributiva per l’health care. Buchanan, invece, si colloca a metà strada tra il libertarismo e una teoria della scelta collettiva fondata, però, sulla nozione di beneficenza imposta, escludendo la possibilità di un diritto al decent minimum di health care. Il suo approccio di mercato, dunque, non auspica la costruzione di un modello di giusta salute. Il comunitarismo di Sandel si connota per una forte critica al mercato, ma non offre principi per una teoria della giustizia se non i valori identitari validi all’interno di una comunità. Il comunitarismo, tuttavia, disegna i confini di un noi distinto da un loro e individua, in tal modo, una sorta di “nemico sociale”. Quest’ultimo s’identifica a volte col mercato, altre volte con il progresso medico e altre ancora con i desideri delle persone. Non è una teoria che offre una possibilità di condivisione sul giusto.

La ricerca ha condotto finora a buoni risultati. Infatti, Williams, Walzer e Callahan, seppur con diverse argomentazioni, muovono da un dato fondamentale: la salute è un bene di bisogno. L’analisi di Williams non si spinge fino a distinguere tra bisogni e desideri, ma

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considera l’health care un diritto per tutti, non preoccupandosi, però, di come distribuirlo in modo sistematico. Va notato che l’articolo di Williams è pionieristico e radicale e lo riprenderò spesso nella seconda parte del mio lavoro, perché è fonte d’ispirazione. Walzer non considera la salute, un diritto, ma ritiene che sia un bene di necessità storico e culturale all’interno di una comunità. Secondo Walzer, non è possibile fornire una scala dei bisogni, perché essi cambiano nel tempo e sono culturalmente determinati. Tuttavia, il bisogno può essere un principio distributivo per una teoria della giustizia per l’assistenza sanitaria, ma occorre, una qualche teoria politica normativa. Infatti, per ora si può accettare questa definizione: la salute è prima di tutto un bene primario, per utilizzare un’espressione di Rawls e non i suoi argomenti, e poi un bene sociale. Quindi, anche il pluralismo di Walzer sembra non essere adeguato. Callahan approfondisce la distinzione tra bisogni e desideri. Questa differenza è, da un lato, un merito, dall’altro, un limite. È un merito, giacché una teoria della giustizia assume come uno dei suoi principi distributivi il bisogno, anziché il desiderio. Non penso, però, che per far ciò occorra una rivoluzione culturale, come invece sostiene Callahan. Infatti, si potrebbe chiedere: siamo disposti a farla? Su quali basi normative possiamo aderire? C’è un consenso collettivo su qualche principio di giustizia? Non penso si possa avallare la proposta di Callahan di cambiare il concetto di salute, la pratica medica e il valore che attribuiamo alla vita. La sua offerta è fin troppo esigente, in quanto propone la priorità del bene sul giusto. Per accettarla, dovremmo condividere una medesima concezione del bene. Ancor di più, la rivoluzione portata avanti da Callahan potrebbe rivelarsi una sorta di utopia perfetta “alla rovescia”, giacché dice alle persone come dovrebbero essere, come dovrebbero guardare alla salute, come dovrebbero pensare. Così, per combattere contro la perfezione Callahan si ritrova davanti al medesimo nemico.

Una teoria distributiva muove dai bisogni, ma ovviamente non tutti i bisogni sono diritti. Il passaggio dal bisogno al diritto non è automatico, come le teorie della giustizia (soprattutto libertarie), fin qui considerate invitano a tener conto. È vero, come afferma Williams, che occorre un’eguaglianza effettiva di distribuzione dei diritti. Per il bene health care, la decisione sulla priorità dei bisogni provoca un conflitto costante e difficile da superare. Tuttavia, Una teoria della giusta salute necessita di un criterio indipendente che specifichi una distinzione tra bisogni e desideri per distribuire risorse sanitarie sulla base dei bisogni delle società occidentali. Nel concetto multidimensionale di salute possono rientrare anche i desideri. Ciò non è un male in sé come invece pensa Callahan. Il punto è che i bisogni devono diventare la priorità sociale e politica del sistema sanitario che è un’istituzione sociale

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ed economica, la distribuzione di assistenza sanitaria è l’elemento fondamentale e i principi di giustizia dovrebbero essere basati su una scelta giusta. La differenza tra bisogni e desideri impone una riflessione non culturale alla Callahan, ma filosofico-politica basata sul significato del termine necessità. Per l’health care è decisivo, giacché l’assistenza sanitaria non può essere distribuita sulla base dei desideri individuali. La differenza sostanziale, a mio avviso, tra il bisogno e il desiderio è come segue: il primo rivela uno stato di limite e necessità che ci fa parlare di impotenza; invece, il secondo tende a crescere illimitatamente e attesta non tanto il limite, bensì l’onnipotenza. Il desiderio può essere anche un bisogno, ma il bisogno

non è il desiderio in quanto non può essere scelto165. Ci troviamo davanti a due tendenze

opposte. È l’impossibilità della decisione, cioè il bisogno, che fa scattare la questione della scelta delle istituzioni giuste che possiamo e dobbiamo scegliere. La medicina estetica è, dunque, da escludere nel modello di giustizia da me pensato perché interessa i desideri, non i bisogni. L’uso della genetica per scopi non terapeutici è sicuramente una sfida, ma non mi pare un problema urgente dato che il vero dilemma nei paesi europei e negli Stati Uniti è rappresentato dall’accesso all’assistenza sanitaria di base e dalla tendenza alla crescente privatizzazione.

Credo che una teoria della giustizia centrata sul rapporto tra giustizia e salute debba permettere alle persone di poter scegliere il loro piano di vita nel tempo e faccia parte a pieno titolo della giustizia sociale, piuttosto che essere un semplice discorso sul welfare. Una teoria distributiva ha come obiettivo la giusta assistenza sanitaria. Il problema diventa distributivo e con ciò, dunque, politico. Una teoria della giusta salute cerca principi normativi sulla base di una giustificazione etica e politica che finora le teorie della giustizia non hanno ben messo in luce, ma hanno evidenziato, al contrario, la problematicità di poter giungere a una siffatta elaborazione teorica.

165 Questa osservazione deriva dall’ascolto delle parole di Salvatore Natoli in occasione della sesta edizione della Scuola estiva di alta formazione in filosofia “Giorgio Colli”, tenuta a Roccella Jonica dal 19 al 23 luglio 2015.

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Parte Seconda:

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Capitolo Terzo

Assistenza sanitaria, giustizia ed eguaglianza: congetture sulle ipotesi

pionieristiche