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LA PARTNERSHIP DOPO L’UNDICI SETTEMBRE

IL DIALOGO TRA CULTURE

Il Dialogo all’interno della partnership, come già accennato, fu posto in risalto all’indomani dell’11 settembre dagli Stati europei e dalle Istituzioni Comunitarie. L’obiettivo era quello di raggiungere una maggiore comprensione reciproca e dunque di rinforzare la fiducia fra i partner.

Tale scelta, inoltre, si configurava come l’unica alternativa praticabile tra il messaggio di violenza veicolato dagli estremisti islamici e l’approccio militare degli Usa. In effetti, benché il terrorismo islamico fosse conosciuto in Occidente32, l’emergere di un’organizzazione terroristica internazionale costituiva un fattore nuovo ed inquietante che allargava al mondo intero il raggio d’azione dell’estremismo islamico33, galvanizzando ancor più alcune frange radicali nel mondo arabo. Gli Stati Uniti, invece, guidati da una classe politica neoconservatrice34, della quale anche il presidente Bush era espressione, si

32 Cfr Capitolo I, Le minacce alla sicurezza

33 Al Qaeda si differenziava dai gruppi terroristici già esistenti come Hamas, Hezbollah o Le Group

Islamique Armé: questi erano legati a specifiche nazioni, sia perché vi avevano le loro basi sia per il contenuto delle loro rivendicazioni. Eventuali azioni fuori da quei territori, erano comunque legate a vicende interne agli Stati di origine. Al Qaeda invece si ricollegava ideologicamente alla Jihad, intesa come lotta per la difesa dell’Umma da parte di attori stranieri. Quest’ideologia si sviluppò ulteriormente durante il conflitto afgano degli anni 80, poiché fungeva da motivazione ideologica per i combattenti mujaheddin contro il nemico sovietico. Tale impostazione ideale trovò però altri scenari simili come Bosnia Erzegovina, Caucaso, Kosovo, regioni in cui le comunità musulmane vivevano momenti di difficoltà. Per coloro che credevano nella Jihad, si prospettava quindi una sorta di “Jihad nomadica”, che li avrebbe coinvolti in un conflitto perpetuo per la difesa della Umma. Fu su queste basi ideologiche che Al Qaeda nacque, raggruppando organizzazioni estremiste con basi in altri Stati islamici: nel 1992 fu redatta la “Declaration of the World Islamic Front for Jihad against the Jews and the Crusaders”, alla quale aderirono gruppi asiatici ed egiziani (proprio i gruppi egiziani ebbero un ruolo importante nell’accellerazione del fenomeno di globalizzazione). Il carattere globale fu evidente con gli attentati rivendicati dal Al Qaeda nel 1998 presso le ambasciate americane nell’Africa dell’Est (Kenya e Tanzania). Per una ricostruzione storica più completa si veda George Joffé, Global Terrorism, Euromesco 30, Maggio 2004

34 I neoconservatori americani occuparono posizioni di rilievo sia politiche, come il consigliere per la politica

estera John Wolfowitz, sia nei più alti gradi dell’amministrazione, come il vicepresidente Dick Cheney o il segretario alla difesa Donald Rumsfeld. Per essi, gli Stati Uniti, in quanto unica potenza mondiale, erano legittimati ad agire nella protezione del loro interesse anche in maniera unilaterale, facendo valere la propria supremazia economica e militare. La risposta che Bush dette agli attentati era in linea con queste teorie: l’America avrebbe combattuto i terroristi ovunque si trovassero, ed i primi bersagli divennero così gli “Stati Canaglia” che potevano offrire basi d’appoggio ai gruppi estremisti. In questa “Guerra al Terrore” senza quartiere, l’America rivendicava un ruolo di nazione guida e l’appoggio incondizionato dei propri alleati (con un forte discredito per chi non l’avesse fatto), affermando una visione imperiale, ma coerente con il pensiero neo – con. In Giuseppe Mammarella, Europa e Stati Uniti dopo la Guerra Fredda, Bologna, Il Mulino, 2010, pagg. 83 – 122.

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impegnarono in una “Guerra al Terrore” che dall’Afganistan li avrebbe poi condotti in Irak35 e, più in generale, coinvolti in una battaglia contro l’islamismo politico36.

Per l’Europa non fu semplice destreggiarsi tra questi due estremi ideologici, dietro ai quali si trovavano due importanti riferimenti storici e politici per il Vecchio Continente: gli Stati Uniti con il loro peso storico recente e l’Islam che, per secoli, aveva costituito l’antagonista e il Diverso, ma anche uno dei principali interlocutori, degli Stati europei37. Non deve quindi stupire che molti Stati tennero un atteggiamento ambiguo o oscillante tra l’appoggio americano e la ricerca di un dialogo. Un caso assai evidente è quello italiano: il governo Berlusconi sposò l’approccio militaristico e securitario di Bush38 sostenendone il giudizio sulla civiltà islamica39. Allo stesso tempo però, il governo italiano si impegnò, durante la presidenza di turno dell’Unione Europea nel secondo semestre del 2003, per la partnership mediterranea. In ottobre, il ministro Pisanu organizzò a Roma una conferenza che poneva al centro il dialogo interreligioso nell’area mediterranea40, mentre in dicembre a Napoli, in occasione della Conferenza Euro – Mediterranea, i partecipanti si espressero in maniera

35 Per quanto riguarda l’Iraq, i neo – conservatori mostrarono idee chiare ben prima di dichiarargli guerra nel

2003. In una lettera inviata a Clinton il 26 gennaio 1998, i principali esponenti del gruppo neo – con mettevano in guardia da un pericolo esiziale per l’America e situato in Medio Oriente: Saddam Hussein, il quale era sospettato di possedere armi di distruzione di massa. Già allora si individuava nella destituzione di Saddam, tramite azione militare, l’unico rimedio a tale minaccia. Ivi pagg. 89 – 90.

36 Joseph A. Camilleri (2008) Europe between Islam and the United States: interests, identity and geopolitics,

Global Change, Peace & Security, 20:1, pagg. 9-24, pag. 17.

37 Ivi, pag. 12

38 Rilevante fu la firma da parte di otto Paesi europei (Danimarca, Italia, Polonia, Portogallo, Regno Unito,

Repubblica Ceca, Spagna, Ungheria) de La Lettera degli Otto, il 30 gennaio 2003. In tale documento si ribadiva la preoccupazione di non dividere l’Europa dagli Stati Uniti e l’appoggio all’uso della forza per il rovesciamento del regime di Saddam Hussein. In Europe and America must stand united, Times, London, 30 gennaio 2003

39 Famosa è rimasta l’affermazione di Berlusconi, nella quale dichiara la superiorità della civiltà occidentale.

Egli adduceva come prova il livello di sviluppo economico e la garanzia dei diritti umani, civili e politici, che si registrano in Occidente, opponendoli al sottosviluppo dei paesi arabi. In Attacco mirato senza vittime né civili, La Repubblica, 26 settembre 2001.

40 Il titolo della Conferenza “Inter - faith dialogue: factor of social cohesion in Europe and peace instrument

in the Mediterranean area” si tenne il 30 e 31 ottobre a Roma. Nel documento finale sono riaffermati i valori della libertà di pensiero e di religione, il rigetto dell’estremismo e il valore del dialogo come strumento per i giovani affinché evitino gli errori del passato. In Council of the European Union, Statement on inter - faith dialogue and social cohesion, 15983/03, Brussels 10 dicembre 2003. Tale conferenza fu però rilevante perché mostrava l’interesse dei ministri nazionali della Giustizia e degli Interni (che presero parte alla conferenza) per la questione del dialogo, in gran parte sostenuta dalle istituzioni comunitarie.

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definitiva per la creazione della Fondazione Euro – Mediterranea, con l’Italia desiderosa di ospitarne la sede41.

Va detto, però, che furono le Istituzioni comunitarie a impegnarsi maggiormente nelle politiche per il Dialogo. Esse sembravano meno condizionate dal fornire risposte alla “emergenza sicurezza”, su cui invece si incentravano gli sforzi degli Stati membri. Soprattutto era differente l’approccio adottato dalle massime cariche europee, in particolare l’esplicito rifiuto delle teorie civilizzazionali, così come ebbe ad affermare Chris Patten, Commissario per le Relazioni esterne tra il 1999 e il 2004. Egli giustificava con altre argomentazioni la distanza tra mondo arabo e Occidente:

« (…) The problem seems to be rather simpler. The Arab world does not mind American and European values, but it cannot stand American policies and by extension the same policies when embraced or tolerated by Europeans. So the Arab world holds very negative opinions of the United States and the United Kingdom (even while holding, according to the same survey, positive views about American freedom and democracy). Why is the U.K. in this pit of unpopularity? Partly I suppose because of what we are seen to do, and partly

because of what we are silent about. (…)»42

Inoltre, si era consapevoli delle profonde differenze culturali che intercorrevano tra i membri stessi dell’Unione, le quali avevano determinato l’aspetto plurale e tollerante dell’Europa:

41 Isabel Schäfer (2007) The Cultural Dimension of the EuroMediterranean Partnership: A Critical Review

of the First Decade of Intercultural Cooperation, History and Anthropology, 18:3, pagg. 333-352, pag. 349.

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« The European idea was based on the firm determination to make sure the Europe of the future would be different -- a Europe of peace, tolerance and respect for human rights. A Union of diversity where differences are accepted and perceived as enriching the whole. I have called the Europe we are building a "Union of minorities". A Union where no single national, ethnic, religious or cultural component can lord it over the others. Because all Europe's components -- be they cultural, religious, ethnic or national -- are entitled to equal dignity. I want us to take the title of today's Seminar seriously. We must ensure the Europe we are building is a true "Union of diversity". That is the Union we are

building.»43

Prodi in quest’occasione parlava della comunità ebraica, ma le sue parole avevano una valenza più ampia e dipengevano un’Europa nella quale poteva trovare posto la comunità islamica che vi risiede. Tali dichiarazioni contrassegnavano, forse per la prima volta, la volontà di cercare un reale confronto con i musulmani stabilitisi sul Vecchio Continente. Il dialogo con l’Islam, nell’ottica europea, non era rivolto solo ai paesi musulmani, ma anche verso quella fascia di popolazione immigrata stabilmente che preservava i tratti della propria cultura d’origine.

Naturalmente, sia per gli Europei che per i musulmani, impegnarsi in un Dialogo fruttuoso significava prima di tutto comprendere o delineare la propria identità44, per poi lasciare campo libero alla fondazione di un patrimonio e di un linguaggio comuni. Nei fatti, l’approccio tra queste due culture era segnato da pregiudizi e stereotipi derivanti da secoli

43 Romano Prodi, A Union of minorities, SPEECH/04/85, Brussels, 19 febbraio 2004

44 Secondo Bachtin, la sicurezza sulla propria identità costituisce la base di un confronto chiaro, capace di

creare contenuti innovativi. Infatti, solo la chiarezza sul proprio sé permette l’accettazione dell’altro e la discussione. In Michelle Pace (2005) Imagining Co-presence in Euro-Mediterranean Relations: The Role of ‘Dialogue’, in Michelle Pace, Tobias Schumacher (eds), Conceptualizing cultural and social dialogue in the Mediterranean area: a European perspective, London, Routledge, 2007, pagg. 13 – 34, pag. 18.

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di lotte e antagonismi, ma anche di studio reciproco45, e tutti avevano contribuito alla affermazione di identità denominazionali 46. Da parte europea, esse sono esemplificabili nelle dicotomie ragione-laicità/religione, modernità/arretratezza Illuminismo/fondamentalismo, da parte araba invece l’Occidente è visto come dominatore sia economico che culturale e le sue azioni sono interpretate come lesive o offensive dell’autonomia arabo – musulmana47. Tali immagini favorivano “una logica del rigetto

dell’Altro” e “un narcisismo delle piccole differenze”48, e alimentavano un processo di

affermazione della propria identità sempre in opposizione a quella dell’altro49, impedendo una reale riflessione sul sé. Gli Europei avrebbero dovuto riconsiderare, ad esempio, il ruolo del Cristianesimo nella costruzione dell’identità occidentale50, una questione che

45 Mi riferisco a quella corrente di studi, nata in Occidente durante il diciannovesimo secolo, chiamata

Orientalismo. Tale disciplina era volta alla ricerca di informazioni sulle società e i paesi orientali più che a un loro effettivo studio, determinando una reinterpretazione delle conoscenze acquisite alla luce della visione del mondo europea (eurocentrismo). Dunque questo filone di studi mancava di uno spirito prettamente scientifico, determinando spesso rappresentazioni fuorvianti. In opposizione a tale corrente di pensiero vi è quella dell’Occidentalismo, nata nei paesi del Terzo Mondo come filone di studio sulla decolonizzazione, all’interno di un percorso di autonomizzazione del colonizzato. In particolare, gli intellettuali dei paesi colonizzati sviluppano un punto di vista proprio e non occidentale sui fenomeni socio – politici che interessano i loro paesi. Sebbene sia riconosciuta validità scientifica a questi ultimi studi, essi non sono immuni dal creare stereotipizzazioni dell’Altro. In Hassan Hanafi, From Orientalism to Occidentalism, in Kirsi Henriksson, Anitta Kynsilehto, Bulding peace by intercultural dialogue, Occasional Paper 97, Tampere, Tampere Peace Research institute, 2008, pagg. 257 – 267

46 Alicia Mira Abad & Mónica Moreno Seco (2007), Religion and Politics in the Mediterranean: An

Historical Perspective, History and Anthropology, 18:3, pagg. 275-290, pag. 298

47 La diffidenza araba verso l’Occidente deriva dal passato coloniale, dal presente neo coloniale, dalle

politiche maggiormente filo israeliane degli Usa, sule quali gli Europei sono a volte silenti. Da ultimo, si può citare lo stanziamento di truppe americane su suolo saudita, ritenuto offensivo per la sovranità di tale Stato arabo e irrispettoso nei confronti dei siti sacri di La Mecca e La Medina. Infine, devono essere citati gli interventi militari contro Stati musulmani.

48 Traugott Schoefthaler, Challenges in assuring the Dialogue between Cultures, Forum dal titolo European

Dialogue and interactions between cultures, Helsinki, 5 aprile 2006

49 Bichara Khader, Hacia un nuevo diálogo cultural euromediterráneo, Papeles Internacional 91/2005, pagg.

103 – 115, pag. 105

50 Tale questione è piuttosto interessante, poiché richiama il contrasto tra religione e laicità, un cleavage di

primaria importanza nella storia europea contemporanea. In particolare, alcuni studiosi sottolineano che tale conflitto ha visto percorsi e soluzioni differenti, suggerendo l’esempio della Spagna franchista. In quella realtà, il cattolicesimo era considerato un tratto fondamentale dell’ispanità ed era posto a guardia della società spagnola contro gli influssi della modernità, ritenuta estranea alla cultura iberica. Quest’impostazione richiama quella di alcuni Stati o attori politici arabi che vedono nella religione il più forte antidoto alla modernità. Ma la vicenda spagnola è interessante per un altro motivo che può essere comnpreso osservando il processo di transizione democratica. Quel momento politico mostra che è possibile mutare gli equilibri politici e culturali di un paese a favore della modernità, soprattutto grazie all’azione delle forze sociali. Tale articolo, inoltre, suggerisce che la presunta unità europea sui valori illuministi e moderni non sia monolitica, come altri studiosi sostengono. In Alicia Mira Abad & Mónica Moreno Seco (2007) Religion and Politics in the Mediterranean: An Historical Perspective, History and Anthropology, 18:3, pagg. 275-290, pagg. 278 - 284

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l’avvio delle trattative per l’accesso della Turchia riportò in auge51. Dall’altro lato vi era l’Islam che si trovava nella necessità di dover elaborare risposte autonome alla modernità52, liberandosi dall’idea che essa fosse un processo strettamente occidentale e marginalizzando quindi le reazioni fondamentaliste. Bichara Khader esprime questo concetto molto chiaramente

« Él (Islam, ndr) también es capaz de abrirse a las nuevas ideas de libertad, de igualdad de sexos y de fraternidad entre todos los pueblos. Y precisamente porque esta modernización interna está en marcha, los integristas de toda calaña intentan desvirtuarla en un combate de retaguardia para preservar “el pedestal de la fe” y evitar “la perdición moral” de las sociedades musulmanas.

Considerar el Islam como “una religión retrógrada” y a las sociedades musulmanas como “sociedades petrificadas”, como se suele oír, no sólo es hacer alarde de desconocimiento de la historia comparada de las religiones sino, sobre todo, significa negar al Islam cualquier capacidad de adaptarse a las exigencias de los tiempos modernos. Sin embargo,

el Islam se adapta.»53

Inoltre, in questa medesima citazione si trova la più forte obiezione alla teoria dello scontro di civiltà, e cioè che le culture e le religioni sono in grado di cambiare, mentre è un errore

51 Con il Consiglio Europeo di Bruxelles del 16/17 dicembre 2004 si decise l’avvio dei negoziati per

l’accesso della Turchia. Coloro che più criticarono tale iniziativa, evidenziarono che il paese aveva una cultura islamica (il commissario al mercato interno Fried Bolkestein), oppure dubitarono del suo impegno per i valori della democrazia e della laicità (il commissario all’agricoltura Franz Fischler). In Sara Silvestri (2005) EU Relations with Islam in the Context of the EMP's Cultural Dialogue, in Michelle Pace, Tobias Schumacher (eds), Conceptualizing cultural and social dialogue in the Mediterranean area: a European perspective, pagg. 106 – 126, pag. 118

52 Joseph A. Camilleri (2008) Europe between Islam and the United States: interests, identity and geopolitics,

Global Change, Peace & Security, cit., pag. 13

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considerarle statiche, secondo una concezione tipicamente ottocentesca che sminuisce il valore creativo dei sistemi culturali, religiosi o meno54.

Aggiungerei infine che al Dialogo tra Culture soggiaceva una volontà politica chiara: il terrorismo, avvertito come minaccia da entrambe le sponde del Mediterraneo, poteva essere combattuto solo agendo insieme. Per fare ciò, una maggiore comprensione reciproca e l’accettazione di una serie di valori condivisi come quello dei diritti umani della divisione dei poteri (benché in alcuni casi accettati solo superficialmente) e del libero mercato avrebbero costituito i principi per una nuova convergenza fra mondo arabo e Occidente, alternativa a quella basata sull’intervento militare55. Naturalmente la costruzione di una tale comunanza di idee era un processo lungo che presupponeva un linguaggio comune e definizioni precise di ciò che era condiviso: un’impresa che le differenze culturali avrebbero potuto rendere ardua.

L’Assemblea Parlamentare Euro – Mediterranea

Uno degli strumenti elaborati per permettere questo Dialogo fu l’Assemblea Parlamentare Euro – Mediterranea, sulla cui costituzione si era già espressa la Conferenza di Valencia e che fu ufficializzata a Napoli nel 2003. La sessione inaugurale si tenne al Cairo il 24 e 25 marzo 2005 alla presenza dei delegati eletti nei rispettivi Parlamenti nazionali. Tale iniziativa rispondeva alla necessità di rafforzare la democraticità dei processi decisionali

54 Tale concezione ottocentesca che vedeva le culture come sistemi statici era il risultato del processo di

formazione dello Stato nazione e, dunque, della ricerca delle cosiddette “Culture nazionali”. In Traugott Schoefthaler, Challenges in assuring the Dialogue between Cultures, Forum European Dialogue and interactions between cultures, cit, pag. 2

55 Antonio Badini (2002), Cultural dialogue and coalition building in a globalised world, The International

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della Partnership, permettendo anche un più aperto confronto politico. Comprendente 240 parlamentari, divisi equamente tra le due sponde, è organizzata in comitati tematici, tra cui quello sugli Affari Politici, la Sicurezza e i Diritti umani e quello sui Diritti delle Donne56. L’Assemblea nasceva coerentemente con l’impulso già espresso nella Dichiarazione di Barcellona, nella quale si leggeva

« the European Parliament has “to take the initiative with other parliaments concerning the future Euro-Mediterranean Parliamentary Dialogue, which could enable the elected

representatives of the partners to exchange ideas on a wide range of issues.»57

Sul piano internazionale lo sviluppo di organizzazioni interparlamentari rispondeva alla necessità di garantire maggiori contatti politici, tra nazioni che intendevano procedere a forme di cooperazione regionale. Infatti, l’incontro tra parlamentari, portatori di istanze nazionali, senza però essere dei diplomatici, permetteva un confronto ed un dialogo più aperto e flessibile, i cui frutti avrebbero potuto essere usati anche in altri contesti58. Con questi intenti, a cui doveva essere aggiunta la volontà di donare una maggiore democraticità alla partnership, fu fondato il Forum Parlamentare Mediterraneo, dal quale l’EMPA deriva. Il Forum59, che si riunì per la prima volta a Bruxelles nel 1998, deliberava per consensus su risoluzioni puramente politiche e non vincolanti. Se nel primo Forum furono evitati argomenti controversi, il secondo organizzato nel febbraio 2001 fu dominato

56 In totale i Comitati sono 5. A quelli citati vanno aggiunti quello sugli Affari Economici, quello

sull’Energia, e quello dedicato alala Società civile e allo scambio culturale. In www.paufm.org/committee/index

57 Barcelona Declaration, Barcellona 27 – 28 novemmbre 1995

58 Roderick Pace, Stelios Stavridis, The EuroMediterranean Parliamentary Assembly, 2004–2008:

Assessing the First Years of the Parliamentary Dimension of the Barcelona Process, Mediterranean Quarterly 21:2, pagg. 90 – 113, pag. 94

59 Era costituito da circa 150 membri: 43 provenienti dall’EP, 54 dai parlamenti dei paesi mediterranei e altri

40 erano membri delle ambasciate presso Bruxelles di paesi della riva Sud. La sua struttura variò negli incontri successivi. In Stelios Stavridis (2002) The Parliamentary Forum of the Euro-Mediterranean Partnership: An Assessment, Mediterranean Politics, 7:2, pagg. 30-53, pag. 33

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invece dalle discussioni relative al conflitto israelo – palestinese, a cui si aggiunsero