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LA PROMOZIONE DEI DIRITTI UMANI E DELLA DEMOCRAZIA

LA PARTNERSHIP DOPO L’UNDICI SETTEMBRE

LA PROMOZIONE DEI DIRITTI UMANI E DELLA DEMOCRAZIA

I valori e gli strumenti

L’Unione Europea ha fatto della promozione dei diritti umani e della democrazia uno dei capisaldi della propria azione nel Mediterraneo, e ciò è accaduto per varie ragioni. Sicuramente vi è una radice identitaria che giustifica l’importanza che tali valori assumono nella politica estera europea, conseguente a quella posseduta sul piano interno104.

Più concretamente, l’Unione fu guidata dalla convinzione che una comunità di Stati democratici, o comunque sensibili a tali valori, avrebbe garantito relazioni internazionali basate sulla cooperazione, la solidarietà, il rispetto e l’implementazione della legalità e delle istituzioni internazionali105. La forte convinzione in tali assunti, chiamati democratic peace, nasce dagli ottimi risultati ottenuti nell’Europa Occidentale successivamente alla Seconda Guerra Mondiale che sembrano corroborare la correlazione tra democrazia e stabilità internazionale; il fine ultimo, infatti, è quello di plasmare un ambiente regionale sicuro, nel quale il naturale procedere delle relazioni tra Stati costituisca il miglior deterrente alla comparsa di conflitti106. Vorrei aggiungere, infine, che l’enfasi sulla democratizzazione era sospinta dall’esperienza degli Stati dell’Europa centro – orientale, i quali sembrarono mostrare che l’evoluzione naturale delle forme politiche convergesse verso i sistemi democratici. Tale risultato non sarebbe stato possibile senza l’apporto dell’Unione che, in questo modo, ha guadagnato maggiore sicurezza nelle proprie politiche

104 Si pensi ai criteri di Copenhagen del 1993, i quali identificano le caratteristiche basilari che uno Stato deve

avere per poter accedere all’Unione. Oltre alla conformità all’acquis comunitario e alla presenza di un sistema economico di tipo liberale, lo Stato deve mostrare la conformità ai valori della democrazia e dei diritti umani.

105 Brieg Tomos Powel (2009) The stability syndrome: US and EU democracy promotion in Tunisia, The

Journal of North African Studies, 14:1, pagg. 57-73, pag. 62

106 In realtà tali convinzioni possono risultare semplicistiche poiché anche le democrazie possono attuare una

strategia aggressiva sul piano internazionale, se condizionate da ideologie come il nazionalismo o il socialismo. In effetti la democrazia nasce per la risoluzione pacifica dei conflitti interni, dentro la polity, e tale carattere non necessariamente si traspone all’esterno della medesima. In Roberto Aliboni & Laura Guazzone (2004) Democracy in the Arab countries

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di promozione democratica, proponendole con forza anche in altre regioni come il Mediterraneo che, sebbene caratterizzato da differenze culturali e storiche più marcate, risultava sottosviluppato economicamente e scarsamente libero, come all’inizio gli Stati dell’ex Unione Sovietica.

L’altra considerazione rilevante, che spinse per la promozione dei valori democratici, afferiva al concetto di sicurezza umana107: gli individui e i popoli furono posti al centro delle politiche di sicurezza, le quali assumevano un carattere multidimensionale inglobando azioni volte allo sviluppo economico e alla difesa dei diritti umani, tra cui quelli politici. L’obiettivo era aumentare la stabilità interna dei paesi destinatari di tali politiche, evitando la possibilità di rivolgimenti sociali o politici.

Questi due concetti, pace democratica e sicurezza umana, influenzarono la Dichiarazione di Barcellona, e furono riscoperti dopo l’11 settembre quando, dopo un iniziale irrigidimento delle politiche sulla sicurezza, la promozione della democrazia e dei diritti umani fu sviluppata

«Outside Europe, we must promote good governance, human rights, democracy, as well as education and economic prosperity, through our political dialogue and assistance projects. (…) Addressing this challenge is beyond the power of governments alone. Al-Qa’ida and those inspired by them will only be defeated with the engagement of the public, and

especially Muslims, in Europe and beyond »108

107 «Human security, in its broadest sense, embraces far more than the absence of violent conflict. It

encompasses human rights, good governance, access to education and health care and ensuring that each individual has opportunities and choices to fulfill his or her potential. Every step in this direction is also a steep towards reducing poverty, achieving economic growth and preventing conflict» Kofi Annan, Workshop on Human Security, Ulaanbaatar, 8 – 10 maggio 2000.

108 Council of the European Union, The European Union Strategy for combating radicalization and

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Il terrorismo era il fenomeno da contrastare e per questo era da mettere in campo una strategia ampia, che nel coinvolgimento della società civile intravedeva la possibilità di sfidare i regimi della riva Sud, altrimenti impermeabili agli appelli alle riforme per la mancanza di strumenti di accountability che li rendessero effettivamente valutabili dal loro popolo; a ciò era da aggiungere la potenzialità delle organizzazioni civili nel diffondere i valori di cui erano promotrici. Per queste ragioni l’Unione creò due strumenti espressamenti dedicati alla società civile l’ Euro mediterranean human rights Network (EMHRN) e dello European instrument for demcoracy and human rights (EIDHR), di cui si dotò l’Unione.

L’EMHRN è un network che coinvolge 80 ONG da più di 30 paesi, e si occupa di coordinare le attività delle organizzazioni socie secondo le linee guida stabilite dalla propria Assemblea Generale109, a cui partecipano rappresentanti di tutti i membri, e che sono condensate in un Work Programme. Leggendo il Piano d’Azione 2004 – 2008, si nota che fra le attività, oltre al coordinamento, sono annoverate l’informazione sulla situazione dei diritti umani nella regione tramite reports semestrali, l’implementazione della capacità delle associazioni e la difesa degli attivisti110. Il network non è un’istituzione, ma un forum Nord – Sud, indipendente dai governi, ma senza alcuna capacità di attivare propri progetti di cooperazione, essendo il suo compito quello di aumentare l’efficacia delle attività finanziate tramite i fondi europei111. Da un punto di vista finanziario, l’Unione attivò programmi specifici come MEDA – Democracy112 per il periodo 1996 – 1998, sostituito dal 2000 con l’EIDHR che fu rinnovato nel 2006 con una dotazione annuale

109 L’Assemblea è l’organo supremo del network e si riunisce ogni tre anni. Adotta il Piano d’Azione su

proposta del Comitato Esecutivo, inoltre elegge i membri del Comitato Esecutivo e il Presidente del forum e emenda lo Statuto. Il Comitato Esecutivo, in carica per tre anni, redige il piano delle attività e quello finanziario, inoltre supervisiona le attività del Forum. In www.euromedrights.org

110 Nel 2004 è creata la Euro Mediterranean Human Rights Foundation che elargisce dei sussidi agli attivisti

per i diritti umani. In Plan of action 2004 – 2008, EMHRN, November 2003, pag. 10

111 In Plan of action 1997 - 2000, EMHRN, November, 1997, pag. 4.

112 Tali finanziamenti anch’essi erogati sulla base di un approccio bottom – up furono bloccati in seguito a

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attorno ai 150 milioni di euro113 per tutte le regioni di cooperazione, cosicché nel periodo 2000 – 2006 furono finanziati progetti nelle regioni limitrofe all’Unione, tra cui il Mediterraneo, per 116 milioni114. Una caratteristica rilevante di tali fondi è che sono rivolti ed erogati direttamente alle organizzazioni civili, senza alcuna interferenza dei governi. Infatti le organizzazioni civili possono richiedere la partecipazioni a “Progetti Globali”, gestiti dalla Commissione Europea oppure si possono avanzare proposte nella cornice dei “Microprogetti”, specifici per ogni nazione e destinati alle realtà locali, e che infatti sono gestiti dalle Delegazioni UE sul territorio115. A questi si aggiungono interventi d’urgenza, per un massimo di 10 mila euro, a favore degli attivisti in difficoltà a causa della loro attività116.

Infine, la promozione della democrazia e dei diritti umani entrò a far parte anche della Politica Europea di Vicinato117 tramite i Piani d’Azione. Essi descrivevano gli obiettivi politici che il paese partner doveva raggiungere, tra i quali la protezione dei diritti umani.

Diritti umani, mondo arabo e cultura

Alcuni studiosi hanno messo in relazione la difficoltà dell’affermarsi dei valori democratici con ragioni di tipo culturale o storico. Lo storico britannico Bernard Lewis, ad esempio, sostiene che il deficit democratico e il sottosviluppo economico sono collegati alle vicissitudini storiche di tali paesi, e da ultimo alla diffusione di forti ideali nazionalisti, a partire dal secondo dopoguerra, che portarono alla creazione di ampi apparati di sicurezza118.

113 L’EIDHR 2000 – 2006 erogava 130 milioni di euro l’anno. L’EIDHR 2007 – 2013 che cambiò nome in

European Instrument for Democracy and Human Rights aveva una dotazione di 150 milioni annui.

114 EIDHR, Promoting democracy and human rights worldwide 2000 – 2006, pag. 10. 115 In www.eidhr.eu/funding

116 Ibidem

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In realtà, gli arabi non mancarono di aderire alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, alla cui redazione parteciparono e sulla cui approvazione dettero il proprio consenso119. Successivamente, gli Stati arabi mostrarono una simile apertura verso le due Convenzioni internazionali sui diritti del 1966, che tutti firmarono e poi ratificarono, salvo poi indebolirne il recepimento interno, poiché la legislazione nazionale non fu adeguatamente modificata o fu posta resistenza ai meccanismi di controllo stabiliti dai due Trattati120. Fu con gli anni settanta che una maggiore sensibilità per i diritti umani si diffuse nel mondo arabo e parallelamente si fece strada l’idea di armonizzare tali concetti con la cultura araba. Entrambi questi fattori spinsero la Lega Araba a dotarsi di un proprio ufficio occupantesi di questi temi e a predisporre la redazione de la Carta Araba dei Diritti

dell’Uomo, adottata nel 1994121. Tale documento pare carente nella descrizione di

meccanismi per il monitoraggio del rispetto dei diritti umani, come anche sulla creazione di una Corte dei Diritti legata alla Carta122. Interessante è l’articolo 4, che subordina il rispetto dei diritti elencati alle leggi nazionali qualora sia considerato necessario per la

118 Lewis ritiene che il problema principale dei popoli arabi sia la mancanza di auto – critica,

concretizzantesi nella continua ricerca di cause esterne per spiegare il declino attuale. Egli infatti pensa che il problema non giaccia nell’influsso negativo della cultura o della religione islamica sui musulmani, quanto invece nel suo contrario: gli arabi cioè si dovrebbero chiedere “cosa abbiamo sbagliato?”, “come abbiamo fatto a rendere la fiorente cultura islamica quasi moribonda?” (stretta tra il modernismo di impronta occidentale e il fondamentalismo vagheggiante un ritorno ai tempi gloriosi). Naturalmente i regimi al potere hanno buon gioco a dare la colpa all’Occidente o ai colonialisti di un tempo, evitando così di rispondere delle loro responsabilità, Lewis afferma che delle grandi promesse del nazionalismo socialista arabo, ben poco si è realizzato, a parte la raggiunta indipendenza e il rimanere in funzione di un apparato di sicurezza repressivo. Il merito della tesi di Lewis è quello di abbandonare il determinismo culturale avanzato da altri autori. In Bernard Lewis, What went wrong?, The Atlantic, gennaio 2002

119 La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo fu approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni

Unite il 10 dicembre 1948 con il voto favorevole di 48 Stati, tra cui Egitto, Libano, Turchia, Iran e Iraq, e l’astensione di altri otto, tra cui l’Arabia Saudita.

120 In Abd Allah Ahmad Naim, Human rights in the arab world: a regional perspective, Human Rights

Quarterly, 23 - 3, agosto 2001, pagg. 701-732, pag. 710.

121 Con la risoluzione 2443/1968 fu creata una Commissione legale permanente sui diritti umani che l’anno

successivo fu incaricata di promuovere e coadiuvare l’azione a favore dei diritti umani tra i paesi della Lega. Il processo subì molte battute d’arresto e non mancarono appelli da parte della società civile, come l’appello dell’Unione giuristi arabi del 1979, da cui il percorso ripartì portando alla creazione di una bozza esaminata, ma non adottata, dal Consiglio della Lega e che successivamente fu fatta propria dall’OIC col nome di The Cairo Declaration of Human Rights in Islam. Successivamente, nel 1992, l’idea di una carta araba sui diritti umani tornò in auge, e la Commissione della Lega esaminò una bozza integrandola col parere dei governi arabi, fino a quando fu adottata il 15 settembre 1994 con la risoluzione 5437. Ivi pagg. 713 – 715.

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sicurezza dello Stato. Tale articolo, chiaramente, è coerente con l’uso diffuso negli Stati arabi della legislazione d’emergenza, imposta anche per lunghi periodi123.

Ciò che qualifica come islamico tale documento, nel cui preambolo è comunque esplicito il riferimento alle Carte Onu sopracitate a sottolineare la continuità con esse, è la forte affermazione dell’identità islamica intesa come insieme di valori e precetti ricavabili dalla Sharia, la legge divina, e dal percorso storico e culturale della civiltà araba124. Da un punto di vista culturale e religioso il mondo arabo esprimeva alcune perplessità sulla formulazione che i documenti ONU proponevano di alcuni concetti, ad esempio quello di libertà125, rendendo perciò necessaria la redazione di una Carta Araba per elaborare una propria codificazione dei diritti umani, coerente con la propria esperienza culturale. In effetti, l’idea che questi temi fossero estranei alla cultura araba è diffusa e deriva dal fatto che, sull’altra riva del Mediterraneo, essi arrivarono assieme agli Occidentali colonizzatori nella seconda metà dell’Ottocento. Ne nacque una viva discussione intellettuale, schematizzabile lungo la linea che divideva coloro che proponevano la diffusione di alcuni concetti politici occidentali come strumento per il miglioramento delle condizioni socio – economiche e politiche, e coloro che invece sentivano necessaria una riaffermazione dei

123 In Egitto esso perdurò dall’omicidio di Sadat nel 1981 fino alla fine dell’era Mubarak.

124 La carta araba si mostra maggiormente incline a coniugare la visione islamica con gli strumenti

internazionali già esistenti come si legge nel preambolo. Un approccio non universalistico è invece presente ne The Cairo Declaration of Human Rights in Islam, adottata dall’Organizzazione Islamica per la Cooperazione nel settembre 1990. In questo caso all’art. 24 si legge «All the rights and freedoms stipulated in this Declaration are subject to the Islamic Shari'ah.» e all’art. 25 «The Islamic Shari'ah is the only source of reference for the explanation or clarification of any of the articles of this Declaration». Chiaramente un tale approccio, che sottolinea l’interpretazione culturale islamica di tali argomenti, pone alcune riserve riguardo la coerenza con gli istituti internazionali. In Laura Feliu, Human Rights and the Bercalona Process, in Fulvio Attinà, Stelios Stavridis (eds), The Barcelona Process and Euro - Mediterranean Issues from Stuttgart to Marseille, cit., pagg. 67 – 95, pag. 79. Un’ulteriore carta, chiamata Human and people rights in the Arab World, fu elaborata a Siracusa nel 1986 in occasione di un congresso a cui parteciparono intellettuali e giuristi provenienti dal mondo arabo. La Carta era molto avanzata tanto da definire la tortura un reato contro il quale si poteva ricorrere giuridicamente senza alcun limite. Inoltre, erano enunciate restrizioni alla capacità dei governi di introdurre lo stato di emergenza. Tale documento rimase lettera morta. In Abd Allah Ahmad Naim, Human rights in the arab world: a regional perspective, cit, pag. 714.

125 Nell’articolo 1 della UDHR ogni individuo è dichiarato libero fin dalla nascita, senza ulteriori

specificazioni. Da un punto di vista islamico tale osservazione solleva alcune domande sull’origine di tale libertà: divina o naturale? In aggiunta, anche il godimento di tale libertà, di cui all’articolo 3, solleva alcune domande riguardo ai limiti che vi possono essere, se vi sono, e di quale natura. Per questo ed altri interrogativi Mohamed Berween (2003) International bills of human rights: an Islamic critique, The International Journal of Human Rights, 7:4, pagg. 129-142, pag. 138.

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valori islamici, in alcuni casi fino a ricercare un ritorno ai floridi momenti storici di un tempo126. Discende da questa associazione tra diritti umani/democrazia e Occidente, il rifiuto che molti oppongono a tali istituti, come anche la diffidenza verso gli operatori umanitari in tale settore, considerati in alcuni casi alla stregua di traditori o di filo – occidentali127. In realtà, nella pratica, le ONG arabe hanno quasi sempre riconosciuto l’universalità dei diritti umani e della democrazia e quindi dei documenti ONU di riferimento128. Tuttavia, gli operatori locali hanno a più riprese denunciato l’intrusività dell’Occidente e la sua tendenza all’imposizione di tali valori129.

A ogni modo, una posizione chiara sull’universalità dei diritti è stata presa proprio dai movimenti civili arabi con l’adozione de “The Casablanca Declaration of the Arab Human Rights Movement”, nella quale si afferma che

« After extensive discussions, the Conference declared that the only source of reference in this respect is international human rights law and the United Nations instruments and

declarations. The Conference also emphasized the universality of human rights»130.

In conclusione potrebbe essere utile, come suggeriscono Aliboni e Guazzone, adottare un approccio pragmatico alla promozione della democrazia, distinguendo tra le “libertà da…” e le “libertà a…”. Ciò permetterebbe, in ultima analisi, una diversa pianificazione degli obiettivi delle politiche di democratizzazione, partendo dagli elementi più facilmente universalizzabili

126 In Adel M. Abdellatif (2004) Human Rights in the Arab Mediterranean Countries: Intellectual Discourse,

Socio-Economic Background and Legal Instruments, Mediterranean Politics, 9:3, pagg. 319-343, pagg. 321 – 323.

127 In Abd Allah Ahmad Naim, Human rights in the arab world: a regional perspective, cit, pag. 726. 128 Roberto Aliboni, Common languages on democracy in the Euro – Mediterranean Partnership, Euromesco

31, maggio 2004, pag. 10.

129 Ibidem

130 The Casablanca Declaration of the Arab Human Rights Movement, adottata dalla Prima Conferenza

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«(…) conceptualize democracy as an entity composed of two distinct elements: “freedom from” and “freedom to”. The former means freedom from tyranny and consists primarily of the structural and legal means to limit and control the exercise of power. It equates with the form of liberal constitutionalism. The latter is what an empowered people “wills and demands” – that is, the actual policy contents processed through the liberal democratic political form. The liberal constitutional form – that is, the unique blend of institutions and procedures that guarantees the substantive exercise of the ‘freedom to’ – is the universally exportable element. This is because the core support for the liberal political form does not come from western concepts of individual freedom and rights but from a universal harm- avoidance aspiration (that is, to be free from harm to one’s life, health and well-being). Instead, country specific contingencies and cultural beliefs play a greater role in determining what is to be decided (that is, contents); therefore the ‘freedom to’ component of democracy cannot be the same everywhere. (…)then the respect of both components of democracy is the acid test for western efforts to promote democratization in the Arab world (…)Finally, the conceptualization of democracy as a composed entity allows for a

better approach to sequencing and timing in democratization»131.

Le condizioni e le volontà politiche

A parer mio ciò che più ha condizionato l’implementazione delle politiche europee per la promozione della democrazia e dei diritti umani, è stato il contesto politico dei paesi partner132, caratterizzato da molte limitazioni alle libertà fondamentali, fra le quali quella di associazione. Ad esso aggiungo le volontà politiche degli Stati europei che spesso hanno remato in direzione contraria a quanto stabilito nei documenti della partnership.

131 L’ipotesi esposta in questo paragrafo si trova in Roberto Aliboni & Laura Guazzone (2004) Democracy in

the Arab countries and the West, cit, pagg. 86 – 87.

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Si è già accennato che attorno agli anni settanta i paesi arabi videro un aumento della sensibilità verso i diritti umani, ed in effetti nacquero alcune organizzazioni specifiche, su base nazionale. In Tunisia nacque la Lega Tunisina per i Diritti Umani (LTDH) nel 1977, la quale tentò a più riprese di occuparsi della situazione carceraria scontrandosi con gli sviamenti messi in campo dal governo tunisino133. Una delle strategie maggiormente praticate per limitare l’attività di tali associazioni era di imporre la presenza di elementi vicini al governo o al partito unico nel consiglio direttivo. Così accadde alla LTDH che accettò tali diktat per garantirsi la registrazione presso il Ministero134. In Marocco, invece, la centralità della questione del Sahara Occidentale e il richiamo all’unità nazionale inibirono le attività delle organizzazioni esistenti135. Negli anni ’80, invece, una situazione politica differente permise la nascita della Organisation Maroccaine de Droits Humains (OMDH) nel 1988, la quale si prefisse l’obiettivo di condurre un’attività che tenesse conto anche delle realtà sociali più disagiate e lontane dalle forze politiche, limitando l’influenza