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NUOVI PERCORSI PER LA POLITICA EURO – MEDITERRANEA

LA POLITICA EUROPEA DI VICINATO

I primi anni del nuovo millennio hanno visto importanti trasformazioni per la partnership euro – mediterranea, legate principalmente alla messa in opera di una nuova cornice per l’azione esterna dell’Unione, la Politica Europea di Vicinato. Questo nuovo strumento si rendeva necessario per il mutato contesto geopolitico nel quale l’Unione Europea agiva dopo la conclusione dell’allargamento a Est, ma anche per le nuove sfide alla sicurezza.

Nel 2003, infatti, fu pubblicata la strategia di sicurezza europea dal titolo “A secure

Europe in a Better World”1, nella quale oltre ai soliti impegni per la legalità internazionale,

il controllo delle armi di distruzione di massa, e il terrorismo, ricoprivano un ruolo importante il concetto di globalizzazione e quello di Stato fallito.

« In an era of globalisation, distant threats may be as much a concern as those that are near at hand (…) Bad governance – corruption, abuse of power, weak institutions and lack of accountability - and civil conflict corrode States from within. In some cases, this has

brought about the collapse of State institutions.»2

L’interdipendenza del mondo contemporaneo, unita alla presenza di attori statali che per le loro debolezze avrebbero potuto costituire una minaccia alla comunità internazionale, sembravano essere la somma preoccupazione europea, il cui controcanto consisteva nella concessione di aiuti a Stati terzi, tramite l’assistenza finanziaria e le riforme, per l’affermazione della good governance. Questi medesimi rischi e le medesime soluzioni si

1 European Security Strategy, A Secure Europe in a Better World, Brussels, 12 dicembre 2003 2 Ivi pagg. 3 – 4

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riproponevano nel near abroad dell’Unione poiché, come è scritto in questo stesso documento, «even in an era of globalisation, geography is still important.»3.

La prospettiva sugli Stati confinanti fu esposta dalla Commissione nella comunicazione dal titolo “Wider Europe” 4, nella quale fra le conseguenze dell’allargamento a Est era annoverata la nuova posizione geopolitica dell’Europa, quella di un attore unitario confinante con aree assai diverse tra loro, dall’Europa Orientale al Mediterraneo, passando per i Balcani, il Caucaso5 e il Medio Oriente. I nuovi vicini erano per lo più caratterizzati da sottosviluppo economico e debolezza delle istituzioni democratiche, ai quali si aggiungeva la presenza di alcuni conflitti regionali6. È necessario ricordare che tali Stati erano già entrati nell’orbita europea da tempo, attraverso accordi di cooperazione come quelli siglati nel Mediterraneo all’interno del Processo di Barcellona, oppure gli Accordi di Partenariato e Cooperazione7 in essere con Russia, Bielorussia, Moldavia ed Ucraina; tuttavia erano mutate le esigenze avvertite dai Paesi Europei e dalle Istituzioni dell’Unione. L’obiettivo era infatti quello di promuovere la stabilità e la sicurezza nella periferia europea, evitando l’approfondirsi delle differenze economiche e politiche con gli Stati confinanti con l’Unione8. Inoltre si voleva garanire un’omogeneità non solo materiale, ma

3 Ivi pag. 7

4 Commission of the European Communities, Wider Europe — Neighbourhood: A New Framework for

Relations with our Eastern and Southern Neighbours, Communication from the Commission to the Council and the European Parliament, COM(2003) 104 final, Brussels 11 marzo 2003

5 Il Caucaso fu probabilmente inserito nella PEV sull’onda della Rivoluzione delle Rose del novembre 2003.

In Michele Comelli, Le relazioni di sicurezza dell’Unione Europea con le aree limitrofe: allargamento, partenariato e vicinato in Gianni Bonvicini (a cura di), L’Unione Europea attore di sicurezza globale, Milano, Franco Angeli, 2010, pag. 73

6 Il conflitto israelo palestinese è il più conosciuto, ma si devono considerare anche: il conflitto del Nagorno

Karabah in Azerbaigian, il conflitto separatista nell’Ossezia del Sud e Abcasia in Georgia, quello in Trasnistria in Moldavia, la questione turco – cipriota. Infine si ricordano i conflitti e le tensioni dell’Africa del Nord per i quali si rimanda al Capitolo I, Le tensioni nell’area e la corsa agli armamenti

7 Gli APC furono stipulati durante il 1999 con gli Stati già citati e quelli dell’Asia Centrale e del Caucaso

meridionale, coinvolgendo tutto lo spazio ex – sovietico. Come nel caso Mediterraneo, tali accordi fornirono il quadro giuridico nel quale si posizionerono gli Action Plans della PEV (per gli Stati a cui fu proposta la Politica di Vicinato, cioè quelli del Caucaso e dell’Europa Orientale, esclusa la Russia).

8 Commission of the European Communities, Wider Europe — Neighbourhood: A New Framework for

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di vedute politiche tra Unione e vicini, basata su valori condivisi9. In particolare, si cercava di tenere gli Stati della periferia legati all’Europa offrendo loro una compartecipazione nel mercato unico europeo, e la possibilità di accedere al sistema comunitario basato sulle quattro libertà di circolazione dei beni, dei servizi, dei capitali e delle persone10. Insomma, si voleva offrire «tutto fuorché le istituzioni»11, in un clima nel quale alcuni Stati europei occidentali, Francia, Italia e i Paesi del Benelux12, non nascosero le proprie perplessità riguardo l’allargamento del 2004, restringendo lo spazio per analoghe iniziative nel futuro. Questo approccio, che alcuni hanno definito come una Dottrina Monroe13 dell’Europa, faceva leva su un processo di graduale, ma limitata, integrazione con l’obiettivo di creare «un anello di amici», come sintetizzato dall’allora Presidente della Commissione Romano Prodi

« We have created a new political, economic and human area. Now we are determined to share the benefits of this area through a new approach to international relations, a new philosophy of cooperation and partnership. This means establishing ever closer and stronger relations with all our neighbours, creating a ring of friend. with whom we can

share all the benefits of membership, barring the Union’s institutions.»14

9 Ibidem. Il concetto di valori condivisi è assai pregnante e ricorre ben 8 volte nella comunicazione della

Commissione, ed è posto in evidenza fin dalle prime pagine.

10 Ibidem

11 Romano Prodi, Peace, Security And Stability International Dialogue and the Role of the EU,

SPEECH/02/619, Brussels, 5-6 dicembre 2002

12 Maurizio Carbone (2008) Between ambition and ambivalence: Italy and the European Union's

Mediterranean policy , Modern Italy, 13:2, pagg. 155-168, pag. 163.

13 Michael Emerson, The Wider Europe as the European Union’s Friendly Monroe Doctrine, CEPS Policy

Brief n° 27, ottobre 2002

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Joint Ownership e Valori Condivisi

L’assunto comune a Bruxelles, riguardo la Politica di Vicinato, era che essa non avrebbe interferito con il Processo di Barcellona, ma vi si sarebbe integrata. Anzi, in generale, si pensava che tale politica avrebbe introdotto nuova linfa nella cooperazione mediterranea che aveva già visto alcune battute d’arresto15. La convinzione che il PB necessitasse di un rilancio, andò raffonrzandosi nei primi anni di messa in atto della PEV, come emerse dal Forum intergovernativo di Barcellona del 2005 per festeggiare i 10 anni dalla Partnership16.

Tale nuovo input si sarebbe concretizzato negli Action Plans, documenti prettamente politici, che elencavano gli obiettivi da raggiungere negli ambiti individuati dall’Unione Europea: dialogo politico e riforme, sviluppo economico e sociale, commercio e mercato interno, giustizia e affari interni. Inoltre erano poste in evidenza alcune aree tematiche di cooperazione (energia, trasporti, società dell’informazione, ambiente e ricerca)17. Gli Action Plans sarebbero stati posti all’interno degli Accordi Euro Mediterranei di Associazione che ne avrebbero costituito la cornice giuridica; in più, proprio dagli organi individuati dagli accordi precedenti, il Consiglio d’Associazione, il Comitato d’Associazione e vari sottocomitati, sarebbe stata garantita la sorveglianza sull’implementazione dei Piani d’Azione 18. Le parti potevano scegliere quanti sottocomitati creare ed anche gli obiettivi da raggiungere, ciò con la volontà di garantire la

15 Elisabeth Johansson-Nogués (2004) Profiles: A ‘Ring of Friends’? The Implications of the European

Neighbourhood Policy for the Mediterranean, Mediterranean Politics, 9:2, 240-247, pag. 243.

16 Esther Barbé & Eduard Soler I Lecha (2005) Barcelona + 10: Spain's Relaunch of the

EuroMediterranean partnership, The International Spectator: Italian Journal of International Affairs, 40:2, 85-98, pag. 88.

17 Commission des Communautés Européennes, Politique Européenne de Voisinage – Document

d’Orientation, Communication de la Commission, COM(2004) 373 final, Bruxelles, 12 maggio 2004, pagg. 13 – 21.

18 Ad esempio nel caso dell’Egitto tali organi erano già in essere a norma degli articoli 74, per il Consiglio, e

77, per il Comitato, dell’EMAA. Eventuali sottocomitati potevano occuparsi di temi particolari, e nel caso egiziano erano creati secondo l’articolo 80. In Ahmed Farouk Ghoneim, From EU Association Agreements to EU Neighbourhood Policy and Union for the Mediterranean: Does Egypt Need This Change in EU Regional Trade Policy?, in Michele Comelli, Atila Eralp, Çiğdem Üstün, The European Neighbourhood Policy and the Southern Mediterranean. Drawing from the Lessons of Enlargement, Metu Press, Ankara, 2009, pagg. 79 – 98, pag. 85

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joint ownership di tali impegni, in parte ovviando alla natura unilaterale europea, che a volte era rimproverata al processo di Barcellona19.

La joint ownership non era però l’unico principio ispiratore degli Action Plans, ad essa si aggiungevano la loro natura composita, politico – economica, la quale, assieme ai principi di differenziazione e condizionalità, richiamava l’esperienza dell’allargamento e degli accordi di adesione sottoscritti dai paesi dell’est Europa20. In effetti, l’azione esterna dell’Unione fu molto influenzata dall’esperienza dell’allargamento, tantoché la PEV può essere considerata come una delle sue conseguenze, basandosi sull’adattamento a nuovi contesti di programmi e soluzioni appresi in quell’occasione21. Inoltre, i principali protagonisti della Politica di Vicinato furono gli stessi che seguirono le fasi dell’allargamento, cioè la Commissione Europea e la Direzione Generale per l’Allargamento22. Ed infatti, la PEV fu impostata con la logica top – down tipica della Commissione che individuò “a monte” le aree di cooperazione e i meccanismi per il controllo del processo di riforma, determinando in maniera evidente il contenuto della cooperazione e limitando il principio di joint ownership.

Proprio dei contenuti della cooperazione e quindi dei Piani d’Azione vorrei occuparmi adesso, in particolare dell’enfasi posta sui valori comuni/condivisi. Tale indirizzo può

19 Raffaella del Sarto, Tobias Schumacher, (2005) From EMP to ENP: what’s at stake with the European

Neighbourhood Policy towards the Southern Mediterranean?, European Foreign Affairs Review 10:7, pagg. 17 – 38, pag. 29. In particolare si fa riferimento all’unilateralità europea con cui era disposto l’utilizzo dei fondi MEDA.

20 Giuseppe Marasco, La politica di vicinato, in Susanna Cafaro (a cura di), Le relazioni euro mediterranee.

Dai primi accordi all’Unione per il Mediterraneo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2013, pagg. 99 – 122, pag. 108.

21 Judith Kelley, New Wine in Old Wineskins: Promoting Political Reforms through the New European,

JCMS 2006 Volume 44. Number 1. pp. 29–55, pagg. 30 - 34

22 La Direzione Generale per l’Allargamento, con a capo l’ex - commissario per l’Allargamento Gunter

Verheugen, si occupò della PEV, mentre la DG Relazioni Esterne e i suoi uffici per il Mediterraneo e il Medio Oriente non furono coinvolti nella prime fasi di elaborazione della PEV. Inoltre la “Wider Europe Task Force”, creata all’interno della Commissione nel luglio 2003, doveva riferire delle proprie attività a Verheugen, e era costituita da 18 funzionari provenienti dal Dipartimento Allargamento più altri 10 da quello Relazioni Esterne. In Raffaella del Sarto, Tobias Schumacher, (2005) From EMP to ENP: what’s at stake with the European Neighbourhood Policy towards the Southern Mediterranean?, pag. 27

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essere reperito anche in alcuni discorsi ufficiali delle più alte cariche europee, come il Presidente Prodi

«(…) è necessario interrogarsi sui veri interessi comuni tra paesi europei e mediterranei. Gli Europei desiderano vedere riconosciuti in tutta l’area mediterranea quei valori e quei principi che sono alla base della stessa costruzione europea, a cominciare dai diritti umani. Per i paesi mediterranei, l’accettazione di tali principi costituisce un importante

mezzo per rafforzare la credibilità della loro proposta politica.»23

I valori comuni divengono quindi lo strumento attraverso cui promuovere la sicurezza al di là dei confini europei, e per questo sono sottolineati con molta enfasi nella Politica di Vicinato, la quale ha le caratteristiche di uno strumento dal profondo valore strategico il cui fine, in ultima analisi, è la difesa e la garanzia della stabilità24. In effetti, la generosa offerta europea di poter accedere al mercato comunitario e al sistema delle quattro libertà, si traduce in uno scambio, nel quale le riforme dei paesi partners dovevano perseguire degli obiettivi ben definiti. Per queste ragioni, la PEV è fintamente altruista25 e l’unilateralità, a parole rifiutata con la proposizione del principio di co - ownership, tornava al centro delle negoziazioni. Inoltre, l’Europa si comporta come un attore egemone come spiega Michelle Pace

23 Romano Prodi, Europa e Mediterraneo: passiamo ai fatti, SPEECH/02/589, Louvain la Neuve, 26

novembre 2002, pag. 4

24 Roberto Aliboni, The ENP in the Mediterranean. Evaluating the political and strategic dimensions, in

Michele Comelli, Atila Eralp, Çiğdem Üstün, The European Neighbourhood Policy and the Southern Mediterranean. Drawing from the Lessons of Enlargement, Metu Press, Ankara, 2009, pagg. 13 – 30, pag. 20

25 « the ENP is not altruistic;on the contrary, it follows a very concise geopolitical logic». In Roderick Pace,

The European Neighbourhood Policy: the Southern Dimensions, in Michele Comelli, Atila Eralp, Çiğdem Üstün, The European Neighbourhood Policy and the Southern Mediterranean. Drawing from the Lessons of Enlargement, Metu Press, Ankara, 2009, pagg. 31 - 52 , pag. 35

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«the EU requests neighbours’ commitment to ‘common values’. In attempting to normalize EU–Mediterranean relations through reference to shared norms and values, power is at play. In Gramscian terms, a normative power/hegemon defines what is normal as well as

those that must be ‘normed’»26

Sulla medesima lunghezza d’onda, si pongono le alte cariche europee, come il Presidente Prodi

«We are aware of the great responsibility represented by the half a billion people who will be living in the EU after 2007 … We have to become a real global player … It is a question of responsibility … The aim is to extend to this neighbouring region a set of principles, values and standards which define the very essence of the European Union … We are

tolerant and open to dialogue, to coexistence and to cooperation»27.

Data la rilevanza del concetto di responsabilità, correlato all’affermazione dei principi europei come centrali nell’azione esterna dell’Unione, non può risultare strano che si sia parlato di una vera e propria missione civilizzatrice 28, un carattere che rende la PEV più che una politica con i vicini, una politica per e verso i vicini29, basata sull’assunto idealistico che sia necessario convincere più che vincere i possibili rivali o nemici30.

26 Michelle Pace (2007) Norm shifting from EMP to ENP: the EU as a norm entrepreneur in the south?,

Cambridge Review of International Affairs, 20:4, pagg. 659-675, pag. 667

27 L’estratto proviene da un discorso di Prodi pronunciato a Bruxelles il 5 – 6 dicembre 2002. È citato in

Hulla Holm, EU’s Neighbourhood Policy. A question f space and security, DIIS Working Paper 2005/22, pag. 18.

28 Bichara Khader, L’Europe pour la Mediterrannée. De Barcelone à Barcelone, Paris, L’Harmattan, 2009,

pag 166.

29 Ibidem

30 Ibidem. In ciò si nota la differenza tra l’approccio europeo e quello americano che ha una visione più

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Da un punto di vista teorico, l’Europa promotrice di valori che si presentò agli occhi dei partners, incarnava uno dei massimi esempi di potenza normativa31. Con tale termine si indica l’attitudine a esportare valori e norme per raccogliere attorno a sé una comunità di Stati amici; naturalmente tale apporccio è figlio della storia europea. Il contributo normativo europeo si concretizza nell’acquis communautaire, l’insieme di norme a cui dovettero uniformarsi i nuovi membri dell’Unione e in parte i partecipanti alla PEV, almeno in alcune suoi capitoli, ad esempio quelli legati al commercio.

Ad un livello più tangibile, la PEV comportò la creazione di una frontiera, al di là della quale si articolavano gli interessi geopolitici dell’Europa. Come afferma Hulla Holm, i confini esistono nella misura in cui sono avvertiti come tali: linee spaziali di demarcazione tra regioni che presentano delle differenze. Nel caso del Mediterraneo, l’Europa proietta nella regione la contrapposizione tra Noi e l’Altro, che in questo caso è il musulmano, portatore dell’identità antitetica per eccellenza nel mondo cristiano32. La PEV, quindi, e la strategia di sicurezza che la sottende, sembrano informarsi alla concezione di un Mediterraneo quale regione di conflitti33 e di minacce.

L’unico modo per limare tale distanza non può che essere una politica di avvicinamento tra Unione e partners, che in questo caso si traduce in una politica di europeizzazione del vicinato. Il lato positivo è il tentativo di approntare soluzioni per la stabilizzazione del proprio near abroad, quello negativo è l’utilizzo di modello interpretativo della realtà per il quale le differenze esistenti tra Noi e l’Altro sono motivo di insicurezza. Questa impostazione tendeva ad accentaure la percezione dell’instabilità della regione euro – mediterranea. Sul piano pratico, inoltre, quegli Stati che mostravano una scarsa volontà di

31 Ian Manners, Normative Power Europe: a contradiction in terms?, Journal of Common Market Studies,

40:2, pagg. 235 - 258

32 Hulla Holm, EU’s Neighbourhood Policy. A question f space and security, pag. 25

33 Opposta all’idea di Mediterraneo come cultura di civiltà che ad esempio era fatta propria dalla Fondazione

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implementare le riforme “europeizzanti”, furono posti ai margini delle relazioni politiche dell’Unione nella regione34.

Nella pratica, date queste premesse, l’Unione Europea si concentrò sulla good governance intesa come

«a multi-faceted concept, drawing on principles, rules and practices developed across the world. The Strategy takes account of the work on good governance already carried out by the Council of Europe and other international organisations. Their experience and outputs and in particular the Council of Europe’s own acquis in the fields of democracy, human

rights and the rule of law»35

Tale concetto assumeva quindi una valenza generale, intesa come pratiche di buon governo derivanti da varie esperienze, all’interno delle quali si trovavano il rispetto dei diritti umani, alcune garanzie democratiche, la trasparenza amministrativa e l’uso responsabile dei fondi pubblici36. Insomma, tale concetto assume dei tratti molto ampi che però ricalcavano l’approccio occidentale alla gestione della cosa pubblica; sembrava quasi che la good governance costituisse un nome differente con cui chiamare le medesime misure

34 Raffaella del Sarto, Tobias Schumacher, (2005) From EMP to ENP: what’s at stake with the European

Neighbourhood Policy towards the Southern Mediterranean?, pag. 29.

35 15th Conference of European Ministers responsible for local and regional government , Strategy on

Innovation and Good Governance at local level, Valencia, Spagna, 15-16 Ottobre 2007, pag. 2

36 «The Principles of Good Democratic Governance at local level are: 1. Fair Conduct of Elections,

Representation and Participation, to ensure real possibilities for all citizens to have their say in local public affairs; 2. Responsiveness, to ensure that the local authority meets the legitimate expectations and needs of citizens; 3. Efficiency and Effectiveness, to ensure that objectives are met while making the best use of resources; 4. Openness and Transparency, to ensure public access to information and facilitate understanding of how local public affairs are conducted; 5. Rule of Law, to ensure fairness, impartiality and predictability; 6. Ethical Conduct, to ensure that the public interest is put before private ones; 7. Competence and Capacity, to ensure that local representatives and officials are well able to carry out their duties; 8. Innovation and Openness to Change, to ensure that benefit is derived from new solutions and good practices; 9. Sustainability and Long-term Orientation, to take the interests of future generations into account; 10. Sound Financial Management, to ensure prudent and productive use of public funds; 11. Human rights, Cultural Diversity and Social Cohesion, to ensure that all citizens are protected and respected and that no one is either discriminated against or excluded; 12. Accountability, to ensure that local representatives and officials take responsibility and are held responsible for their actions.» Ibidem

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proposte già all’interno degli Accordi Euro – Mediterranei. È sulla base di questa impostazione concettuale che i valori condivisi si infondono nella politica reale, nonostante alcuni autori considerassero tale condivisione «totalmente inventata»37. Per di più, questi