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Dialogo e Incomprensioni. Le Relazioni Euro - Mediterranee alla prova dei fatti

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Questa tesi si occupa delle relazioni euro mediterranee nel periodo che intercorre tra la fine della Guerra Fredda e l’inizio delle Primavere Arabe. Tale periodizzazione non è casuale, poiché in quei due decenni sono state elaborate e realizzate delle politiche innovative e lungimiranti che, se da un lato si ponevano in continuità con gli interessi europei nell’area, dall’altro si caratterizzavano per un approccio più ampio e collaborativo, che andava al di là delle semplici politiche allo sviluppo. Inoltre, questo nuovo input mostrava una nuova e più incisiva e concreta capacità europea di agire nel proprio near abroad. Naturalmente tali politiche hanno subito profonde variazioni lungo il loro cammino, cambiando i nomi, gli scopi, e i mezzi di realizzazione: dalla Partnership Euro – Mediterranea, alla Politica Europea di Vicinato all’Unione per il Mediterraneo. Nonostante i cambiamenti più o meno profondi, le politiche euro - mediterranee rimangono un osservatorio privilegiato per analizzare il processo di formulazione e il funzionamento della Politica Estera e di Sicurezza Comune. Inoltre, esse permettono di comprendere il rapporto del mondo Occidentale con altri mondi, se così possiamo chiamarli, dove altri sistemi politici, fattori economici e culturali formano le preferenze degli individui e degli Stati.

L’obiettivo che ho voluto conseguire con il mio lavoro è quello di redarre una ricostruzione documentata dei fatti e delle ragioni che hanno prodotto il disegno euro – mediterraneo, ma anche i risultati che sono stati raggiunti, con la volontà di comprendere meglio il presente. Avere una buona comprensione delle relazioni euro – mediterranee odierne per me significava prima di tutto capirne il pregresso, convinto come sono che cesure nella storia non esistano, ma che invece siano individuabili dei percorsi e delle concatenazioni che possano chiarificare la realtà d’oggigiorno.

Naturalmente l’avere scelto la regione mediterranea, quando avrei potuto concentrarmi sul Caucaso o l’Europa dell’Est o l’estremo nord europeo, non è casuale. Mi ha guidato infatti

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un generale interesse per quei luoghi di frontiera nei quali gli attriti non sono attribuibili a semplice divergenza di preferenze, ma a più complesse diversità di visione. Tale mio atteggiamento è stato in parte condizionato dagli eventi dell’attualità internazionale degli ultimi anni, in particolare dall’epidosio della Guerra d’Iraq del 2003. Quell’occasione mostrò come alcuni membri del cosiddetto mondo occidentale potessero cadere in preda ad una “nevrosi” contro il mondo arabo, tale da giustificare l’apporccio militarista nel Medio – Oriente, al di fuori della cornice della “comunità internazionale” che l’Occidente stesso, dopo la seconda Guerra Mondiale, aveva creato. Dall’altro lato, mi chiedevo se davvero le popolazioni musulmane fossero così pericolose per noi Europei, o se forse alla base di questa forte contrapposizione, vi fosse scarsa conoscenza reciproca e ignoranza.

Queste ragioni mi hanno condotto a prediligere il Mediterraneo, luogo d’incontro tra l’Occidente, cioè l’Europa, e i nostri vicini e conterranei, almeno per noi che ci affacciamo sul bacino, della riva Sud. In fin dei conti, l’argomento di questa tesi, cioè le relazioni euro – mediterranee, non costituisce che l’ultimo esempio di quei continui flussi e riflussi di uomini e civiltà che hanno percorso l’intero bacino, da Est a Ovest, ma anche da Sud a Nord.

Del resto la storia del Mediterraneo è caratterizzata dal susseguirsi di invasioni e stabilimenti di nuovi popoli, da lotte e battaglie, ma anche da momenti di proficuo scambio culturale, per non parlare degli importanti traffici economici che lo interessarono. Uno studioso fra tutti, Fernard Braudel, ha espresso questo carattere del Mediterraneo definendolo la «culla delle civiltà», nella quale i vari momenti storici hanno visto un sovrapporsi e anche un’integrarsi di culture e visioni del mondo diverse1. Probabilmente il momento in cui fu più proficuo lo scambio tra gli Europei e gli Arabi, che oramai avevano conquistato tutto il versante Sud del bacino mediterraneo, fu l’XI e il XII secolo. La Spagna

1 Fernand Braudel, La Storia, in Fernand Braudel (a cura di), Il Mediterraneo, Milano, BUR, 1987, pagg. 101

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infatti, dominata dagli Arabi dal 700 fino al 1400, fu uno dei centri dai quali la cultura tecnica greca ed araba si diffuse nell’Occidente europeo, dove fino ad allora era sconosciuta; tale apporto culturale fu una delle concause che determinarono il “Rinascimento del XII secolo”, un momento di fioritura della cultura europea segnato anche dalla nascita e dal diffondersi delle Università. Inoltre, nel mondo arabo si potevano notare comunità di ebrei e cristiani che praticavano il loro culto. Certo non si deve idealizzare questa narrazione2: ebrei e cristiani dovevano pagare una tassa cosicché potessero conservare i loro luoghi di culto. Insomma, la tolleranza era di là da venire, vi era semplicemente l’accettazione della convivenza con i fedeli di monoteismi parziali, antecedenti alla rivelazione portata da Maometto, la quale seguiva e inglobava quella del Dio ebraico e cristiano.

In realtà come molti studiosi notano, definire il Mediterraneo quale culla di civiltà è esso stesso un concetto idealistico. L’Europa, soprattutto nell’alto – medioevo, si era ritirata dal Mediterraneo che era completamente in mano ai Saraceni, e si era stretta intorno a Carlo Magno e poi alle altre dinastie germaniche che, attive nell’Europa centro – occidentale, lavorarono alla ricostituzione di un impero vagheggiando l’età romana3. Ed in effetti, quando l’Europa Occidentale si avvicinò al Mediterraneo, lo fece prima con le crociate e poi con la graduale riconquista delle regioni del Mediterraneo settentrionale, in un processo molto lungo che, dalla riconquista della Sicilia, culminerà nella cacciata dei Mori dalla Spagna. L’espansione europea occidentale verso Sud era supportata da differenti motivi: ragioni religiose, legate alla volontà papale di difendere i luoghi santi, e poi quelle politiche dei regnanti o principi europei. Essi volevano garantirsi l’appoggio papale e la benevolenza della Chiesa nazionale, a cui va aggiunto il processo di formazione dello Stato - nazione,

2 Scipione Guarracino, Mediterraneo. Immagini, storie e teorie da Omero a Braudel, Milano, Bruno

Mondadori, 2007, pagg. 140 - 160

3 Georges Duby, Il Mediterraneo nella storia della cultura europea, in Georges Duby, Gli Ideali del

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che sottintendeva l’idea di una comunità nazionale territorializzata nella quale non vi era posto per le minoranze, che vennero cacciate o perseguitate. Quando nella prima metà del ‘400 i Turchi iniziarono la loro espansione a spese dell’Impero d’Oriente, il sentimento anti – musulmano era già ben radicato nella mentalità nelle élites al potere in Europa: tale episodio non servì che a ribadire la pericolosità degli Infedeli.

Una sottile linea si stabilì tra le due sponde del Mediterraneo e, da un punto di vista politico e culturale, pochi furono gli scambi. Inoltre, il declino economico della regione mediterranea a partire dal XVII secolo, determinò una diminuzione dei commerci tra le rive, essendo il Mediterraneo divenuto un corridoio che dall’Atlantico portava alle Indie. Inoltre, la scomparsa degli attori economici locali, mercanti italiani, mediorientali o nordafricani, determinò l’affievolirsi del carattere cosmopolita dei porti mediterranei, nei quali non erano rari fenomeni di meticciato4. A tali operatori economici, si sostituirono le navi inglesi e olandesi che svolgevano però funzioni di trasporto e si trovavano lì di passaggio. In generale, i nuovi protagonisti del Mediterraneo erano diveneuti i paesi nordici5.

Successivamente, la dominazione europea nel Mediterraneo si stabilì approfittando delle debolezze politiche dell’Impero Ottomano, e da economica divenne politica, avviando il fenomeno del colonialismo. L’Occidente in ciò fu guidato dall’antica idea di un Mare Nostrum, il Mediterraneo quale propaggine Sud dell’Europa, la cui dominazione sanciva il ritorno di quelle terre ai veri eredi dei Latini. Naturalmente, vi erano anche motivazioni economiche. Si pensi all’importanza dell’Egitto, di Gibilterra e di Malta per la Gran Bretagna, una potenza che doveva assicurarsi basi intermedie lungo il bacino e il controllo del corridoio Mediterraneo verso le Indie.

4 Scipione Guarracino, Mediterraneo. Immagini, storie e teorie da Omero a Braudel, cit., pag. 156 5 Fernand Braudel, La Storia, in Fernand Braudel (a cura di), Il Mediterraneo, cit., pag. 118

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Il dato saliente che emerge, e che perdurò anche dopo la seconda Guerra Mondiale, è l’assoggettamento del Mediterraneo al mondo “Occidentale” o avanzato. Infatti, anche nella seconda metà del novecento benché molte colonie o protettorati avessero guadagnato la definitiva indipendenza, essi rimasero imbrigliati nelle logiche del mondo sviluppato, in particolare in quelle della Guerra Fredda6. Proprio quest’ultima, costituisce l’anello di congiunzione tra il recente passato post – coloniale e le politiche euro – mediterranee che studio nella mia tesi. Infatti, con la fine della Guerra Fredda, sembravano pronti i tempi per una partnership, una cooperazione politica ed economica basata su un rapporto tra pari, riva Sud e riva Nord7.

È riuscita l’Europa a mitigare il risentimento coloniale? Davvero si è impegnata nel promuovere una cooperazione condivisa o ha prevalso una nuova, eppure vecchia, forma di eurocentrismo? È riuscita l’Europa a fondare un reale dialogo politico regionale e ad implementare significativamente lo sviluppo economico della riva Sud? È diminuito, grazie a queste politiche, il profondo gap che separa le due sponde del Mediterraneo? È riuscita infine l’Europa a rendere il Mediterraneo di nuovo un ponte, fra mondi e culture, fra uomini?

Piano dell’opera

Per rispondere a queste e altre domande, ho cercato di ricostruire questi due decenni di partnership.

6 In particolare lo schieramento delle monarchie del Golfo con gli Stati Uniti, mentre le repubbliche arabe, a

parte il Libano, erano generalmente in linea con l’Unione Sovietica. Valeria Piacentini, La politica estera italiana, i paesi arabi e il mondo musulmano, in Massimo de Leonardis, Il Mediterraneo nella politica estera italiana del secondo dopoguerra, Bologna, Il Mulino, 2003, pagg. 219 – 244, pag. 232

7 Raimondo Luraghi, L’Italia nel fronte sud della NATO, in Massimo de Leonardis, Il Mediterraneo nella

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Nel primo capitolo, mi sono concentrato sul lavoro diplomatico compiuto dagli Stati europei fino alla stesura della Dichiarazione di Barcellona. Nel ricostruire questo percorso, ho definito le questioni che il Mediterraneo poneva agli attori internazionali per poi analizzare gli interessi e le strategie di politica estera degli Stati coinvolti nella formulazione del progetto euro – mediterraneo.

Nel secondo capitolo, ho focalizzato la mia attenzione sui primi anni della partnership, e sulla sua implementazione. Ho seguito, parallelamente, gli sviluppi dei tre basket della Dichiarazione: quello politico e sulla sicurezza, quello economico e quello socio – culturale. Ho evidenziato le debolezze della partnership: la predominanza della cooperazione economica e l’impossibilità di trovare soluzioni politiche condivise a causa dei conflitti in essere (in particolare quello arabo – israeliano). Inoltre, ho messo in evidenza le differenti visioni politiche tra Europei e Mediterranei sia per ciò che riguarda la concettualizzazione della sicurezza statale, sia per il ruolo della società civile.

Nel terzo capitolo, invece, mi sono concentrato sulle tendenze e i cambiamenti visibili nel Processo di Barcellona successivamente all’11 settembre. La cooperazione per la repressione del fenomeno terroristico è stata in parte bilanciata dal rilancio del Dialogo tra Culture. Più in particolare, ho voluto analizzare il Dialogo tra Culture domandandomi come esso funzionava e di quali strumenti, tra cui la Fondazione Anna Lindh, poteva avvalersi. Inoltre, ho voluto comprendere come questo Dialogo si inserì nel clima di securitizzazione di quegli anni e se ne avesse subito le conseguenze negative. Infine, ho voluto approfondire il tema dell’implementazione delle politiche europee per la promozione della democrazia e dei diritti umani negli Stati partners. Mi sono concentrato su quale fosse la ricezione nel mondo arabo di tali tematiche e su come gli impegni politici per la democratizzazione si concretizzassero. In particolare, ho messo in luce le criticità che

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intercorrevano nel rapporto tra regimi arabi e società civile interna e tra regimi arabi e Unione Europea.

Nel quarto capitolo, infine, illustro i nuovi strumenti per l’azione esterna dell’Unione che si sono affiancati al Processo di Barcellona, nell’area euro - mediterranea. La Politica Europa di Vicinato, avviata nei primi anni 2000, fu accolta positivamente per i nuovi strumenti che metteva al servizio del partenariato, che molti consideravano aver perduto il proprio slancio. Tuttavia, la PEV ha segnato un arretramento rispetto all’impianto multilaterale dell’EMP, poiché poneva al centro i rapporti bilaterali Unione – Stato partner. Successivamente, nel tentativo di rinvigorire la partnership euro – mediterranea, è stata istituita l’Unione per il Mediterraneo. Con l’avvento dell’UpM, la cooperazione è tornata ad essere incentrata sui temi della low politics, abbandonando definitivamente l’idea di un dialogo politico a tutto tondo. Inoltre, la fase di elaborazione dell’UpM, in particolare la trattativa che intercorse tra gli Stati dell’Unione, ha mostrato la marginalità che il Mediterraneo ricopre nell’azione esterna dell’UE rispetto alla dimensione orientale. Alla divergenza delle preferenze degli Stati e al peso dei membri orientali dell’Unione Europea, ho voluto dedicare particolare attenzione per la loro odierna attualità politica.

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I

DALLA FINE DELLA GUERRA FREDDA

A BARCELLONA

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IL CONTESTO

L’ islamismo politico

I movimenti islamici, tra la fine degli anni’80 e l’inizio del decennio successivo, raggiunsero una maggiore diffusione fra la popolazione araba, in particolar modo del Nord Africa1. In un panorama di crisi economica e malessere sociale, l’islamismo politico forniva un’alternativa all’ordine esistente, con grande preoccupazione dell’Occidente2. A tal proposito è importante ricordare la forte impressione che provocò la vittoria, in Algeria, del FIS , la federazione dei partiti islamici, al primo turno delle elezioni nazionali nel dicembre 19913. La Francia rispose molto duramente diminuendo il numero di visa concessi ai cittadini algerini in entrata sul proprio territorio, ed addirittura intraprese colloqui con Italia e Spagna per gestire eventuali flussi di rifugiati4; agli occhi europei la guerra civile fu un’ulteriore prova di quell’instabilità della regione ch’essi percepivano.

L’islamismo politico, per la sua carica anti – occidentale, risultava minaccioso anche sul piano internazionale, quando si rendeva responsabile di attacchi terroristici che a volte colpirono il territorio europeo5 o erano sostenuti da “rogue state”, come la Libia6.

1 Roberto Aliboni, Collective political cooperation, in Roberto Aliboni, George Joffè, Tim Nimlock (eds),

Security challenges in the Mediterranean region, London , Frank Class, 1996, pagg. 51 - 64

2 Ibidem

3 Il FIS ottenne il 47,54% dei suffragi e 188 seggi su 231. Ciò creò una forte reazione negli apparati di regime,

tantoché l’esercito reagì. Dopo le dimissioni del presidente Ben Djedid, il potere fu gestito dai militari attraverso organi creati appositamente al di fuori della Costituzione. La messa al bando del FIS, il 4 marzo 1992, pose i presupposti per lo guerra civile. In Tamburini, Vernassa (a cura di), I paesi del grande Maghreb. Storia, istituzioni e geopolitica di una identità regionale, Pisa, Plus, 2010, pagg. 66 – 85, e Hugh Roberts (2002) Dancing in the Dark: The European Union and the Algerian Drama, Democratization, 9:1, 106-134

4Sulle misure intraprese dalla Francia Federica Bicchi, European foreign policy making towards the

Mediterranean, New York, Palgrave Mcmillan, 2007, pag.142.

5 Si ricordano il lancio, da parte libica, degli scud su Lampedusa il 15 aprile 1986 in risposta al

bombardamento americano di Tripoli e Bengazi; in Spagna nel dicembre 1987 un’esplosione in una discoteca di Barcellona frequentata da soldati americani in Richard Gillespie, Spain and the Mediterranean. Developing a european policy toward the south, Basingstoke, Mcmillan, 2000, pag. 127

Infine, il caso del volo francese Air France 8969 dirottato il 24 dicembre 1994 in Joylon Howort (1996) France and the Mediterranean in 1995: from tactical ambiguity to incoative strategy?, Mediterranean Politcs 1: 2, pag. 158 - 159.

6 La Libia sostenne attentati o gruppi terroristici con lo scopo di perorare la causa palestinese nell’ottica di

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È in quel momento storico, nel vuoto lasciato dal venir meno dell’opposizione Est – Ovest, che si crearono alcune delle opposizioni concettuali che poi influenzeranno il dialogo politico tra paesi occidentali e arabi. Da parte araba si affermò una forte retorica antiamericana, a tratti terzomondista, che contestava il forte divario Nord – Sud presente nel Mediterraneo7. Da parte occidentale invece, ebbe molta risonanza la teoria del “Clash

of civilisation” proposta dall’ accademico americano Samuel Huntington8, secondo la

quale, in un mondo post – bipolare, i valori culturali e religiosi tornano al centro della scena, condizionando l’azione degli attori internazionali; in particolare viene ad assumere una valenza centrale l’opposizione tra l’Occidente, inteso nella sua identità giudea – cristiana e liberale, e il mondo islamico, legato alla propria tradizione religiosa e sociale. Più in generale si può dire, però, che a caratterizzare la vita internazionale è l’“incertezza

”conoscitiva”9 come afferma Federica Bicchi, che vuole con ciò descrivere lo smarrimento

delle società di fronte a nuove difficoltà, il vuoto creato dal venire meno dei preesistenti punti di riferimento e dunque gli interrogativi sulle azioni da prendere.

Le tensioni nell’area e la corsa agli armamenti

Con la fine della guerra fredda la situazione geopolitica tornò ad essere fluida, essendo venuto meno l’effetto di congelamento dovuto al sistema dei blocchi che aveva tenuto ferme le crisi esistenti, rendendole meno pericolose10; tuttavia persistevano attriti o conflitti.

palestinese. Si veda George Joffè, “Low level violence and terrorism”, in Roberto Aliboni, George Joffè, Tim Nimlock, Security challenges in the Mediterranean region, op. cit. pag 1. In particolare si ricordano il sostegno all’Ira e le responsabilità nel disastro aereo di Lockerbie nel 1988. Le pressioni della comunità internazionale e la reticenza della Libia sulle proprie responsabilità nell’accaduto sfociarono nelle risoluzioni Onu 748/1992 e 883/1993 che imposero dure sanzioni economiche. Sulla vicenda anche Tamburini, Vernassa, op. cit. pag. 1, pagg. 137 – 146.

7 Roberto Aliboni European security across the Mediterranean, Chaillot Papers, Insitute for security studies,

WEU, marzo 1991

8 Samuel P.Huntington (1993) The Clash of Civilizations?, Foreign Affairs, 72 : 3, pp. 22-49.

9 Federica Bicchi, European foreign policy making towards the Mediterranean, op. cit. pag 1, pag 142. 10 Roberto Aliboni, Partenariato Mediterraneo, Milano, Franco Angeli, 1998, pag.17.

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Nel Mediterraneo occidentale la questione più calda riguardava il Sahara Occidentale, un’ampia regione a sud ovest del Marocco, di cui il regno reclama la sovranità. Il conflitto, oltre che muovere la comunità internazionale11, ha provocato tensioni tra il Marocco e l’Algeria, per l’appoggio che quest’ultima dava alla lotta per l’indipendenza della regione; inoltre tra i due Stati vi era una forte competizione per conquistare la leadership regionale12. Altre tensioni sebbene minori, si sono presentate tra Libia e Tunisia per lo sfruttamento della piattaforma marina di Gabes13, e tra l’Algeria e la Tunisia per la determinazione di una zona di confine14.

I conflitti più violenti si registrano però nel Medio e vicino Oriente. Sicuramente di grande rilevanza fu la guerra del Golfo, che vide impegnata una coalizione internazionale di cui fecero parte anche alcuni Stati arabi, creando forti lacerazioni politiche. Inoltre, la sconfitta dell’Iraq e il rafforzamento della presenza statunitense modificavano l’equilibrio dell’area, a favore di Israele o di Stati non arabi15; inoltre la presenza militare americana nel Mediterraneo era considerata negativamente dagli Stati del Sud e dell’Est del bacino16, aumentando il risentimento anti – occidentale. Ottimismo era, invece, espresso per l’altro grande conflitto, quello israelo – palestinese: con la conferenza di Madrid del 1991 si aprirà la strada a una serie di trattative che porteranno agli accordi di Oslo, firmati nel 1993.

11 Già nel 1975 una sentenza della Corte internazionale di giustizia riconosceva il diritto all’autodeterminzione

dei Saharawi e la necessità di un referendum popolare. L’Onu ha ribadito più recentemente tale indirizzo e con la risoluzione 690/1991 ha stabilito la creazione di una forza internazionale, MINURSO, che dopo aver provveduto ad una pacificazione della regione avrebbe dovuto organizzare il referendum previsto per il 1992. Bichara Khader, Le monde arabe expliqué à l’Europe,Paris, l’Harmattan, 2009, pagg. 151 – 154.

12 Le due nazioni arrivarono a combattersi nel 1963, nella “Guerra delle sabbie”, causata da incertezze

relative alla definizione del confine sahariano tra i due stati. Il Marocco, che mosse guerra all’Algeria, vedeva nel regime socialista un possibile fattore di limitazione delle proprie ambizioni territoriali nella regione. Fu poi raggiunto un accordo per il ristabilimento dello status quo ante nel 1964, con l’aiuto di un comitato d’arbitrato nominato dall’Organizzazione per l’Unità Africana. In Tamburini, Vernassa, op. cit. pag. 1,

13 La piattaforma continentale di Gabes era motivo di frizione tra Libia e Tunisia per lo sfruttamento delle sue

risorse petrolifere. La questione sarà risolta nel 1988 con una accordo, tra Ben Alì e Gheddafi, per la gestione comune delle risorse. In ibidem ed inoltre sulle dinamiche intra - regionali nel Mediterraneo Stephen Calleya, Evaluating euro -mediterranean relations, London, Routledge, 2005, pagg. 20 – 58.

14 La questione denominata della Borne 233. In Tamburini, Vernassa, op. cit. pag. 1, pagg. 50 – 52.

15 Magg. Gen. Talaat Mosallam, La politica estera di difesa egiziana affronta eventuali rischi di

destabilizzazione nella regione, in AA.VV. Atti del seminario sulla sicurezza in Mediterraneo, Roma 30-31 gennaio, 1 febbraio 1991, pag. 96. L’Egitto vedeva l’Iraq l’altro perno, oltre all’Egitto stesso, dell’equilibrio della ragione, soprattutto nel contrato all’avanzata sciita e nelle relazioni con Israele.

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In questo clima di tensioni si nota tra i paesi della sponda Sud una corsa agli armamenti convenzionali (e non convenzionali) con ritmi superiori a quelli registrati in Europa17. Con l’investimento in armi convenzionali si intendeva rafforzare le capacità belliche, mentre la proliferazione di armi non convenzionali era conseguente alla volontà di diversificare gli strumenti a disposizione18; quest’ultimo fenomeno raggiunse dimensioni ragguardevoli, tant’è che anche il Parlamento Europeo invitò al rispetto del NPT19. Una situazione assai diversa era quella europea dove, in ambito militare, si procedeva ad una revisione degli apparati di difesa, procedendo ad una diminuzione del personale e dei mezzi, seppure investendo sul rinnovamento tecnologico degli stessi. Questo era il risultato del peace dividend, dovuto in gran parte all’allentamento delle tensioni in Europa a seguito dello sfaldamento del blocco sovietico20.

Non cambiavano comunque i rapporti di forza, tutti a favore della sponda settentrionale del bacino, sebbene la possibilità di conflitti non fosse del tutto esclusa anche nel quadrante Ovest. Gli europei si mostravano particolarmente preoccupati da un possibile conflitto Sud – Sud21 a causa delle tensioni nell’area22, oppure un conflitto civile interno ai paesi rivieraschi23. Alcuni osservatori, inoltre, non ritenevano improbabile un conflitto Sud –

17 «A comparison of the increase in the total number of active armed forces between 1980 and 1990 shows an

increase of 95% in the Arab Orient (83% if Israel is included) and 45% in the Maghreb (60% including Libya); in contrast there has been a decrease of 6% in the European Community countries (2% including Turkey). According to absolute figures for 1990, total active armed forces amount to 2.37 million soldiers in the European Community (3.02 including Turkey), 2.69 in the Arab Orient (2.83 including Israel) and 0.35 in the Maghreb (0.45 including Libya).» In Roberto Aliboni, European security across the Mediterranean, Chaillot Papers 2, Institute of European security studies of WEU, 1996

18 Jed Snyder, Arms and security in the Mediterranean region, in Roberto Aliboni, George Joffè, Tim

Nimlock, Security challenges in the Mediterranean region, op. cit., pag. 1

19 Con una risoluzione il PE «invita tutti gli Stati interessati alla sicurezza nel bacino mediterraneo ad aderire

al trattato di non proliferazione delle armi nucleari e a perseguire la messa al bando delle armi biologiche e chimiche nonché una riduzione delle forze e degli armamenti convenzionali», GUCE C 158/296, Bruxelles, 17/06/1991

20 Federica Bicchi, Foreign policy making towards the Mediterranean, cit., pagg. 132 – 135.

21 M. C. Ortega Carcelén e J. A. Sainz de la Pena, La sicurezza nella prospettiva di una conferenza sulla

sicurezza e la cooperazione nel Mediterraneo occidentale, in AA.VV. Atti del seminario sulla sicurezza in Mediterraneo, Roma 30-31 gennaio, 1 febbraio 1991.

22 Passim pag. 3

23 Alvaro de Vasconcelos (2002) Europe’s Mediterranean Strategy. An asymmetric equation, Euromesco,

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Nord, in particolare per la questione di di Ceuta e Melilla24. Lo scenario più probabile era però ritenuto l’utilizzo occasionale della violenza da parte di attori non statali o come effetto spill over di conflitti interni alla sponda Sud 25. Dunque ciò che più preoccupava i paesi europei era l’utilizzo che rogue state o gruppi non statali avrebbero potuto fare delle armi non convenzionali26.

Le sfide economiche

Le sfide che l’Europa si trovava a fronteggiare nell’area mediterranea erano anche di natura economico – sociale. L’economia dei paesi della riva Sud viveva un momento di difficoltà ed era caratterizzata da una ampia presenza del settore pubblico e da una scarsa capacità nelle produzioni a più alto valore aggiunto, cosicché gli Stati maghrebini e del Nord Africa erano dipendenti dalle importazioni per la maggior parte dei beni più tecnologici o che presupponessero maggiore lavorazione27. Ciò determinava un’alta spesa pubblica e una bilancia dei pagamenti in passivo, aggravate dal crollo del prezzo del petrolio nel 1986. Gli Stati cercarono di arginare il crescente deficit pubblico concordando piani di aggiustamento con il Fondo monetario internazionale, applicando politiche di liberalizzazione del mercato interno e del commercio con l’estero, sebbene questo ebbe dei costi sociali28.

L’Unione europea era il principale partner commerciale di tali paesi, grazie ai protocolli di cooperazione finanziaria che furono firmati all’interno della cornice della Politica Mediterranea Globale. Tali protocolli, rinnovati nel 1978, 1982, e 1986, conferivano

individua nella precarietà degli equilibri interni alle nazioni di tale sponda uno dei principali motivi di esplosione della violenza. In particolare lui parla di “internal threat”, ivi pag. 7

24 M. C. Ortega Carcelén e J. A. Sainz de la Pena, cit., pag. 117 e ivi pag. 6

25 Ibidem. In particolare ci si riferisce alla frizioni ispano - marocchine per le enclave territoriali di Ceuta e

Melilla che il Marocco continuava a reclamare.

26 Alvaro de Vasconcelos , Europe’s Mediterranean Strategy. An asymmetric equation, cit. ,pag. 6

27 Franco Zallio, Rapporto Maghreb. Riforme economiche e competitività, Torino, Edizioni della Fondazione

Giovanni Agnelli, 1996, pag. 6. Per l’Egitto si veda African development bank , Egypt. Economic reform and structural adjustement programme. Evaluation report, 15 maggio 2000.

28 Ad esempio in Tunisia, i sussidi ai prezzi dei beni di largo consumo si ridussero dal 4% al 2% del Pil. Ivi,

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vantaggi ai prodotti agricoli maghrebini, in termini di riduzione di tariffe doganali e aumento delle quote per le esportazioni, ed anche ai prodotti industriali. In particolare, con i protocolli del 1982 e del 1986 i prodotti industriali maghrebini poterono avere accesso pressoché libero al mercato europeo, mentre gli Stati nord africani si limitarono a concedere lo status di nazione più favorita ai paesi europei29. A queste disposizioni sul commercio si univano aiuti finanziari piuttosto cospicui, che sommati a quelli provenienti da altri Stati davano un sollievo alle cassa pubbliche dei paesi rivieraschi.

Tabella 1. PIL, Debito e aiuti finanziari30

29 Ivi pag. 9

30 I dati sono tratti da Giorgia Giovannetti, Carolina Ardi, Movimenti di capitale e vincoli finanziari alla

crescita nei Paesi del Sud Mediterraneo, in Rofolfo Ragionieri ( a cura di), Culture e Conflitti nel Mediterraneo, Trieste, Asterios Editore, 2003, pagg. 159 – 182, pagg. 171 – 176

Aiuti (% su PIL) (% su investimenti) Debito (miliardi di (% su Pil dollari, 1996) 1997) PIL (miliardi di dollari, 1997) 1991 1996 1991 199 6 Egitto 14.3 3.3 64.2 19.7 34.837 38.9 89.555 Marocco 4.6 1.8 19.5 8.6 20.121 60.2 33.424 Siria 3.0 1.4 18.6 - 16.093 46.1 34.909 Giordania 23.8 7.2 84.9 20.0 10.345 82.5 12.539 Algeria 0.8 0.7 2.4 2.5 34.704 38.7 89.674 Tunisia 2.8 0.7 2.4 2.5 11.748 52.8 22.250 Libano 2.7 1.8 15.4 5.9 2.423 26.1 9283.5 Israele 2.8 0.4 11.6 11.6 36.238 18.1 (netto) Malta - - - - 2.754 - - Turchia 1.1 0.1 4.7 0.5 72.556 46.3 156.708 Cipro - - - - 10.614 - -

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Tabella 2. Aiuto finanziario della Comunità in milioni di ECU31

L’altro grande tema socio – economico era la forte crescita demografica che si registrava tra i paesi della riva Sud32. La popolazione ha visto un tasso medio di aumento del 24,6% nel periodo 1950 – 1997, con un totale effettivo che è passato da circa 73.496 milioni a 233.2 milioni nel 199733. Tale fenomeno, unito alla situazione economica stagnante, comportava

31 Ciascuna somma comprende i prestiti derivanti dal bilancio dell’Unione e i prestiti BEI . *Israele fa

ricevuto soltanto prestiti tramite BEI. **Per quella volta la Turchia ricevette risorse soltanto dal bilancio comunitario, come grants. In http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-94-74_it.htm

32Sulle dinamiche demografiche del bacino mediterraneo si veda Luigi di Comite, Eros Moretti, Geopolitica

del Mediterraneo, Roma, Carocci, 1999. Con riva sud si intende la sponda africana e asiatica del Mediterraneo; la riva nord è quella europea.

33 Importante è notare che la riva nord ha visto un tasso di crescita, misurato sul periodo 1950 – 1990, del 7%

con una popolazione che è passata da 150.771 milioni a 202.6 milioni. In ibidem.

I protocollo 1978/ 1981 II protocollo 1982 /1986 III protocollo 1987 /1991 IV protocollo 1992 / 1996 Totale Algeria 114 151 239 350 854 Marocco 130 199 324 438 1091 Tunisia 95 139 224 284 742 Maghreb 339 489 787 1072 2687 Egitto 170 276 449 568 1463 Giordania 40 63 100 126 329 Siria 60 97 146 158 461 Libano 30 50 73 69 222 Mashrek 300 486 768 921 2475 Israele* 30 40 63 82 215 Turchia 175** 200 310 - Malta 26 29.5 38 - Cipro 30 44 64 -

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la presenza di una grande quantità di manodopera che il mercato del lavoro non riusciva ad assorbire, dando impulso al fenomeno dell’emigrazione.

Il fenomeno migratorio

L’aumento dei flussi migratori dal Nord Africa colpì non soltanto Francia, Germania o Regno Unito, ma anche Italia, Spagna e Portogallo34. Se i primi si posero il problema di gestire ed integrare meglio le comunità installatesi sul loro territorio, i paesi europei del Mediterraneo si confrontarono con un fenomeno nuovo, di fronte al quale dovettero approntare nuovi strumenti legislativi35. La reazione, in generale, fu verso una legislazione più severa, tant’è che in Francia si modificò lo strumento del “Certificat

34 La tabella è stata elaborata con i dati e il software disponibili su www.migrationpolicyinstitute.org

35 Antonella Guarneri, Le politiche migratorie nei paesi mediterranei dell’Unione Europea nell’ultimo

quindicennio: dimensione comunitaria e peculiarità nazionali, Istituto per le ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, CNR Working Paper 05/05

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d’haubergement”, rendendolo un mezzo di controllo e non più di garanzia per gli immigrati 36. Invece in Spagna, dove l’immigrazione era principalmente proveniente dal Marocco, si provvide a negoziare un trattato di riammissione nel 199237, mentre in Italia fu approntata una legislazione più completa, anche in risposta ad episodi di violenza38. Accanto ai provvedimenti legislativi, era il dibattito politico che dava il senso di come l’immigrazione era percepita: in termini securitari e di ordine pubblico39. In Italia la Lega Nord o in Francia il Front National, conducevano campagne assai critiche del fenomeno migratorio40, domandando leggi più restrittive fino a parlare di ”immigrazione zero”41. Anche le istituzioni comunitarie si interessarono alla dinamica migratoria, con un’analisi che legava la situazione socio – economica dei paesi di provenienza alle possibili politiche europee utili per arginare i flussi in entrata. Il Comitato Economico e Sociale nel 1992 ha presentato un’opinione nella quale affermava che

«…migration continues to present both sides with a major challenge. In the Maghreb, the twin issues of employment and growth, set against a backdrop of demographic change which will remain in its initial phase for another twenty years, are highlightin the

limitations of the development strategies put into place immediately after independence»42.

Ed ancora

36 Ibidem, pag. 14

37 La Spagna vide raddoppiare il numero di immigrati nel solo biennio 1989 – 1991. In Richard Gillespie,

Spain and the Mediterranean. Developing a european policy toward the south, Basingstoke, Mcmillan, 2000, pagg 164 – 169.

38 Antonella Guarneri, Le politiche migratorie nei paesi mediterranei dell’Unione Europea nell’ultimo

quindicennio: dimensione comunitaria e peculiarità nazionali, op.cit., pagg. 10 - 14

39 Federica Bicchi, Foreign policy making toward the Mediterranean, op. cit. pag. 139 40 Ibidem

41 Questa definizione fu pronunciata dal ministro degli interni francesi Charles Pasqua che, nel 1993, varò una

serie di leggi restrittive sull’immigrazione. Per la frase e un quadro più generale Kimberly Hamilton, Patrick Simon, Clara Veniard, The challenge of french diversity, Migration policy institute, 2004 www.migrationpolicyinstitute.org

42 Economic and Social Committee, Opinion on Economic Cooperation with the Maghreb Countries, in OJEC

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«….a further worsening of the MNC and Maghreb trade deficit, external debt, inflation and unemployment will inevitably trigger a new and unprecedented wave of migration towards Europe which cannot be fully stemmed by bureaucratic barriers or other deterrent

measures»43.

Il Comitato sottolineava l’importanza delle relazioni economiche euro – mediterranee e le disfunzioni che un blocco economico europeo dominante comporterebbe, ma andava oltre. Infatti, è segnalato che

«in the EC, where the Member States have so far dealt with migration on a national basis, there is a risk that the Single Market may institutionalize discriminatory social and legal

conditions for non-EC nationals resident within the Community»44.

Ed il Parlamento dichiarava che

«ritiene che, in vista dei crescenti flussi migratori, la Comunità, oltre a fornire aiuti economici allo sviluppo dei paesi rivieraschi del Mediterraneo, debba insistere anche presso gli Stati membri perché disciplinino a livello comunitario la libera circolazione

delle persone e il problema dell'immigrazione»45.

43 Economic and social committee, Opinion on Economic Cooperation with the Maghreb Countries, C 313/

56, cit. pag. 5

44 Ivi C 313/60

45 Parlamento europeo, Risoluzione sul ruolo dell’Europa ai fini della sicurezza nel bacino del Mediterraneo,

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LE AZIONI E I TENTATIVI PER UN DIALOGO DEGLI STATI MEDITERRANEI

Delineato il contesto mediterraneo degli inizi degli anni novanta, adesso mi occuperò di capire come si mossero gli Stati, singolarmente o in gruppo, per promuovere una cornice di dialogo e cooperazione con l’obiettivo di gestire la minaccia multidimensionale46 che essi percepivano. Un insieme di fattori sociali, economici e militari a cui spesso ci si riferì come

“threat from the south47.

La Spagna assunse un ruolo fondamentale, tanto che Gillespie la definisce “a major

architect of that (mediterranean, ndr) policy”48, mentre Federica Bicchi le assegna il ruolo

di enterpreneur49. Una linea di politica estera pragmatica la portò a garantirsi buone relazioni con i propri vicini; si mossero in questa direzione gli accordi di buon vicinato e amicizia siglati con la Tunisia, l’Algeria il Marocco, mentre con quest’ultimo furono previste anche esercitazioni militari comuni50. La Spagna, inoltre, cercò di guadagnare un maggiore prestigio nell’agone internazionale garantendosi una posizione equidistante e dialogante con entrambe le parti nel conflitto israelo - palestinese51, tra le ragioni che le permisero di ospitare la Conferenza di Madrid del 1991.

46 La nuova idea di sicurezza multidimensionale era stata fatta propria anche dalla Nato « But what is new is

that, with the radical changes in the security situation, the opportunities for achieving Alliance objectives through political means are greater than ever before. It is now possible to draw all the consequences from the fact that security and stability have political, economic, social, and environmental elements as well as the indispensable defence dimension.» in NATO New Defence Concept, 1991, www.nato.int

47 Dimitri Constas, Southern European countries in the European community, in John Holmes, Maelstrom.

The United States, Southern Europe and the challenge of the Mediterranean, Cambridge, The world peace foundation, 1995, pag. 129.

48 Richard Gillespie, Spain and the Mediterranean. Developing a European policy towards the

Mediterranenan, cit., pag. 134.

49 Federica Bicchi, Foreign Policy making toward the Mediterranean, cit., pag. 151

50 Con il Marocco l’accordo risale al 1991, e permise un grande miglioramento delle relazioni tra i due stati e

la cooperazione nel controllo e repressione dell’immigrazione clandestina; le esercitazioni militari furono previste con un accordo del 1989. Con la Tunisia fu siglato nel 1995. Invece, con l’Algeria si arrivò a tale entente solo nel 2002, data l’instabilità del paese, sebbene buone relazioni fossero coltivate, poiché la Spagna era il secondo importatore di gas negli anni ’90. In R. Gillespie Spain and the Maghreb in R. Gillespie, F. Rodrigo, J. Story Democratic Spain. Reshaping external relations in a changing world, London, Routledge, 1995, pagg. 160 – 177, pag. 164

51 Vantando già buone relazioni con la parte araba, Madrid conquistò una maggiore equidistanza con l’avvio

delle relazioni con Israele nel 1986, azione resasi doverosa date le posizioni degli altri Stati membri della CEE.

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La Spagna capì che solo coinvolgendo la Comunità europea52 e gli altri Stati del bacino si sarebbe giunti a dei risultati politici concreti: un’azione di lobbying nella Comunità e di collaborazione con gli altri Stati del bacino era necessaria. L’Italia, che a partire dagli anni ’80 attuò una politica maggiormente autonoma e attiva nel Mediterraneo, coltivando le proprie relazioni con gli Stati rivieraschi in particolare del Maghreb53, si mostrò ricettiva di tale indirizzo. Ciò detto, anche la nomina a Ministro degli Esteri di Gianni De Michelis54, impresse una svolta dinamica alla politica estera nazionale nella regione: l’Italia si fece promotrice di iniziative multilaterali55 ed agì anche a livello europeo affinché tali iniziative ricevessero un adeguato supporto56. Purtroppo però, non solo i tentativi di De Michelis non riscossero il successo sperato57, ma l’Italia, dopo Mani Pulite, si concentrò maggiormente sulle proprie vicende interne, diminuendo la propria pro positività sul piano internazionale58.

La Conferenza per la Cooperazione e la Sicurezza nel Mediterraneo

La conferenza sulla sicurezza e la cooperazione nel Mediterraneo, si ispirava a quanto avvenuto in Europa a seguito della firma dell’Atto di Helsinki nel 1975.

52 «The Spaniards recognised the limitations of any Mediterranenan policy pursued purely at national level,

and saw in the EC a unique force and means multiplier». R. Gillespie Spain and the Mediterranean. Developing a European policy towards the Mediterranenan, cit., pag. 134.

53 Il Maghreb era una zona di rilevante importanza per l’Italia. Già durante gli anni ’80 sono firmati accordi

per facilitare il commercio, togliendo la doppia imposizione sulle merci, e per la protezione degli investimenti con Marocco, Tunisia ed Egitto (con la Tunisia fu anche firmato un accordo di cooperazione militare nel 1991). Inoltre erano coltivate buone relazioni con l’Algeria, del cui gas l’Italia era il primo consumatore. Infine, un rapporto particolare era quello con la Libia, a tratti molto teso, con la quale a partire dalla metà degli anni 90 sarà avviato un dialogo, volto al suo graduale rientro nella comunità internazionale. S. Beretta, V.E. Parsi, R.Zoboli, Il Mediterraneo e la prospettiva europea. Reti istituzionali, di conoscenza e di informazione, Milano, Egea, 2004, pagg. 71 - 101

54 In John Holmes (1996) Italy: in the Mediterranean, but of it?, Mediterranean Politics, 1: 2, pagg. 176 –

192.

55 Mi riferisco alle iniziative analizzate nelle prossime pagine

56 De Michelis si rese conto che una politica mediterranea effettiva avrebbe dovuto avvalersi di una solida

politica estera europea, che egli sostenne durante le trattative per la creazione della CFSP. In Maurizio Carbone (2008) Between ambition and ambivalence: Italy and the European Union's Mediterranean policy, Modern Italy, 13:2, pagg. 155-168, pag. 160

57 Per la cause di tali fallimenti si vedano le prossime pagine

58 In Maurizio Carbone (2008) Between ambition and ambivalence: Italy and the European Union's

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L’iniziativa fu presentata dal Ministro degli Esteri italiano Gianni De Michelis, all’epoca anche presidente di turno della Comunità europea, e dal collega spagnolo Francisco Fernandez Ordonèz, in occasione della conferenza CSCE sull’ambiente di Palma di Maiorca del 24 settembre 199059; a questo incontro oltre agli Stati facenti parte del consesso internazionale, furono invitati quelli appartenenti alla riva Sud, in linea con una tendenza affermatasi già dal meeting CSCE sul Mediterraneo de La Valletta del 1979. Inoltre furono chiamati rappresentanti di alcune organizzazioni internazionali, di modo che anch’esse potessero offrire il loro contributo, nei propri ambiti di attività60. I due ministri sottolinearono che

«la nostra idea di una CSCM non è solamente un’altra proposizione per la risoluzione delle crisi», ma «presuppone un approccio globale e progressivo ai problemi della regione attraverso l’adozione di un insieme di regole e principi universalmente adottati che saranno seguiti dopo la risoluzioni delle crisi, per le questioni relative al disarmo e alla

sicurezza , e alla cooperazione e alla dimensione umana»61.

59 La conferenza di Palma de Mallorca sull’ecosistema mediterraneo era suddivisa in due parti. La prima

riguardava il dibattito la cooperazione tra gli stati del bacino, evidenziandone ragioni, strumenti e campi di azione. La seconda parte si occupava dell’ecosistema mediterraneo e della cooperazione in tale ambito. Nella trattazione presente si approfondiranno le conclusioni relative alla prima area di dibattito, all’interno della quale fu, all’epoca, presentata la CSCM.

60 Gli Stati non partecipanti che inviarono i loro rappresentanti furono Algeria, Egitto, Israele, Libano, Libia,

Marocco, Siria e Tunisia. Le organizzazioni internazionali erano: UNESCO, CEE, PNUA (Programma delle nazioni unite per l’ambiente), OMS, UIT (Unione internazionale delle Telecomunicazioni) e OMI (Organizzazione marittima mondiale). L’invito e i modi della loro partecipazione, come anche l’organizzazione dei lavori furono stabiliti ne il Final Document of the Vienna meeting 1986 of representatives of the participating state sto the Conference on security and Cooperation in Europe, held on the basis of the provisions of the final act relating to the follow up to the conference. Inoltre per un regolamento più preciso si rimanda al Report del follow up de la Valleta del 1979, il primo meeting della CSCE dedicato al Mediterraneo. In particolare agli stati non partecipanti era permesso presentare pareri e opinioni, sulle quali poteva essere aperta una discussione. Entrambi i documenti si possono trovare sul sito www.osce.org

61 In Atto mediterraneo citato in Hayète Cherigui, La politique mediterranéenne de la France: entre

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Un tentativo così ampio ed ambizioso era figlio di quella speranza di un “nuovo ordine” mondiale tutto da scrivere che si presentò con la fine della guerra fredda, ma dall’altro era anche la risposta ad una necessità avvertita dagli Stati europei della costa Nord. Infatti, accanto alla definizione della «cooperazione come alternativa alla confrontazione»62 si parlava de «l’urgenza di globalizzare le relazioni nel Mediterraneo» e de «la necessità d’iniziare un processo progressivo che permetta di elaborare un modello di buon vicinato e

stabilità»63. Più in particolare, come notò il rappresentante della Commissione europea

Abel Matutes, si «rileva la carenza di strutture decisionali adeguate»64 come uno dei

principali problemi della regione. La CSCM che avrebbe dovuto colmare questo vuoto, avrebbe assunto una struttura similare

a quella della CSCE secondo una tripartizione del dialogo in sicurezza, cooperazione economica, diritti umani e cooperazione culturale. Questa organizzazione sembrava la più adatta per garantire un dialogo continuo, sebbene alcuni sottolineassero la poca flessibilità dei gruppi di lavoro, rigidamente organizzati per temi65; dall’altro si era coscienti che il patrimonio di Helsinki non poteva essere applicato tale e quale nel Mediterraneo, come ebbe a dichiarare il ministro spagnolo Ordonez nel suo discorso

«la situazione del Mediterraneo è molto differente da quella presente nell’Europa di Helsinki. Perciò necessitiamo di uno strumento che possa ispirarsi storicamente a la CSCE

e che si serva della sua esperienza quando sia necessario»66.

62 Ibidem

63 Julia Olmo (1991) La reunion de Palma: la CSCE y el Mediterraneo, Politica exterior, V : 19, pagg. 180 -

187

64 La citazione è tratta dall’intervento orale di Matutes, all’epoca commissario europeo agli affari

mediterranei. In Hayète Cherigui, op. cit., pag 185

65 In Olmo, op. cit, 66 Ibidem

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Di questo aspetto era ben cosciente il Parlamento europeo67, e criticità al riguardo vennero espresse da molti osservatori. Aliboni68, ad esempio, ha sottolineato come il principio di non interferenza, sancito nella carta di Helsinki, fosse stato più volte travalicato per le richieste europee e occidentali verso i paesi comunisti per il rispetto dei diritti umani, richiami a cui gli Stati dell’Est cercarono di uniformarsi tranne rari casi. Allo stesso modo nel Mediterraneo si sarebbe riproposta questa contraddizione, col rischio che le politiche europee avrebbero potuto, per evitare interferenze all’interno degli Stati, perdere in credibilità.

Un dialogo a tutto tondo, nel quale la sicurezza non era intesa solo in senso militare, ma anche nei suoi aspetti ambientali69, economici e sociali: se la conferenza si dava il compito di lottare contro il terrorismo, il traffico di droga e la proliferazione di armi70, si comprendeva anche l’importanza di cooperare per lo sviluppo, in un’ottica di solidarietà economica, spingendo per un più chiaro rispetto dei diritti umani

«The importance of developing intra-Mediterranean relations and, in particular, trade and economic co-operation in this region was stressed. That perspective, as well as the promotion of sustainable development aimed at bringing the coastal countries closer, required national efforts in order to ensure the identification of adequate priorities, strengthen the trend towards market economies and underline human rights. Based on respect for the Helsinki principles, such efforts should rely on political, cultural, religious

67 Parlamento Europeo, Risoluzione sul ruolo dell’Europa ai fini della sicurezza nel bacino del Mediterraneo,

op. cit. pag. 5

68 Roberto Aliboni, European security across the Mediterranean, Chaillot Papers 2, cit. pag. 4

69 Gli interventi ambientali che sono concordati nel documento finale interessano il bacino marino,

comprensivo di coste ed ambienti limitrofi. Per la lista degli interventi previsti Final document f the Palma de Mallorca meeting, cit.

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and economic conditions, leading to active co-operation between the participating States

and the non-participating States»71.

Infine, è interessante riportare alcune frasi del ministro spagnolo Ordonez, riguardo la promozione della democrazia e dei diritti dell’uomo

«l’obiettivo da raggiungere a questo livello, sarebbe d’incoraggiare la tolleranza e di aprire ad una definizione comune dei diritti dell’uomo, al fine di provare che i due modelli

di società possono coesistere e che è possibile instaurare un dialogo interculturale»72

Insomma, in questo progetto si può intravedere un nocciolo di riflessioni e argomenti, ripresi più tardi e con maggiore successo.

Della CSCM si parlò di nuovo al summit inaugurale del forum informale dei 4+5, che si tenne a Roma il 10 ottobre 1990. Nonostante il progetto avesse ottenuto l’appoggio dei partecipanti, esso non trovò un reale seguito e fu addirittura abbandonato negli anni successivi persino dagli Stati proponenti73. Tale insuccesso era da ricondurre ad alcuni punti critici, uno dei quali era la compresenza di Usa e Urss, come prevista dal progetto. Se l’Urss si mostrò favorevole all’idea, come dimostrò il saluto per l’apertura della conferenza inviato dal Ministro degli Esteri sovietico Shevarnadze74, gli Stati Uniti manifestarono un tutt’altro avviso. Essi non vedevano di buon occhio un’iniziativa che probabilmente

71 Final document of the Palma de Mallorca meeting, cit. 72 Olmo, cit., pag. 183

73 La Spagna lanciò una propria iniziativa maghrebina il 16 febbraio 1992, con la proposizione di una zona di

libero scambio interventi per l’alleggerimento le debito e l’aiuto allo sviluppo; contestualmente era prevista una conferenza da tenersi il 29 febbraio Per quanto riguarda l’Italia invece, la situazione politica interna catalizzava tutte le risorse e determinava una minore incisività italiana. In H. Cherigui, cit., pag. 209

74 Tale intervento era in linea con quanto affermato da Gorbaciov qualche anno prima ad un incontro al

Cremlino con il presidente algerino Bendjedid nel 1986. Durante tale incontro propose la demilitarizzazione e la ritirata delle flotte dal mediterraneo e suggeriva una grande conferenza internazionale sulla regione. Ivi pag. 181

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avrebbe indebolito il ruolo egemone che avevano nel Mediterraneo orientale, ponendoli nella condizione di dover ricercare accordi con l’Unione Sovietica su questioni come il processo di pace israelo - palestinese che controllavano interamente; inoltre una cooperazione per la sicurezza avrebbe potuto interessare il ruolo e la presenza della sesta

flotta nel quadrante orientale.

L’altra questione era quale sarebbe stato il ruolo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, sotto la cui egida la conferenza veniva posta75. Una tale organizzazione avrebbe comportato l’arrivo nell’area di Stati come la Cina, senza considerare che una tale prospettiva contraddiceva ampiamente l’idea di un forum regionale. In realtà, il problema di chi dovesse partecipare alla CSCM era più rilevante di quanto si pensi poiché nelle diverse formulazioni che furono proposte vennero inclusi anche i paesi del Golfo, quelli dei Balcani ed anche la Gran Bretagna, in virtù del suo dominio su Gibilterra76.

L’unico altro tentativo di una conferenza sulla sicurezza nel Mediterraneo si tenne dal 15 al 20 giugno 1992 a Malaga, promosso dall’Unione Interparlamentare, al quale parteciparono parlamentari del solo litorale mediterraneo, con l’esclusione di Russia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Portogallo77. Dopo un preambolo assai impegnativo nel quale si affermava l’esigenza di lanciare un processo pragmatico e progressivo di cooperazione78 (sebbene la conferenza non si fosse data alcun obiettivo a breve termine), gli Stati avanzarono l’ipotesi

75 In un secondo documento, The conference on security and cooperation in the Mediterranean and Middle

east, del 23 febbraio 1991 a Kuwait city, si fa riferimento al Consiglio di sicurezza come organo garante del funzionamento della conferenza. In H. Cherigui op. cit. pag. 12, pag. 194

76 Gli spagnoli, sempre durante la conferenza, cercarono di venire incontro a coloro che si opponevano a

questa proposta, non citando i paesi del Golfo ed addirittura trattando sulla possibile esclusione del Mediterraneo orientale, di fatto andando incontro alle idee francesi e maghrebine. In R. Gillespie, Spain and the Mediterranean. Developing a European policy towards the Mediterranenan, cit., pagg. 171 - 172

77 Stephen Calleya, The Euro – mediterranean partnership and sub – regionalism: a case of region – building,

in E. Adler, F. Bicchi, B. Crawford, R. Del Sarto, The convergence of civilizations. Constructing a Mediterranean region, Toronto, University of Toronto press, 2006, pagg.109 - 133 , pag. 116

78 «….relations between all the coastal countries of the Mediterranean in the various fields of common

interest must urgently be redefined comprehensively and step by step from the qualitative point of view» in Final document of the 1st inter – parliamentary conference on security and cooperation in the Mediterranean.

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di una Carta sulla sicurezza per le relazioni trans- mediterranee, e riproposero una cooperazione su tre pilastri79.

Un’altra nazione che manifestò le sue perplessità sulla proposta italo - spagnola fu la Francia che temeva che la CSCM, dotandosi di una struttura articolata e solida, avrebbe indebolito il suo potenziale diplomatico e politico, basato su lasciti storici, rapporti economici e culturali e consolidati rapporti bilaterali. Inoltre la Francia vedeva nella maggiore vicinanza culturale, storica e geografica tra Stati maghrebini e occidentali il giusto presupposto per avviare una cooperazione80; in questo era sostenuta dagli Stati del Maghreb, che puntavano ad un rapporto privilegiato con l’Europa per evitare una loro marginalità, in un contesto in cui le attenzioni erano rivolte al Mashreq e al Medio - Oriente.

La tesi francese fu ribadita dall’ambasciatore francese in Italia Marc Bonnefous81, che parlando di disarmo e misure di prevenzione dei conflitti affermò che

«il criterio migliore di affrontarlo sarebbe quello di cominciare con un’area geograficamente limitata, in particolare quella di cui i problemi sono di più facile soluzione; dopo di che, alla luce di tale esperienza, quest’area geografica potrebbe essere estesa. In queste condizioni, il Mediterraneo occidentale, zona di relativa stabilità, dovrebbe essere la nostra prima tappa»

79 Ibidem

80 La Francia era inoltre l’unica vera potenza regionale, potendo contare su un più forte apparato militare e sul

possesso della bomba atomica, che le conferiva uno status superiore a tutti gli altri Stati. Inoltre era anche membro permanete del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Sulla politica della Francia si veda Joylon Howort (1996) France and the Mediterranean in 1995: from tactical ambiguity to incohative strategy?, Mediterranean Politcs 1: 2, pagg. 157 – 175, pagg. 158 – 159 e Laurent Meyred France’s foreign policy in the Mediterranean in Stelios Stavridis, The foreign policies of European Union’s member states and applicant countries in the 1990, Basingstoke, Mcmillan, 1999, pagg. 40 – 72

81Amb. Marc Bonnefous, L’italia e la CSCM, in Atti del seminario sulla sicurezza nel Mediterraneo, cit.

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È evidente quindi la diversità di visioni tra Italia e Spagna da un lato e la Francia dall’altro. Mentre i primi volevano una soluzione globale e sistemica, la seconda puntava ad un nucleo ristretto per la cooperazione nel Maghreb, per poi ampliare quest’esperienza. Dietro alle differenti strategie vi erano fini diversi: la Spagna voleva una demilitarizzazione della regione per evitare il rischio di impegnarsi in nuove alleanze, l’Italia non voleva rimanere isolata di fronte alle nuove minacce, mentre la Francia tentava di mantenere la sua egemonia82. Infine è rilevante notare come i progetti francesi non contemplassero la presenza degli Stati Uniti, ma puntassero piuttosto su una guida europea. Invece la CSCM italiana era in linea con il più marcato atlanticismo della penisola e metteva gli Stati Uniti a parte di questo progetto83.

Il Forum del Mediterraneo Occidentale o dei 5 + 5

Il 10 ottobre 1990 nasceva a Roma il Forum dei 5+ 4, poi 5+5 con l’aggiunta di Malta. Ne facevano parte i cinque paesi membri dell’UMA (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia , Egitto) e i paesi del Mediterraneo del Nord (Portogallo, Spagna, Francia, Italia). Il risultato di questo incontro fu la dichiarazione di Roma, nella quale essi chiarivano gli obiettivi e i campi d’azione di questo gruppo. Pur riconoscendo l’indivisibilità e la globalità del concetto di sicurezza essi

82 Roberto Aliboni, Contenuti e prospettive di una Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione nel

mediterraneo: un punto di vista italiano, in Atti del seminario sulla sicurezza nel Mediterraneo, cit., pagg. 153 – 166, pag. 154

83 La Francia, anche nelle trattative sulla nascente PESC sostenne una posizione europeista, che portasse ad un

rafforzamento e allo sganciamento dagli Usa e dalla Nato della politica estera della Comunità. In Maurizio Carbone (2008) Between ambition and ambivalence: Italy and the European Union's Mediterranean policy, cit., pag. 160

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«Ils estiment que la question de la sécurité en Méditerranée doit être considérée dans le contexte plus large de la sécurité internationale et qu'elle est étroitement liée à celle de la région tout entière. Compte tenu des processus favorables en matière de sécurité et coopération qui se développent en Europe les pays méditerranéens devraient en

bénéficier»84

I temi quindi di cui si occuperà il forum saranno di rilevanza regionale e di ambito economico, politico e culturale

«Les ministres des affaires étrangères ont dûment pris en considération les caractéristiques et spécificités de la Méditerranée occidentale et ont décidé de les valoriser pour faire de cette région une aire de paix, de coopération et de stabilité. Ils sont convaincus que les avantages qui en résultent pour chaque pays et pour la sous-région de la Méditerranée occidentale en termes de stabilité politique et de progrès économique, social et culturel pourront contribuer à la transformation de la Méditerranée en une zone

de paix et de coopération»85.

Si parla di sous region identificando un quadrante specifico e più omogeneo e per la prima volta (in un forum realizzato) si fa evidente riferimento agli elementi non sono securitari, ma di cooperazione politica e culturale. Tutto ciò per garantire «(le) renforcement du bon

voisinage et l'expansion du progrès économique, social et culturel»86.

84 Déclaration commune des neuf pays de la Méditerranée occidentale, sur la coopération et le dialogue en

Méditerranée occidentale entre les pays de l'Union du Maghreb arabe et les pays de l'Europe du Sud, Roma, 10 ottobre 1990.

85 Ibidem 86 Ibidem

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Più concretamente le misure proposte sarebbero state incentrate sull’aiuto allo sviluppo, attraverso la creazione di una banca regionale sul modello della Bei, e sulla riduzione del debito estero degli Stati maghrebini.

Gli incontri del gruppo erano previsti per una o più volte all’anno secondo le necessità e, coinvolgevano i Ministri degli Esteri dei paesi partecipanti.

La seconda conferenza si tenne ad Algeri il 26/27 ottobre 1991 e in quell’occasione, sebbene fossero ribaditi gli impegni precedenti, le due principali richieste maghrebine, cioè una Carta sulle migrazioni e l’alleggerimento del debito estero, non trovarono una soluzione, ma anzi furono deferite ad altra sede87. Si iniziò quindi a manifestare quella tendenza, più volte rimarcata dagli Stati partner del Sud, dell’atteggiamento di dominanza manifestato dagli Stati europei nel gestire gli strumenti cooperativi.

Il forum ebbe una repentina battuta d’arresto, tant’è che dopo Algeri non vi furono più riunioni per lungo tempo88; i motivi di ciò sono da ricercare sia nell’ambito internazionale che nell’impostazione del forum stesso. Nel primo caso fu di notevole rilevanza il deterioramento delle relazioni tra la Libia e la comunità internazionale89. Ciò si tradurrà in un’interruzione del dialogo con la Libia da parte dei 9, ufficializzata dal Ministro degli Esteri portoghese il 12 maggio 1992.

Per quanto riguarda l’organizzazione del gruppo, il problema risiedeva soprattutto negli obiettivi macro - economici che si era dato, i quali non potevano trovare una soluzione che nell’ambito di istituzioni sovranazionali come l’FMI, la BM. Infatti né gli Stati della riva Nord avevano le risorse per una seria politica di alleggerimento del debito, né la CEE

87 In H. Cherigui, cit., pagg. 148 - 159

88 Il Forum sarà riattivato solo successivamente, nel 2001. 89 Passim pag. 2 - 3

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poteva impegnarsi troppo, essendo un creditore nient’altro che marginale90. È chiaro come l’iniziale volontà, soprattutto della Francia, di fare del forum uno strumento per la cooperazione su questioni economiche si ponesse in aperta contraddizione con gli strumenti effettivi, determinando la fine dell’esperienza.

Il Forum Mediterraneo

L’ultimo progetto che prenderò in esame è quello del Forum del Mediterraneo, di iniziativa egiziana, e che godé fin da subito dell’appoggio francese ed italiano91. Il Forum riprendeva il carattere informale che già il 5+5 aveva, non dotandosi di una struttura fissa ma di una presidenza rotante92. Il lavoro era suddiviso in tre gruppi di lavoro ricalcanti i tre cesti di Helsinki. Furono invitati dieci Stati93, tra cui la Grecia e la Turchia: data la situazione algerina e libica, il Mediterraneo occidentale trovava il suo ruolo sminuito e indebolito, e così l’idea di un Forum ristretto a quella regione94. L’Egitto inoltre aveva tutto l’interesse a spostare l’attenzione verso la parte orientale del bacino, dato il suo ruolo di mediatore nel conflitto iracheno e di leader nel mondo arabo, con il ritorno della sede della Lega Araba a Il Cairo. Ciò che più aveva a cuore l’Egitto era infatti un suo ancoraggio al Mediterraneo occidentale sia richiedendo lo status di osservatore all’UMA, sia coltivando rapporti più forti con la Comunità Europea, con l’obiettivo di non perdere le attenzioni degli Stati

90 In H. Cherigui, cit., pag. 158

91 Il governo Ciampi sostenne l’iniziativa fin dall’inizio, coerentemente con le sue linee di politica estera che

consideravano il Mediterraneo una zona di primario interesse per l’Italia. In Roberto Aliboni, Italy and the Mediterranean in the 90s, in Stelios Stavridis, The foreign policies of European Union’s member states and applicant countries in the 1990, cit., 1999, pagg. 84 - 88

92Stephen Calleya, The Euro – mediterranean partnership and sub – regionalism: a case of region –

building?, cit, pag. 113

93 Gli altri ad essere presenti erano: Italia, Spagna,Portogallo, Francia, Malta e Marocco, Tunisia e Algeria.

La Mauritania, presente nel 5+5, non fu invitata data la posizione presa sulla guerra in Irak

94 Mohammed el Sayed Selim (1997) Egypt and the euro - mediterranean partnership: strategic choice or

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