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PROCESSO DI BARCELLONA

LA PARTNERSHIP SOCIALE E CULTURALE

Il terzo volet del Processo di Barcellona era dedicato agli affari umani e sociali, con questo intendendo un’amplissima gamma di temi che dal dialogo interculturale, arrivavano fino alle azioni contro il terrorismo, il traffico di droga e l’immigrazione irregolare. La mancanza forse più vistosa è quella relativa alle misure per il movimento delle persone tra le due rive del bacino, che costituiva una delle richieste più importanti da parte araba e che invece non fu accolta, portando una fonte diplomatica algerina ad affermare

«the dialogue risks to be one way, if an artist, a university professor or a journalist on the southern banks of the Mediterranean must each time apply for a visa and wait a long

period before it is issued»137

Il terzo basket e il Forum Civile Euromed

Per capire le ragioni dell’ampiezza dei contenuti del terzo basket, è utile ricostruire il suo percorso di costituzione. Concentrandosi sulle due nazioni europee più importanti, Francia e Germania, si nota come le loro preferenze in fatto di politica estera abbiano condizionato lo sviluppo del terzo volet. Il dialogo culturale era fortemente sostenuto dalla Francia e quasi osteggiato dalla Germania, in accordo con le rispettive politiche estere: la prima aveva una lunga tradizione di politica culturale che nella francofonia trova la sua punta di diamante. Quasi opposta la situazione tedesca, nella quale la politica culturale era assai debole e per di più era materia affidata ai Länder; inoltre, questo Stato del nord si interessava al Mediterraneo per motivi legati alla sicurezza, consapevole che eventuali destabilizzazioni nell’area l’avrebbero interessato, in particolare dopo la caduta delle

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frontiere interne138. Fu anche per queste ragioni che le questioni di soft security, come l’immigrazione e il terrorismo, furono inserite in questo basket139. Il terzo volet risultò quindi come il frutto di un compromesso tra Stati, un fattore che non giovò alla linearità dei suoi contenuti. Tra l’altro, lo stesso percorso di avvicinamento graduale al Mediterraneo, attraverso i temi della sicurezza, è comune ad altri Stati del Nord che non potevano certo far valere alcun interesse tradizionale delle loro politiche estere in questa regione. Ad esempio la Svezia dette, fin dalla sua entrata nell’Unione nel 1995, il suo contributo alla PEM sia per la numerosa presenza sul proprio territorio di cittadini o residenti provenienti da tali regioni, sia perché ormai la propria frontiera esterna si era inevitabilmente spostata a Sud140.

Se il terzo cesto è conseguente ad un compromesso, ancora più “rocambolesca” fu la nascita del Forum Civile Euro – Mediterraneo (FCE), lo strumento principale attraverso cui si concretizzerà la partnership socio - culturale. Infatti, tale Forum fu istituito per volere del governo spagnolo, quando fu informato che un gran numero di ONG e di altri esponenti della società civile avrebbero organizzato una Conferenza Mediterranea Alternativa, che avrebbe potuto offuscare quella di Barcellona141. Per queste ragioni, il

Forum Civil Euromed 142 si tenne subito dopo la Conferenza e vide la partecipazione di

138 Anche ragioni di tipo economico determinarono l’interessamento della Germania al Mediterraneo: l’area

di libero scambio ben si addiceva ad un’economia, quella tedesca, votata alle esportazioni. In Annette Jünemann, Cultural Aspects of Euro-Mediterranean Cooperation and the German Point of View , in Hegazy, Sonja: Egyptian and German Perspectives on Security in the Mediterranean, Friedrich-Ebert- Stiftung, Il Cairo 1998, pp 148-157, pag. 152

139 Direi che tale organizzazione della materia ha risentito del fatto che il primo basket, quello sulla sicurezza,

aveva all’inizio un’impostazione centrata su conflict prevention et confidence building, tipicamente materie militari o di hard security. Per esclusione, le questioni di soft security trovarono spazio nel terzo volet.

140 Anche per la Svezia fu rilevante l’incidenza degli interessi economici nel Mediterraneo: il suo surplus

commerciale con la regione raddoppiò tra il 1994 e il 1999, da 6.482 milioni di euro a 12.342 milioni di euro. In Tobias Schumacher (2001) The Mediterranean as a New Foreign Policy Challenge? Sweden and the Barcelona Process, Mediterranean Politics, 6:3, pagg. 81-102, pag. 82

5Annette Jünemann, The Forum Civil Euromed: Critical Watchdog and Intercultural Mediator , in

Panebianco, Stefania (ed), A new Euro-Mediterranean Partnership Cultural Identitiy, Franc Cass, London 2003, pagg. 84-107, pag. 87

142 L’organizzazione del Forum fu affidata all’Institut Catalàn Mediterrània, che era finanziato dal governo

catalano.Il governo regionale era guidato dal partito indipendentista, alleato a livello nazionale dei socialisti. In questo modo Gonzales dette un’occasione importante per gli alleati di governo di mettere in mostra le

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circa 1200 delegati, in rappresentanza di ONG, Università e società civile di ambo le rive del Mediterraneo.

La società civile e il ruolo dei Forum

Bisogna dare atto che tale branca del Processo di Barcellona era fortemente innovativa, soprattutto per il ruolo che definiva per la società civile. Infatti, ci si rese conto che il solo livello bilaterale e governativo non sarebbe bastato ad imprimere una vera svolta alle relazioni euro mediterranee, fine che invece avrebbe potuto essere raggiunto attraverso la cooperazione tra le società civili. Come la Dichiarazione afferma

«they recognize the essential contribution civil society can make in the process of development of the Euro - Mediterranean partnership and as an essential factor for

greater understanding and closeness between peoples» 143 .

Fin dall’inizio, però, si pose il problema di individuare i partners provenienti dalla riva Sud. Infatti se nell’ambito universitario era più semplice creare networks di cooperazione tra docenti o ricercatori (all’interno del programma Med – CAMPUS), poiché l’ambiente scientifico si presta per sua natura alla collaborazione e allo scambio di saperi144, negli altri settori si incontrò una maggiore difficoltà.

Parte della questione era comprendere prima di tutto cosa la società civile fosse. Una definizione potrebbe essere

proprie capacità organizzative con un evento di portata internazionale, assecondando anche gli umori indipendentisti. In ibidem.

143 Dichiarazione di Barcellona, Barcellona 27 – 28 novembre 1995, pag. 7

144 Maurizio Giammusso (1999) Civil society initiatives and prospects of economic development: the euro -

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« The values involved are those relating to liberty, to civilised or civilising behaviour, and to a set of ethics relating to work, social relationships, respect for human rights and so on. The emphasis on one or another aspect may vary from definition to definition, yet liberty must always be at the centre. Descriptive definitions which focus on pluralism or on a realm that is simply distinct from the State miss the point. There are pluralistic societies in which civil society does not exist; they are little more than fragmented societies if liberty

does not transcend the various groups»145

Tale definizione incentrata sui valori è molto ampia, tuttavia la sua validità non è univoca. Infatti, il concetto di società civile è profondamente legato alla storia politica e sociale europea. I conflitti con l’autorità temporale della Chiesa, o quelli tra le leghe di commercianti, o le città libere, e i poteri nazionali hanno punteggiato la storia europea a partire dal Medioevo, e spesso sono sfociati nella concessione di Carte. Nel mondo arabo invece, ad esempio nel caso ottomano, una forza non statale in grado di fronteggiare l’autorità politica e religiosa del sultano non si è mai avuta, ed il concetto stesso di libertà fu importato in tale cultura, mentre il lemma corrispondente nella lingua turca dovette essere inventato146.

In generale nel dare una definizione di società civile si oscilla tra una visione dicotomica che la vede completamente avulsa dallo Stato o altre strutture organizzate, e una visione integrata che invece la vede collaborare con i poteri pubblici o di altro genere, sempre mantenendo una certa indipendenza. In entrambi i casi, comunque, si presuppone che esista una libertà per le forze sociali e gli individui147.

145 La citazione di R. Mabro si trova in Annette Jünemann, Forum Civil Euromed: Critical Watchdog and

Intercultural Mediator, cit., pag. 120

146 Ivi, pag. 44.

147 Annette Jünemann (2002) From the Bottom to the Top: Civil Society and Transnational Non-

Governmental Organizations in the Euro-Mediterranean Partnership, Democratization, 9:1, pagg. 87-105, pag. 89 - 94

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Nei paesi della riva Sud era però più raro trovare queste condizioni per fattori sia culturali che politici. Infatti, la maggior parte dei regimi dell’area erano di natura autoritaria o semi – autoritaria, tendenti quindi ad un forte controllo dei propri cittadini. Il caso più evidente è quello dei partiti islamici che dopo i fatti di Algeria furono messi al bando sia in questo Stato che in Tunisia148. Sempre per la Tunisia è da citare il caso delle associazioni imprenditoriali di fatto incapaci di poter svolgere un’azione autonoma da quella del governo, da cui erano strettamente controllate, sebbene fossero coinvolte nel processo decisionale, ad esempio per quanto riguardava le politiche di investimento all’estero149. Un forte controllo sulle associazioni o istituzioni private è previsto anche in Egitto, dove il ministero degli Affari Sociali può addirittura nominare esponenti governativi all’interno delle strutture decisionali di tali associazioni; inoltre, ogni trasferta all’estero presso assemblee e conferenze doveva essere autorizzata dal ministero con almeno un mese di anticipo150. Infine il caso del Marocco, nel quale la lunga tradizione associativa non era esente da influenze governative, soprattutto nell’ambito culturale, nel quale gran parte dei fondi alle associazioni erano garantiti dai governo151. In generale, l’indipendenza dal potere statale o da associazioni private poteva essere più ampia nei casi in cui l’apparato amministrativo fosse meno invasivo e minore gli obblighi burocratici da soddisfare152. Infine, vi erano anche fattori culturali che sembravano, o sembrano, impedire un pieno svolgimento del ruolo delle ONG. Alcuni intellettuali, rifacendosi alla tradizione islamica, parlano di citizen society, cioè una società costituita dalle strutture tradizionali della cultura arabo - musulmana, cioè la famiglia, il clan o la tribù153. In verità, tale concezione non

148 In Maurizio Giammusso (1999) Civil society initiatives and prospects of economic development: The

euromediterranean decentralized cooperation networks, cit., pag. 44

149 L’UTICA (Union Tunisienne d'Industrie, Commerce et Artisanat) benché maggiormente indipendente

dal governo dal 1988 era ancora finanziata e organica al partito al potere. Ivi, pag.48.

150 Ivi, pag. 45 151 Ivi, pag. 46 152 Ibidem.

153 Annette Jünemann, The Forum Civil Euromed: Critical Watchdog and Intercultural Mediator , in

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contraddice l’idea di una società pluralista e indipendente dal potere governativo, e inoltre non nega la possibilità per l’individuo di vedersi riconosciute delle prerogative154. Tuttavia, molti pensatori, più vicini alla tradizione di pensiero occidentale, rifiutano l’impostazione della citizen society, affermando che le strutture arcaiche non sono fondate sulla volontà libera e razionale del singolo, e quindi non sono compatibili con il modello di una società di individui liberi che possiedono, ciascuno singolarmente, dei diritti155.

Infine, vi è un ultimo aspetto da considerare: ciò di cui le organizzazioni si occupavano. ONG nazionali o transnazionali che proponevano azioni a sostegno dell’istruzione femminile o dei diritti delle donne, erano ben viste dai governi nord africani come quello tunisino, in chiara funzione anti – islamica. Sorte ben diversa toccava a quelle ONG che si occupavano di diritti umani, il cui concetto era estraneo alla cultura araba che vedeva nella comunità, e non nel singolo, il protagonista e l’oggetto delle azioni statali e politiche156.

Per questi motivi, nonostante i FCE fossero organizzati da associazioni nazionali o trasnazionali, fondazioni culturali o politiche, e i partecipanti provenissero dal medesimo mondo, le pressioni governative, da entrambe le rive, si fecero sentire. Ad esempio al primo Forum civile, si evitò di invitare le associazioni più in opposizione ai governi, come anche quelle che ne dipendevano, nell’ottica di non guastare un dialogo culturale e sociale che già nasceva con la contrarietà degli Stati rivieraschi. L’altro pericolo era che si infiltrassero, nella platea dei partecipanti, esponenti delle GONGs, associazioni filo - governative inviate appositamente dalle proprie autorità per “spiare”, ma anche

154 Ibidem 155 Ibidem

156 « Islamic doctrine only accords legal status to the individuals, not to associations or

corporations. According to Khader [1996], in the Muslim legal system the interests of the Umma, the community of believers, prevail over human rights. This was stressed in a declaration of King Hassan II of Morocco in 1991, according to which 'human rights shall not attempt against the sacred values: God, the King and the Nation» i n Maurizio Giammusso (1999) Civil society initiatives and prospects of economic development: The euromediterranean decentralized cooperation networks, cit., pag. 44.

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influenzare il dibattito o i lavori157; tale rischio si presentò soprattutto al FCE di Stoccarda, durante il quale fu organizzata un’apposita sessione di dialogo sui diritti umani. I curatori si premurarono di evitare infiltrazioni e di limitare le pressioni dei governi sui partecipanti. Un altro episodio rilevante fu al FCE di Marsiglia, in occasione del quale non solo il governo francese fece pressioni per evitare la presenza di associazioni apertamente in opposizione ai governi, ma anche si cercò di sviare l’attenzione internazionale dando al workshop sui diritti umani il generico titolo di “État de droit et démocracie”158.

Per queste medesime ragioni, i FCE si caratterizzarono più come forum per il dialogo che come dei watchdog sul Processo di Barcellona, rinunciando ad un ruolo di osservatore critico. Tuttavia, già partire dall’ FCE II, tenutosi a Malta nell’aprile 1997, si decise che da allora in poi tali Forum si sarebbero tenuti prima delle Conferenza interministeriali, così che il loro contributo potesse essere accolto dalla medesime. Inoltre a Malta fu anche deciso che i risultati dei Forum civili avrebbero dovuto divenire parte del patrimonio del terzo basket della cooperazione.

La cooperazione decentrata

Concretamente la cooperazione decentrata si sviluppò grazie ai fondi MEDA destinati alla cooperazione regionale159.

Tra i più importanti progetti che trovarono attuazione vi fu Med – HERITAGE, volto alla conservazione e alla promozione del patrimonio culturale mediterraneo. Dal punto di vista

157 Annette Jünemann (2002) From the Bottom to the Top: Civil Society and Transnational Non-

Governmental Organizations in the Euro-Mediterranean Partnership, cit., pag. 97

158 Ibidem

159 Come già accennato nel primo capitolo, il rapporto della “Court of Auditors” del 1998 denunciò delle

azioni illecite nell’amministrazione dei fondi MEDA e dei progetti ad essi collegati, sfociando in un blocco dei medesimi. Ciò valse per i progetti messi in campo nel periodo 1992 – 1996.

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simbolico è forse il progetto più significativo, poiché tocca uno degli aspetti più notevoli dell’area mediterranea: la sua lunga storia e la lunga convivenza tra civiltà differenti.

«Le patrimoine culturel a été identifié comme un terrain prioritaire d’action parce que c’est à la fois un facteur essentiel de l'identité de chaque pays et un vecteur privilégié de compréhension entre les différentes cultures et civilisations, puisqu’il témoigne du processus d'échanges entre ces dernières. Le patrimoine culturel du bassin méditerranéen, au-delà de sa variété et de ses spécificités locales, est le reflet des liens unissant l'Europe et la rive sud de la Méditerranée. L'objectif ultime est de parvenir à l’idée d’un patrimoine euroméditerranéen commun, intégrant des traditions et coutumes diverses et cherchant à mettre en lumière les liens visibles et invisibles qui les unissent, afin d’en faire

l'outil d’une politique d’ouverture, de tolérance, de paix et de stabilité dans la région.»160

L’obiettivo di questo programma è molto ambizioso volendo portare alla conoscenza del pubblico la cultura euro – mediterranea, creando strutture o pubblicando volumi che potessero essere utili alle comunità locali, ma che anche favorissero la reciproca conoscenza, eliminando o dimostrando l’invalidità di pregiudizi o generalizzazioni. Oltre a ciò, si cercava di avviare un cambiamento nelle politiche di conservazione del patrimonio, promuovendo programmi di cooperazione e integrazione degli interventi, anche in aree differenti. Infine, si voleva ovviare alla contraddizione tra conservazione e sfruttamento del patrimonio, promuovendo il turismo culturale161.

Tra i progetti realizzati si potrebbero nominare “Les fetes du soleil”, il cui scopo era inventariare le tradizioni locali, oppure “Museo – Med” che prevedeva un corso di

160 Intervista a Anne-Charlotte Bournoville, funzionario in carica del programma Euromed Héritage fino al

31 agosto 2000, presso la Direzione Relazioni esterne – Direzione Medio Oriente e Mediterraneo del Sud, Commissione Europea. In European Commission, Programme Euromed – HERITAGE: le patrimoine culturel au coeur du partenariat euro – mediterrannéen, Dossier Special Euromed n° 17, 29 settembre 2000, pag. 2.

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formazione in museologia soprattutto per le comunità della riva Sud . Il programma HERITAGE fu rinnovato più volte e nuovi progetti furono finanziati162, uno dei quali “Med – VOICES”, un’indagine etnografica sulla storia di alcune importanti città dell’area mediterranea, ebbe un discreto successo anche presso un più ampio pubblico.

In effetti, come segnalato dal rapporto per la valutazione di HERITAGE II, spesso queste attività non riuscivano a trovare diffusione al di fuori del pubblico settoriale a cui erano rivolte, nonostante vi fosse una grande capacità comunicativa da parte dei teams di lavoro, soprattutto attraverso il web163. Più in generale, nel medesimo rapporto, si sottolineava che la grande quantità di progetti determinava una dispersione dei fondi, tale che non potevano essere programmati interventi molto ampi come restaurazioni di siti archeologici o la creazione di vere e proprie strutture museali164.

Ad ogni modo, la valutazione su questo programma di cooperazione rimase e rimane piuttosto positiva, soprattutto per il ruolo che esso assume nel mondo della cultura e del dialogo tra civiltà

«Le programme Euromed Heritage agit comme catalyseur en ce qui concerne plusieurs aspects du patri moine euro – méditerranéen. Son objectif est d’atteindre un consensus sur les principaux problèmes en identifiant et en regroupant les interest divers et en

définissant une procedure commune de développement et de récherche »165

162 Il programma fu rifinanziato a più riprese e un’ultima volta per il periodo 2008 – 2012. In

www.euromedheritage.net

163 June Taboroff e Pam van de Bunt, The European Union’s Evaluation of Euromed Heritage II Programme,

London, Public administration international, 2007, pagg. 17 – 21.

164 Isabel Schäfer (2007) The Cultural Dimension of the EuroMediterranean Partnership: A Critical Review

of the First Decade of Intercultural Cooperation, History and Anthropology, 18:3, pagg. 333-352, pag. 344.

165 Piergiorgio Ramundo Orlando, Euromed Héritage: programme régional d’appui à la valorisation du patri

moine culturel euro – méditerranéen, in Filali Osman e Christian Philip (eds), Le partenariat euro – méditerranéen. Le processus de Barcelone: nouvelles perspective, Bruxelles, Bruylant, 2003, pagg. 139 – 148, pag. 145.

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Un altro programma, a mio parere interessante, è Med - AUDIOVISUEL, la cui istituzione fu stabilita alla Conferenza di Tessalonica nel 1997. Il progetto ha una valenza prettamente culturale volendo usare il cinema e l’animazione audio visuale come mezzo per avvicinare le culture. Purtroppo la prima fase di tale progetto, per il periodo 2000 – 2005, poteva contare su un finanziamento ritenuto insufficiente166. Il programma fu comunque rinnovato più volte167; tuttavia i suoi obiettivi, come anche le sue azioni nella pratica sembrano rispettivamente troppo ambizioni e assai vaghi. Come si legge sul sito di ENPI168, riguardo ad AUDIOVISUEL III (2009 – 2014), è detto che il suo compito è quello di coadiuvare lo sviluppo di un’industria cinematografica negli Stati partners, sia attraverso il passaggio di know – how tecnico, sia per mezzo della creazione di un pubblico ricettivo. Tutto ciò si traduce in tavole rotonde e conferenze regionali per dibattere sulla situazione del cinema nell’area, come anche degli strumenti per finanziarlo, a cui si affiancano atelier per la formazione professionale tenuti a cavallo di tutta l’area. Difficile dare una valutazione oggettiva, ma sicuramente gli 11 milioni di euro di AUDIOVISUEL III, distribuiti sui paesi rivieraschi, sono pochi come anche il numero di atelier o incontri promossi (consultabili nell’archivio del sito).

Più in generale, si può affermare che l’approccio dell’Unione era quello di creare un grande spazio culturale mediterraneo, secondo quegli stilemi tipicamente occidentali che lo