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dialogo ecdotico

Nel documento AIUCD2019 - Book of Abstracts (pagine 137-142)

Rosa Casapullo, Luciano Longo

casapullo@gmail.com; longo@olomedia.it

ABSTRACT

Il presente contributo si pone l’obiettivo far dialogare due diverse metodologie ecdotiche, quella tradizionale e quella digitale, su questioni che riguardano la constitutio textus del Trattato di scienza universal compendio in volgare mantovano del De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico compilato dal notaio Vivaldo Belcalzer. La proposta avrà una doppia articolazione; la prima a cura di Rosa Casapullo sulla storia della tradizione volgare e latina del Trattato; la seconda a cura di Luciano Longo sulla costituzione di un modello di marcatura del Trattato che cerchi di dar conto sia della tradizione del Trattato, sia della tradizione del De proprietatibus rerum, ma soprattutto delle relazioni di quest’ultimo con la tradizione volgare. Le due articolazione avranno lo scopo di porre in evidenza problemi ecdotici comuni per i due ambiti di ricerca e tenteranno di presentare in una direzione di sintesi metodologica, procedimenti standardizzati, ad esempio, di formalizzazione del testo base o di rappresentazione delle operazioni di segmentazione testuale. La proposta vuole essere un primo momento di confronto fra due metodologie in una direzione di sintesi con la finalità di produrre una edizione scientifica digitale che sommi in sé i risultati migliori della tradizione ecdotica con quelli più misurati e produttivi dell’ecdotica digitale.

PAROLE CHIAVE

Testo; copia; metodo; codifica; mouvance. PROPOSTA

Il presente contributo ha l’obiettivo di presentare alcune questioni metodologiche che riguardano la constitutio textus del Trattato di scienza universal (d’ora in poi Trattato) compendio in volgare mantovano compilato dal notaio Vivaldo Belcalzer del De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico. Le prospettive di indagine saranno due; la prima farà riferimento alla prassi dell’ecdotica tradizionale, la seconda a quella dell’ecdotica digitale. Il Trattato è sostanzialmente inedito, se si escludono le pagine edite e commentate da Ghino Ghinassi nel 1965, gli studi avviati nel 2003 da Rosa Casapullo e l’edizione critica nel 2010 dei primi quattro libri a cura della stessa studiosa.18 La presente proposta avrà una

doppia articolazione; la prima a cura di Rosa Casapullo sulla storia del testo o dei testi che sostanziano la tradizione volgare e latina del Trattato e che informano l’edizione critica già pubblicata e quella in corso di realizzazione; la seconda a cura di Luciano Longo che, sulla scorta degli studi già avviati, proverà a costituire un modello di marcatura del Trattato che cerchi -su passi esemplificativi dei libri XVI, XVII e XVIII- di dar conto sia della tradizione del Trattato, sia della tradizione del De proprietatibus rerum ma soprattutto delle relazioni di quest’ultimo con la tradizione volgare.

18 È in corso di realizzazione l’edizione critica dei libri XVI, XVII e XVIII del Trattato di scienza

Il Trattato è testimoniato da quattro manoscritto; il primo, il ms. Additional 8785 della British Library (= L), conserva uno dei più antichi compendi in volgare del De proprietatibus rerum redatto dal Belcalzer a fine Duecento. Gli altri tre codici che tramandano il testo conservato in L sono tre copie descritte: il quattrocentesco Riccardiano 2155 (= F), il Canoniciano italiano 24 (=O2) e il Canoniciano italiano 131 (=O1). Dei tre descritti, F e O2 tramandano il testo in modo tendenzialmente fedele, O1 è stato esemplato su O2. In linea di massima, le innovazioni rientrano nella normale casistica degli errori di copia, spesso poligenetici, indotti, soprattutto in F, esemplato da un fiorentino di stanza a Venezia. Nel complesso né F, né O2 presentano un testo modificato intenzionalmente, ma qualche volta lezioni evidentemente guaste dell’originale sono state ritoccate mediante un discreto restauro conservativo. Il ms. più attivo nel rimaneggiare autonomamente il testo è O1, che si colloca al piano più basso della tradizione ed è anche l’unico esemplare sicuramente datato (1466). Solo in O1, infatti, la sintassi è alterata intenzionalmente, il testo è non di rado riassunto e l’ordine delle parole è assai spesso modificato. Il paratesto, inoltre, è completamente riorganizzato: della divisione originaria di L resta poco, mentre sono introdotte ex novo varie rubriche. O1 è anche il ms. che con maggior frequenza, rispetto agli altri due, altera erroneamente e banalizza le lezioni tràdite, soprattutto il lessico cólto. Insomma, se gli errori di F e O2 sono dovuti principalmente a interferenza linguistica, quelli di O1 dipendono in massima parte da un netto dislivello culturale rispetto alla fonte. L’aspetto più rilevante della tradizione del Trattato risiede nel fatto che, ancora nella prima metà del Quattrocento il testo è stato recepito e compreso tutto sommato integralmente, con solo un lieve abbassamento di livello, rispetto all’originale, come attestano gli errori relativi alle parti più astratte e ai linguaggi settoriali. Non diversamente dalle enciclopedie in latino, dunque, il Trattato è il prodotto di una stretta correlazione fra il testo e la forma che esso assume. Infatti, si può affermare che nel compilare la propria enciclopedia il Belcalzer si tenne stretto a un modello preciso, anche formale, che modificò e adattò a scopi e destinatari diversi. Il Trattato, inoltre, ha ereditato dal De proprietatibus rerum una duplice scansione: per materia, fino al libro XIII; alfabetica, nei libri XIV-XVIII; mista nel XIX. Tutto sommato l’enciclopedia in volgare mantovano sembra presentare la forma base, la più scarna ed essenziale, fra quelle osservabili nella variegata tradizione del De proprietatibus rerum. Come altre enciclopedie mediolatine le quali, sottratte al circuito entro il quale e per il quale erano state originariamente concepite, furono soggette a mutamenti nella struttura, oltre che nella lingua, anche il Trattato è stato rielaborato nei contenuti grazie a una drastica selezione e una nuova gerarchizzazione degli argomenti. È necessario aggiungere che il notaio mantovano non è sempre il solo responsabile della semplificazione dei contenuti, della loro banalizzazione o dei cambiamenti sintattici che intervengono nel corso della traduzione. Come si è già accennato, fra la versione standard del De proprietatibus rerum e il Trattato deve essere ipotizzato un manoscritto (e forse più d’uno) che tramandava un testo già in parte semplificato. Nel Trattato la struttura gerarchica del latino è come azzerata; oltre a ciò sono assenti le parti non strettamente funzionali alla linea principale del discorso. La necessità di concentrare il testo latino ha imposto di sciogliere ed eventualmente di appianare le allusioni che si fondano su conoscenze che invece l’enciclopedista latino poteva dare per acquisite, riducendo al minimo la necessità per il lettore di operare inferenze, secondo un modulo tipicamente didattico ben documentato nella tradizione delle enciclopedie in volgare7. Se confrontiamo il numero delle informazioni del De proprietatibus rerum con quelle del Trattato, ci accorgiamo che in quest’ultimo esse sono di numero notevolmente inferiore; la percentuale della riduzione diminuisce notevolmente, però, se confrontiamo le informazioni superstiti nel Trattato con quelle delle versioni latine rimaneggiate, variamente presenti nei primi quattro libri del testo in volgare mantovano. È noto che nel Trattato mancano cospicue porzioni dell’enciclopedia di Bartolomeo Anglico. Partendo da queste acquisizioni è possibile aggiungere qualche particolare, reso possibile

dalle ultime ricognizioni sul De proprietatibus rerum (d’ora in poi: DPR), al fine di chiarire le relazioni fra il Trattato e il ramo della tradizione latina, se non il ms., da cui il Trattato dipende. Si sa, oggi, che la tradizione del DPR è assai più movimentata di quanto le ricerche aurorali sulla sua circolazione manoscritta lasciassero ipotizzare. Esistono, infatti, redazioni meno diffuse, nelle quali il numero dei libri che compongono l’enciclopedia è maggiore o minore; inoltre sono noti veri e propri rifacimenti, nei quali il testo del DPR risulta completamente rimaneggiato. Il De proprietatibus rerum è tramandato, nella tradizione «standard» in diciannove libri (=DPR19), portata a termine verosimilmente entro gli anni Quaranta del Duecento, da circa 200 mss., la gran parte dei quali confezionata entro il secolo XIV. Questa prima fase si accompagna a una vivace attività di rimaneggiamento, il cui apogeo può essere datato all’incirca attorno al 1300. La seconda fase, che coincide con l’attività dei traduttori, comincia poco oltre la metà del Duecento e perdura fino al sec. XV. Se precedentemente tanto i mss. latini quanto i rifacimenti furono prodotti principalmente presso scriptoria monastici, in questa seconda fase prevalse l’iniziativa dei poteri regi e signorili laici. L’ultima fase, infine, quella della stampa, si sovrappone all’attività dei traduttori: comincia col 1472, quando fu pubblicata la prima delle oltre 50 edizioni del DPR, e si conclude, nella sua fase antica, col 1609. Fra le redazioni che si discostano dal testo di DPR19 una, in particolare, è utile al confronto col Trattato, quella tramandata dai mss. L105 e L147. Questi due testimoni presentano un’evidente somiglianza reciproca nella bipartizione del libro XVI; il testo che tramandano comprende non diciannove libri, ma venti (= DPR20). L105 e L147 condividono integrazioni, lezioni caratteristiche ed errori estranei a DPR19. L105, inoltre, è stato corretto in margine da una mano, diversa da quella del copista, che aggiunge, corregge o integra sulla base del testo standard in diciannove libri. Dunque, la tradizione testuale del Trattato si presenta complessa sia sul versante del volgarizzamento sia sul versante del testo latino di dipendenza o derivazione.19

La presente proposta, come si accennava prima, avrà una doppia articolazione; la prima a cura di Rosa Casapullo; la seconda a cura di Luciano Longo. La relazione proverà a far dialogare due prospettive, in una direzione di sintesi metodologica, facendole confrontare sui procedimenti di formalizzazione del testo base; sulla risoluzione di situazioni di complessità documentaria; sulla rappresentazione delle operazioni di segmentazione testuale dei manoscritti rispetto al testo di dipendenza latina; sulla varietà delle situazioni testuali dovute a presenza di varianti, errori o addirittura a sezioni escluse nel processo di copia. La ricerca metodologica di confronto si baserà, oltre che sui temi già esposti prima, anche sulla natura instabile della trasmissione di un testo trascritto in copia che genera una serie di errori o di varianti di varia tipologia, ora da antigrafo ad apografo, ora per collazione di una copia con l’altra. L’ecdotica tradizionale di fronte la fluidità testuale di un manoscritto impone all’atto della constitutio textus la formalizzazione di un testo archetipico. Invece, la possibilità di sintetizzare alcuni percorsi filologici dell’ecdotica tradizionale con quelli dell’ecdotica digitale possono portare far riflettere più che sulla formalizzazione di un testo archetipico sulla standardizzazione di un testo “vero” per determinati campi referenziali grazie alla naturale intertestualità allargata di un manoscritto prodotto in copia in età medievale- umanistica.

Anche in questa prospettiva nasce la proposta di intervento sull’edizione del Trattato. Rispetto a una edizione che faccia emergere giustamente il lavoro di ricostruzione critica del testo tradito stabilito dall’editore, l’esperimento di edizione digitale vuole fondarsi sulla presentazione delle variae lectiones significative che possono contribuire ad identificare in primis il testo in copia come entità storica e solo dopo come entità intellettuale cioè come prodotto del lavoro ecdotico. Esemplificando il lavoro di confronto, una delle prime questioni

19 Cfr. Vivaldo Belcalzer, Trattato di scienza universal, Vol. I: libri I-IV, (a cura di Rosa Casapullo),

che sarà affrontata sarà la scelta tra la definizione di un testo base o la presentazione diacronica e sincronica dei prodotti scrittori storicamente esistenti. Naturalmente questa operazione determinerà una diversa soluzione di marcatura e un diverso modello teorico con un corredo specifico di tag; infatti, se la soluzione adottata sarà quella di considerare il testo- fonte come base per l’edizione critica digitale, la soluzione potrebbe risiedere nella trascrizione-codifica del testo-fonte in un file XML e collegare ad esso l’elenco di tutte le varianti e annotazioni della tradizione volgare. Diversamente, se la soluzione adottata sarà quella di presentare i testi storicamente esistenti e la loro mouvance testuale, la soluzione potrebbe risiedere nella trascrizione-codifica di un file XML strutturato con il modulo Apparatus della TEI. Una altra questione riguarderà i livelli di complessità delle informazioni metatestuali e paratestuali sia della tradizione volgare sia di questa in dipendenza di quella latina. Una terza questione riguarderà la cosiddetta versione diplomatica dei testi e i livelli di formalizzazione e codifica delle loro testualità. Ultima, ma non meno importante, sarà la tipologia di soluzione da adottare sia a livello di codifica che a livello di rappresentazione per riprodurre i rapporti tra tradizione latina e tradizione volgare sulle azioni di segmentazione testuale.

In conclusione, la proposta vuole essere un primo momento di confronto fra due metodologie in una direzione di sintesi con la finalità di produrre una edizione scientifica digitale che sommi in sé i risultati migliori della tradizione ecdotica con quelli più misurati e produttivi dell’ecdotica digitale.

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Diogene alla ricerca dell’uomo contemporaneo: le

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