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Capitolo 3: Antropologia, teatro e intercultura

3.3. Dialogo tra arti performative e intercultura

In questo paragrafo vorrei analizzare il modo in cui le arti performative possano essere uno strumento adatto alla pratica interculturale.

La fonte teorica cui faccio maggior riferimento è il volume “Incontrarti: Arti Performative e Intercultura” (Colombo et al. 2012), il quale raccoglie contributi teorici e operativi all'analogo progetto, promosso dalla Cooperativa Accoglienza Migranti di Brescia in collaborazione con più partner, sia pubblici sia del privato sociale, e al cui interno viene affrontata la sfida di innovare la dinamica interculturale attraverso la pratica delle arti performative.

L'interculturalità è definita dagli autori del volume non come un momento in cui conoscere la cultura dell'altro, che attraverso canti, danze, rituali mostra un'identità, quanto come una co-costruzione dell'esperienza immaginario-simbolica. La cultura è interpretata come un'esperienza di produzione e invenzione, in cui i materiali del passato e la diversità formale alimentano una costruzione collettiva, e in cui la qualità della relazione è inclusiva. Un altro spunto teorico utile per inquadrare l'approccio interculturale proviene dal volume “Lingue migranti e nuovi paesaggi” (Bajini et al 2015).

La necessità di co-costruire il senso si basa sulla convinzione che il futuro sia un fatto culturale. Talvolta, per costruire cultura nuova:

è prima importante sgombrare il campo da stereotipi. (…) Da qui la necessità di porsi all'ascolto di chi non conosciamo secondo una posizione dialogante. Il dialogo è una forma di negoziazione in cui negoziando con gli altri negoziamo anche con noi stessi. Ecco perché è necessario assumere un approccio interculturale: l'idea di cultura come totalità non ha infatti più senso (Bajini et al 2015: 176).

L'obiettivo principale dell’intercultura è l'incontro, che esiste nel momento in cui si riesce a lasciare la propria cornice interpretativa, e si riesce ad accogliere lo sconosciuto, l'imprevedibile, ciò che turba e perturba. L'esercizio dell’intercultura è quindi il tentativo di superare ogni forma di monologo e di chiusura identitaria: le identità individuali e collettive

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sono interpretate non come “identità-radice”, ma come “identità-relazione”, poiché sono caratterizzate da uno sviluppo non lineare, estensivo e imprevedibile.

Le identità dei soggetti si adattano ai contesti, sono in continuo mutamento, i significati sono negoziati e se ne creano di nuovi. Ogni identità coincide e si modifica nell'interazione con il contesto (Bajini et al 2015).

Non si tratta di smantellare ogni legame con la propria origine, con la propria terra, ma di comprendere come quest’origine e questo radicamento siano il risultato a loro volta di interazioni, di evoluzioni e di meticciati (Ghilardi 2015).

Oltre alla dimensione dell'ascolto, è fondamentale il partire da sé stessi: l'auto-conoscenza e la possibilità di espressione personale sono considerate come la condizione necessaria di apertura all'esterno, all'imprevisto e alle altre persone (ibidem).

In particolare, alcune caratteristiche dei laboratori teatrali sono considerate efficaci per lo scambio interculturale.

Lo spazio-tempo vuoto del teatro è uno spazio di liminalità, uno spazio-tempo di “modo congiuntivo”, il quale esprime desiderio, immaginazione, ipotesi e possibilità (Brook 1968). Il teatro dà l'opportunità di compiere un'opera di denudamento, di perdita, di rinuncia di ciò che impedisce, ostacola, turba, rovina l'incontro con l'altro, anche attraverso la spoliazione e la sospensione della propria maschera sociale: come sostiene il regista Jerzy Grotowski, la vera essenza del teatro e di ogni arte performativa è l'accettazione totale di un essere umano da parte di un altro (Grotowski 1970). Lo spazio vuoto permette di ridisegnare e di ridefinire ruoli e rapporti, risvegliando tutte le possibilità dell'essere umano, che è sempre essere in relazione, e alimentando la possibilità di creazione di nuovi mondi:

The concept of worldmaking delineates the way in which the performances- both theatrical and everyday rituals- have the ability to establish alternative views of the world (Muňoz 1999:195-96).

Un altro elemento centrale è quello della corporeità: il linguaggio para-verbale permette infatti di percepire le altre persone in maniera olistica, di aprirsi alle sfumature attraverso

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cui può essere letto un corpo, agevolando una visione di Sé e dell'altro non lineare, non stereotipata. Inoltre, all'interno di laboratori in cui si parlano lingue differenti e la comunicazione verbale è dunque difficile, l'espressione corporea permette di comunicare attraverso gesti, mimica, prossemica, vestemica e oggettemica, rispondendo al contempo a necessità estetiche e artistiche (Bajini et al 2015).

Nei laboratori teatrali si gioca con il corpo attraverso differenti tecniche, tra cui quella dell'improvvisazione, che si basa sulla libertà di azione e sull'esplorazione di territori inaspettati attraverso azioni inscritte all'interno di una cornice. In questo modo viene sviluppata l'abilità di agire senza seguire un testo dato, stimolando la capacità di stare nel presente consapevolmente, essendo presenti a sé e agli altri. L'allenamento alla presenza scenica e a ciò che accade nel qui e ora dell'azione permette di avere uno sguardo aperto, senza anteporre la propria lettura, dando attenzione ai dati del contesto. Inoltre, rapportarsi all'imprevisto allena all'ascolto e all'attivazione della creatività personale (Colombo et al. 2012).

L'elaborazione di una narrazione da condividere con il gruppo, sia attraverso il linguaggio verbale sia non verbale, rappresenta un importante strumento di espressione personale, che conduce a una maggiore auto-percezione e auto-consapevolezza (Masotti 2010). Inoltre, si è partecipi della narrativa delle altre persone. La pratica dell'ascolto può agevolare il decentramento:

(...) che spinge ciascuno a riflettere su ciò che è e sui valori sui quali si fonda la propria identità, permettendo così di prendere coscienza della relatività del proprio punto di vista e superare di conseguenza gli stereotipi e i pregiudizi verso il prossimo (ibidem: 43).

Infine, la rielaborazione dell'esperienza attraverso il processo creativo-autoriale permette di dare un significato a sé e agli altri, ai propri atti e agli atti altrui, e agli eventi che l'interazione ha imprevedibilmente provocato.

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Seconda parte: sul campo