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Victor Turner e l'antropologia della performance: il teatro tra riflessività, cambiamento

Capitolo 3: Antropologia, teatro e intercultura

3.1. Victor Turner e l'antropologia della performance: il teatro tra riflessività, cambiamento

La performance culturale è un fenomeno che è stato analizzato in ambito antropologico attraverso inquadramenti teorici di diverso tipo: gli studi che hanno guidato la mia ricerca di campo nascono da un dialogo sviluppatosi tra le scienze sociali e le discipline teatrali a partire dagli anni Sessanta.

Nell'ambito degli studi antropologici, Victor Turner (1920-1983) è considerato il primo a essersi interessato in maniera approfondita al rapporto tra antropologia e teatro. Il suo pensiero va collocato all'interno di una svolta teorica radicale nel mondo dell'antropologia: l'allontanamento dal paradigma struttural-funzionalista, che considerava le società come entità statiche. Turner parte invece da una lettura dinamica della società, la quale viene analizzata come processo piuttosto che come struttura: in particolar modo lo studioso si concentra sulla lettura dei conflitti interni a essa, denominati “drammi sociali”, i quali possono condurre a mutamenti radicali.

Partendo da una lettura processuale della società, nella raccolta di saggi “Dal Rito al Teatro” (1986), l'antropologo interpreta i rituali come la parte creativa e innovativa del processo sociale, individuando un continuum tra il rituale e le forme di teatro sperimentale della seconda metà del Novecento.

Turner distingue tra fenomeni liminali e liminoidi: i primi si riferiscono ai rituali delle società pre-industriali, nelle quali la distinzione tra la sfera del lavoro e quella dello svago

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non è netta. In queste società i fenomeni liminali tendono ad avere una funzione di mantenimento dell'ordine sociale e rispecchiano l'esperienza collettiva. Nelle società post- industriali, in cui lavoro e svago sono invece due sfere nettamente separate, hanno luogo i fenomeni liminoidi, tra cui il teatro stesso, i quali tendono ad avere una forte carica trasformativa, talvolta rivoluzionaria.

Entrambi i termini derivano dal vocabolo latino “limen”, ovvero soglia, poiché questi fenomeni sono caratterizzati dal superamento temporaneo di un confine, quello dell'ordine sociale, e dall'entrata in una zona in cui le strutture sociali e simboliche possono essere osservate, scomposte e ricomposte liberamente e ludicamente. Secondo l'antropologo, nei rituali e nelle performances estetiche il sottile spazio della soglia viene espanso fino a diventare uno spazio maggiore, sia concretamente sia concettualmente (Schechner 2010). La zona liminale e quella liminoide sono considerate dall'antropologo anti-strutturali, poiché rappresentano un momento di sospensione dalla vita di tutti i giorni, ovvero la zona strutturale, e al cui interno l'individuo e il gruppo sociale vivono un'esperienza riflessiva, trasformativa e creativa.

Ogni performance culturale è considerata da Turner riflessiva rispetto alla struttura sociale:

Ogni tipo di performance culturale, compresi il rito, la cerimonia, il carnevale, il teatro e la poesia, è spiegazione ed esplicitazione della vita stessa. Mediante la performance ciò che in condizioni normali è sigillato ermeticamente, inaccessibile all'osservazione e al ragionamento quotidiani, sepolto nella profondità della vita socio-culturale, è tratto alla luce (Turner 1986: 36).

La performance ha le proprie radici nel dramma sociale e ne diventa specchio e critica. Come approfondisce l'autore nel saggio “La stanza degli specchi” (Turner 1993), la performance utilizza specchi al contempo riflettenti e riflessivi, poiché riesce sia a porci davanti a noi stessi che a modificare la percezione che abbiamo di noi stessi, esprimendo in questo modo il suo potenziale trasformativo:

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[il rapporto tra performance culturale e configurazione sociale/culturale] è reciproco e riflessivo- nel senso che la performance è spesso una critica, diretta o velata, della vita sociale da cui nasce, una valutazione (…) del modo in cui la società tratta la storia. In altre parole, se gli inventori di performance culturali mettono lo specchio davanti alla natura, lo fanno con “specchi magici” che rendono brutti o belli eventi o rapporti che non possono essere riconosciuti come tali nel continuo flusso della vita quotidiana in cui siamo invischiati. Gli specchi stessi non sono meccanici: essi operano come coscienze riflettenti (Turner 1986: 73).

Riferendosi al teatro, Turner considera la riflessività performativa “singolare” e “plurale”: sia l'attore sia il gruppo sociale che osserva la performance possono giungere a una maggiore conoscenza di se stessi attraverso la rappresentazione (Turner 1993).

Le teorie turneriane sulla riflessività sono state riprese e rielaborate in seguito da numerosi studiosi, tra cui due antropologi contemporanei, Flynn e Tinius, i quali, nel volume “Anthropology, Theatre and Development: the transformative potential of performance” (Flynn Tinius 2015), ragionano sul potenziale trasformativo del teatro e sul concetto di performance politica. Il teatro, secondo i due studiosi, possiede al contempo la capacità di far riflettere e di essere “toccati”, catalizzando un cambiamento di azione nel mondo. Essi considerano l'auto-riflessività (self-reflexivity) e la riflessività relazionale (relational

reflexivity) come i due elementi che, intrecciati, permettono alla performance di esprimere

un forte potenziale di cambiamento e trasformazione politica, poiché sono incentrati sia su un cambiamento personale sia sociale. Il teatro permette alla persona-attore di sviluppare le dimensioni di self-cultivation e self-observation, oltre ad una capacità critica del suo agire in relazione (Flynn Tinius 2015).

Ad agevolare il possibile cambiamento a livello personale e collettivo è la creazione di quella che Victor Turner chiama communitas: all'interno di uno stato liminale le persone si liberano di regole, ruoli e identità agite nella vita quotidiana, e possono vivere un'esperienza di forte unione con gli altri soggetti, caratterizzata da un tipo di relazione Io- Tu, la quale tende a cancellare gli status, le differenze sociali e personali vigenti nella struttura sociale.

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The bounds of communitas are anti-structural in the sense that they are undifferentiated, egalitarian, direct, (…), existential, I-Thou relationships. Communitas is spontaneous, immediate, concrete- it is not shaped by norms, it is not institutionalized, it is not abstract. Structure, or all that which holds people apart, defines their differences, and constrains their actions, is one pole in a charged field, for which the opposite pole is communitas, or anti-structure. (…). Communitas represents the desire for a total, unmediated relationship between person and person, a relation that nevertheless does not submerge one in the other but safeguards their uniqueness in the very act of realizing their commonness. Communitas does not merge identities; it liberates them from uniformity to general norms (Turner 1974:74).

L'esperienza performativa possiede secondo Turner anche una componente espressiva e creativa. La performance culturale è un completamento dell'esperienza vissuta, che giunge a compimento attraverso la sua espressione e la sua comunicazione in termini intelligibili dagli altri:

Una performance è una conclusione adeguata di un'esperienza. Un'esperienza vissuta non è mai veramente completa finché non viene espressa, cioè finché non viene comunicata in termini intelligibili dagli altri, tramite il linguaggio o in altro modo. La cultura è appunto l'insieme di tali espressioni: l'esperienza vissuta degli individui resa disponibile alla società e accessibile alla penetrazione simpatetica di altri 'spiriti' (Turner 1986: 37-38).

La comunicazione propria della performance, di natura simbolica, possiede, secondo l’antropologo, tratti fortemente creativi: seppur sia incorniciata da regole, queste ultime possono essere modificate attraverso il flusso dell'azione e dell'interazione, portando all'introduzione di nuovi elementi sociali e culturali (ibidem).

Il teatro sperimentale è, secondo Turner, una performance culturale in cui è possibile rivivere l'esperienza originaria, darle un significato e dotarla di una forma estetica. Questa forma diventa poi un sapere comunicabile, che agevola la comprensione di se stessi e della propria esperienza di realtà (ibidem).

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