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Capitolo 3: Antropologia, teatro e intercultura

3.5. Quartieri Teatrali: dal laboratorio allo spettacolo

3.5.2. Il workshop: gioco, improvvisazione e narrazione

L'osservazione e la partecipazione ai percorsi laboratoriali, oltre alle interviste che ho condotto con i partecipanti durante e alla fine del percorso, mi hanno permesso di cogliere gli strumenti che il teatro ha offerto per rispondere ai desideri di conoscere nuove persone

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ed una nuova realtà sociale, di integrarsi e di lavorare sui propri pregiudizi e stereotipi.

Il gioco è stato sempre presente all'interno dei percorsi a cui ho partecipato. A mio avviso, la dimensione ludica è stata una componente molto importante per sciogliere il ghiaccio, divertirsi e rilassarsi, ridere e creare un clima di fiducia nel gruppo, “buttarsi”, ed ha attivato fantasia ed immaginazione. Anche molti partecipanti hanno sottolineato l'importanza dell'aspetto ludico, e del clima rilassato e divertente dei laboratori: Aboudramaneliii per esempio mi ha raccontato di quanto per lui fosse importante che le persone fossero gentili e non arrabbiate. Luca ha invece riflettuto sulle qualità trasformative del gioco, attraverso cui è possibile spogliarsi dei ruoli che si rivestono nella vita di tutti i giorni, portare fuori il bimbo interiore, comunicare spontaneamente, senza molte inibizioni, sviluppando un legame di tipo emotivo ed affettivoliv. I giochi proposti nella fase di riscaldamento hanno permesso di abbattere le barriere sociali, di non percepire il giudizio delle altre persone, di sentirsi tutti sullo stesso piano, aprendo la strada alla creatività e all'espressivitàlv.

La dimensione del gioco ha attivato un tipo di conoscenza Io-Tu, come è stata descritta dall'antropologo Turner relativamente alla communitas, ed ha permesso di ricombinare creativamente elementi sociali e culturalilvi.

Anche il rituale ha avuto un ruolo fondamentale all'interno dei percorsi: ogni laboratorio era infatti costellato di piccoli rituali, utili al rafforzamento del legame tra individuo e gruppo. Inoltre, il rituale facilitava il passaggio della “soglia” tra vita quotidiana e laboratorio. Un'attività svolta all'interno del laboratorio al Casalone è stata a mio parere particolarmente efficace da questo punto di vista.

Ogni laboratorio iniziava con la creazione di un cerchio di persone. Ognuno di noi aveva il compito di salutare gli altri con un gesto e una parola/suono spostandosi verso il centro del cerchio. Quest'attività, nel tempo, ha permesso ad ognuno di noi di creare un'azione caratterizzante, che ci ha resi riconoscibili all'interno del gruppo.

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l'improvvisazione, permeata di gioco e creazione libera. Come racconta Luca:

L’improvvisazione, potersi sperimentare in qualcosa dove tu non sai cosa sta per succedere, diventa per noi la possibilità di fare dei movimenti diversi da quelli che sperimentiamo nella quotidianità, a cui siamo abituati. Il fatto di riuscire a passare quella parte di timore, quando si passa quella barriera si entra in una sfera dove ci sono tante possibilità, il gioco (…).

Intervista a Luca

Ho potuto notare come i momenti di improvvisazione guidata siano stati particolarmente importanti per presentarsi e creare un legame con il gruppo, attraverso la pratica dell'ascolto. Attraverso l'improvvisazione è necessario infatti concentrarsi sul qui ed ora, focalizzandosi sugli elementi presenti nel contesto e reagendo ad essi attraverso i vari codici che si hanno a disposizione. Ogni contributo veniva accolto come parte di una catena comunicativa, lasciando ampio spazio ad ogni tipo di espressione personale.

Nel laboratorio condotto da Nicola, a Casa di Khoula, è stato proposto più volte un esercizio in cui una scopa, posta al centro del cerchio di persone, era utilizzata per creare una scena di improvvisazione. Poteva diventare qualsiasi cosa, in base alle associazioni libere di ogni personalvii.

Durante quest'attività tutti si sono messi in gioco, anche chi non conosceva bene l'italiano, sia utilizzando altre lingue, sia utilizzando la voce, la gestualità e la mimica. L'improvvisazione ha permesso dunque di comunicare adattandosi al contesto, spaziando tra codici di diverso tipo.

Quest’esperienza evidenzia la centralità della dimensione corporea nella comunicazione teatrale, e la materialità su cui si basa la comunicazione interpersonale. Sono state proposte numerose attività corporee, soprattutto a causa dell’eterogeneità linguistica. Biancalviii mi ha raccontato di quanto siano stati importanti i giochi fisici, i quali permettevano di attivare un tipo di comunicazione differente dal solito: “poi tutti i giochi fisici sono quelli che mettono più in difficoltà, ma sono importanti. Per esempio: condurre con una mano l'altra persona. Veniva esercitato un controllo pazzesco.”lix

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L'attenzione alla corporeità ha favorito la creazione di un collegamento tra mente, corpo e ambiente. La visione olistica dell’altro ha agevolato il superamento della dicotomia noi- loro, spesso focalizzata su differenze linguistiche o di status giuridico e provenienza. È risultata particolarmente importante a fini comunicativi per chi conosceva poco la lingua italiana, sia dal punto di vista dell'espressione personale che dell'ascolto, poiché permetteva di collegare la parola al gesto.

Un'attività che ha agevolato la connessione tra corpo, mente ed ambiente, stimolando la fantasia e l'espressività, è stata proposta a Casa di Khoula nel periodo primaverilelx. Ogni persona-attore doveva immaginarsi all'interno di un proprio universo, al quale aveva il compito di dare una forma concreta, provando poi ad esplorarne lo spazio. Quest’ attività è stata vissuta intensamente da molti partecipanti, ed ha portato all'utilizzo di lingue differenti dall'italiano, poiché l’obiettivo era puramente espressivo, non comunicativo.

Quando abbiamo dovuto creare il nostro mondo e immaginarci un po’ il nostro mondo, come ce lo immaginavamo, come potrebbe essere, o come magari è dentro di noi in questo momento. Che poi va un po’ a riprendere quello che siamo nella nostra testa e lo riporti a qualcosa di reale, quello mi è piaciuto tanto (…) Perché hai la possibilità di viaggiare con la mente quanto vuoi. E non ci sono limiti, quindi c'è chi saltava durante questo gioco perché aveva il suo mondo pieno di piccoli fuochi, e chi invece faceva altro.

Intervista a Sofia

La narrazione orale e scritta di storie -spesso originate da esperienze personali- è stato un elemento saliente di tutti i percorsi laboratoriali, con sfumature differenti. La parte narrativa ha avuto come codice principale la lingua italiana, ed ha reso più difficile la comunicazione, per forza di cose, per chi non era italofono. Ad ogni modo, si sono trovate strategie sempre differenti per riuscire a comunicare, attraverso traduzioni simultanee, lavori in coppia italofono/non italofono che portassero ad un'elaborazione in lingua italiana della storia, oppure attraverso l'aiuto di codici comunicativi non verbali.

Un'attività di medio periodo, incentrata sulla pratica narrativa, ha avuto luogo al Casalone. Il tema che abbiamo esplorato era quello dell' „essere streghe oggi“lxi

. Inizialmente in coppia, dovevamo raccontare al nostro compagno di quando ci eravamo sentiti una strega,

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ovvero discriminati ingiustamente. Utilizzando dapprima il racconto spontaneo, avevamo poi il compito di arricchirlo di dettagli, di creare la nostra storia, aiutati dalle domande e dai suggerimenti del compagno. Questo lavoro prevedeva anche un confronto all'esterno del laboratorio, per elaborare in forma scritta quello che era emerso di significativo. Al laboratorio successivo ognuno di noi aveva il compito di condividere con il gruppo la propria storia, accompagnata da un'immagine che descrivesse l'esperienza, narrandola oralmente e cercando di attenersi al racconto scritto. Infine, la guida laboratoriale dava suggerimenti relativi alla recitazione, poiché queste storie sarebbero state raccontate, durante lo spettacolo, ad una persona scelta in mezzo al pubblico.

Le riflessioni che sono emerse sono state molte. Sebbene nessuno degli intervistati avesse espresso il desiderio di condividere esperienze personali, tutti alla fine del percorso hanno considerato le attività di auto-narrazione molto importanti, sia dal punto di vista personale che di gruppo.

La condivisione di esperienze personali ha sviluppato un vero e proprio confronto tra background culturali differentilxii. Junior per esempio mi ha raccontato di come sia stato interessante ascoltare le storie di qui, e del modo in cui lui le abbia percepite come “leggere” rispetto alle storie africane:

Io mi piace qua, Francia, Germania dire le storie. Quando ascoltare le storie in Europa: mia nonna, mia madre, non mi vestire bene. Questo è leggero, in Africa le storie sono “riel”. (…) Io penso che ascoltare la storia di Marco, lui ha detto che si vestiva male. Questo è superficiale, non è un problema di vita, questo è leggero per la vita, però la vita è troppo seria in Africa, troppo fragile.

Intervista a Junior

Molti partecipanti, attraverso queste attività, sentono di aver compiuto un'indagine personale, di essersi conosciuti meglio attraverso le esperienze degli altrilxiii, di aver empatizzato con i propri compagni di laboratoriolxiv, e di essersi decentrati dal proprio mondolxv.

Mi ha fatto piacere. Ho sentito per tutti, ho saputo che non è solo io. Voglio dire che, quando ho fatto per me, pensavo che è solo io a dovere fare questo. Quando gli altri

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hanno fatto per loro ho capito che nella vita non è solo io a fare le cose diverse, o un po’ strano. Mi sono detto che abbiamo tutti, ognuno di noi, non lo so come si dice, qualcosa che dispiace agli altri.

Intervista a Yazi

La condivisione di storie, io adesso non sono sicuro al cento per cento che sia quello, io in questo anno sono cambiato molto. Molte delle cose di cui mi vergognavo, me ne sono vergognato sempre di meno e spesso e volentieri questo c'entra con la storia perché siamo una strega, che fa parte della sfera del raccontare la propria storia, le proprie esperienze. (…) È interessante perché capisci che ognuno c'ha i suoi cazzi, e proprio perché ognuno ce li ha, e spesso e volentieri ci piangiamo addosso perché ci percepiamo un po’ al centro dell'universo con il nostro problema e magari c'è qualcuno che ne ha uno più grande e noi non lo percepiamo questo.

Intervista a Manuel

Per sentirsi liberi di raccontare, è stata importante la dimensione protetta del laboratorio. Ritorna in questo caso il pensiero di Floridia, secondo cui è molto importante il modo in cui inquadriamo noi stessi attraverso la narrazione: come ci pensiamo e ci raccontiamo “in qualche modo è tutto”lxvi

.

Yazi porta una riflessione molto stimolante rispetto al tema della narrazione a teatro:

Però il teatro ripete quello della vita. Quello che succede nella vita è quello che facciamo nel teatro. Posso dire che è uguale. Però c'è alcune cose che tu vuoi spiegare, tu non possa spiegare direttamente così per strada nella gente. La gente non può fermare a sentirti. Se tu fai teatro, la gente vengono, loro possono capire che c'è tante cose nella vita, che loro non sanno, ma che si fa.

Intervista a Yazi

Viene sottolineato il confine sfumato che esiste tra arte e vita, il modo in cui il “dramma sociale” sia la materia che informa il “dramma estetico”, e come una delle differenze maggiori tra le due realtà stia, per Yazi, proprio nel modo in cui il teatro dia spazio alla narrazione di ognuno.

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