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Il dibattito sulla città e il contributo di Antolin

3. L’architettura del Foro Bonaparte

3.2 Il dibattito sulla città e il contributo di Antolin

Nella maggior parte degli interventi pubblici le questioni decisionali gravitano attorno al rapporto diretto tra l’autorità e l’architetto di Stato. Con la fondazione della Repubblica Cisalpina prima e del Regno d’Italia poi si succedono nuove idee e iniziano a consolidarsi i presupposti per una nuova trasformazione urbana della città. Le ideologie repubblicane e rivoluzionarie, il mutamento della gestione della città e del rapporto tra pubblico e privato avviano una nuova collaborazione tra architettura e politica. Gli architetti coinvolti affrontano tematiche legate alle celebrazioni e alle commemorazioni, con progetti architettonici e urbani estesi alla scala della città, stabilendo una trasformazione della sua struttura16. In questo fertile e vivace clima cultuale le numerose esperienze progettuali

instaurano un rapporto dialettico con il tessuto edilizio della città.

Pistocchi elabora una serie di proposte per due poli nevralgici: la piazza Duomo17 e l’area

del Castello. La piazza Duomo è il cuore della città storica, il centro politico più adatto dove realizzare un foro “classico”18; mentre l’area del Castello, decentrata rispetto alla

città, risulta più adeguata all’espansione urbana. Le due aree sono affrontate con differenti approcci progettuali. Due diversi atteggiamenti riflettono questioni urbanistiche di grande interesse. La prima, relativa alla sistemazione della piazza Duomo, è basata sul principio della geometrizzazione dello spazio antistante la facciata della cattedrale. La seconda interessa l’ordinamento del Castello attraverso una ristrutturazione dell’assetto urbano, in cui sono trasferite le attività politiche e la sede reale.

Nel progetto di sistemazione della piazza Pistocchi demolisce alcuni edifici per anteporre al fronte principale della cattedrale un corpo edilizio che definisce la nuova piazza porticata. Alla restituzione di un’adeguata soluzione di facciata preferisce un intervento sullo spazio pubblico della piazza. Il vuoto rigorosamente geometrizzato si rapporta con il Duomo e con il Palazzo Reale, ottenendo un ambiente misurato e bilanciato. Il piano urbano, va confrontato con il progetto per il Foro Bonaparte. La proposta di Antolini colloca nell’area del Castello il centro commerciale, trasferendo nel Palazzo Ducale l’abitazione del regnante. L’architetto romagnolo con il Foro Bonaparte genera un nuovo polo contrapposto alla piazza principale, differentemente dal Pistocchi che prevede un piano per restituire alla piazza del Duomo un ruolo dominante, trasferendo le attività politiche e la sede reale nell’area del Castello19.

16 L. Patetta, Architettura e spazio urbano in epoca napoleonica in L’idea della magnificenza civile. Architettura a Milano 1770-1848, Catalogo della mostra (milano, ott-nov. 1978), Electa, Milano 1979, pp. 21-25

17 Si veda negli apparati da doc. II.B 14 fino a doc. II.B 25

18“Per Foro intendevano gli Antichi sì Greci, che Romani quel vasto spazio di terreno, che era destinato per i pubblici usi, e per li spettacoli, che vi si rappresentavano. La loro forma era o quadrata, o quadrilunga, perché più propria alla distribuzione di regolari Piazze e di ampj Edifizj. Si collocava per lo più nel mezzo della città, o ne’ siti più comodi e più frequenti. Aveva basiliche dove si soleva tener ragione a coperto, ed anche trattare di grandi, ed importanti affari. Era circondato di vastissimi portici, che servivano per il passeggio, e per ripararsi dalla intemperie delle stagioni. Si vedevano disposti i tribunali, il pubblico erario, le armerie, le curie, e le carceri. Questo era quel luogo, in cui trasportati venivano sul carro del trionfo i conquistatori, e gli Eroi; qui si eseguivano molti pubblici spettacoli; qui si distribuivano le civiche corone, ed i premj ai valorosi cittadini; qui le ringhiere, da dove gli oratori arringavano all’affollato popolo; qui i locali, dove i cittadini si riunivano in comizi per eliggere i propri magistrati; qui si ergevano le trionfali colonne, le piramidi gli obelischi, e gli altri monumenti dovuti alla virtù, al merito ed alla beneficenza.

Tale era l’antico Foro, e se a tempi nostri si vorrà rinnovare un simile edifizio, sarà necessario, che, avuto riguardo alla nostra maniera di vivere, ai nostri usi, e costumi differenti da quelli degli antichi, il tutto insieme, la massa totale sia uniforme a quello lasciatoci da’ nostri antenati.” Vedi G. Pistocchi, Lettera del Cittadino N.N. ad un suo amico, dalla Tipografia Milanese in Contrada Nuova num. 561, anno 9. Rep., Milano. Si veda negli apparati doc. III.B 13

19 G. Mezzanotte, Giuseppe Pistocchi e Giovanni Antonio Antolini in Architettura neoclassica in Lombardia, edizioni scientifiche italiane, Napoli 1966, p. 250

Il progetto di Pistocchi per un palazzo inserito nell’area del Castello è strutturato su una maglia ortogonale dove sono distribuiti gli isolati residenziali, le due piazze, un giardino, l’arena e il circo.

Se per Antolini il luogo più adatto ad un foro è l’area del Castello, per Pistocchi viceversa la piazza Duomo nel centro della città, diventa il luogo prescelto per la realizzazione di un foro.

Per l’area del Castello anche Canonica, nel 1803, formula una proposta di ridefinizione, impostata su un sistema di tre piazze. L’edificazione a carico dei privati doveva sottostare ad un prestabilito disegno di facciata.

Sia il Canonica che il Pistocchi intervengono con un progetto basato sul riassetto della maglia stradale per organizzare i vuoti urbani. Le piazze collegate e attraversate dalle strade stabiliscono nella griglia modulare l’isolato urbano. Il vuoto tracciato e ben definito segue un disegno d’insieme risultante dalla successione di tracciati stradali e piazze, mentre l’architettura forma il disegno del fronte stradale.

Canonica disegna, servendosi delle figure geometriche elementari (cerchio, rettangolo ottagono), i vuoti delle piazze e delle strade, lasciando che i quartieri prendano forma dalla risultante dell’operazione di pianificazione del tracciato viario. Se è chiaro che Canonica attraverso la definizione dei vuoti è interessato alla restituzione di uno spazio, il cui tessuto edilizio funge da trama e mostra una regolare e misurata distribuzione, Antolini procede con un atteggiamento differente nel progetto per il Foro Bonaparte. Il pieno attraverso il disegno circolare dei due emicicli forma il vuoto della piazza. La giustapposizione di monumenti lungo l’emiciclo e la successione di isolati tra le mura e la città formano il tessuto urbano. La monumentalità della piazza dalle dimensioni colossali si contrappone al tracciato stradale che organizza gli isolati e il tessuto urbano. Due differenti restituzioni formali e dimensionali caratterizzano lo spazio e in particolare la piazza e il tessuto di espansione. Lungo il percorso che dal centro della città conduce alla strada del Sempione si succedono la piazza circolare, la piazza minore rettangolare e la porta daziale.

Dalle due diverse misure nasce l’architettura fatta di elementi identici regolamentati da una gerarchia compositiva inedita.

Fig.61 Sistemazione della piazza Duomo di G. Pistocchi. Da sinistra a destra: stato dello fatto della piazza prima dell’intervento progettuale; individuazione dei pieni; dei vuoti urbani (in rosso)

Nel 1807 l’amministrazione di Milano decide di formare di un piano regolatore20. È

nominata un’apposita Commissione di Ornato, a cui affidare il compito di controllare la pianificazione della città. La commissione è composta dagli architetti Cagnola, Albertolli, Canonica, Landriani e Zanoia e studia il piano o “rettifilo”, rappresentato nella cartografia di Pinchetti. Il piano prevede una serie di interventi interni alla città. Un asse dominante il tracciato dal Foro Bonaparte taglia la città fino all’Ospedale degli Innocenti. L’asse attraversa prima una piazza triangolare al Cordusio e poi passa a sud della piazza Duomo senza penetrarvi. Altri assi a rettifica e allargamento di radiali esistenti, oppure creati ex- novo, collegano i boulevard esterni al nucleo interno, terminando generalmente con una piazza. L’arteria di via Moscova, tracciata fra il circuito interno del naviglio e i bastioni, appare quale asse di coordinamento di edifici di interesse pubblico (la zecca, le caserme, la manifattura tabacchi). Il complesso del Duomo con le sue adiacenze immediate resta salvaguardato pur con qualche modificazione edilizia non rilevate21.

Il piano redatto dalla Commissione di Ornato costituisce la prova di una volontà collettiva di riassetto urbano della città, mostrando un nuovo indirizzo della trasformazione edilizia e urbanistica.

Rispetto a tale pianificazione e rettificazione del tracciato viario e dell’unitarietà del fronte stradale, il progetto antoliniano si pone in antitesi. Con il ricorso alla grande forma l’architetto romagnolo, sviluppa lungo un’univoca direzione una successione di luoghi urbani: piazze, strade e attraversamenti. Lungo quest’asse urbano ancorato alle mura e al tessuto edilizio della città sorge l’architettura, quale limite di due caratteri distinti di tipo formale, spaziale e dimensionale. Se Pistocchi, Canonica e la Commissione di Ornato prediligono la definizione del tracciato viario quale base strutturale del progetto, Antolini individua un unico asse dove giustapporre la successione di un unico grande vuoto urbano. Sebbene la stagione napoleonica rappresenti una fase transitoria, destinata ad esaurirsi in breve tempo, gli architetti elaborano progetti che, anche se non attuati, rimangono 20 P. Sica, Storia dell’Urbanistica. Il settecento, Laterza, Bari 1979, p. 317

21 Idem

Fig.62 Sistemazione dell’area del Castello di G. Pistocchi, 1809. Da sinistra a destra: individuazione dei pieni; dei vuoti urbani (in rosso); del tracciato stradale (in rosso)

strumenti validi per un dibattito sulla trasformazione della città, potenzialmente capace di indicare nuovi indirizzi di riqualificazione urbana. Lo spazio pubblico, determinando la struttura urbana, perde la sua genericità infrastrutturale per diventare sede di nuove funzioni collettive e di inedite operazioni architettoniche22.

La questione urbana e in particolare la riorganizzazione e l’inserimento di nuovi elementi in un tessuto edilizio preesistente è un tema particolarmente caro ad Antolini. Se Milizia nel suo trattato suggerisce che sia l’autorità pubblica a guidare e controllare l’edificazione “fissando non solo i luoghi ma anche la maniera come si deve”23, Antolini

nelle Osservazioni riporta ad integrazione l’esempio di Milano dove una “commissione di membri, estratti dal corpo accademico delle belle arti e presieduta dal podestà della città ha il compito di controllare l’edificato”24.

Con questa nota Antolini lascia intendere l’importanza della questione urbana all’interno della città. Rinnega la licenza affidata ai singoli nell’inserimento di nuovi elementi architettonici, riconoscendo la necessità di un disegno generale per regolamentare l’edificazione nel tessuto urbano della città.

La lezione di Milizia Contribuisce ad alimentare un dibattito sulla città rispetto al quale Antolini assume una personale posizione.

All’uniformità e controllo del fronte strada è affiancata la varietà: “se ci vuole regolarità, ci vuole anche assai più varietà. Se tutte le case di una lunga e dritta strada fossero della stessa altezza e della medesima architettura, che insipido spettacolo offrirebbero”25. La

bellezza per Milizia non risiede nella rigorosa ripetitività, ma nella variazione misurata. 22 Per una lettura dello spazio urbano in epoca napoleonica si veda L. Patetta, Architettura e spazio urbano in epoca napoleonica in L’idea della magnificenza…, Ibidem, pp. 21-25

23 F. Milizia, Principi di architettura civile, Remondini, Bassano del Grappa 1785

24 G.A. Antolini, Osservazioni aggiunte ai Principii di Architettura civile di Francesco Milizia. Proposte agli studiosi ed amatori dell’architettura dal Prof. Giovanni Antolini, Stella, Milano 1817, p. 88

25 F. Milizia, Principi di architettura…, Ibidem

Fig.63 Sistemazione dell’area del Castello di L. Canonica, 1803. Da sinistra a destra: individuazi-individuazi- one dei pieni; dei vuoti e dei principali percorsi (in rosso)

Uniformità e variazione sono due elementi essenziali per un buon progetto.

I Principi di architettura civile stabiliscono oltre all’abbellimento e alla decorazione la necessità di restituire un’adeguata struttura urbana attraverso la demolizione di fabbriche. L’apertura delle piazze e il raddrizzamento delle strade sono operazioni per ridisegnare la città. Antolini, oltre agli esempi già citati da Milizia26, ricorda l’intervento del duca

Francesco di Modena al Palazzo Ducale e la sistemazione dell’area nei pressi del Teatro La Scala a Milano.

L’abbattimento dei fabbricati non è solo esigenza di pubblico decoro, ma è concepita per garantire ai monumenti maggior carattere. La riqualificazione e l’abbellimento di un fabbricato è assegnata anche allo spazio urbano attraverso il controllo delle strade e delle piazze. La composizione di un fronte non può prescindere dal tessuto urbano, la cui variazione non avviene solo nello sviluppo altimetrico e nel linguaggio formale, ma è dovuto anche alla variazione infrastrutturale. Al fine di produrre una buona architettura è riconosciuta la necessità di uno spazio urbano definito in rapporto agli edifici. Attraverso la demolizione di alcune parti della città, l’ordine subentra al caos regolando la città informe e disordinata.

La bellezza e magnificenza non si limita alle case private, ma è estesa all’intera città. L’espansione della città dovrebbe essere secondo Antolini ordinata da un disegno generale entro cui sottostanno i nuovi fabbricati, mentre secondo Milizia dovrebbe rispondere ai seguenti principi: situazione, regolarità di pianta, distribuzione delle parti, magnificenza e bellezza degli edifici pubblici e privati.

Per situazione intende il luogo più comodo, salubre e ameno dove poter sviluppare una città.

La pianta della città deve riportare una figura regolare prossima al quadrato, al rettangolo 26 “Quando Napoli si aprì la famosa strada Toledo, Naoli declamò contro quel Vicerè […] Madrid ebbe a desolarsi quando il benefico Carlo Terzo volle pugnalarla delle sue sozzure […] Nerone slarga le strade a Roma, e Tacito ne fa nascer malattie nuove tutte ideali […] Se una dozzina di pontefici avessero seguitate le traccie di Giulio II, di Sisto IV, di Alessandro VII, Roma sarebbe già dappertutto bella e grandiosa.” F. Milizia, Principi di architettura…, Ibidem

Fig.64 Sistemazione dell’area del Castello di G.A. Antolini, 1800. Da sinistra a destra: individuazione dei pieni; dei vuoti e dei principali percorsi (in rosso)

o ancor meglio se di figura circolare o poligonale.

La distribuzione deve essere regolata da un disegno fatto con ordine, bizzarria, euritmia e varietà: strade a stella, a zampa d’oca, a ventaglio, parallele e interrotte da piazze di figura e di grandezze differenti. Nella distribuzione deve essere presente la scelta, l’abbondanza, il contrasto e ancora la varietà. In città servono un’infinità di bellezze particolari. L’ordine e la variazione guidano la disposizione delle parti senza mai produrre una monotona ripetizione.

Nel progetto del Foro Bonaparte Antolini applica molte delle indicazioni di Milizia. Il luogo in cui si erge il Foro, già eletto sede del Castello e delle sue fortificazioni, è qualificato dal naviglio, che attraverso il congiungimento con i tratti esistenti migliora la navigabilità, portando commercio e ricchezza al luogo. La pianta dell’intero progetto, come fosse la pianta di una città, riporta figure geometriche elementari: cerchio e rettangolo. Oltre alla piazza circolare individuata dal grande emiciclo e lo spazio rettangolare delle caserme, un tracciato irregolare di strade converge verso l’ingresso del Foro dal lato della città ed una lunga e dritta via dai propilei a ridosso delle mura conduce oltralpe. La diversità unita alla distribuzione delle parti sottostà a quel disegno complessivo, dove vige l’ordine e la varietà stabilita nei Principi di architettura civile.

Per Milizia inoltre bellezza e magnificenza sono ottenute con ingressi, strade, piazze ed edifici. Gli ingressi di una città devono essere larghi e la strada che conduce alla porta lunga e dritta. Due piazze devono essere poste al di qua e di là dalla porta.

Dalla piazza principale è sufficiente una sola strada trasversale per collegare da parte a parte la città. Le strade devono essere perpendicolari e la distanza che separa le due deve poter accogliere le abitazioni.

Le piazze devono trovarsi lungo le strade principali e negli incroci più importanti e possono essere di forma, dimensione e decorazione differente. Gli edifici, in particolare le chiese, le cattedrali, le università, i tribunali, i teatri, i collegi e le accademie devono essere all’interno della città. Tutti questi edifici si dovrebbero isolare ponendo davanti a loro delle piazze. Riguardo alla bellezza e magnificenza, Milizia suggerisce che tutto ciò che affaccia sulla strada sia determinato. L’altezza delle case proporzionata alla larghezza delle strade. La città deve essere dotata di larghe vie, piazze, case, ed ogni abitazione deve avere giardini ed orti pensili.

Antolini aderisce anche a queste indicazioni suggerite nei Principi di architettura Civile per ciò che riguarda gli edifici e i suoi elementi, mentre per il carattere delle piazze formula una propria idea che lo avvicina, nel ricorso alla dimensione colossale, ad alcune formulazioni prossime della tradizione francese. Se Boullée ad esempio non pone mai la questione urbana, perché la città gli si presenta come il luogo architettonico che fornisce certe occasioni e i suoi interessi si riferiscono ad una sistemazione parziale dell’intorno27,

per Antolini il progetto urbano assume un ruolo di primo ordine, giustificando lo spazio dell’architettura e sistematizzando con rigore le parti al fine di produrre uno spazio urbano. Gli emicicli, le caserme, le mura sono le parti di un disegno d’insieme unitario e al tempo stesso formalmente diverso. Dalla disposizione delle parti e dalla varietà spaziale nascono le due piazze e l’accesso alla città, con luoghi che si succedono con forme e dimensioni differenti. Il ricorso alla grande forma in alcuni progetti di Boullée si manifesta nell’architettura che aumenta a dismisura le proprie dimensioni, come ad esempio la Métropole, il Cenotafio per Newton, la Biblioteca Nazionale. A differenza di Boullèe, Antolini recupera la dimensione colossale nella piazza circolare, nel vuoto piuttosto che nella massa architettonica.

3.3 Il Borgo Nuovo a Faenza