3. L’architettura del Foro Bonaparte
3.1 Verso una nuova architettura
Si intende ora affrontare una lettura compositiva, volta a chiarire metodi e teorie progettuali intrinseche nell’opera antoliniana. La ricerca si basa sul principio che ogni grande opera di architettura mostri attraverso il progetto la restituzione di un pensiero costruito nel tempo e consolidato nella continua formazione della pratica costruttiva e negli studi teorici. Numerosi contributi si sono succeduti a chiarire la figura di Antolini. La letteratura storiografica restituisce un quadro complessivo sufficientemente ampio e completo di tutte le vicende storiche, politiche e culturali che hanno coinvolto e influenzato il neoclassicismo e l’opera di Antolini. Scarse invece sono le analisi di tipo compositivo. Con il neoclassicismo si alimenta un interesse verso una nuova architettura: “un’architettura civile perché pensata per i cittadini, per le istituzioni pubbliche e quindi necessariamente diversa dalla precedente perché non si rivolge più ad un signore o ad un sovrano bensì ad una comunità di cittadini, che la giudicano e la usano”1. Nel momento in cui si concepisce
una nuova architettura, si instaurano inevitabilmente una serie di interrogativi, riflessioni, pensieri, suggestioni sul ruolo dell’architettura, della forma, del linguaggio, del significato e del valore che si prefigge di raggiungere. In questo continuo interrogarsi, i pensieri proiettati verso il futuro trovano nell’architettura del passato le ragioni del presente. L’attenzione e l’interesse rivolto verso l’antichità classica “costituisce un repertorio precostituito di forme e regole compositive; con il neoclassicismo inizia un vero e proprio rapporto critico tra la cultura europea e l’eredità classica in quanto per la prima volta, gli strumenti dell’analisi scientifica permettono di iniziare un inventario sistematico e scoprirne di conseguenza le intime contraddizioni e la dimensione storica”2. Dalla
distribuzione delle città, all’architettura civile, con il neoclassicismo sono individuati temi e tipi di architetture che coinvolgono l’operato di numerosi architetti3. Fori, piazze,
templi, monumenti, edifici pubblici e civili diventano con il neoclassicismo i principali fabbricati con cui gli architetti si misurano. Il Foro Bonaparte si inserisce in questa ricerca volta alla definizione di una nuova architettura civile, contestualizzata in uno spazio pubblico. Architettura civile e architettura pubblica sono in questo progetto sintetizzate in un unico disegno, attraverso l’articolazione minuziosa delle parti. Prima di analizzare il progetto del Foro Bonaparte è necessario tratteggiare il quadro entro cui Antolini si forma e le opere con cui si misura, che condizionano inevitabilmente il grandioso progetto per il Foro Bonaparte.
Antolini nasce a Castel Bolognese l’11 settembre 1753. Dopo la morte del padre si trasferisce a Imola dove apprende i primi rudimenti di geometria dal conte Francesco Codronchi, mentre dall’ingegner Vincenzo Baruzzi, che lo assume come aiutante, acquisisce i principi di idraulica, di regolamento delle acque fluviali e l’uso di strumenti geodetici. Nel 1775 si trasferisce a Roma per un lungo soggiorno formativo. Presenta al Pontefice Pio VI Braschi un progetto per la sacrestia di San Pietro in Vaticano il quale gli assegna una borsa di studio per incoraggiare i suoi studi4.
Da questo momento si dedica all’architettura e attraverso il disegno studia i modelli antichi e cinquecenteschi. Nel 1779 disegna per Giacomo Quarenghi le copie degli 1 G.P. Consoli, La nuova architettura del nuovo secolo: temi e tipi in Contro il barocco. Apprendistato a Roma e pratica dell’architettura civile in Italia 1780-1820, Campisano, Roma 2007, p. 155
2 P. Portoghesi, Rileggere il neoclassicismo in L’idea della magnificenza civile. Architettura a Milano 1770- 1848, Catalogo della mostra (milano, ott-nov. 1978), Electa, Milano 1979, pp. 7-8
3 Si veda G.P Consoli, La nuova architettura…, Ibidem, pp. 151-230
4 G.A. Antolini, Biografia dell’architetto Giovanni Antonio Antolini scritta da se medesimo in «Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti», tomo XCI, aprile maggio giugno, Roma 1842, pp. 342-349. Si veda negli apparati doc. III.A 09
affreschi delle Logge vaticane. Frequenta l’Accademia di Francia stringendo rapporti con Giovanni Battista Piranesi, Angelica Kauffmann, José Nicolàs de Azara, Francesco Milizia e Gherardo de Rossi5.
Rileva il tempio di Ercole a Cori, pubblicandolo nel 1785: il volume doveva essere nelle intenzioni di Antolini il primo di una serie, da continuarsi con una pubblicazione sull’ordine ionico ed una sull’ordine corinzio.
Negli anni romani entra in contatto con la massoneria, entro cui matura anche l’adesione, forzatamente segreta nella Roma papale, alle idee giacobine della Rivoluzione del 17896.
Dal 1788, chiamato per le sue competenze in idraulica, si reca in Val Tiberina, Spello, Bettona e Todi. Trovandosi in quegli anni ad Assisi rileva il tempio di Minerva. I rilievi costituirono il primo nucleo del volume sull’ordine corinzio pubblicato nel 1803. Ad Assisi Antolini si occupa della ristrutturazione del palazzo Bini, del casamento Tini, dell’edificio in travertino con pubblico portico e terrazzo nella piazza maggiore della città, progetta ponti, attraversamenti fluviali sul Tevere, a Città di Castello, sul Puglia, nei dintorni di Todi, sul fiume San Giustino e sul torrente Selce.
La fama di Antolini inizia a consolidarsi; dopo una breve parentesi a Jesi, chiamato dal nobile conte Achille Laderchi, Antolini giunge a Faenza in concomitanza con l’ingresso nell’orbita napoleonica dei territori delle legazioni settentrionali, per progettare l’ampliamento del palazzo Pianetti, operare nel teatro nuovo e curare la ristrutturazione interna di una cappella nel santuario della Madonna delle Grazie.
Laderchi gli commissiona la ristrutturazione del palazzo di famiglia, la progettazione della villa suburbana sul colle Olmetello, denominata la Rotonda7 e sempre a Faenza 5 F. Ceccarelli, Giovanni Antonio Antolini in Contro il barocco. Apprendistato a Roma e pratica dell’architettura civile in Italia 1780-1820, Campisano, Roma 2007, p. 351
6 A. Scotti, Il Foro Bonaparte: un’utopia giacobina a Milano, Ricci, Milano 1989, p. 112
7 Sulla villa si veda F. Bertoni, Nuovi documenti sull’attività di Giovanni Antonio Antolini a Faenza in Architettura in Emilia Romagna dall’Illuminismo alla Restaurazione. Atti del convegno, Faenza 6-8 dic 1974, Istituto di
sostituisce Pistocchi nella ristrutturazione di Palazzo Milzetti. Oltre ad incarichi privati ottiene anche numerose commissioni pubbliche. Nel 1796 desume l’andamento del territorio faentino ne esegue la livellazione ed espone lo stato di tutto il canale naviglio e i suoi edifici idraulici8 per ripristinare la sua navigabilità9. Successivamente progetta
lungo la via Emilia un arco trionfale alla gloria della Nazione Francese in stile dorico e il Borgo Nuovo, un quartiere residenziale di case a due piani10.
Il disegno dell’arco di Trionfo consiste in un arco tra quattro colonne doriche sostenenti una trabeazione sormontata da un dado coronato da statue allegoriche. Antolini restituisce la lezione appresa durante il rilievo dell’antichità. I triglifi, infatti, come nel Tempio di Ercole a Cori sono diversamente distanziati per collocare all’angolo e non a piombo con le colonne, l’elemento terminale. L’arco fu abbattuto nel 1799 e successivamente ricostruito nel 1800 ancora una volta su disegno dell’Antolini.
Nel 1797 durante il suo soggiorno in città, in occasione della progettazione dell’arco di Trionfo11, Antolini propose alla municipalità il progetto per il Borgo Nuovo, a ridosso
di porta Imolese nell’area dove era prevista la costruzione dell’arco. Nel 1802 anche Pistocchi avanza una proposta per la sistemazione della medesima area12, prevedendo due
zone trattate a verde, costituite da un’architettura arborea ben allineata in cui le chiome intrecciate degli alberi formano il tetto di quest’architettura naturale.
A differenza del Pistocchi Antolini nel Borgo Nuovo ricorre all’elemento naturale declinandolo in tre parti: il viale alberato, il giardino all’inglese e la prateria. L’elemento naturale è integrato all’architettura attraverso l’edificazione di due schiere di abitazioni affacciate, qualificate formalmente dal possente portico dorico, un’invenzione tipologica e morfologica che come definisce Franco Bertoni “è destinata a divenire una prestigiosa Storia dell’Architettura, Firenze 1977, pp. 55-68
8 G.A. Antolini, Biografia dell’architetto…, Ibidem
9 “Onde rinvenire i disordini nati dall’essere stato lungamente abbandonato, per provedervi e rimettere la navigazione quasi perduta” Antolini s.d. BCFo Romagna Carte, Autografi, 25/92
10 Si veda negli apparati doc. II.A 01 e doc. II.A 02 11 Si veda negli apparati doc. III.A 02
12 Si veda negli apparati doc. II.B 12 e doc. II.B 13
Fig.56 G.A. Antolini, Il tempio di Minerva in Assisi confrontato colle tavole di Palladio, Deste- fanis, Milano 1803
architettura interrotta, composta mediante un metodo compositivo per parti che regge il confronto con la meccanica combinatoria dei progetti di Ledoux, Durand e Dubut”13.
Antolini a seguito del soggiorno faentino diventa membro della commissione idraulica nazionale sostituendo Felice Soane come architetto del Duomo di Milano. Nel 1798 è vincitore del concorso bandito dalla Repubblica Cisalpina per l’erezione di otto piramidi a commemorazione dei caduti francesi e italiani da costruirsi nel Lazzaretto di Milano. Nell’agosto 1800 vince il concorso per una colonna celebrativa della vittoria di Marengo14
e a dicembre dello stesso anno presenta al Comitato di Governo i disegni del Foro Bonaparte.
Per il concorso del monumento celebrativo della vittoria di Marengo Antolini sviluppa due soluzioni progettuali: una colonna monumentale e un monumento su piedistallo cilindrico, da collocarsi nei giardini pubblici.
La prima soluzione consisteva in una colonna, mentre la seconda soluzione era formata da un piedistallo circolare d’ordine dorico avente sopra la base, una colonna sulla quale aveva collocato un gruppo scultoreo di figure rappresentante Bonaparte, abbigliato all’antica, in procinto di essere incoronato dalla Vittoria rappresentata nella figura alata. Nonostante la vittoria conseguita, l’incarico assegnato ad Antonio Canova per la realizzazione del gruppo scultoreo e l’invio dei disegni a Parigi per l’approvazione ufficiale, la proposta di Antolini non trovò nessuna concreta realizzazione. La mancata costruzione non impedisce di recuperare l’idea del monumento all’interno del progetto per il Foro Bonaparte, confermando nelle esercitazioni progettuali una continua ricerca e sperimentazione volta a definire il ruolo e il legame dei singoli elementi in un disegno più ampio e complesso, che interessa la dimensione urbana e architettonica.
13 F. Bertoni, Giovanni Antonio Antolini da Faenza a Milano: Architettura e Massoneria in L’età neoclassica a Faenza, 1780-1820. Catalogo della mostra (Faenza 9 sett- 26 nov. 1979), Alfa, Bologna 1979, p.154
14 Al concorso parteciparono 52 concorrenti tra cui Domenico Aspari, Vincendo Berenzi, Vincendo Magnani e Giuseppe Pistocchi. I disegni relativi al concorso sono conservati presso l’Archivio storico dell’Accademia di Brera, la Raccolta Stampe Bertarelli e presso l’Archivio di Stato di Milano
Il progetto per il Borgo Nuovo a Faenza instaura una serie di fondamentali relazioni con il Foro Bonaparte. I due impianti presentano caratteri simili nella restituzione del progetto urbano e nelle scelte architettoniche.
A Faenza Antolini si misura con un’area a ridosso di una delle porte urbane della città verso la campagna, si tratta di un’area priva di identità dove la presenza delle poche ed isolate case non è sufficiente a restituire l’identità del luogo.
A Milano verso nord-ovest la linea dei bastioni si introflette attorno al Castello, circondandolo da una fortificazione a forma stellata. L’area del Castello situata al margine tra la città e il territorio circostante, a differenza dell’area del Borgo Nuovo a Faenza, era da sempre un luogo carico di forte valore simbolico, ma a seguito della demolizione delle fortificazioni poste a difesa del Castello anche quest’area perde la propria identità. Due progetti dunque che si misurano con i margini della città e che rivendicano una propria specifica identità.
Un’analogia tematica tra i due progetti è identificabile in alcune scelte compositive, che caratterizzano lo spazio urbano.
A Faenza il preesistente tracciato stradale della via Emilia è valorizzato fino a trasformarlo nell’asse strutturale del progetto. Percorrendo la via consolare si incontra il Borgo Nuovo concepito come un luogo abitato e naturale, articolato su una successione di spazi urbani che caratterizzano formalmente l’area. La successione degli spazi sviluppa linearmente il progetto per un’estensione di 470 metri. Il ricorso alla dimensione colossale e il recupero del tracciato stradale esistente caratterizzano il progetto.
A Milano l’estensione dell’emiciclo raggiunge i 530 metri. Anche nel disegno del Foro Bonaparte è recuperato il rapporto con il tracciato stradale, con il canale navigabile ed è
Fig.58 G.A. Antolini, Pianta Generale della Via Emilia, che fuori della Città di Faenza si es-
tende dalla Porta Imolese sino al luogo dove si erge l’Arco di Trionfale alla gloria della Nazione Francese. In essa è dimostrato il nuovo Borgo: i passeggi coperto e scoperto: la nuova Piazza attorno all’Arco: due Casini di piacere nei di lei mezzi circolari: il Giardino Inglese con Canali, e Lago: la Prateria ed i Viali, come meglio si spiega col seguente, 1797
ricongiunto il tracciato delle mura di cinta della città: da un lato la strada del Sempione diretta ai valichi alpini e di là di questi, alla Francia, secondo un tracciato in perfetto proseguimento verso sud-est, rappresentato dalla via Emilia; dall’altro i resti del Castello Sforzesco e la città di Milano. Rispetto a questi elementi, il segno formato dall’apertura dei due emicicli che accolgono al centro il Castello aprendosi da un lato verso la città e dall’altro verso la strada del Sempione, assume una nuova valenza urbana.
Due progetti che si servono della grande dimensione nella definizione dello spazio urbano e recuperano, integrando nel progetto alcune preesistenze della città.
Confrontando queste due architetture si individua un’analogia metodologica nella composizione del progetto.
A Faenza l’impostazione planimetrica ed altimetrica delle due schiere di abitazioni presenta un’articolazione modulare lineare. Le abitazioni giustapposte le une alle altre si ripetono in serie. Sul fronte l’elemento porticato è caratterizzato da un colonnato di ordine dorico, sul retro sono posizionati gli orti e i giardini, al piano superiore le abitazioni, la cui sequenza è interrotta all’inizio, al centro e alla fine da tre padiglioni, che risaltano la simmetria.
A Milano le abitazioni ricorrono ad una medesima articolazione modulare e seriale. Il modulo stabilisce la misura dell’architettura e la ripetizione seriale è interrotta in corrispondenza di due monumenti. Sul fronte è posizionato l’elemento porticato con le colonne di ordine dorico, sul retro i giardini, al piano terra i magazzini, al di sopra le botteghe e al piano primo le abitazioni.
Sebbene l’articolazione delle abitazioni subisca alcune variazioni è possibile individuare nell’impostazione un analogo metodo compositivo.
I numerosi incarichi ricevuti a Faenza, ma soprattutto la proposta per il progetto urbano del Borgo Nuovo rappresenta per Antolini l’occasione per restituire un’architettura che si misura con la città e la sua espansione. È probabile che in quest’occasione Antolini elabori una serie di riflessioni sulla città e sul ruolo del progetto, che si rifletteranno nel progetto per il Foro Bonaparte. In entrambi i progetti si individuano riflessioni compositive sul rapporto con i monumenti, su questioni stilistiche, sul significato dell’elemento naturale e sul ruolo dell’architettura rispetto allo spazio urbano, ponendo in chiave sistematica la questione urbana che –come sostiene Rossi- trae proprio dalla città il significato dei monumenti e stabilisce nei rapporti urbani tra i diversi edifici un fondamento del significato dell’architettura15.
L’approccio metodologico, la grammatica compositiva e alcune questioni urbane avvicinano il progetto per il Foro Bonaparte all’impianto del Borgo Nuovo. La contenuta distanza temporale che separa i due progetti, l’analogo ricorso al fuori scala mediato attraverso il progetto urbano e la continua citazione dell’antico, permettono di porre a confronto le due esperienze progettuali, individuando nel progetto di architettura il risultato ultimo di una ricerca che fissa l’attenzione sul rapporto tra l’architettura e la città.
15 A. Rossi, Introduzione a Boullée in Architettura. Saggio sull’arte, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 2005, pp. XXIII-XLIII