Statuto delle essenze creaturali: la collatio
1.2 La ricezione medioevale della dottrina boeziana della distinzione tra ‘esse’ e ‘id quod est’:
1.2.4 Il dibattito tra Egidio Romano ed Enrico di Gand
Tra il 1276 e il 1287 l’Università di Parigi è il teatro di un confronto, dai toni spesso accesi, tra alcuni dei maggiori intellettuali dell’epoca a proposito di come siano da considerare l’essenza e l’esistenza negli enti finiti. Egidio Romano ed Enrico di Gand sono gli animatori principali di questo dibattito, che coinvolgerà anche, ma solo successivamente, Goffredo di Fontaines211.
Potremmo così riassumere in poche parole la complessità delle posizioni filosofiche in campo: mentre, da una parte, Egidio sostiene che vi sia una distinzione reale tra essenza ed esistenza nelle creature, che egli intende come due principi costitutivi, dotati di autonomia da un punto di vista ontologico, indipendentemente dalle operazioni dell’intelletto, considerabili in senso proprio come cose diverse (ut res et res)212; secondo Enrico, invece, essenza ed esistenza sono distinte solo intenzionalmente, ovvero secondo un modo di distinzione intermedio tra quello meramente di ragione e quello reale, come aspetti di un’unica e medesima res, considerata dall’intelletto sotto vari punti di vista213. Per il Gandavense essenza ed esistenza non sono né pure costruzioni mentali né cose dotate
210Cf. C. König-Pralong, Être, essence et contingence. Henri de Gand, Gilles de Rome, Godefroid de Fontaines, Les
Belles Lettres, Paris 2006, p. 9: «[…] le lecteur d’aujourd’hui éprouvera pourtant quelque difficulté à découvrir une
formulation claire de cette célèbre distinction dans les textes anciens, même - et peut-être sourtout - dans ceux de Thomas
d’Aquin. Nul doute que la pensée thomasienne ne se fondât sur une différenciation principielle entre l’essence de la chose et son être. […] Thomas ne l’a jamais théorisé de manière développée, sous la forme d’une exposition suivie; il ne l’a pas
justifiée. Cette peine lui a probablement été épargnée par le fait que la problématique avicennienne de l’être et de
l’essence, nouvelle dans le monde latin, n’était pas encore l’object de polémiques. Du temps de Thomas, la question de
la distinction entre être et essence n’était pas encore assez connue et comprise pour être portée à la conscience collective
des intellectuels; elle n’était donc pas problématique. Elle est devenue matière à débat, à l’Université de Paris, deux ans après la mort de Thomas d’Aquin (le 7 mars 1274); dès 1276, une querelle s’est en effet engagée autour de l’être et de l’essence, entre trois maîtres de théologie, Henri de Gand, Gilles de Rome et Godefroid de Fontaines».
211 Per un dettagliato quadro cronologico del dibattito, cf. König-Pralong, Être, essence et contingence, p. 126. Per
un’analisi di carattere storico-filosofico, oltre al già citato Être, essence et contingence. Henri de Gand, Gilles de Rome,
Godefroid de Fontaines, cf. anche J. Paulus, Les disputes d'Henri de Gand et de Gilles de Rome sur la distinction de l'essence et de l'existence, «Archives d'histoire doctrinale et littéraire du moyen âge», 13 (1940-42), pp. 323-358.
212 Cf. in particolare Aegidius Romanus, Quaestiones de esse et essentia, q. 9, Venetiis 1503, f. 20vb-21vb. Sulla
distinzione reale tra essenza ed esistenza in Egidio Romano, cf. E. Hocedez, Gilles de Rome et Henri de Gand sur la distinction réelle (1276-1286), «Gregorianum», 8 (1927), pp. 358-384; A. Pattin, Gilles de Rome o.e.s.a. et la distinction réelle de l'essence et de l'existence, «Revue de l’Université d’Ottawa», 23 (1953), pp. 80-116; G. Trapé, Esse partecipato e distinzione reale in Egidio Romano, «Aquinas», 12 (1969), pp. 443-468.
213Cf. Henricus de Gandavo, Quodlibet, I, q. 9, OpOm, V, pp. 55-56; Henricus de Gandavo, Quodlibet, V, q. 6, Badius
1518, f. 161r-v L; Henricus de Gandavo, Quodlibet, X, q. 7, OpOm, XIV, pp. 164-166; Henricus de Gandavo, Quodlibet, XI, q. 3, Badius 1518, ff. 444v R-445r X.
di una propria sussistenza autonoma, ma piuttosto intentiones, ovvero note del contenuto essenziale che, pur fondate in re, esistono solo potenzialmente nella realtà extramentale, essendo attualizzate dall’intelletto che le pensa. Nature differenti, come ‘albero’ e ‘fiume’, ‘bianco’ e ‘razionale’ sono distinte realmente in quanto cose differenti: è così che Egidio considera essere ed essenza. Concetti totalmente compatibili che si riferiscono ad una stessa cosa differiscono invece secondo ragione, come ad esempio ‘uomo’ ed ‘animale razionale’, che stanno tra loro in rapporto come il definiens al definiendum. Concetti totalmente o parzialmente incompatibili, ma fondati in una medesima cosa semplice, differiscono infine secondo intenzione. Ad esempio, ‘animale’ e ‘razionale’ sono concetti che non hanno nulla in comune: sono totalmente incompatibili. La loro congiunzione, tuttavia, non dà luogo ad un aggregato, ma ad una cosa unitaria, l’uomo, che è ciò in cui entrambi sono fondati. Essi differiscono così secondo intenzione. Similmente, secondo Enrico, avviene per esistenza ed essenza. Va tuttavia precisato come questi due concetti siano solo parzialmente incompatibili: infatti, al contrario di ‘animale’ e ‘razionale’, che si autoescludono vicendevolmente, il concetto di esistenza include sempre quello di essenza, mentre l’essenza può essere pensata anche come non esistente214. Delineare i contorni esatti delle opinioni dei due interlocutori, anche in rapporto alle altre opinioni sostenute all’epoca in proposito, è impresa che richiederebbe una disamina molto articolata che non intendiamo intraprendere qui, limitandoci a segnalare alcuni importanti contributi critici215.
Piuttosto, ai fini della nostra trattazione, ci preme sottolineare come questo contrasto sia dovuto anche ad una diversa valutazione del secondo assioma boeziano, come risulta dall’analisi dei testi e come già riconosciuto dalla critica216. Né Enrico né Egidio commentarono mai direttamente il De
214Cf. in particolare Henricus de Gandavo, Quodlibet, V, q. 6, Badius 1518, f. 161r-v L. Tra i più significativi studi sulla
distinzione intenzionale tra essenza ed esistenza in Enrico di Gand, cf. W. Hoeres, Wesen und Dasein bei Henrich von Gent und Duns Scotus, «Franziskanische Studien», 47 (1965), pp. 121-186; R. Macken, Les diverses applications de la distinction intentionelle chez Henri de Gand, in W. Kluxen (ed.), Sprache und Erkenntnis im Mittelalter. Akten des VI. Internationalen Kongresses für Mittelalterliche Philosophie der Société Internationale pour l'Etude de la Philosophie Médiévale. 29. August - 3. September 1977 in Bonn, De Gruyter, Berlin 1981, II, pp. 769-776; P. Porro, Possibilità ed esse essentiae in Enrico di Gand, in W. Vanhamel (ed.), Henry of Ghent. Proceedings of the International Colloquium on the occasion of the 700th anniversary of his death (1293), Leuven University Press, Leuven 1996, pp. 211-253, in particolare pp. 218-219.
215Per una rassegna dei principali studi critici, cf. König-Pralong, Être, essence et contingence, pp. 7-126. Per una visione
d’insieme delle dottrine sulla distinzione tra essenza ed esistenza cf. J. Wippel, The relationship between essence and
existence in late thirteenth century thought: Gilles of Rome, Henry of Ghent, Godfrey of Fontaines and James of Viterbo, in P. Morewedge (ed.), Philosophies of existence: ancient and medieval, Fordham University Press, New York 1982, pp. 131-164.
216Cf. Paulus, Les disputes d'Henri de Gand et de Gilles de Rome, pp. 323-358, in particolare pp. 328- 329. In linea con
l’interpretazione di Paulus anche Peter Nash, cf. P. W. Nash, Giles of Rome on Boethius’ “Diversum est esse et id quod est”, «Medieval Studies», 12 (1950), p. 58.
hebdomadibus, ma l’influenza decisiva di quest’opera nella costruzione delle proprie dottrine a proposito di esistenza ed essenza appare evidente.
Già nel primo testo che testimonia questo dibattito, ovvero la questione quodlibetale discussa da Enrico di Gand nella sessione natalizia del 1276 (Quodlibet, I, q. 9)217, il tema della corretta interpretazione della distinzione tra esse e id quod est risulta centrale e viene ampiamente discusso in varie parti della questione stessa. Esso appare, in primo luogo, in alcuni degli argomenti iniziali contro l’opinione sostenuta da Enrico in base alla quale l’essenza della creatura coincide realmente con il suo essere («ipsa essentia creaturae est suum esse»), nonostante l’essenza e l’esistenza della creatura siano distinguibili intenzionalmente. Sul fatto che l’opinione contraria a questa ed i relativi argomenti a sostegno siano riferibili ad Egidio vi è, negli studi più recenti, totale unanimità, anche se non è del tutto chiaro se Enrico abbia qui in mente una dottrina scritta ─ ipotesi possibile, visto che Egidio aveva già affrontato, prima del 1276, il tema della distinzione reale tra esistenza ed essenza sia nel primo libro del Commento alle Sentenze sia nei Theoremata de corpore Christi ─ oppure, secondo una suggestiva ricostruzione storica avanzata da Edgar Hocedez e Porro, Egidio avrebbe potuto addirittura aver partecipato direttamente alla discussione pubblica della questione quodlibetale in qualità di baccelliere218.
Ad ogni modo, gli argomenti contra dal quarto all’ottavo, tutti riferibili ad Egidio, fanno direttamente appello al De hebdomadibus. In particolare, il quarto ed il quinto si richiamano al secondo assioma: se l’essenza e l’esistenza fossero la stessa cosa nella creatura, allora sarebbe falso che «esse e id quod est differiscono», così come sarebbe falsa anche la seconda parte della regola, che afferma che «‘ciò che è’ riceve la forma essendi»: infatti, per poter ricevere qualcosa, ‘ciò che è’ deve già sussistere previamente come un che di reale, e solo a partire da ciò può poi aggiungersi qualcosa attraverso una successiva partecipazione.
Tali obiezioni corrispondono in maniera molto puntuale al modo in cui Egidio dimostra intendere l’assioma boeziano. Egli, innanzitutto, fa propria quella che Gilberto Porretano avrebbe chiamato l’interpretazione filosofica: il secondo assioma, dal suo punto di vista, riguarda solo ed esclusivamente le creature. L’esse boeziano va identificato con l’essere creato219, ovvero con l’esistenza creaturale, e non con lo stesso essere divino (IPSUM ESSE), mentre l’id quod est coincide
217Per un’analisi dettagliata della questione, cf. M. S. de Carvalho, Sentido e alcance do pensamento de Henrique de
Gand. Explicação da nona questão do 'Quodlibet I': a relação essência/existência, «Mediaevalia. Textos e estudos», 3 (1993), pp. 161-205.
218Cf. König-Pralong, Être, essence et contingence, p. 23.
219Aegidius Romanus, Quaestiones de esse et essentia, q. 9, Venetiis 1503, f. 18vb: «Oportet secundum intentionem
con l’essenza della creatura. Egidio argomenta questo tipo di lettura facendo leva su quel particolare passaggio del secondo assioma in cui si dice che «l’essere stesso infatti ancora non è» (ipsum vero esse nondum est): come potrebbe, se si fa corrispondere all’esse boeziano l’essere divino, l’essere divino non essere, visto che l’essere è proprio ciò che massimamente appartiene a Dio? Egidio si richiama qui ad una consolidata tradizione di pensiero cristiano che identifica Dio con l’essere stesso, ed in particolare alla dottrina agostiniana dell’Ipsum esse substistens, mostrando come questa prospettiva non sia conciliabile con affermazioni del tipo «l’essere divino non è ancora».
Così recita infatti il testo di Boezio: “diverso è l’essere da ciò che è, l’essere stesso infatti ancora non è”. Perciò egli sostiene che all’essere stesso non appartiene propriamente di essere. Dunque ‘essere’ non
significa qui Dio stesso né lo stesso essere divino, poiché a Dio stesso appartiene massimamente l’essere. A questo proposito, Agostino afferma nel De Trinitate, VII, c. 5, che a Dio l’essere appartiene massimamente220.
Egidio, sviluppando la formula tommasiana del differunt realiter221 e rielaborandola in base ad un forte influsso dottrinale di impronta neoplatonica222, interpreta la distinzione boeziana come una distinzione reale tra essenza (id quod est) ed esistenza (esse) negli enti finiti223. A questo proposito, il motivo centrale dell’argomentazione egidiana sta nella differenza tra ciò che riceve e ciò che viene ricevuto. Boezio afferma infatti, nell’ultima parte del secondo assioma, che «ciò che è, ricevuta la forma dell’essere, è e consiste» (quod est, accepta essendi forma, est atque consistit). Se ‘essere’ e ‘ciò che è’ fossero solo aspetti di una medesima cosa, ciò significherebbe che una stessa cosa riceverebbe la propria forma d’essere da se stessa, secondo un’impossibile dinamica, facilmente spiegabile, invece, ponendo ciò che riceve e ciò che viene ricevuto come cose distinte realmente.
Niente infatti riceve se stesso come una forma d’essere [forma essendi]: in tutti i casi in cui l’essere è
una qualche realtà ricevuta in un’altra realtà è necessario che sia realmente differente rispetto a ciò che lo riceve224.
220Aegidius Romanus, Quaestiones de esse et essentia, q. 9, Venetiis 1503, f. 18vb: «Sic enim facet textus Boetii:
“diversum est esse et id quod est, ipsum vero esse nondum est”, ergo vult quod ipsi esse non proprie competat quod sit.
Igitur esse ibi non stabit pro ipso Deo vel pro ipso esse divino, quia ipsi Deo maxime competit esse. Unde Augustinus, De Trinitate, VII, 5, vult quod maxime Deo competat esse».
221Cf. supra, p. 58.
222Sull’influsso della filosofia neoplatonica su Egidio, in particolare a proposito dell’interpretazione del secondo assioma
boeziano, cf. Nash, Giles of Rome on Boethius’ “Diversum est esse et id quod est”, pp. 57-91.
223Cf. ad esempio Aegidius Romanus, In primum librum Sententiarum, d. 8, p. 4, q. 1, a. 4, ed. Cordubae, f. 186b:
«Possumus tamen, si volumus, ex his quae dicta sunt ostendere Deum esse simplicissimum. Sunt enim tre generales compositiones quae reperiuntur in omni composito. Una est esse et essentiae. Unde in libro De hebdomadibus dicitur:
“omni composito aliud est esse, aliud ipsum quod est”».
224Aegidius Romanus, Quaestiones de esse et essentia, q. 9, Venetiis 1503, f. 18vb: «Nihil seipsum accipit quasi essendi
Da questo punto di vista, la dinamica della ricezione della forma essendi si presenta semplicemente come la ricezione di qualcosa da parte di qualcos’altro: ‘ciò che è’ è la cosa che riceve, mentre l’‘essere’ è la cosa ricevuta. La condizione di possibilità di questo rapporto, come detto, è la distinzione reale tra ricevente e ricevuto, altrimenti la stessa cosa riceverebbe se stessa.
Infatti, come è evidente, ‘essere’ è altro rispetto a ‘ciò che è’ in questo modo: ‘ciò che è’, ricevuto
l’essere come forma e perfezione, è e sussiste, e ciò è possibile solo in quanto l’‘essere’ differisce
realmente da ‘ciò che è’, altrimenti non potrebbe essere la sua forma e la sua perfezione225.
A partire da ciò, Egidio sosterrà che essenza ed esistenza sono in effetti due res distinte, che si compongono per costituire la creatura nella sua interezza allo stesso modo in cui la forma (cui corrisponde metafisicamente l’‘essere’) e la materia (cui corrisponde metafisicamente ‘ciò che è’) si compongono per formare gli enti corporei226.
Enrico, al contrario, fa propria l’interpretazione teologica, esposta dal Porretano come alternativa a quella filosofica: l’esse boeziano è, nel suo significato primario, l’essere divino, che pone in essere e fa sussistere ogni ente creaturale227. Da questo punto di vista, non può che apparire ovvia la formula boeziana: è evidente come sia massimamente differente lo stesso essere divino (esse) rispetto alla creatura (id quod est).
Non c’è infatti da stupirsi di come ‘essere’ sia diverso da ‘ciò che è’, poiché sono diversi Dio e la creatura. Per cui ‘essere’ non sta qui per l’essere creato, come viene argomentato in base ad una errata comprensione, ma piuttosto per l’essere increato228.
A sostegno della propria interpretazione, Enrico prende in considerazione il terzo assioma, che, a suo avviso, servirebbe a Boezio per chiarire ulteriormente il precedente. La formulazione della prima parte dell’assioma è molto netta: «‘ciò che è’ può partecipare rispetto a qualcosa, mentre lo stesso ‘essere’ non può partecipare rispetto a nulla» (Quod est participare aliquo potest, sed ipsum esse nullo modo aliquo participat). Considerando lo stesso essere come l’essere divino, è evidente il senso
225Aegidius Romanus, Quaestiones de esse et essentia, q. 9, Venetiis 1503, f. 18vb: «Nam, ut patet, id quod est esse
secundum Boetium hoc modo est aliud: quia id quod est, accepto esse tanquam perfectione et forma est atque subsistit, et quod esse non posset nisi esse realiter differt ab eo quod est, aliter enim non esset quasi forma et perfectio eius».
226Cf. Aegidius Romanus, Quaestiones de esse et essentia, q. 9, Venetiis 1503, f. 20vb-21ra: «[…] sicut generatio facit
scire materiam aliud esse a forma, sic creatio facit nos scire essentiam esse aliud ab esse».
227Mário Santiago de Carvalho ha sottolineato la decisiva influenza dell’interpretazione teologica porretana sull’intera
costruzione dottrinale di Enrico di Gand, cf. M. S. de Carvalho, Creatura mundi. Estudo sobre o contexto metafísico da argumentação de Henrique de Gand contra a possível eternidade do mundo (Quodlibet, I, q. 7-8), Ph.D. thesis, Universidade de Coimbra 1994, pp. 240-245.
228Henricus de Gandavo, Quodlibet, I, q. 9, OpOm, V, p. 58: «Quid ergo mirum si diversum sit esse et quod est, quia
diversi sunt Deus et creatura. Unde esse non supponit ibi pro esse creato, ut procedit argumentum ex falso intellectu, sed pro esse increato».
dell’assioma: Dio è puro essere impartecipato, mentre la creatura, per essere, deve partecipare dell’essere divino.
Per cui all’esposizione della prima ebdomade segue immediatamente la seconda, che afferma: “ciò che è”, ovvero l’essenza della creatura, “può partecipare rispetto a qualcosa”, ovvero rispetto allo stesso essere attuale ricevuto da Dio, come detto, “ma lo stesso essere”, ovvero l’essere puro e increato, “non può in alcun modo partecipare di qualcosa”, poiché ha da sé il proprio essere, nel quale ha tutte le cose229. Proprio in base ad una diversa concezione della natura della partecipazione dell’ente rispetto all’essere, Enrico costruisce il suo principale argomento contro la distinzione reale di Egidio. Innanzitutto, egli nota come considerare ‘ciò che è’, ovvero l’essenza, come un substrato reale che può successivamente partecipare dell’essere, allo stesso modo in cui può ricevere un accidente reale come la bianchezza, sia un’errata concezione della partecipazione, o anche, per utilizzare i termini molto duri usati da Enrico nella discussione, una phantastica imaginatio230. Infatti, sostenere una distinzione reale tra essenza ed esistenza implicherebbe che l’essenza, prima di ricevere l’essere, non possa che trovarsi in un incomprensibile stato: essa sussisterebbe come un sostrato, ma in senso proprio non sarebbe, non avendo ancora ricevuto la ratio essendi attraverso la partecipazione rispetto all’essere. Si troverebbe, dunque, come un’aria oscura «nelle tenebre della non-entità» (in tenebris non-entitatis)231, in attesa di ricevere la luce dell’essere divino.
Enrico contrappone a questo modo di intendere la partecipazione un modello alternativo, attraverso cui tenta poi di dare conto della formulazione boeziana. A proposito della questione dello statuto delle essenze creaturali prima della partecipazione rispetto all’essere divino, il Gandavense respinge con forza la possibilità di considerarle come substrati sussistenti indipendentemente dalla partecipazione rispetto all’essere. Le essenze, pur tendendo naturalmente in quanto creature al non essere, possiedono una forma di essere loro propria dall’eternità in quanto corrispondono a delle idee divine. Esse sono a tutti gli effetti «similitudini dell’essere divino232», ovvero ne partecipano intrinsecamente.
229Henricus de Gandavo, Quodlibet, I, q. 9, OpOm, V, p. 59: «Quod est, ut essentia creaturae, participare aliquo potest,
scilicet ipso esse actuali recepto a Deo, ut dictum est, nullo modo aliquo participat, quia esse suum, in quo habet omnia, a se habet».
230Henricus de Gandavo, Quodlibet, I, q. 9, OpOm, V, p. 49: «Unde errat praecedens modus intelligendi esse participari
a creatura, qui non est intellectus sed phantastica imaginatio».
231Henricus de Gandavo, Quodlibet, I, q. 9, OpOm, V, pp. 48-49: «Et sicut aer de se est obscurus, et de sua natura non
est omnino particeps lucis nisi a sole illuminetur, participans per hoc lumen a sole, sic creatura de se et sua essentia non habet aliam rationem esse, sed est in tenebris non entitatis, nisi a Deo illustretur et detur ei esse suum quo participet».
232Henricus de Gandavo, Quodlibet, I, q. 9, OpOm, V, p. 49: «[…] ipsa essentia rei, inquantum est quidem effectus Dei,
C’è invece un altro modo di intendere la partecipazione della creatura rispetto all’essere, intendendo la stessa essenza della creatura come un qualcosa di astratto attraverso l’intelletto, indifferente all’essere e al non essere, la quale, di per sé, è un certo non essere, e che tuttavia ha in Dio un’idea formale, attraverso
la quale in Dio è un qualche ente prima di diventare ente nella propria natura233.
Enrico sostituisce la metafora dell’aria oscura e della luce con quella del sole e dei suoi raggi: i raggi solari, infatti, oltre ad essere per mezzo del sole, sono anche nel sole, ovvero partecipano del sole senza essere realtà ad esso esterne. In questo modo, Enrico prende le distanze dalla concezione egidiana dell’essere come accidente estrinseco dell’essenza234, promuovendo un modello di partecipazione intrinseca ab aeterno dell’essenza all’essere, ovviando così al problema di cosa ne sia dell’essenza senza l’essere (ed anche, come vedremo235, aprendo così lo spazio alla critica scotiana a