Il problema dell’univocità del concetto di ente è, infine, uno dei temi chiave delle distinzioni 3 e 8 di Ordinatio e Lectura. In queste opere di natura teologica, che consistono in due differenti redazioni di commenti alle Sentenze di Pietro Lombardo, la trattazione scotiana si basa su un’impostazione ancora diversa: in gioco, qui, è innanzitutto la questione dell’univocità del concetto di ente rispetto a Dio e alle creature, questione intimamente legata alla possibilità di una conoscenza naturale di Dio in via. Oltre all’impostazione, cambiano anche gli interlocutori impliciti ed espliciti di Scoto: se nei commenti alle opere logiche Scoto sembra essere in dialogo principalmente con commentatori di ambiente inglese di Aristotele, in Lectura ed Ordinatio Scoto sembra confrontarsi piuttosto con il teologo fiammingo Enrico di Gand e la sua dottrina dell’analogia del concetto di ente, ad un tempo punto di partenza per la riflessione scotiana e grande obbiettivo polemico. La critica, a questo
593Ioannes Duns Scotus, Quaestiones super secundum et tertium De anima, q. 21, n. 15, OpPhil, V, p. 212: «Item, in
praedicationibus per se non est conversio, ut dicitur I Posteriorum, ut cum dicitur “animal est homo”, licet haec sit per se “homo est animal”; sed passio praedicatur per se de subiecto; igitur subiectum non praedicatur per se de passione; igitur
nec ens de vero et bono, licet unum, verum et bonum praedicentur de ente per se. Dicitur enim IV Metaphysicae quod substantia uniuscuisque est ens et una per se, et non per accidens».
proposito, si divide tra chi ritiene, come Dumont594e, più moderatamente, Hoffmann595, che tra i due ci sia una sostanziale continuità, e chi invece, più tradizionalmente, vede le due dottrine in piena ed assoluta contrapposizione.
Questo anzitutto poiché, come abbiamo visto596, la dottrina di Enrico si presta essa stessa a due tipi di interpretazione: alcuni, hanno visto in lui in primo luogo un pensatore vicino alla soluzione di Tommaso d’Aquino, senza tentazioni univociste; altri, invece ─ mettendo in risalto soprattutto l’influenza di Avicenna, l’affermazione secondo la quale il concetto di ente è ‘comune’ (‘comune analogo’) a Dio e alla creatura e l’opzione di considerare l’ente in quanto ente come soggetto unitario della scienza metafisica ─ hanno visto nella sua dottrina dell’analogia una sorta di anticipazione di soluzioni più radicali, come se si trattasse, la sua, di una cripto-univocità che prende di fatto le distanze dalla tradizione analogista del secolo XIII, in una versione dell’analogia del tutto originale e non assimilabile ad altre, precedenti dottrine.
Ad ogni modo, in entrambe le opere Scoto parte proprio dall’esposizione della dottrina enrichiana dell’analogia. Come detto, la questione dell’univocità viene trattata nei Commenti alle Sentenze nel contesto della possibilità di una conoscenza naturale di Dio, ed è da questo punto di vista che Scoto riporta, secondo la propria interpretazione, la versione dell’analogia entis del maestro fiammingo. Secondo Enrico, Dio non è conoscibile naturalmente attraverso un’apprensione diretta e non mediata del suo concetto proprio (in particulari), ma solo in maniera astratta (in universali), attraverso, gli attributi divini, che non coincidono sic et simpliciter con la natura divina in quanto tale. Dio è conoscibile in universali mediante il rapporto di analogia di attribuzione che sussiste tra il concetto proprio di ente divino e il concetto proprio di ente creaturale: ‘ente’, così come gli altri trascendentali (‘vero’, ‘bene’, ‘uno’), si predica anzitutto di Dio, e solo in modo derivato e secondario della creatura. Attraverso l’analogato (‘ente creaturale’) è però possibile risalire ad un significato di ‘ente’ in una certa misura comune anche a Dio, a causa della grande prossimità, secondo una conoscenza in universali, tra i concetti ente creaturale ed ente divino. Essi comunicano in una ragione comune, in un concetto comune analogo, anche se non unitario. Non solo, a causa di un ‘errore’ o debolezza’ strutturale del nostro intelletto, il concetto di ‘ente’ comune a Dio e alla creatura ci appare in prima battuta come un concetto unitario, e dunque univoco. Scoto, che sembra così propendere per una
594S. D. Dumont, Henry of Ghent and Duns Scotus, in J. Marenbon (ed.), Routledge history of philosophy, Routledge,
London 1998, pp. 291-328: 321: «[…] Scotus’s doctrine of univocity should properly be seen not as a complete rejection
but as a revision of Henry’s own unique understanding of analogy. Specifically, Scotus’s simple, univocal concept was a modification of Henry’s revised ‘analogously common’ notion of being».
595Cf. Hoffmann, Henry of Ghent’s influence on John Duns Scotus’s metaphysics, p. 347. Cf. supra, p. 157. 596Cf. supra, pp. 91-103.
interpretazione cripto-univocista, giunge a riportare la dottrina di Enrico in questi termini: i concetti di ente divino ed ente creaturale sono concepiti ‘come se fossero un solo concetto’ (quasi unus).
Essi introducono anche un’altra distinzione a proposito della conoscenza: qualcosa è conosciuto o in
universale [in universali] o in particolare [in particulari]. Per quanto riguarda questa seconda distinzione, dicono che Dio è conosciuto da noi in una qualche ragione comune, come nella ragione di
‘bene’ e di ‘vero’, e tuttavia non in un qualche concetto comune in modo univoco rispetto a sé e alla
creatura, ma sono in modo analogo, poiché quella natura [la natura divina] è di per se stessa singolare, e non ha un concetto comune rispetto a sé e a noi, ma solo un concetto comune analogo. Ed in questo modo il concetto che è unitario per una unità di analogia è, in realtà, due concetti; e tuttavia è come se
fosse un solo concetto, poiché sono vicini l’uno all’altro per attribuzione, e così sono concepiti come se
fossero un solo concetto. Per ciò che riguarda, invece, la conoscenza in particolare [in particulari], dicono che Dio non è conosciuto da noi in particolare [in particulari]597.
La principale critica che Scoto muove qui ad Enrico, sembra essere quella di non aver tratto le radicali conseguenze dalla propria impostazione del problema: nei termini in cui Scoto spiega Enrico, la posizione di quest’ultimo appare incomprensibilmente a metà strada tra l’affermazione chiara e netta dell’univocità del concetto di ente, assunta di fatto con la considerazione del concetto di ente ‘come se fosse un concetto unitario’, e la difesa ormai solo di facciata di un’analogia svuotata di qualsiasi significato. Al contrario di Conington, il quale, a partire dalla vicinanza, dalla prossimità dei concetti di ente creaturale ed ente divino, così come indicata da Enrico, costruirà un originale modello interpretativo basato sulla impercettibilità intuitiva della distinzione tra questi due concetti, cui solo una dimostrazione razionale può giungere598, Scoto prenderà una strada diversa, già anticipata nel Commento al De anima, rompendo l’indugio da lui implicitamente attribuito ad Enrico, e difendendo apertamente che «Dio è concepito in un concetto comune univoco a sé e alla creatura, in modo tale
597Ioannes Duns Scotus, Lectura, I, d. 3, p. 1, q. 1-2, nn. 11-12, Vat., XVI, p. 226: «Aliam etiam distinctionem ponunt
de cognitione, quod aliquid cognoscitur in universali et aliquid in particulari. Et quantum ad istam secundam distinctionem, dicunt quod Deus cognoscitur a nobis in aliqua communi ratione, ut in ratione boni et veri, non tamen in aliquo conceptu communi sibi et creaturae univoce, sed tantum analogice: quia illa natura ex se est singularis, quae non habet conceptum communem sibi et nobis, sed tantum conceptum analogum communem. Et huiusmodi conceptus qui tantum unus est unitate analogiae, est duo; sed tamen est quasi unus, quia sunt propinqui ad invicem per attributionem, et sic concipiuntur quasi unus. Loqunedo tamen de cognitione in particulari, sic dicunt quod Deus a nobis non cognoscitur
in particulari […]». Cf. anche Duns Scotus, Ordinatio, I, d. 3, p. 1, q. 1-2, n. 20, Vat., III, p. 12.
598Cf. Richardus de Conington, Quodlibet, I, q. 2, ed. S. Brown, in Id., Richard of Conington and the Analogy of the
Concept of Being, «Franziskanische Studien», 48 (1966), pp. 297-307: 306, ll. 11-13: «Unde dico quod concipiens ens concipit Deum et creaturam, sed non percipit nec distinguit intuitive sed convincit necessaria ratione quod ita est».
che ‘ente’, ‘bene’ e ‘sapienza’, predicati di Dio e della creatura, sono detti di essi in modo univoco, e non dicono due concetti599».
Scoto precisa innanzitutto, secondo la celebre definizione fornita in Ordinatio, cosa debba intendersi per ‘concetto univoco’:
E affinché non vi siano fraintendimenti a proposito del termine ‘univocità’, chiamo ‘concetto univoco’
un concetto dotato di una unitarietà tale che la propria unità sia sufficiente a far sì che sia contraddittorio affermare o negare questo concetto a proposito di una stessa cosa; [tale unitarietà] è anche sufficiente affinché questo concetto possa fungere da termine medio di un sillogismo, in modo tale che gli estremi uniti fra loro da un medio dotato di una tale unitarietà possano concludere senza che vi sia una fallacia di equivocazione600.
Una definizione che serve a chiarire come il concetto univoco di ente non sia affatto un concetto fittizio, piuttosto si tratta di un conceptus realis601, sottoposto al principio di non-contraddizione, e anche, dunque, qualificabile, come quando si dice che è un concetto assolutamente semplice. A sostegno dell’univocità, Scoto passa poi a fornire alcuni argomenti di ragione, oltre a numerosi altri ex auctoritate. Tralasciando questi ultimi, cercheremo di presentare quelli a nostro avviso più significativi, specialmente in rapporto al testo delle Collationes.
1. Argomento ‘certus de uno, dubius de duobus’:
Il primo e, forse, più decisivo argomento scotiano è quello, già incontrato nel Commento al De anima, secondo cui non è possibile dubitare ed essere certi dello stesso concetto allo stesso tempo, mentre è possibile essere certi di un concetto e dubitare di un altro o di altri allo stesso tempo. Il concetto di cui si è certi, sarà dunque necessariamente differente rispetto al concetto o ai concetti di cui si dubita. Nel nostro caso specifico, è impossibile dubitare del concetto di ente in sé, concepibile con certezza da qualsiasi intelletto umano, mentre è possibile dubitare se si tratti del concetto di ente finito o del concetto di ente infinito, del concetto di ente creaturale o del concetto di ente divino. Secondo l’esempio fornito da Scoto, allo stesso modo tutti i filosofi antichi considerarono con certezza che il
599Ioannes Duns Scotus, Lectura, I, d. 3, p. 1, q. 1-2, n. 21, Vat., XVI, p. 232: «[…] non concipitur Deus in conceptu
communi analogo sibi et creaturae, sed in conceptu communi univoco sibi et creaturae, ita quod ens et bonum et sapientia dicta de Deo et creatura univoce dicuntur de eis, et non dicunt duos conceptus».
600Ioannes Duns Scotus, Ordinatio, I, d. 3, p. 1, q. 1-2, n. 26, Vat. III, p. 18: «Et ne fiat contentio de nomine univocationis,
univocum conceptum dico, qui ita est unus quod eius unitas sufficit ad contradictionem, affirmando et negando ipsum de eodem; sufficit etiam pro medio syllogistico, ut extrema unita in medio sic uno sine fallacia aequivocationis concludantur inter se uniri».
601Cf. Ioannes Duns Scotus, Lectura, I, d. 3, p. 1, q. 1-2, n. 126, Vat., XVI, p. 273: «Ad illud dicendum quod conceptus
primo principio fosse un ente, ma dubitarono se questo ente fosse il fuoco, o l’acqua, o l’amore e l’odio. Dunque, il concetto di ente è un concetto terzo, distinto e neutro rispetto al concetto di ente creaturale o ente divino. Questo argomento è rintracciabile senza sostanziali modifiche sia in Lectura che in Ordinatio, oltre ad essere presente in entrambe le questioni delle Collationes602.
2. Argomento dell’inclusione virtuale o formale:
Un altro argomento scotiano è quello, strettamente legato all’oggetto principale della distinzione terza (la possibile conoscenza naturale di Dio), secondo cui se non ci fosse un concetto di ente comune univoco a Dio e alla creatura, non potremmo conoscere assolutamente nulla di Dio, cadendo così in una sorta di “agnosticismo celeste”. Così ragiona Scoto: nessun oggetto conoscibile può produrre il concetto di un altro oggetto se non lo include in sé o formalmente [formaliter], come un oggetto inferiore è contenuto nel suo superiore, o virtualmente [virtualiter], come il soggetto include le sue passioni; il concetto proprio di ente divino non è però incluso nel concetto proprio di creatura, né formalmente né virtualmente, poiché ciò che è essenzialmente posteriore (ovvero la creatura, in quanto totalmente dipendente da Dio per il suo essere) non può in alcun modo includere ciò che è essenzialmente anteriore (Dio creatore); perciò, attraverso il concetto proprio di creatura non possiamo risalire al concetto proprio di Dio. È dunque necessario ammettere un concetto comune univoco rispetto ad essi, il concetto di ente (e lo stesso vale per gli altri trascendentali, come intelletto, volontà, bene, vero, uno, etc.) che funga da ponte metafisico per la conoscenza del concetto di ente divino in quanto comunicante nel concetto terzo di ente in sé con il concetto di creatura, pur rimanendo inattingibile il concetto proprio di ente divino. Anche questo argomento, già anticipato nel Commento al De anima, è rintracciabile senza sostanziali modifiche sia in Lectura che in Ordinatio, oltre ad essere presente in entrambe le questioni delle Collationes603.
3. Argomento della modalità in cui avviene l’interrogazione e la ricerca su Dio:
Di tenore simile è un ulteriore argomento, di nuovo conio, che testimonia, fra l’altro, la motivazione teologica sottesa all’intentio Scoti in queste opere, dimostrata anche dalla forte presenza della
602Cf. Ioannes Duns Scotus, Ordinatio, I, d. 3, p. 1, q. 1-2, n. 27, Vat., III, p. 18; Ioannes Duns Scotus, Lectura, I, d. 3, p.
1, q. 1-2, n. 22, Vat., XVI, pp. 232-233; Coll. Ox., q. 4, n. 4, pp. 36-37, ll. 21-23; Coll. Ox., q. 12, n. 20, p. 42, ll. 108- 110.
603Cf. Ioannes Duns Scotus, Ordinatio, I, d. 3, p. 1, q. 1-2, n. 35, Vat., III, pp. 23-24; Ioannes Duns Scotus, Lectura, I, d.
3, p. 1, q. 1-2, n. 28, Vat., XVI, p. 235; Coll. Ox., q. 4, nn. 31-34, pp. 46-48, ll. 170-204; Coll. Ox., q. 12, n. 15, p. 41, ll. 90-93.
tematica della teologia affermativa, che viene qui difesa contro gli eccessi di una teologia apofatica che rischia di condurre ad un agnosticismo a riguardo delle cose divine604. Secondo Scoto, ogni ricerca metafisica su Dio si svolge secondo questo schema: si inizia considerando concetti metafisici come sapienza, volontà, intelletto; poi, si toglie da questi concetti tutto ciò che c’è in essi di imperfezione e limitazione; infine, questi concetti così depurati si attribuiscono a Dio, dicendo, ad esempio, ‘Dio è sapiente’. Se non ci fosse un concetto univoco di sapienza, in cui convengono il concetto proprio di sapienza divina ed il concetto proprio di sapienza creaturale, ogni indagine su Dio sarebbe destinata a fallire, poiché, se questi due concetti di sapienza fossero equivoci, allora non avrei alcun criterio per decidere di attribuire a Dio questo concetto depurato di sapienza invece che, ad esempio, il concetto di pietra. Il concetto univoco di sapienza, in cui comunicano sia il concetto di sapienza creaturale che ho considerato inizialmente, sia il concetto depurato di sapienza che attribuisco a Dio, garantisce la validità del procedimento di indagine, che altrimenti risulterebbe del tutto arbitrario.
[…] ogni ricerca metafisica su Dio procede in questo modo: si prende in esame la ragione formale di qualcosa e si rimuove da questa ragione formale l’imperfezione che possiede nella creatura, si ritiene
questa ragione formale e le si attribuisce compiutamente la somma perfezione, e in questo modo la si
attribuisce a Dio. Per esempio consideriamo la ragione formale della sapienza (o dell’intelletto) o della
volontà. Essa va considerata in sé e senza riferimento ad altro. Poiché questa ragione non contiene formalmente alcuna imperfezione né alcuna limitazione, da essa sono state rimosse le imperfezioni che la accompagnano nelle creature. Ritenuta questa stessa ragione di sapienza o di volontà, la si attribuisce a Dio nel modo più perfetto. Dunque, ogni ricerca che riguardi Dio presuppone che l’intelletto abbia uno stesso concetto univoco che coglie dalla creatura605.
Il concetto di ente come oggetto adeguato dell’intelletto umano:
Secondo la dottrina già esposta nel Commento al De anima, anche in queste opere Scoto fa del concetto univoco di ente l’oggetto adeguato dell’intelletto umano, ma con alcune modifiche rispetto
604Va ricordata a questo proposito la nota affermazione scotiana, proprio in questa prima parte della distinzione terza:
«negationes non summe amamus». Cf. Ioannes Duns Scotus, Ordinatio, I, d. 3, p. 1, q. 1-2, n. 10, Vat., III, p. 5.
605Ioannes Duns Scotus, Ordinatio, I, d. 3, p. 1, q. 1-2, n. 39, Vat., III, pp. 26-27: «[…] omnis inquisitio metaphysica de
Deo sic procedit, considerando formalem rationem alicuius et auferendo ab illa ratione formali imperfectionem quam habet in creaturis, et reservando illam rationem formalem et attribuendo sibi omnino summam perfectionem, et sic attribuendo illud Deo. Exemplum de formali ratione sapientiae (vel intellectus) vel voluntatis: consideratur enim in se et secundum se; et ex hoc quod ista ratio non concludit formaliter imperfectionem aliquam nec limitationem, removentur ab ipsa imperfectiones quae concomitantur eam in creaturis, et reservata eadem ratione sapientiae et voluntatis attribuuntur ista Deo perfectissime. Ergo omnis inquisitio de Deo supponit intellectum habere conceptum eundem, univocum, quem accepit ex creaturis». Cf. anche Ioannes Duns Scotus, Lectura, I, d. 3, p. 1, q. 1-2, nn. 29-30, Vat., XVI, pp. 235-236.
a quanto sostenuto precedentemente. Infatti, solo in Lectura ed Ordinatio Scoto giunge alla formulazione definitiva della sua dottrina: il concetto di ente, coestensivo rispetto a tutto ciò che è intelligibile per se606, si predica in quale delle passioni propri dell’ente (gli altri trascendentali) e delle differenze ultime:
Dico che l’ente non è univoco predicato ‘in quid’ di tutti gli oggetti per se intelligibili, poiché non <è
univoco predicato ‘in quid’> delle differenze ultime, né delle passioni proprie dell’ente607.
Per ciò che concerne le passioni proprie, come abbiamo visto, di esse l’ente non può essere predicato
‘in quid’ poiché stanno all’ente come le proprietà o gli attributi stanno al soggetto, ed è caratteristica
specifica delle proprietà quella di dovere necessariamente far riferimento, nella loro definizione, al soggetto cui ineriscono come qualcosa di estrinseco. Scoto paragona la proposizione ‘l’ente è uno’ a quella ‘l’uomo è risibile’: ‘risibile’ non può essere definito senza fare riferimento alla nozione di ‘uomo’, in quanto soggetto cui inerisce, come qualcosa di estrinseco rispetto alla propria ratio di ‘risibile608’.
Per ciò che concerne le differenze ultime, va innanzitutto chiarito cosa intende Scoto con questo termine: una differenza viene detta ultima se è assolutamente semplice (‘simpliciter simplex’), ovvero se non è ulteriormente scomponibile in differenze più semplici. Di conseguenza, il concetto di differenza ultima non può essere risolto in concetti più semplici: si tratta di un concetto puramente qualitativo o determinativo (‘determinans tantum’). Il concetto di ente, al contrario, è un concetto assolutamente semplice puramente determinabile (‘determinabile tantum’). Essi sono dunque totalmente differenti: utilizzando il lessico scotiano, possiamo dire che sono ‘primo diversi’. Ora, Scoto, in base a questa opposizione essenziale, costruisce il seguente argomento. Tutti gli enti compositi sono composti realmente da potenza ed atto; allo stesso modo, tutti i concetti compositi sono composti da un concetto potenziale ed un concetto attuale, ovvero da un concetto determinabile (in potenza) e da un concetto determinante (in atto). Così come è sempre possibile scomporre un ente composto nei suoi elementi costitutivi ultimi, ovvero in una potenza ultima ed in un atto ultimo, del tutto incomunicabili, ugualmente per un concetto composto è sempre possibile risolvere lo stesso in un concetto assolutamente determinabile (il concetto di ente) e in uno assolutamente determinante (il
606Con ‘intelligibile per se’ Scoto indica tutto ciò che è di per se stesso intelligibile, escludendo dunque ciò che non ha
intelligibilità propria, come le privazioni, le negazioni, etc.
607Ioannes Duns Scotus, Ordinatio, I, d. 3, p. 1, q. 3, n. 131, Vat., III, p. 81: «Dico quod ens non est univocum dictum in
‘quid’ de omnibus per se intelligibilibus, quia non de differentiis ultimis, nec de passionibus propriis entis».
concetto di differenza ultima), di modo che l’uno non includa nulla dell’altro, altrimenti non sarebbe possibile evitare un regresso all’infinito609.
Obiezioni alla dottrina e risposte:
Alla dottrina così configurata, vengono poste numerose obiezioni. Alcune di queste, ripropongono temi già incontrati nelle precedenti opere: l’obiezione di autorità tratta da Porfirio610; la questione secondo la quale se il concetto di ente fosse univoco allora sarebbe un genere611; la questione dello statuto ontologico delle differenze, ovvero di come l’ente discenda in ciò che è ad esso inferiore, in particolare in riferimento a Dio e alla creatura612. Inoltre, si aggiungono ulteriori argomenti contro la dottrina scotiana: uno, a proposito del concetto univoco di ente come soggetto della metafisica, dottrina che sembrerebbe essere in contraddizione con quella aristotelica613; un altro, connesso