Statuto delle essenze creaturali: la collatio
1.2 La ricezione medioevale della dottrina boeziana della distinzione tra ‘esse’ e ‘id quod est’:
1.2.1. La distinzione tra ‘esse’ e ‘id quod est’
Per comprendere i termini del dibattito presente nella questione 17, sarà bene chiarire preliminarmente il senso della distinzione tra ‘id quod est’ e ‘quo est’, introdotta già nel primo degli argomenti145e perno di gran parte della discussione successiva.
L’origine di questa coppia concettuale va ricercata nell’opera di Severino Boezio, in particolare nel trattato Quomodo substantiae in eo quod sint bonae sint cum non sint substantialia bona, comunemente citato in età medioevale (ed ancora oggi) come De hebdomadibus.
Il De hebdomadibus è pensato da Boezio come una sorta di risposta ragionata alla domanda che costituisce il titolo: in che modo le sostanze possono essere buone pur non essendo beni sostanziali? In altri termini, il problema che viene posto come oggetto del trattato riguarda il rapporto che le cose realmente esistenti intrattengono con la caratteristica essenziale della bontà. Partendo dall’asserto universalmente accettato secondo cui tutto ciò che è, in quanto è, è buono («ea quae sunt bona sunt»), ci si chiede se le cose siano buone in quanto tali, ovvero sostanzialmente, oppure solo poiché partecipano del bene.
Va ricercato in che modo le cose siano buone, se per partecipazione [participatione] oppure sostanzialmente [substantia]146.
Apparentemente, entrambe le possibili soluzioni sembrano comportare serie difficoltà: se le cose fossero buone solo per una mera partecipazione estrinseca al bene, da ciò si potrebbe allora concludere che esse non sono in se stesse buone, e dunque non si capisce come potrebbero tendere al bene. D’altra parte, se esse fossero sostanzialmente buone, allora non avrebbero bisogno di nulla per essere buone: esse sarebbero piuttosto lo stesso Bene, ovvero sarebbero Dio, affermazione che non è lecito sostenere147.
145Cf. Coll. ox., q. 17, n. 2, p. 225, ll. 5-8.
146Boethius, Quomodo substantiae in eo quod sint bonae sint cum non sint substantialia bona sive De hebdomadibus, in
Id., De consolatione philosophiae; Opuscula theologica, ed. C. Moreschini - K. G. Saur, De Gruyter, München - Leipzig 2000, p. 189, ll. 53-54: «Sed quemadmodum bona sint, inquiriendum est, utrumque participatione an substantia».
Per risolvere la complicata questione proposta, tenuta presente la fortissima implicazione ontologica che comporta il problema del bene, trattandosi di una caratteristica assolutamente essenziale ed intrinseca dell’ente, al contrario delle caratteristiche accidentali come l’essere bianco o l’essere in una determinata posizione nello spazio, Boezio ricorre ad una spiegazione che parte dalla stessa struttura ontica delle cose esistenti, e che va poi a delineare una originale dottrina della partecipazione delle cose rispetto all’essere e al bene.
La parte dedicata ad esporre questa preliminare dottrina generale dello statuto puramente ontologico delle cose, funzionale ad un corretto intendimento della partecipazione delle stesse rispetto al bene, è ad un tempo particolarmente breve e particolarmente oscura, per una precisa e consapevole scelta dell’autore, che assume qui un tono vagamente esoterico, affermando di voler procedere in questa maniera affinché sia possibile attingere pienamente alle verità così enigmaticamente espresse solo per chi si sia dimostrato disposto ad un accurato ed attento studio, ed escludendo così dalla conoscenza a riguardo di queste cose tutti coloro che non ne siano degni. Soprattutto, Boezio decide di presentare la dottrina in forma assiomatica, optando per un modello che egli trae esplicitamente dalle discipline matematiche («ut igitur in mathematica fieri solet ceterisque etiam disciplinis»), in particolare dal modello euclideo di procedimento scientifico come rintracciabile negli Elementi, proponendo 9 regole o assiomi (regulae)148.
La prima di queste regulae ha una funzione puramente introduttiva, servendo solo a chiarire come tutti gli assiomi presentati vadano intesi come nozioni immediatamente autoevidenti ed universalmente riconoscibili come valide. Essi possono non apparire immediatamente evidenti solo per chi non è abituato ad astrarre rispetto alle cose corporali, poiché, al contrario di proposizioni allo stesso modo universalmente vere come “se togli due parti uguali a due quantità uguali, quelle che restano sono uguali”, non sono riferibili a dati esperienziali, ma hanno piuttosto una natura speculativa149.
148Cf. Boethius, De hebdomadibus, ed. Moreschini, pp. 186-187, ll. 11-16: «Prohinc tu ne sis obscuritatibus brevitatis
adversus, quae cum sint arcani fida custodia tum id habent commodi, quod cum his solis qui digni sunt conloquuntur. Ut igitur in mathematica fieri solet ceterisque etiam disciplinis, praeposui terminos regulasque quibus cuncta quae sequuntur efficiam».
149Cf. Boethius, De hebdomadibus, ed. Moreschini, p. 187, ll. 17-25: «Communis animi conceptio est enuntiatio quam
quisque probat auditam. Harum duplex modus est. Nam una ita communis est, ut omnium sit hominum, veluti si hanc
proponas, “Si duobus aequalibus aequalia auferas, quae relinquuntur aequalia esse”, nullus id intellegens negat. Alia vero est doctorum tantum, quae tamen ex talibus communis animi conceptionibus venit, ut est: “Quae incorporalia sunt, in loco non esse”, et cetera; quae non vulgus sed docti comprobant».
Così, il secondo assioma può iniziare ad affrontare direttamente il tema metafisico oggetto del trattato, esponendo la distinzione che è al centro della presente trattazione:
L’essere [esse] è diverso da ciò che è [id quod est]; l’essere stesso infatti ancora non è, ma ciò che è, ricevuta la forma dell’essere [forma essendi], è e consiste150.
Come ha giustamente notato Lambertus Marie De Rijk, si tratta della prima di tre fondamentali distinzioni che strutturano l’insieme delle regole: oltre a quella tra l’essere (esse) e ciò che è (id quod est), troviamo infatti la distinzione tra l’essere (esse) e l’essere qualcosa (esse aliquid)151e tra l’essere solo qualcosa (esse aliquid tantum) e l’essere qualcosa nella sostanza (esse aliquid in eo quod est152), ovvero tra accidente, nel primo caso, e sostanza153.
Alla prima distinzione sono riferibili gli assiomi II, IV e VIII, alla seconda l’assioma V, alla terza gli assiomi V e VI154.
Interpretazioni recenti della distinzione boeziana
150Boethius, De hebdomadibus, ed. Moreschini, p. 187, ll. 26-28: «Diversum est esse et id quod est; ipsum vero esse
nondum est, at vero quod est, accepta essendi forma, est atque consistit».
151Cf. Boethius, De hebdomadibus, ed. Moreschini, p. 187, ll. 96-97: «Aliud igitur tunc in eis esse, aliud aliquid esse». 152De Rijk spiega molto bene il motivo per cui ‘in eo quod est’ va tradotto come ‘nella sostanza’, e non letteralmente
come ‘in ciò che è’. Cf. L. M. De Rijk, Gilbert de Poitiers. Ses vues semantiques et metaphysiques, in J. Jolivet - A. De
Libera (eds.), Gilbert de Poitiers et ses contemporains: aux origines de la logica modernorum: actes du septième Symposium européen d'histoire de la logique et de la sémantique médiévales, Centre d'études supérieures de civilisation médiévale de Poitiers, 17-22 Juin 1985, Bibliopolis, Napoli 1987, pp. 147-171: 150, n. 3: «Il va de soi que dans
l’expression ‘esse aliquid in eo quod est’ la clausule in eo quod est ne peut guère signifier “dans ce qui est”, puisqu’en ce
cas-là cette formule devrait être associée à l’être accidentel, tandis que Boèce […] souligne nettement que c’est
précisément la “substance” d’une chose qui est désignée, quand on emploie cette formule».
153Cf. Boethius, De hebdomadibus, ed. Moreschini, p. 188, ll. 35-36: «Diversum tantum esse aliquid et esse aliquid in eo
quod est; illic enim accidens hic substantia significatur».
154Cf. L. M. De Rijk, Boèce logicien et philosophe: ses positions sémantiques et sa métaphysique de l’être, in L. Orbetello
(ed.), Atti del congresso internazionale di studi boeziani (Pavia, 5-8 ottobre 1980), Editrice Herder, Roma 1981, pp. 141- 156: 152. Questo è il testo integrale delle nove regole, cf. Boethius, De hebdomadibus, ed. Moreschini, pp. 187-188, ll. 17-46: «I. Communis animi conceptio est enuntiatio quam quisque probat auditam. Harum duplex modus est. Nam una
ita communis est, ut omnium sit hominum, veluti si hanc proponas, “Si duobus aequalibus aequalia auferas, quae relinquuntur aequalia esse”, nullus id intellegens negat. Alia vero est doctorum tantum, quae tamen ex talibus communis animi conceptionibus venit, ut est: “Quae incorporalia sunt, in loco non esse”, et cetera; quae non vulgus sed docti
comprobant. II. Diversum est esse et id quod est; ipsum vero esse nondum est, at vero quod est, accepta essendi forma, est atque consistit. III. Quod est participare aliquo potest, sed ipsum esse nullo modo aliquo participat. Fit enim participatio cum aliquid iam est; est autem aliquid, cum esse susceperit. IV. Id quod est habere aliquid praeterquam quod ipsum est potest; ipsum vero esse nihil aliud praeter se habet admixtum. V. Diversum tantum esse aliquid et esse aliquid in eo quod est; illic enim accidens hic substantia significatur. VI. Omne quod participat, eo quod est esse, ut sit; alio vero participat ut aliquid sit. Ac per hoc id quod est participat eo quod est esse, ut sit; est vero, ut participet alio quolibet. VII. Omne simplex esse suum et id quod est unum habet. VIII. Omni composito aliud est esse, aliud ipsum est. IX. Omnis diversitas discors, similitudo vero appetenda est; et quod appetit aliud, tale ipsum esse naturaliter ostenditur quale est illud hoc ipsum quod appetit».
Penetrare correttamente la famosa formulazione del secondo assioma ha costituito una complessa sfida sia per gli interpreti medioevali che per gli interpreti moderni: come è stato detto, essa ha rappresentato una vera e propria «crux» anche per i più recenti commentatori del testo boeziano155. Claudio Moreschini ha cercato di fare la storia dei tentativi di interpretazione forniti negli ultimi decenni, dei quali ne riporteremo qui solo alcuni156.
Pierre Duhem ha avvicinato la distinzione boeziana a quella formulata da Temistio tra una certa acqua concreta e la natura specifica dell’acqua: l’esse corrisponderebbe da questo punto di vista alla natura specifica dell’acqua, ovvero all’essenza della cosa, consistente nella sua forma, mentre l’id quod est indicherebbe “una certa acqua concreta”, ovvero l’istanziazione di questa essenza negli individui determinati realmente esistenti157.
Una delle interpretazioni più celebri è poi quella che vede sulla stessa posizione Luca Orbetello158e Pierre Hadot159, che ha peraltro sottolineato l’ascendenza neoplatonica dell’espressione ‘forma essendi’160, i quali tendono a considerare l’esse come l’essere in senso assoluto, nella sua universalità ed indeterminazione, mentre id quod est significherebbe ‘ciò che esiste’, l’essere concreto. Secondo questa prospettiva, l’essere in sé «non esiste ancora» (nondum est) poiché nella propria assolutezza non possiede nessuna forma particolare, è puro essere senza determinazioni aggiunte. Ciò che esiste, può esistere solo in quanto una forma particolare, come la forma di quest’uomo o di questa pietra, viene ad aggiungersi all’essere, determinandolo: ‘ciò che è’ consiste, in altri termini, di essere e forma. L’essere determinato ricevuto dalle cose non coincide con l’essere assoluto (ipsum esse), che ha in definitiva le caratteristiche di un Essere trascendente, identificabile con la seconda ipostasi dell’Uno delle filosofie neoplatoniche, da distinguersi dunque nettamente rispetto all’ente
155Cf. C. Moreschini, A Christian in Toga. Boethius: Interpreter of antiquity and Christian Theologian, Vandenhoeck &
Ruprecht, Göttingen 2014, p. 74: «The axiom is famous and has proven to be the crux for interpreters».
156 Cf. C. Moreschini, A Christian in Toga, pp. 74-76. Per un’altra interessante ricognizione delle interpretazioni
dell’assioma, più datata e centrata sul confronto con l’interpretazione di Tommaso d’Aquino, cf. R. McInerny, Boethius
and Aquinas, The Catholic University of America Press, Washington D.C. 2012 [1990], pp. 161-198.
157Cf. P. Duhem, Le système du monde, V, Hermann, Paris 1958, pp. 288-289: «Or quelle est cette distinction entre le id
quod est et l’esse? Le lecture du traité De Trinitate nous montre qu’elle est identique à celle que Thémistius avait établie entre une certaine eau concrète (ὓδωρ) et la nature spécifique de l’eau (τò ὓδατι εἶναι). Pour Boëce, cette eau concrète,
c’est le id quod est; la nature spécifique de l’eau, l’essence aqueuse, c’est l’esse que les Grecs nomment οὐσία et Saint
Augustin essentia. […] L’essence (esse), qui est la forme, ne se confond pas avec la chose concrète et réellement existante (id quod est). Partant, si nous voulons traduir esse par essence, nous devons dire que Boëce, à l’imitation de Thémistius,
identifie l’essence et la forme».
158Cf. L. Orbetello, Severino Boezio, Accademia ligure di scienze e lettere, Genova 1974, pp. 644-656.
159Cf. soprattutto P. Hadot, La distinction de l’Étre et de l’étant dans le De hebdomadibus de Boèce, in P. Wilpert - W.
P. Eckert (eds.), Die Metaphysik im Mittelalter: ihr Ursprung und ihre Bedeutung. Vorträge des II. Internationalen Kongresses für mittelalterliche Philosophie, Köln 31. August bis 6. September 1961, De Gruyter, Berlin 1963, pp. 147- 153.
160Cf. P. Hadot, Forma essendi. Interprétation philologique et interprétation philosophique d’une formule de Boèce, «Les
determinato (id quod est). Secondo Hadot, infatti, Boezio riproporrebbe proprio in questo luogo la distinzione porfiriana tra essere (εἶναι) ed ente (ὄν)161.
Anche Henry Chadwick vede un forte influsso neoplatonico nella formulazione boeziana, anche se propende per considerare la distinzione tra esse e id quod est come «antitesi di astratto e reale162», opposizione tra l’essere (esse) come concetto astratto e l’esistenza concreta (id quod est)163.
De Rijk, invece, nella sua puntuale analisi di questo passaggio, giunge ad affermare che la distinzione tra esse e id quod est «concerne la differenza ontologica tra l’elemento costitutivo, o la forma, di ogni ente composto, da una parte, e la cosa stessa, ovvero il tutto determinato da questa forma, dall’altra»164. Il problema decisivo nell’interpretazione dell’assioma risiede, a suo avviso, nella domanda a proposito di come debba essere considerata la forma essendi: ciò che è (id quod est) deve il suo essere ad una Forma Trascendente o ad una forma immanente, identificabile con l’eidos aristotelico165? Secondo De Rijk, la forma essendi non è meramente riducibile alla forma sostanziale aristotelicamente intesa, piuttosto, ed in base agli elementi neoplatonici presenti nel pensiero boeziano, l’essere della cosa (‘ipsum esse’, scritto in minuscolo) è essenzialmente derivato, grazie ad una relazione di partecipazione, dall’Essere divino (‘IPSUM ESSE’, scritto in maiuscolo). L’espressione ipsum esse viene effettivamente utilizzata in alcuni casi da Boezio per indicare l’Essere divino, come quando afferma, sempre nel De hebdomadibus:
[…] quella cosa sarebbe lo stesso bene primo e lo stesso essere [ipsum esse] e lo stesso bene e lo stesso
essere buono166.
In tali contesti, ipsum esse ha il significato di Essere divino (IPSUM ESSE) e non di forma d’essere immanente (ipsum esse), riferita alle cose sensibili167. La distinzione tra questi due sensi di ipsum
161Cf. P. Hadot, Porfirio e Vittorino, Vita e Pensiero, Milano 1993, p. 434: «Ritroviamo quindi in Boezio l’opposizione
porfiriana tra l’essere e l’ente. Essa ispira tutta la sua soluzione» [P. Hadot, Porphyre et Victorinus, 2 voll., Études
augustiniennes, Paris 1968].
162H. Chadwick, Boezio: la consolazione della musica, della logica, della teologia e della filosofia, Il Mulino, Bologna
1986, p. 265 [H. Chadwick, Boethius: The Consolations of Music, Logic, Theology, and Philosophy, Clarendon Press, Oxford 1981].
163Cf. Chadwick, Boezio, p. 267: «L’essere in sé, come concetto astratto, precede l’esistenza. L’esistenza (quod est) è ed
esiste appena riceve la forma dell’essere, forma essendi» .
164De Rijk, Boèce logicien et philosophe, p. 141: «Cette formule, qui est valable pour tout être composé, concerne la
différence ontologique entre l’élément constitutif, ou la forme, de tout être composé d’un côté, et la chose elle-même, ou
le tout établi par cette forme, de l’autre».
165Cf. De Rijk, Boèce logicien et philosophe, p. 142: «[…] la forma essendi, à laquelle la chose (id quod est) doit son
être, est-elle une Forme Transcendante ou bien une forme immanente, qui pourrait être identifiée à l’eidos aristotélicien?».
166Boethius, De hebdomadibus, ed. Moreschini, p. 187, ll. 139-140: «[…] illud ipsum bonum primum [est] et ipsum esse
sit et ipsum bonum et ipsum esse bonum».
167Cf. De Rijk, Boèce logicien et philosophe, p. 154: «Ainsi l’ipsum esse des choses n’est que la forme d’ être (forma
esse va evidenziata, ma non va tuttavia intesa come una assoluta separazione; piuttosto, «le forme d’essere immanenti alle cose sensibili hanno uno statuto ontologico che è di molto superiore a quello della forma aristotelica»168, proprio perché partecipano dell’Essere Perfetto, Dio, e grazie a questa partecipazione sono e sono buone. In ciò appare l’influenza di una metafisica dell’Essere trascendente tipicamente platonica, che integra l’aristotelismo boeziano.
L’interpretazione oggi generalmente ritenuta come la più plausibile, tuttavia, è quella fornita da John Marenbon, il quale tende a considerare l’esse come forma immanente che fa essere in un determinato modo la cosa realmente esistente, ovvero l’id quod est. Con id quod est, dunque, Boezio indicherebbe semplicemente il singolare concreto, come ‘questa pietra’ o ‘Socrate’. L’essere stesso in sé non esiste, poiché può esistere solo nelle cose esistenti, che a loro volta possono esistere e mantenersi nell’esistenza solo in quanto sono informate dall’esse, che le rende ciò che sono dando loro la forma essendi. Ogni riferimento metafisico ad un Essere trascendente e a Dio come significato essenziale del termine esse è da Marenbon eliminato, mentre viene sottolineato il motivo di un’analisi immanente della struttura ontica della cosa concreta169.
Interpretazioni medioevali:
Al pari della variegata discussione contemporanea, anche la tradizione medioevale di commento al De hebdomadibus e, in particolare, a proposito della distinzione tra esse e id quod est, presenta opinioni spesso discordi, ma assume una grande importanza, specie per ciò che concerne il dibattito che verrà ad originarsi a proposito della inedita questione (non presente, nei termini in cui sarà trattata a partire dal secolo XIII, nell’opera di Boezio) della distinzione tra essenza ed esistenza.
Nel panorama filosofico dell’Occidente latino, specialmente fino alla fine del XII secolo, ovvero prima dell’ingresso della Metafisica aristotelica, il De hebdomadibus rappresentò per un lungo periodo di tempo un punto di riferimento imprescindibile per l’elaborazione dottrinale in materia di
168De Rijk, Boèce logicien et philosophe, p. 154: «Les formes d’ être immanentes aux choses sensibles ont un statut
ontologique qui est bien supérieur à celui de la forme aristotélicienne».
169Cf. J. Marenbon, Boethius, Oxford University Press, New York 2003, p. 89: «What does Boethius mean here by esse
and id quod est? On the most plausible interpretation, esse here means the immanent form that makes a thing the sort of
thing it is. […] By id quod est, Boethius means the concrete whole (for instance, Socrates). Immanent forms exist only in
the concrete wholes they inform - hence the comment ‘esse itself is not yet’; and the phrase ‘having taken the form of
filosofia speculativa, tanto da essere stata considerata dagli storici una sorta di “metafisica prima della Metafisica” per l’epoca altomedioevale170.
Il vasto interesse suscitato in questi secoli dal testo del De hebdomadibus è testimoniato dalla notevole quantità di commenti prodotti, a partire da quello di Remigio di Auxerre (secolo IX) fino a giungere alle interpretazioni elaborate nel secolo XII, nell’ambito della cosiddetta Scuola di Chartres, ad opera di Teodorico di Chartres e del suo allievo Clarembaldo di Arras171. Inoltre, è proprio in questo secolo XII, così profondamente segnato nella cultura filosofica dall’influenza di Boezio da essere stato definito da Marie-Dominique Chenu aetas boetiana172, che viene prodotto il commento senza dubbio più significativo, più celebre e più influente, anche per i secoli successivi: quello di Gilberto Porretano.