Statuto delle essenze creaturali: la collatio
1.2 La ricezione medioevale della dottrina boeziana della distinzione tra ‘esse’ e ‘id quod est’:
1.2.2 L’interpretazione di Gilberto Porretano
In particolare, risulta estremamente originale ed innovativa l’interpretazione che Gilberto fornisce del secondo assioma. Secondo il Porretano, la distinzione tra esse e id quo est può essere intesa in due modi: o in senso teologico, o in senso filosofico. I due termini ‘esse’ (corrispondente all’esse boeziano) ed ‘esse aliquid’ (qui corrispondente all’id quod est boeziano) possono infatti essere «detti in molti modi» (multipliciter dicuntur)173, in base alle differenti impostazioni interpretative dominanti «nelle diverse discipline» (in diversis facultatibus)174, ovvero in Teologia ed in Filosofia.
170Cf. P. Porro, Introduzione, in Tommaso d’Aquino, Commenti a Boezio, ed. P. Porro, Bompiani, Milano 2007, p. 5:
«l’ambito della filosofia speculativa - per un lungo arco di tempo che va dall’età carolingia alla fine del XII secolo - è
stato definito principalmente, nel suo aspetto problematico e lessicale, da due dei cinque opuscoli teologici attribuiti a Boezio: il De Trinitate e il De ebdomadibus (secondo i titoli più consueti del Medioevo)». Cf. anche A. Speer, The hidden heritage: boethian metaphysics and its medieval tradition, «Quaestio», 5 (2005), pp. 163-182.
171Per una approfondita analisi dei commenti di Remigio d’Auxerre, Teodorico di Chartres e Claembaldo di Arras, cf. G.
Schrimpf, Die Axiomenschrift des Boethius (De Hebdomadibus) als philosophisches Lehrbuch des Mittelalters, 2 voll., Brill, Leiden 1966, II, pp. 37-138. Per una storia dei commenti medioevali al De hebdomadibus, cf. anche M. Gibson, The Opuscola sacra in the Middle Ages, in M. Gibson (ed.), Boethius: his life, thought and influence, Blackwell, Oxford 1981, pp. 214-234; C. Erismann, Medieval fortunes of the Opuscola Sacra, in J. Marenbon (ed.), Cambridge Companion to Boethius, Cambridge University Press, Cambridge 2009, pp. 155-177.
172Cf. M.-D. Chenu, La teologia nel XII secolo, Jaca Book, Milano 1999, p. 161: «Il XII secolo è stato definito aetas
ovidiana: non meno giustamente lo possiamo qualificare, per la sua mentalità filosofica, aetas boetiana» [M.-D. Chenu, La théologie au XIIe siècle, Vrin, Paris 1957].
173Gilbertus Porretanus, Expositio in Boecii librum de bonorum ebdomade, ed. N. M. Häring, in The commentaries on
Boethius by Gilbert of Poitiers, ed. N. M. Häring, PIMS, Toronto 1966 (Studies and Texts, XIII), p. 193, ll. 52-53.
Secondo l’interpretazione teologica, l’esse coincide con la stessa essenza divina, che è ciò che predichiamo di Dio quando diciamo che “Dio è”175. L’esse è qui Essere divino e trascendente, in base a quel significato qualificato, effettivamente rintracciabile in alcuni passi del De hebdomadibus, che avevamo indicato, utilizzando la tassonomia introdotta da De Rijk, come IPSUM ESSE176. L’IPSUM ESSE è principio e causa dell’esse delle cose, ovvero del loro essere in senso assoluto, mentre l’essere determinato (esse aliquid), come l’essere questa pietra particolare o Socrate, deriva loro da un principio formale intrinseco, che potremmo rendere con il termine ‘essenza’. Utilizzando il nostro esempio, si potrebbe dire che l’essere determinato deriva a Socrate dalla Socrateità, mentre lo stesso fatto di essere in senso assoluto, non in quanto questa determinata creatura, gli deriva dall’IPSUM ESSE. Le creature, come aveva già sostenuto Boezio, non sono né sono buone in forza di un principio interno (substantialiter), ma solo grazie al rapporto di partecipazione che intrattengono con l’IPSUM ESSE. Per esprimere questo rapporto, i ‘teologi’ usano un termine tratto dalla grammatica, quello di ‘denominazione estrinseca’:
Quando infatti diciamo “un corpo è” o “un uomo è” o cose simili, i teologi intendono che questo essere
è predicato secondo una certa denominazione estrinseca [quadam extrinseca denominatione] fatta a
partire dall’essenza del suo principio. Non dicono infatti che un corpo è per la corporeità, ma che è
qualcosa, né che l’uomo è per l’umanità, ma che è qualcosa. Similmente, predicano non l’essere
qualcosa, ma l’essere, del principio di una qualsiasi essenza sussistente177.
Prisciano, nelle sue Institutiones, aveva definito la denominatio come l’attribuzione di un nome ad una cosa a partire da un’altra cosa in base ad una relazione sussistente tra queste due cose178. Per analogia, i ‘teologi’ affermano che il significato del verbo ‘essere’ in espressioni come “l’uomo è” o “il corpo è” è derivato denominativamente dal significato principale di ‘essere’, che è quello espresso nella proposizione “Dio è”. In senso proprio, l’essere si predica solo di Dio, mentre delle cose create, come degli uomini o dei corpi, si predica solo in senso denominativo. In base alla partecipazione rispetto all’Essere divino (IPSUM ESSE) un uomo o un corpo ‘sono’, mentre in base a quella che possiamo chiamare la loro essenza, ovvero in base all’umanità (humanitas) o alla corporeità
175Cf. Gilbertus Porretanus, Expositio in Boecii librum de bonorum ebdomade, ed. Häring, p. 193, ll. 54-55: «Nam in
theologica, diuina essentia - quam de Deo predicamus cum dicimus “Deus est” - omnium creatorum dicitur esse».
176Cf. supra, pp. 48-49.
177Gilbertus Porretanus, Expositio in Boecii librum de bonorum ebdomade, ed. Häring, p. 193, ll. 55-60: «Cum enim
dicimus “corpus est” uel “homo est” uel huiusmodi, theologici hoc esse dictum intelligunt quadam extrinseca
denominatione ab essentia sui principii. Non enim dicunt corporalitate corpus esse sed esse aliquid: nec humanitate hominem esse sed esse aliquid. Et similiter unumquodque subsistens essentia sui principii predicant non esse aliquid sed esse».
178Cf. Priscianus, Institutiones grammaticarum libri I-XII, IV («De denominativis»), ed. M. Hertz, Teubner, Lipsia 1855
(corporeitas), essi ‘sono qualcosa’. L’interpretazione teologica, in definitiva, non tematizza la questione della struttura ontica degli individui concretamente esistenti, bensì mostra in che modo l’esse creaturale sia derivato dall’IPSUM ESSE divino, ed in che modo, pur partecipando rispetto ad esso, le creature, a causa di un principio essenziale loro interno, siano enti determinati e non l’Essere assoluto.
I ‘filosofi’, invece, interpretano differentemente la distinzione esse / esse aliquid. Essi, innanzitutto, pongono come oggetto esclusivo della propria ricerca la creatura, non considerando affatto la questione dell’origine ultima dell’essere creaturale179. All’interno della posizione filosofica, possono essere individuate due opinioni.
Alcuni non vedono alcuna differenza tra l’essere e l’essere qualcosa180. Il testo non fornisce ulteriori chiarimenti a riguardo di questa prospettiva, che evidentemente non è vista con favore dal Porretano. Altri, al contrario, accettano la distinzione e la applicano solo alle creature, che vengono perciò considerate come enti composti da esse e id quod est, facendo leva in particolare sulla regola VIII: «In ogni composto è diverso l’essere e ciò che è181». Dal punto di vista di questi filosofi, esse indica la caratteristica essenziale che rende la cosa ciò che è, ovvero la stessa essenza espressa nella definizione, mentre id quod est è la cosa in quanto dotata anche di caratteristiche accidentali, è la creatura nella totalità delle sue determinazioni, sia nella sua identità essenziale, sia in quanto dotata di proprietà e caratteristiche accidentali, in quanto, ad esempio, ad essa accade di essere in questo momento in un determinato punto dello spazio, o di assumere un certo colore182.
Diverso è l’essere, ovvero la sussistenza che è nel sussistente, e ciò che è, ovvero il sussistente in cui è la sussistenza, come la corporalità ed il corpo, l’umanità e l’uomo183.
Per esprimere l’esse in quanto distinto dall’id quod est Gilberto introduce inoltre una innovativa formulazione, che avrà notevole successo. Poiché con ‘essere’ (esse) si indica ciò attraverso cui la cosa è, in alcuni passaggi del Commento al De Trinitate ‘esse’ viene sostituito dalla perifrasi ‘quo
179Cf. Gilbertus Porretanus, Expositio in Boecii librum de bonorum ebdomade, ed. Häring, p. 193, ll. 66-67: «Illorum
uero philosophorum, quibus sue facultatis genera sunt sola illa que ex principio esse ceperunt».
180Cf. Gilbertus Porretanus, Expositio in Boecii librum de bonorum ebdomade, ed. Häring, p. 193, ll. 67-69: «alii […]
eodem quod dicunt esse dicunt etiam esse aliquid».
181Boethius, De hebdomadibus, ed. Moreschini, p. 188, l. 43: «Omni composito aliud est esse, aliud ipsum est». 182Cf. B. Maioli, Gilberto Porretano. Dalla grammatica speculativa alla metafisica del concreto, Bulzoni, Roma 1979,
p. 194: «esse è il principio sostanziale per cui il sussistente è ed è quello che è; esse aliquid designa il sussistente in quanto determinato dalle proprietà accidentali che conseguono o sono connesse alla propria sussistenza».
183Gilbertus Porretanus, Expositio in Boecii librum de bonorum ebdomade, ed. Häring, p. 194, ll. 90-92: «“Diversum est
esse”, i.e. subsistentia, que est in subsistente, “et id quod est”, i.e. subsistens in quo est subsistentia: ut corporalitas et
est’, esplicitamente utilizzata per indicare ciò che va distinto, boezianamente, dal ‘quod est’184. Non di rado, come accade anche nelle Collationes oxonienses185, pensatori di secoli successivi sceglieranno di riferirsi alla distinzione presente nel secondo assioma come distinzione tra quo est e quod est, richiamandosi implicitamente all’insegnamento del Porretano.