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Differenza con la razionalità assoluta

1.2 Le innovazioni di Simon

2.1.4 Differenza con la razionalità assoluta

La razionalità intesa come ottimalità. Lo scopo della teoria (empirica) della scelta razionale è quello di spiegare il

comportamento sia singole azioni che sequenze di azioni. Affinché l'azione possa essere definita razionale, devono essere soddisfatte tre condizioni di ottimalità. In primo luogo, l'azione in questione deve rappresentare il mezzo migliore per realizzare i desideri del soggetto, date le sue credenze. Tale condizione implica che i desideri abbiano il requisito della coerenza o transitività. In secondo luogo, le credenze devono essere esse stesse razionali, ossia devono essere

derivate dalle informazioni disponibili attraverso regole di inferenze ottimali. In terzo luogo, il soggetto deve investire una quantità ottimale di risorse (tempo, energia,

denaro, ecc.) per raccogliere le informazioni pertinenti.

L'investimento ottimale è determinato dai desideri del soggetto (perché le decisioni che sono ritenute più importanti richiedono maggiori investimenti) e dalle precedenti credenze

relative ai costi e ai benefici che comporterebbe la raccolta di ulteriori informazioni. Simon prende le mosse dalla considerazione che l’agente neo-classico, nella trattazione

micro di ispirazione ipotetico-deduttiva, si muova sostanzialmente su un orizzonte di preferenze assegnate, senza problemi di ricerca delle informazioni in termini di tempo e

costo, in uno scenario del quale conosce gli stati del mondo. In queste condizioni egli conosce altresì le conseguenze delle singole alternative e sa

calcolare perfettamente il meccanismo che lo conduce all’alternativa ottima. E’ stato adeguatamente evidenziato come questo combinato di ipotesi, oltre che assumere una veste a-prioristica, rappresenti un “paradigma” della scelta razionale piuttosto che un “modello” (Hogart e Reder, 1986). I due cardini sui quali poggia il paradigma della “razionalità economica” possono essere individuati nella perfetta conoscibilità del mondo (tramite accesso ai suoi stati) e nella illimitata capacità computazionale dei suoi agenti (Provasi, 1995). Il carattere oggettivo del quadro analitico a razionalità assoluta, resta dunque estraneo agli aspetti di

strutturazione problematica e di generazione delle alternative che interpretano il significato procedurale del decision making rispetto al modello di realtà del decisore (Codara, 1998) e

che inquadrano la decisione come un ‘processo’ di costruzione mentale (Viale, 1992). Il decisore massimizzante, più che agire, reagisce, senza svolgere alcuna attività di

elaborazione delle informazioni, di “diagnosi” dell’ambito di scelta, o di richiamo degli eventi e di rappresentazione. Il ruolo di quella che potremmo definire ‘architettura cognitiva’, appare marginale, se non

assente, data la connotazione quasi comportamentista del registro dell’agente. A questo framework, che connota il cosiddetto homo œconomicus, si aggancia poi la

letteratura sulle decisioni in condizioni di incertezza, che estende la forma ‘pura’ della razionalità assoluta (o “olimpica”, come ebbe a definirla polemicamente Simon), al concetto probabilistico di occorrenza dell’evento, cui l’agente assegna un’utilità attesa in

modo da sfruttare il criterio di massimizzazione. Ciò avviene attraverso una sorta di “misura del grado di credenza” (Resnik, 1987) grazie

alla quale i decisori giungono ad una misurazione di ogni stato del mondo, ossia dei possibili esiti delle situazioni incerte, moltiplicandoli poi per l’utilità loro assegnata, e scegliendo l’opzione col valore più elevato. Per giungere a questa formulazione, vengono introdotti nuovi postulati sulle stime per le varie conseguenze. In dettaglio essi sono la validità dell’usuale ordinamento di preferenza su qualsiasi

prospetto (lotteria), la preferenza crescente rispetto alla probabilità, la continuità secondo l’indice di utilità di Von Neumann e Morgenstern, l’indipendenza forte e la validità dei

principi di combinazione tra probabilità (Hargreaves Heap, 1981). Il terreno sul quale si muove questa estensione del paradigma a razionalità assoluta resta

quello “normativo” che, pur in condizioni di incertezza parametrica, rappresenta il comportamento di un decisore ideale.

L’impianto simoniano parte proprio dal tentativo di offrire una formulazione più realistica dei processi decisionali e si affida da un lato ai contributi seminali di James, contenuti in The Principles of Psychology, dall’altro alle intuizioni di Barnard espresse in The

Functions of The Executive. Si può evidenziare come dal primo di essi, Simon derivi l’idea d’incompletezza e

frammentarietà dei processi conoscitivi umani soprattutto in relazione alla capacità di anticipazione degli esiti dei propri comportamenti, nonché il concetto di attività selettiva

Tutti questi temi confluiranno poi nella traccia cognitiva che segnerà l’ambito di lavoro della Razionalità Limitata lungo l’intera attività simoniana. Dalla seconda opera viene invece recuperato l’esame del rapporto tra fattore limitante e

fattore strategico, modificato rispetto all’accezione originaria à la Commons. In particolare esso è centrato sulla necessità da parte del decisore di concentrarsi,

all’interno di un processo di scelta, sull’azione critica (fattore strategico) capace di

intervenire sul fattore limitante. Tale fattore rappresenta, nel quadro di un sistema di condizioni ad un determinato stato, quell’elemento che, se fosse modificato o mancante, consentirebbe il raggiungimento del

fine in questione, fermo restando lo stato delle altre componenti (Barnard, 1938). Questi due aspetti, che confluiscono nella versione originaria della Razionalità Limitata

all’interno degli studi amministrativi (Simon, 1947), sono stati richiamati per evidenziare la visione “a forbice” del processo decisionale, che vede il comportamento razionale umano costretto tra due lame: le capacità cognitivo-computazionali dell’attore e la struttura

dell’ambiente specifico, o task environment (Simon, 1990). Il succo della tesi originaria della Razionalità Limitata è che l’agente reale abbia

limitazioni nella fase di percezione (percezione selettiva), di memorizzazione, di

rappresentazione delle alternative e di strutturazione problematica. In senso procedurale egli non può formulare tutte le alternative possibili e confrontarle, da

un lato per le caratteristiche della propria architettura cognitiva, dall’altro perché l’ambito

di scelta che fronteggia è contraddistinto da elementi di scarsità informativa e temporale. La razionalità dell’agente non può quindi essere assoluta, ma limitata (bounded).

La mente del decisore non è più una sorta di black box, ma diviene contemporaneamente

punto di partenza e punto di approdo dell’indagine sul comportamento degli agenti. La portata del concetto di Razionalità Limitata sulla cognitive revolution è tuttora dibattuta

infatti alcune posizioni epistemologiche sostengono come in realtà sarebbe preferibile l’uso del termine intelligent rispetto a quello bounded, che invece presupporrebbe l’esistenza di una unbounded rationality sul modello di quella neo-classica, infatti: “By rationality we mean a mental process based on reason. By an ‘intelligent’ reasoning process we mean one that is feasible and effective given the nature and circumnstances of the type of reasoner

who is to be supposed to do it.” (Marris, 1992). L’aspetto che si rivela centrale in questa fase e che poi accompagna gran parte della

letteratura simoniana è proprio quello riguardante le capacità degli agenti rispetto alla “complessità” dell’ambiente. Se infatti da una lato l’introduzione della Razionalità Limitata contribuisce a far luce sull’a-priorismo degli assunti e dei postulati della razionalità assoluta, tramite la constatata limitazione nell’attività computazionale, d’altro canto lo studio del comportamento umano si accompagna alla possibilità di esplorare l’ampiezza nel produrre nuove rappresentazioni simboliche della situazione. In breve, ad una limitata capacità computazionale si

accompagna una più estesa varietà di manipolazione simbolica. Se infatti nell’impianto a razionalità assoluta le alternative sono di fatto “date”, in quello a

Razionalità Limitata devono essere in qualche modo “inventate” dall’agente, in un

processo generativo dei corsi d’azione possibili (Simon, 1956). Questo procedimento di costruzione, per ovviare ai condizionamenti temporali e

computazionali, nonché alle complicazioni inferenziali, è di tipo euristico. L’attribuzione originale data da Simon al significato di ‘euristica’ è piuttosto estensiva ma adeguata, ossia una sorta di rule of thumb (regola del pollice), con la quale gli agenti procedono per passi successivi. Secondo l’approccio della Scuola euristica alla Razionalità Limitata, la sua connotazione non è riconducibile all’uso che ne fa la psicologia cognitiva per spiegare le deviazioni da parte del giudizio umano dalla normatività statistica, come accade nel noto programma

‘heuristic and biases’ (Tversky e Kahneman, 1973). Essa consiste più semplicemente in un procedimento abbreviato, con determinati caratteri

di rapidità e frugalità (Gigerenzer, 1997) coi quali gli agenti giungono alla presa di decisione.

In sintesi potremmo così descriverle:

Il paradigma della razionalità assoluta prevede:

1) capacità infinita dell’uomo di raccogliere informazioni su tutte le opzioni possibili; 2) capacità di elaborare tutte le informazioni istantaneamente, indipendentemente dal

numero di queste;

3) capacità di valutare tutte le opzioni e trovare le scelte più idonee per realizzare la soluzione ottimale al problema che si deve affrontare.

Il paradigma della razionalità limitata (H.Simon) afferma che:

1) la nostra capacità di raccogliere ed elaborare informazioni è limitata;

2) non disponiamo mai (in senso assoluto e contemporaneamente) di tutte le opzioni di scelta;

3) non siamo in grado di valutare e prevedere tutte le conseguenze connesse a ogni opzione.