IDEA DI RICHARD H.THALER E RIFERIMENTI STORICI 3.1 Nuovo modo di vedere
3.1.1 Mental accounting
La contabilità mentale (mental accounting) è un fenomeno utile per comprendere meglio le decisioni di investimento, poiché riguarda il modo in cui le persone rappresentano e
analizzano le loro scelte economiche in termini di profitti e perdite.
Nel contesto dell'economia comportamentale, il mental accounting è una teoria sviluppata, come abbiamo sopra accennato, dall'economista statunitense Richard Thaler, che ipotizza che le scelte economiche delle persone siano mediate da un vero e proprio sistema di contabilità mentale, che non è neutrale e produce comportamenti non del tutto coerenti col modello microeconomico neoclassico standard, basato sulla perfetta razionalità degli agenti.
Si costruiscono infatti una serie di conti mentali, nei quali tendono a suddividere il denaro, creando differenti budget per le spese e suddividendo in categorie la ricchezza e il reddito. Shefrin e Thaler (1992) affermano che spesso gli individui possono utilizzare un solo conto mentale generale, il quale comprende tutte le operazioni compiute in un certo periodo di tempo; si tratta quindi di conti mentali integrati, che rappresentano la differenza tra ciò che i soggetti hanno guadagnato e ciò che hanno perso.
In altre situazioni gli investitori ricorrono invece a conti mentali separati, valutando così le strategie per ridurre le perdite in modo indipendente da quelle per incrementare i profitti. Si tratta di un tentativo di affiancare ai metodi e ai risultati della scienza economica alcune intuizioni psicologiche , per cercare di arricchire il valore descrittivo dei modelli
economici ("misurato" con metodi sperimentali).
Il fondamento della teoria è la funzione del valore descritta da Daniel Kahneman e Amos Tversky (1979) nel loro lavoro sulla teoria dei prospetti nell'ambito della psicologia cognitiva e della teoria della decisione.
Kahneman e Tversky introducono i concetti fondamentali di framing, ovvero dipendenza dell'utilità dal contesto di riferimento, e loss aversion, per cui una perdita produce una diminuzione di utilità superiore, in valore assoluto, all'aumento di utilità generato da un guadagno di pari entità. Una ricerca di Olsen (1997) ha evidenziato che la percezione del rischio in campo
ingente; la probabilità di realizzare un rendimento inferiore agli obiettivi; l’abilità di gestire
le perdite; il livello di consapevolezza finanziaria dell’investitore. Grazie a queste classificazioni Thaler ha affermato che la differenza nella percezione del
rischio degli investimenti tra i soggetti economici sembra dipendere in particolar modo da quanto essi si sentono capaci di gestire psicologicamente le eventuali perdite. Se una decisione produce effetti negativi, le persone provano un forte sentimento di irritazione e di rammarico per non avere optato in precedenza per una scelta alternativa.
Sulla base dell'ipotesi del mental accounting, Thaler (1980) trova una possibile spiegazione a due interessanti anomalie, ovvero comportamenti frequentemente riscontrati ma non spiegati dalla teoria economica.
La prima è nota come endowment effect (o "effetto dotazione"), e consiste nella
discrepanza, osservata sperimentalmente anche da Kahneman, Knetsch e Thaler (1990), tra la valutazione che si dà ad un bene nel caso in cui lo si possieda e la valutazione che si dà dello stesso bene nel caso in cui non lo si possieda. In particolare, i ricercatori hanno notato che si tende a valutare di più un bene che già si possiede, ovvero che fa parte della nostra dotazione: ciò risulta in un'attività dei mercati ridotta. Thaler ha condotto una serie di esperimenti per misurare la grandezza dell'effetto
dotazione. In uno dei più famosi, ha diviso la sua classe di studenti in due gruppi: venditori e
compratori. Il gruppo dei venditori aveva a disposizione delle tazze da caffè con il logo dell’università. Il gruppo dei compratori, invece, non aveva alcuna tazza a disposizione. Agli studenti venditori è stato chiesto di esprimere a quale prezzo da 0,25 a 9,25 dollari sarebbero stati disposti a vendere la loro tazza da caffè. Al contrario, ai compratori è stato
chiesto di indicare a quale prezzo sarebbero stati disposti a comprare la tazza. Secondo la teoria economica classica, domanda e offerta si incontrano in un unico punto di
equilibrio. Ma Thaler ci dimostra che molto spesso le cose non stanno così.
Il prezzo medio al quale gli studenti venditori erano disposti a vendere le loro tazze era pari a 4,50 dollari. Mentre, il prezzo medio espresso dai compratori era pari a 2,25 dollari. Una differenza pari al doppio. L’esperimento è stato ripetuto più volte, ma ogni tentativo ha mostrato risultati analoghi.
Il solo fatto di essere proprietari di un oggetto sembra, dunque, essere sufficiente a determinare una valutazione pari al doppio rispetto a chi non lo possiede.
L’effetto di dotazione spiega, quindi, perché attribuiamo un maggior peso alle perdite rispetto ad un guadagno dello stesso ammontare. Un bias che influisce negativamente sulle nostre decisioni di risparmio, piccole o grandi che siano. Questa anomalia è causata dall'incapacità delle persone di considerare il costo opportunità del bene che si possiede (che consiste al denaro cui si rinuncia non vendendolo) allo stesso modo dei costi vivi che occorre affrontare per acquistare un bene che non si possiede,
contrariamente alla prescrizione della teoria economica. La spiegazione di questo fenomeno basata sul mental accounting vuole che le persone
interpretino i costi opportunità come mancati guadagni e i costi vivi come perdite: il principio euristico dell'avversione alle perdite ( loss aversion) darebbe quindi luogo all'effetto dotazione. L'altra rilevante anomalia è nota come sunk cost effect o effetto costi sommersi. Anche in questo caso è violata un'ipotesi della teoria economica normativa standard: essa vorrebbe che i costi relativi a scelte già compiute e irreversibili (detti costi affondati), non
influenzassero le scelte successive. Nella pratica ciò spesso non avviene, e nel valutare un investimento o un progetto spesso si considerano, oltre a costi e benefici marginali, le risorse già impegnate e non più
recuperabili.
Emblematico l’esperimento relativo alle scarpe. In esso si contempla l’ipotesi di un paio di scarpe da 200 $ che causano un dolore insopportabile ai piedi perché troppo strette: la maggior parte degli individui sottoposti all’esperimento non hanno problemi a sbarazzarsi delle scarpe nel caso in cui le abbiano ricevute in dono, mentre coloro che le hanno pagate
di tasca loro sono assai più restii a disfarsene. Anche qui la scelta è irrazionale: qualunque sia l’origine delle scarpe, esse ora
appartengono al legittimo proprietario e l’unica questione rilevante da valutare è l’entità del fastidio che si prova indossandole e se esso è abbastanza forte da indurre a non
indossarle mai più. Il mental accounting ipotizza che questo effetto insorga perché gli agenti economici tentano in ogni modo di evitare "sprechi" ovvero pagare per beni che non si utilizzano, in
quanto questo genera loss aversion, e quindi forte diminuzione dell'utilità.
Un'altra componente importante del mental accounting è l'intuizione che l'acquisto genera utilità non solo in quanto permette la fruizione di un certo bene, ma anche perché le persone amano l'idea di "aver fatto un affare". Questo è il significato della utilità di transazione: essa si aggiunge all'utilità derivata dal bene in sé, e dipende dalla differenza tra il prezzo d'acquisto e il prezzo "di riferimento" che il consumatore associa al bene acquistato.
Secondo Thaler (1985), se il prezzo è assai inferiore a quello che il consumatore considera normale o giusto, la forte utilità di transazione generata può consigliare l'acquisto di beni che in realtà non sono molto utili. È evidente come il marketing spesso cerchi in ogni modo di creare utilità di transazione, suggerendo prezzi di riferimento elevati. La parte centrale della teoria riguarda il sistema di conti mentali con cui, per la teoria, le persone tendono a suddividere il denaro, sia creando differenti budget per le spese, sia categorizzando la propria ricchezza e il proprio reddito. Il primo livello di contabilità mentale è quello relativo ai limiti di budget per il consumo: questa è un'idea abbastanza diffusa, tanto che alcune famiglie tengono veramente su carta e non solo a livello mentale una contabilità di questo tipo. In generale, questa è tanto più esplicita e precisa quanto più la famiglia ha bisogno di limitare le spese. Un processo di questo genere distorce palesemente le scelte economiche: mentre con un unico vincolo di bilancio si ottiene il principio di eguaglianza delle utilità marginali ponderate dei beni, se scelte di consumo relative a beni di categorie diverse sono vincolate da budget differenti, e se alcuni di questi budget sono troppo alti o troppo bassi, al
consumatore possono essere precluse scelte che migliorerebbero la sua utilità. Questa eventualità pare tutt'altro che improbabile, e può anche essere causata da scelte
precise: Thaler (1985) nota che, per far fronte a problemi di self-control, i budget relativi a beni considerati come “tentazioni” sono volontariamente impostati a livelli molto bassi, mentre al contrario quelli riferiti a beni “virtuosi” (come per esempio articoli per il fitness,
l'istruzione o i cibi “sani”) sono generalmente alti. Se si considera questo aspetto, è possibile ribaltare la tradizionale teoria economica dei
quanto lo avrebbe accontentato il ricevere il corrispondente importo monetario (e questo avviene quando si regala a qualcuno quello che si sarebbe comprato lui stesso con quei soldi).
Infatti i regali possono essere meglio del denaro contante se si regala a qualcuno un bene che rientra in una categoria a basso budget, tipicamente qualcosa di più lussuoso di quello che il ricevente avrebbe comprato per sé: in questo modo si fa in modo che il soggetto destinatario del regalo raggiunga un livello di utilità che gli è precluso dal vincolo stringente di bilancio per quella categoria di beni. Anche se non generata da scelte volontarie di questo tipo, la non fungibilità del denaro genera quindi in questo campo notevoli distorsioni, come ad esempio nel caso in cui il consumo in certe categorie abbia già raggiunto il limite prefissato per il periodo (o comunque è già ad un livello percepito come elevato) mentre ci siano fondi non spesi in altre categorie.
Tutto ciò è in aperta contraddizione con il principio di fungibilità del denaro adottato dalla teoria economica, per cui i soldi non dovrebbero avere alcuna etichetta ed essere
considerati esattamente nello stesso modo indipendentemente dalla fonte da cui provengono o dall'impiego cui sono destinati.
L'idea di un sistema di conti per le spese tuttavia non è sorprendente, in quanto molte famiglie adottano apertamente un sistema di questo tipo. Vari studi hanno evidenziato come le persone tendano effettivamente a compiere le proprie scelte di consumo con un sistema psicologico di questo tipo, che serve evidentemente a non spendere "troppo" per nessuna categoria di consumo.
Basandosi su queste osservazioni, Thaler (1985) propone una modifica al modello microeconomico di comportamento del consumatore, che prevede la massimizzazione dell'utilità rispetto ad un vincolo di bilancio. Nel modello basato sul mental accounting la massimizzazione avviene rispetto a numerosi vincoli di budget, ciascuno associato ad una differente tipologia di consumi: i risultati in termini di scelta ottima possono essere assai diversi, soprattutto se alcuni budget sono tenuti particolarmente bassi per ragioni di autocontrollo.
Esistono, secondo la teoria, sistemi di conti mentali anche per il reddito e la ricchezza. Il reddito si presta ad essere contabilizzato in base alle fonti: la provenienza del denaro in
questo caso fa la differenza, e la stessa somma viene percepita in modo difforme se ottenuta in modo occasionale (es. vinta al lotto) o meno (es. aumento di stipendio). Si suppone, e vari esperimenti sembrano confermarlo, che la "serietà" della fonte influisca sulla propensione a spendere il denaro e sul tipo di acquisti effettuati: mentre una somma di denaro ritrovata inaspettatamente nella tasca di un vecchio cappotto si presta ad essere spesa prontamente e in modo "frivolo", lo stesso non si può dire della stessa somma
ottenuta da un aumento di valore dei propri fondi pensione, che si presta a non essere spesa affatto.
Anche lo stock di ricchezza, secondo l'ipotesi formulata dalla teoria del mental accounting, tende ad essere suddiviso in conti mentali. In questo caso è rilevante la forma che la
ricchezza prende: la liquidità sui conti correnti tende ad essere spesa abbastanza facilmente; già è molto più difficile che venga smobilizzato il patrimonio mobiliare per finanziare il consumo.
La ricchezza futura poi, utilizzabile col ricorso al debito, è ancora più intoccabile. È importante sottolineare che la teoria suppone che la differenza tra la propensione al
consumo tra le diverse classi in cui è suddiviso il patrimonio dipenda non solo dai diversi costi di transazione, ma anche dall'effetto psicologico della separazione in conti mentali. Tutti abbiamo diversi obiettivi di spese e molti di noi pianificano un budget per far fronte a questi vari obiettivi. Questa pratica non è di per sé sbagliata. Il problema sorge quando tu destini una certa quota dei tuoi risparmi per un obiettivo (come le vacanze, o la settimana bianca) e li escludi dal tuo budget. Questo ti impedisce di essere flessibile. Certe persone arrivano addirittura al punto di mettere dei soldi da parte, ma di indebitarsi tramite l’utilizzo della carta di credito per far fronte alle spese correnti. Le categorie mentali del mental accounting possono avere un effetto così forte sul nostro
comportamento, si arriva al punto di perdere dei soldi pagando tassi di interesse. Buona norma è considerare la tua ricchezza come un blocco unico.
Shefrin e Thaler (1988) propongono quindi una differente versione della teoria del
risparmio neoclassica, in cui l'ipotesi di perfetta fungibilità tra le varie forme di ricchezza è abbandonata, che è nota come teoria del behavioral life-cycle (ciclo di vita
Gli effetti della contabilità mentale della ricchezza e del reddito sono molto interessanti, poiché permettono di rivedere profondamente la teoria del consumo neoclassica, elaborata da Modigliani e Brumberg (1954) e Friedman (1957). La teoria del “Ciclo Vitale” o “Reddito Permanente” è semplice ed elegante: prevede, in breve, che gli individui calcolino la propria ricchezza presente totale, compreso il valore attuale dei redditi futuri attesi scontati ad un certo tasso di interesse; poi, data l'aspettativa di vita, consumino ogni periodo un importo uguale alla rendita di durata pari alla vita residua attesa acquistabile (in mercati finanziari perfetti) con la loro ricchezza. In questo modo, perfettamente razionale, gli individui possono ottenere un perfetto “consumption smoothing”, rendendo uniforme nel tempo il profilo dei loro consumi anche a fronte di redditi assai variabili. Purtroppo i riscontri empirici di questo modello sono abbastanza modesti. Alla non fungibilità si aggiungono notevoli problemi di self-control: gli individui fanno fatica a risparmiare, in particolare per la pensione. Questo è un altro aspetto importante che le teorie neoclassiche ignorano. Nella realtà, i problemi di autocontrollo esistono e le persone se ne rendono conto. Il modello di “behavioral life-cycle” introduce quindi in questo settore della teoria
macroeconomica le imperfezioni delle persone normali, generando anche prescrizioni di politica economica.
Tornando al mental accounting, proprio come accade per la contabilità delle imprese,
anche i conti mentali sono chiusi dopo un certo periodo. È interessante considerare come questo aspetto dinamico del mental accounting sia
rilevante nell'ambito delle decisioni in condizioni di rischio. Quando ci si trova a prendere decisioni rischiose successive, come può accadere in un casinò o sui mercati finanziari, gli esiti delle decisioni precedenti possono influenzare la propensione al rischio delle decisioni successive.
Il sistema di dynamic mental accounting, che genera parentesi temporali che alterano le
scelte, può avere numerosi altri effetti sull'attitudine verso il rischio degli individui. In particolare, poiché in situazioni di scelte in condizioni di incertezza le scelte spesso
tendono ad essere raggruppate in uno stesso conto mentale, le perdite o i guadagni
precedentemente realizzati tendono ad avere una forte influenza sul comportamento: come nel caso dell'influenza dei costi affondati, gli individui non riescono a considerare solo
costi e benefici marginali delle decisioni.
Thaler e Johnson (1990) individuano in particolare due anomalie ricorrenti: lo “house money effect” e il “break even effect”. Il primo caso si riferisce a quei giocatori d'azzardo che si trovano ad aver accumulato nella sessione di gioco corrente un notevole guadagno: la teoria, supportata dall'evidenza
sperimentale, vuole che essi siano molto più propensi a rischiare con i soldi già vinti; male che vada faranno pari col punto di rifermento scelto, ovvero la ricchezza con cui sono arrivati al casinò, e non soffriranno troppo per le perdite (di “house money”), che faticano a percepire.
Coloro che invece si trovano “sotto” ovvero hanno subito perdite, possono invece trovarsi particolarmente attratti da quelle scommesse che possono riportarli alla ricchezza iniziale, disinnescando la loss aversion: questo è in sostanza il break-even effect, che suggerisce che gli individui sono molto riluttanti a chiudere conti in perdita, ed è per questo legato al disposition effect.
L'effetto house money consiste chiaramente nella compensazione di un precedente elevato guadagno con una possibile perdita successiva.
Anche l'effetto break even può essere collegato alla medesima dinamica mentale: basta invertire l'ordine temporale con cui si ottengono utili e perdite, dato che in questo caso il guadagno potenziale offre l'opportunità di cancellare il dispiacere provocato da una precedente perdita.
La riluttanza ad assumere rischi dopo aver subito perdite è, invece, in conflitto con l'hedonic framing per cui un individuo che ha già perso dovrebbe essere favorevole ad assumere ulteriori rischi perché integrerebbe i nuovi utili o perdite con la perdita precedente: gli utili farebbero diminuire il dispiacere, mentre le perdite lo farebbero aumentare, ma meno proporzionalmente a causa della convessità della funzione valore nel dominio delle perdite.