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Dalla Razionalità Limitata alla Finanza Comportamentale

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Academic year: 2021

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Tesi di laurea

DALLA RAZIONALITA' LIMITATA

ALLA FINANZA COMPORTAMENTALE

RELATORE: CANDIDATO: Prof. Fabrizio Bientinesi Adele Prearo

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A chi c'è sempre stato, a chi è arrivato e non è più andato via.

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INDICE

INTRODUZIONE …... p. 6 CAPITOLO 1 …... p. 9

LA TEORIA DEI MERCATI EFFICIENTI & LE INNOVAZIONI DI SIMON → UNO SGUARDO AL PASSATO & RIVOLUZIONE DEL PRESENTE

1.1 La teoria tradizionale dei mercati finanziari …... p. 9 1.1.1 L'ipotesi dei mercati efficienti …... p. 13 1.1.2 La Teoria dell'Utilità Attesa …... p. 18 1.1.3 Razionalità …... p. 24 1.2 Le innovazioni di Simon …... p. 29 CAPITOLO 2 …... p. 33 RAZIONALITA LIMITATA & FINANZA COMPORTAMENTALE 2.1 Razionalità limitata …... p. 33 2.1.1 Osservazioni empiriche …... p. 37

2.1.2 Limitatezza cognitiva …... p. 41 2.1.3 Criterio di tipo satisficing …... p. 44 2.1.4 Differenza con la razionalità assoluta ... p. 49 2.2 Finanza Comportamentale …... p. 54

2.2.1 Storia della Behavioral Finance ... p. 58 2.2.2 Principi teorici …... p. 62 2.2.3 Euristiche …... p. 66 2.2.3.1 Disponibilità... p. 67 2.2.3.2 Rappresentatività …... p. 69 2.2.3.3 Ancoraggio... p. 70 2.2.3.4 Affetto …... p. 71 2.2.3.5 Bias cognitivi ed emozionali... p. 72

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CAPITOLO 3 …... p. 74 IDEA DI RICHARD H.THALER E RIFERIMENTI STORICI 3.1 Nuovo modo di vedere... p. 74

3.1.1 Mental accounting ... p. 78

3.1.2 Paternalismo libertario ... p. 86 3.2 Riferimenti storici ... p. 90

3.2.1 Prospect theory ... p. 94

CAPITOLO 4 ... p. 101 NUDGE: LA SPINTA GENTILE

4.1 Nudge ... p. 101 4.1.1. Differenza tra Umani ed Econi ... p. 105 4.1.2 La Spinta gentile ... p. 111 4.1.3 Il pregiudizio cognitivo …... p. 116 4.1.4 L’architettura delle scelte …... p. 121 4.2 Paternalismo libertario nelle diverse nazioni …... p. 125 CONCLUSIONI ... p. 129 BIBLIOGRAFIA ... p. 132

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INTRODUZIONE

“Confronta il pensiero con le parole, penetra con la mente negli eventi e in chi li produce” MARCO AURELIO

In questo elaborato andremo ad analizzare i limiti della razionalità umana partendo dall'idea di uomo come Giove olimpico ovvero super-razionale, non-emotivo e senza problemi di autocontrollo che massimizza la sua utilità, passando dalla razionalità limitata analizzata da Simon fino alle scoperte fatte da Thaler sull'agire umano limitato da

euristiche e pregiudizi cognitivi e la sua teoria del pungolo.

La teoria economica classica è stata considerata dai grandi economisti l’unica capace di spiegare i fenomeni reali, prevedendo che l’individuo potesse assumere decisioni esclusivamente legate alla massimizzazione del proprio benessere, sulla base delle informazioni disponibili a tutti.

Le numerose ricerche nel campo della Behavioral Finance tentano di superare le evidenti anomalie della teoria classica fornendo preziosi contributi nell’analisi e nella

comprensione del funzionamento dei mercati finanziari.

La finanza classica diventa una teoria capace di creare un apparato normativo e di

disciplinarne la conoscenza, tuttavia, non riesce a spiegare completamente la realtà. Grazie all’apporto sostanziale della psicologia cognitiva, la finanza si avvale di nuovi strumenti d’indagine per comprendere i limiti della razionalità dell’uomo.

La finanza comportamentale inoltre, non ha solo cercato di individuare gli errori comuni degli individui nei mercati, bensì ha fornito delle linee guida per la loro correzione.

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L’oggetto di questa tesi è l’apporto sostanziale che la behavioral finance ha dato alla teoria classica.

L'elaborato si articola nei seguenti quattro capitoli.

Il primo si sofferma ad analizzare la teoria classica dei mercati efficienti delineando i principali tratti della teoria dell'utilità attesa; il secondo fa riferimento alle scoperte di Simon studiando la razionalità umana con i suoi limiti ed andando a spiegare il principio satisficing; il terzo si concentra sull'idea rivoluzionaria di Thaler basata sul mental accounting e il paternalismo libertario; infine, l'ultimo, dove si fa riferimento al libro Nudge, in cui l'economista e premio Nobel R. Thaler spiega i limiti umani e cerca di sfruttarli per far prendere decisioni migliori agli essere umani, sia per loro che per la comunità.

Inizia un nuovo modo di vedere la realtà.

Il concetto di razionalità limitata, introdotto negli anni Ottanta da Herbert Alexander Simon si va, infatti, a contrappone a quello di razionalità perfetta, o sostanziale, dell’economia classica e neoclassica, secondo cui l’uomo è un onnisciente calcolatore, capace di ragionare perfettamente e di identificare e compiere tra le molte scelte possibili quella ottima per sé e per gli altri. Simon con ciò propone questo concetto di “razionalità limitata” che permette di spiegare la discrepanza tra comportamento reale e teoria standard della decisione creatasi a causa delle imperfezione dei modelli di rappresentazione della realtà, conoscenza e padronanza imperfetta delle scienze e delle tecniche; limiti neuro-psicologici naturali e limiti psico-patologici che condizionano l’efficienza del cervello alterando i processi della ragione e la motivazione; caratteristiche proprie dei sistemi naturali che rendono difficile o irrealizzabile la previsione a medio-lungo termine;

impossibilità di conoscere tutte le variabili che possono influire su un evento e incapacità di misurarle con sufficiente accuratezza e l' asimmetria informativa.

Per Simon di fatto la gente è dotata solo di una razionalità limitata, si limita a cercare soluzioni soddisfacenti tramite un processo di search and satisficing.

Il pensiero umano adotta un principio di economicità che si manifesta attraverso l’uso di euristiche o scorciatoie mentali a causa della condizione propria dell’uomo di incontrare limiti nella comprensione dei fatti e nella previsione degli eventi.

L’apporto fondamentale di Simon è stato quello di evidenziare i limiti della razionalità nel processo decisionale umano.

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Invece Thaler è l’ideatore della “teoria del pungolo” ed esplora gli strumenti possibili per vincere il connaturato “errore umano” che, tra condizionamenti psicologici e “limiti

razionali”, ci condanna all’infelicità di una vita costellata di scelte sbagliate, incluse quelle finanziarie che spesso poi hanno un impatto su economia e mercati.

Richard Thaler rappresenta l’uomo che ha convinto molti economisti a occuparsi degli aspetti comportamentali delle persone e anche molti governi a occuparsi in modo più specifico delle materie economiche, causando un impatto profondo sullo studio dell’economia comportamentale e introducendo concetti innovativi come quello della contabilità mentale.

Per l'autore, per far fronte alla complessità dei calcoli economici, gli individui tendono a suddividere le loro decisioni di spesa e di risparmio in voci di bilancio separate. Questo espediente semplifica i conteggi ma limita la razionalità, poiché induce le persone a non trasferire risorse da una voce all’altra anche quando sarebbe logico farlo. Con ciò governi e istituzioni possono indirizzare con adeguati stimoli persone e gruppi sociali a prendere le decisioni giuste e a migliorare la propria vita.

Adottate in vari modi negli Stati Uniti e nel Regno Unito, le “spinte gentili” di Thaler hanno trovato qualche applicazione anche nell’Europa continentale e in Italia.

Thaler è tra coloro che hanno osato spingersi un po’ più in là. E hanno scoperto quanto si può andare lontano.

Ispirato dalle ricerche di due precedenti vincitori del premio, Herbert Simon e Daniel Kahneman, Thaler è stato uno dei pionieri della ricerca psicologica applicata allo studio delle decisioni economiche.

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CAPITOLO 1

LA TEORIA DEI MERCATI EFFICIENTI & LE INNOVAZIONI DI SIMON → UNO SGUARDO AL PASSATO & RIVOLUZIONE DEL PRESENTE

1.1 La teoria tradizionale dei mercati finanziari

Un pilastro dell’economia finanziaria è rappresentato dall'ipotesi dell'efficienza dei mercati finanziari (Efficient Market Hypothesis, in sigla EMH), negli anni successivi alla sua scoperta, fu un successo sia teorico che empirico.

Molte branche della finanza, come la security analysis, nacquero basandosi sull'EMH stessa.

Questa teoria ha come base sulla quale poggiare il presupposto secondo cui i valori attuali dei titoli quotati in borsa riflettano l'informazione disponibile in un dato momento nel mercato mobiliare e che di converso, potenziali variazioni nel corso dei prezzi futuri, avverranno esclusivamente a fronte di nuove informazioni diffuse in merito ad eventi che potranno influenzare il valore futuro del titolo in borsa proprio a seguito di tali nuove notizie societarie.

Tuttavia, negli ultimi vent'anni, si è cominciato a contestare sia le sue basi teoriche sia la sua evidenza empirica. Le forze su cui si dovrebbe basare l'efficienza dei mercati, come l'arbitraggio, sono probabilmente più deboli e limitate di quanto originariamente creduto. La Teoria Tradizionale, detta anche Moderna, si afferma tra la prima e la seconda parte del Novecento quando le idee relative al funzionamento dei mercati finanziari, tipicamente intuitive e formulate da professionisti, iniziarono ad essere rimpiazzate da nuovi significativi contributi di autori ed economisti come Louis Bachelier, Fisher e John Maynard Keynes.

In particolare, a costituire il cuore di questa nuova branca dell’economia di matrice neoclassica furono gli apporti della seconda metà del XX secolo che si imposero presto negli ambienti accademici e professionali del tempo.

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seconda metà del 900, poiché in questo frangente temporale si verificò il passaggio da uno scenario economico caratterizzato da semplicità, dimensioni modeste, scarsa competizione, assenza di una normativa organica (regole) così come di un’autorità di vigilanza e presenza di intermediari (banche e assicuratori) che offrivano e collocavano ai loro clienti pochi prodotti e principalmente standardizzati, ad un ambiente in cui, proprio a causa della mancanza di controllo, un soggetto si trovava di fronte ad una moltitudine di alternative di investimento che sostanzialmente presentavano poi delle minime differenze.

Così, proprio alla luce di questi cambiamenti si incominciò ad avvertire l’esigenza di studiare opportune strategie di investimento e in generale, si giunse, alla sviluppo di nuove teorie finanziarie tutte di impostazione teorica neoclassica.

I primi sviluppi teorici di questa teoria (EMH) sono dovuti a Samuelson (1965) e la definitiva e fondamentale formalizzazione è merito di Eugene Fama (1970).

E’ proprio alla tesi di dottorato di Eugene Fama che si deve la definizione della “Teoria del Mercato Efficiente”.

Nel gennaio del 1965 il “Journal of Business” pubblicò l’intera tesi di dottorato di Fama con il titolo “The Behavior of Stock Market Prices” e nel 1970 appare sul “Journal of Finance” il suo celebre articolo: “Efficient Capital Markets: a review of theory and empirical work”, in cui si ha la prima dettagliata formalizzazione della teoria del mercato efficiente.

L’analisi di Fama tendeva a confermare, quindi, la “Random Walk Theory” dei prezzi azionari già investigata da autori quali Louis Bachelier nel 1900, Holbrook Working nel 1934, Alfred Cowles nel 1937 e Paul Samuelson nel 1965.

Per quanto riguarda Bachelier importante fu il suo lavoro dal titolo “Thèorie de la Spèculation”.

Questo fu il primo trattato probabilistico riferito alle fluttuazioni dei prezzi di borsa dei titoli di Stato e obbligazioni private mai trattato in precedenza e che porrà le basi per la teoria finanziaria tutt’ora spiegata presso le principali facoltà di Economia nel mondo. Il lavoro di Bachelier era basato sul presupposto di sviluppare formule per determinare il prezzo di complessi strumenti derivati, individuando fattori che determinassero l’attività delle Borse, collegati ad eventi attuali o previsti di tipo naturale o artificiale. Se questa matrice incerta che caratterizzava i mercati non poteva essere trattata come si poteva fare con le scienze esatte, quali fisica chimica o matematica, era possibile analizzare il mercato

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stabilendo delle leggi probabilistiche della variazione dei prezzi che il mercato adottava in un preciso istante.

Come input per la stesura del suo lavoro, Bachelier individuò nella legge della diffusione del calore ed il modo con cui oscillavano i prezzi delle obbligazioni francesi una forte analogia; partendo da questo presupposto, elaborò un modello che considerava il mercato delle obbligazioni come un “gioco equilibrato”ovvero un gioco dove era possibile

conseguire con la medesima probabilità un risultato positivo, ovvero un’aumento dei prezzi delle obbligazioni od una loro riduzione, con probabilità del 50% per evento.

Allo stesso tempo, come seconda abile intuizione, Bachelier sostenne che non si potevano prevedere le future fluttuazione dei corsi obbligazionari in un momento ex ante visto che, non si conoscevano con certezza tutte le informazioni riferite alla politica economica di uno Stato, sicché da questa conclusione si sarebbe potuto attendere ex post all’analisi, un cambiamento nel prezzo delle obbligazioni in un verso positivo o negativo ma senza certezza, visto che i prezzi percorrono una traiettoria aleatoria definita “cammino casuale” che non dipende da eventi trascorsi bensì influenzate esclusivamente da nuove

informazioni giunte al mercato sottolineando che i prezzi non dispongono di una memoria. Da questa affermazione si dedusse che le variazioni dei prezzi formassero una serie di variabili casuali indipendenti ed identicamente distribuite, poiché disponendo in un diagramma le variazioni di prezzo di un titolo in funzione di un periodo di riferimento temporale, come un mese o un anno, si potrebbe scorgere una configurazione grafica a campana in cui le variazioni numerose e di entità esigue si disporrebbero nella parte centrale del grafico, mentre le variazioni di maggior intensità ma che si verificano con una bassissima frequenza, nelle parti estreme del grafico stesso.

La configurazione grafica individuata dal matematico francese passò alla storia con il termine di distribuzione Normale o Gaussiana dal fisico tedesco Gauss che per primo

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l’adottò.

In conclusione Bachelier nella sua tesi sostenne che “il mercato, inconsapevolmente, obbedisce ad una legge che lo governa, la legge della probabilità”. Tornando, però, al vero fondatore di questa teoria, andiamo ad analizzare l'analisi di Fama partendo dal suo lavoro dove egli sosteneva che, stante l’utilizzo di ingenti risorse da parte delle società di brokeraggio al fine di condurre studi sui trend nell’industria, sugli effetti delle variazioni dei tassi, sui bilanci delle aziende e sulle aspettative di managers e/o politici gli analisti delle stesse società avrebbero dovuto essere in grado di battere sistematicamente un generico portafoglio titoli con le stesse caratteristiche di rischio. Poiché, secondo Fama, in ogni situazione l’analista professionista ha il cinquanta percento di probabilità di battere il mercato, anche se le sue capacità specifiche non esistessero egli non batterebbe di molto il mercato. L’analista di fatto “aiuta” il mercato a restare efficiente: se tutti gli investitori, infatti, detenessero portafogli costituiti da indici azionari, si aprirebbero notevoli opportunità per i traders professionisti di avvantaggiarsi della situazione.

Ma proprio il movimento dei traders verso tale “nuovo mercato vergine” farebbe sì che il vantaggio scompaia, confermando ancora una volta, quindi, la “Efficient Market Theory” di Fama. Alla loro opera Fama aggiunse, rispetto a L.Bachelier, H.Working, A. Cowles e P. Samuelson, un più rigoroso approccio statistico-matematico ed una maggiore forza nell’esposizione: si trattava di una nuova rivoluzione per la finanza. Nella definizione di Fama (1970) un mercato finanziario è efficiente se in ogni istante il prezzo delle attività scambiate riflette pienamente le informazioni rilevanti disponibili per cui non sono possibili ulteriori operazioni di arbitraggio: la concorrenza garantisce che i rendimenti delle attività siano ai loro livelli di equilibrio (eguaglianza tra domanda e offerta).

In un mercato finanziario siffatto né l’analisi tecnica (previsione dei prezzi futuri basata sullo studio dei prezzi passati) né l’analisi fondamentale (studiando l’andamento del valore delle imprese attraverso l’analisi della redditività si tenta di capire se esistono nuove prospettive sul valore delle azioni) possono consentire ad un investitore di conseguire profitti maggiori di quelli che un altro investitore otterrebbe detenendo un portafoglio di titoli scelti a caso, con il medesimo grado di rischio.

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1.1.1 L'ipotesi dei mercati efficienti

Secondo una formalizzazione proposta da Eugene Fama (1970), esistono tre distinte ipotesi di efficienza dei mercati:

→ Weak Hypothesis

Secondo Fama un mercato è efficiente in forma debole laddove i prezzi incorporino tutte le notizie che possono essere tratte dal mercato(ovvero l'informazione contenuta nelle serie storica dei prezzi stessi): se, ad esempio, esiste un andamento stagionale dei prezzi, il

mercato capta immediatamente il fenomeno e vi si adegua. Se il mercato è efficiente quindi “il passato è nel prezzo”. In questo caso è possibile

formulare una strategia di trading basandosi solo sull'informazione contenuta nella serie storica dei prezzi, i corsi incorporano tutte le notizie che possono essere tratte dal mercato (prezzi e loro variazioni, quantità scambiate, ecc.): ciò è alla base della validità dell'analisi

tecnica, ma contemporaneamente ne vanifica l'efficacia predittiva. Tale situazione è conosciuta anche come random walk per cui gli investitori, scambiandosi continuamente titoli creano un andamento casuale del prezzo del titolo azionario: la

probabilità di un aumento del prezzo è identica a quella associata a una diminuzione nello stesso periodo, prescindendo dalla quotazione dell’azione nel precedente periodo.

→ Semi-Strong Hypothesis

L’efficienza in forma semi-forte allarga il campo dell’analisi alle informazioni “pubbliche” quali ad esempio i profitti conseguiti o i dividendi distribuiti dalla società. Nel momento in

cui tali notizie divengono di pubblico dominio, il prezzo le ha già incorporate. Scegliere, quindi, i titoli sulla base di queste informazioni non permette di battere il

mercato. I mercati incorporano tutte le informazioni di pubblico dominio.

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→ Strong Hypothesis

L’efficienza in forma forte assume che tutti gli investitori dispongano dello stesso set informativo e che nessuno possa beneficiare di informazioni privilegiate: l’informazione giunge quindi “a pioggia” sul mercato.

Qualora i prezzi di mercato riflettono l'informazione contenuta nella serie storica dei prezzi stessi, qualunque altra informazione pubblica, nonché qualunque informazione privata; questo accade quando alcuni operatori sono a conoscenza di informazioni

private/privilegiate.

Sostanzialmente l’efficienza in forma forte implica quella in forma semi-forte, che a sua volta implica quella in forma debole. Le implicazioni inverse non valgono.

In particolare, l'efficienza in forma debole del mercato è compatibile con il risultato della letteratura teorica sull'asset pricing, in base alla quale i prezzi (scontati) delle attività finanziarie sarebbero delle martingale (dei processi stocastici indicizzati rispetto al tempo) rispetto alla misura di probabilità neutrale al rischio (il prezzo corretto, ossia di non arbitraggio, di un'attività finanziaria è pari al suo valore atteso futuro scontato al tasso privo di rischio).

Quando si parla di forma forte, semi forte e debole si fa riferimento anche al periodo temporale, nel senso che il mercato sconta perfettamente le notizie in un arco di tempo più o meno lungo: per “Fama” l'andamento della borsa di domani è prevedibile solamente se hai la notizia prima del mercato (insider trading) e quindi non è possibile prevederlo per chi non ha l' informazione, poi nel medio periodo gli investitori digeriscono l'informazione e quindi adeguano il prezzo alle loro aspettative razionali, e nel lungo periodo il mercato assorbe totalmente la notizia ed il prezzo la incorpora correttamente.

Non prende in considerazione l'emotività degli investitori, ma li giudica pienamente capaci di interpretare la notizia nel lungo periodo in maniera del tutto razionale ed efficiente, così che i prezzi siano corretti.

Il punto cruciale di questa teoria sta nell’efficacia della valutazione della continua evoluzione delle condizioni macro-economiche, degli scenari politici nazionali e

internazionali, dell’andamento settoriale che incidono sulle prospettive economiche della società. La corretta valutazione di questa continua evoluzione dipende dall’effettiva e rapida diffusione delle informazioni relative alle variazioni delle prospettive aziendali.

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Questa teoria di investimento sostiene che è impossibile “battere il mercato” . Infatti, in un mercato attivo al cui interno operano investitori razionali e bene informati, gli strumenti finanziari vengono valutati correttamente in base ai loro fondamentali attraverso

l’attualizzazione dei dividendi futuri attesi e con l’utilizzo di un congruo tasso di sconto corretto per il rischio.

Numerosi studi hanno constatato come il prezzo di un titolo reagisce correttamente e velocemente non appena il mercato viene a conoscenza di una nuova informazione, se la notizia è buona l’investitore aumenta il prezzo di domanda, viceversa, se è cattiva lo diminuisce.

Per Fama in un mercato efficiente non vi sono costi di transazione nella negoziazione dei titoli; tutte le informazioni disponibili sono accessibili a costo zero da tutti gli operatori del mercato; non ci sono possibilità di arbitraggio, dato che i prezzi rimangono in equilibrio in assenza di nuove informazioni, e variano in maniera rapida e corretta ogni volta che ne arriva una nuova.

Secondo tale ipotesi, quindi, è meglio operare con una strategia passiva, detenendo semplicemente il portafoglio di mercato poiché un investitore qualsiasi non può pensare di battere regolarmente il mercato e le risorse che impiega per analizzare, scegliere e

negoziare titoli sono sprecate.

Il lavoro di Fama del 1970, traendo conclusioni dalla letteratura empirica dei 25 anni precedenti, sosteneva l'efficienza dei mercati, se non altro in forma debole.

Un mercato finanziario, sulla base di quanto già affermato da Louis Bachelier nel suo lavoro del 1900, dal titolo Thèorie de la Spèculation, potrebbe essere paragonato ad un fair play o gioco equo, dove compratori di titoli e venditori si compensano nella loro attività di trading, generando, in qualsiasi istante si vada a rilevare il prezzo del titolo analizzato, un valore definito “giusto” del titolo.

Naturalmente il fatto che in un mercato a somma zero tutti gli investitori dispongano delle medesime informazioni necessarie per promuovere investimenti di carattere finanziario, lascia desumere che sarà assolutamente impossibile battere il mercato, così facendo, per amplificare i rendimenti sperati dall’attività di compravendita, l’investitore razionale, sarà costretto ad anticipare, con mosse diverse e rischiose rispetto agli altri players del mercato, i movimenti futuri dei prezzi individuando il potenziale cammino futuro del prezzo nel tempo.

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Attualmente, l'evidenza empirica sembrerebbe tuttavia indicare che i mercati spesso non sono efficienti, neanche in forma debole.

In particolare, numerosi lavori, prevalentemente basati sulla metodologia delle serie storiche indicano strategie di trading che conseguono rendimenti in eccesso rispetto al mercato, basate sull'informazione contenuta nei prezzi passati.

Le ipotesi a sostegno dell’EMH si basano su tre punti :

I. → gli investitori sono persone razionali, per cui valutano le loro scelte di investimento e di allocazione dei titoli in portafoglio massimizzando la loro funzione di utilità. Essi cercano di trarre vantaggio dall’informazione sui prezzi passati, i quali a sua volta tenderanno ad aggiustarsi immediatamente annullando così qualsiasi opportunità di profitto.

Infatti, gli andamenti sistematici nei prezzi verranno meno, non appena

riconosciuti. In questo modo i prezzi incorporano istantaneamente tutte le notizie disponibili, aggiustandosi al nuovo valore attuale netto dei cash flow futuri attesi. II. → la condizione di efficienza può essere raggiunta anche se nei mercati agiscono

investitori non del tutto razionali poiché si assume che tali operatori, quando sono numerosi e le loro strategie di negoziazione non sono correlate, si comportino in modo casuale finendo così per compensarsi a vicenda, senza provocare alcun effetto sui prezzi;

III. → Ipotesi d’Efficienza di Mercato può ancora essere accettata anche se il comportamento irrazionale degli investitori non dovesse avere un andamento casuale, ma seguire un’unica direzione, in questo caso interverrebbero gli arbitraggisti per riportare i prezzi verso livelli coerenti con i valori dei fondamentali.

L’azione degli arbitraggisti, ossia di soggetti razionali, assicura profitti senza rischi comprando e contemporaneamente vendendo titoli simili negoziati a prezzi

favorevoli.

Ciò implica che nessuno sarebbe in grado di realizzare in media rendimenti superiori a quelli di equilibrio.

L’evidenza empirica mostra che sul mercato operano investitori i quali mettono in atto strategie di arbitraggio al fine di ottenere extra-rendimenti positivi totalmente risk-free,

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attraverso l’acquisto e la vendita simultanea dello stesso titolo o di titoli simili, con identico profilo di rischio, ma prezzi differenti.

Gli arbitraggisti sfruttano le anomalie nei corsi dei titoli e approfittano infatti del temporaneo mispricing dei titoli, cedendo quelli sopravvalutati e comprando quelli sottovalutati dal mercato; essi creano così un’efficace strategia di copertura del rischio (hedging), finendo per ripristinare il livello di equilibrio iniziale.

Quanto maggiore è la velocità e l’efficacia dell’azione degli arbitraggisti, tanto minori saranno le loro possibilità di ottenere profitti anomali e tanto più rapido sarà il riequilibrio dei prezzi.

Una cosa importante dell'ipotesi di mercati efficienti è che implica che nessuno mai beneficia di adeguamenti dei prezzi delle attività.

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1.1.2 Teoria dell'Utilità Attesa

Per spiegare le scelte effettuate dagli individui in condizione di rischio gli economisti utilizzano il modello dell’utilità attesa di Von Neumann e Morgenstern (1947).

Questa teoria, accettata e applicata come modello economico del comportamento umano, considera l’uomo come un essere razionale e prevedibile, e ne studia le preferenze. La teoria dell’utilità attesa si basa su un procedimento deduttivo partendo da alcuni assiomi che definiscono i requisiti di razionalità, dove si legano le scelte e le preferenze del soggetto.

Quando un individuo o un consumatore si trova di fronte a delle alternative senza

conoscere con certezza quale si verificherà, ma ne conosce la distribuzione di probabilità di realizzazione, secondo la teoria, gli individui scelgono tra le varie possibilità quella alla quale è associata l’utilità attesa più elevata in base alle risorse che ha a disposizione. In altre parole si può dire che la teoria dell’utilità attesa è un criterio che permette di selezionare la scelta del consumatore in condizione di non certezza, in condizioni aleatorie. Con il termine “utilità” possiamo identificare un indice delle preferenze del consumatore in ambito di rischio, definisce il grado di “piacere” che il soggetto ricava dal soddisfacimento dei bisogni.

L’insieme delle preferenze che massimizza l’utilità del consumatore sono identificate nella funzione dell’utilità attesa, che può essere vista come funzione che associa ad ogni

possibile scelta una corrispondente misura di utilità, la funzione rispetta l’ordine di

preferenza, infatti può essere usata per ordinare le alternative rischiose; rappresenta proprio le preferenze del consumatore, funzione che fa corrispondere un valore numerico a

ciascuna preferenza.

Il soggetto che ha come obiettivo la massimizzazione dell’utilità attesa considera ciascun possibile esito di una alternativa e ne misura il livello di utilità; otterrà l’utilità attesa dell’alternativa, sommando le utilità di ciascun esito ponderato con il loro grado di probabilità.

Confrontando vari tipi di investimento l’individuo, tra le varie alternative rischiose, sceglie l’alternativa alla quale è associata un’utilità attesa più alta, cioè che offrono i guadagni più elevati o le perdite più basse, quindi in questo modo le preferenze del consumatore sono

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rispettate.

La costruzione della funzione di utilità attesa poggia su alcuni assiomi che definiscono la logica sottostante al comportamento decisionale:

• ASSIOMA 1: ordinamento completo delle preferenze; in modo che ogni individuo riesce a ordinare le alternative secondo un ordine di preferenze, si deve poter fare un confronto e ottenere una relazione di preferenza, è una proprietà importante perché si esclude la possibilità in cui non si riesca a effettuare una classifica sulle preferenze.

• ASSIOMA 2: continuità delle preferenze; un soggetto messo di fronte ad un’alternativa con una distribuzione di probabilità con un evento migliore e uno peggiore è sempre in grado di indicare una probabilità che lo renda indifferente rispetto all’alternativa con risultato certo.

• ASSIOMA 3: indipendenza delle alternative: detto anche criterio della cosa certa, se il soggetto preferisce l’alternativa A rispetto all’alternativa B, qualora si

evidenzia la presenza di una terza alternativa C, questa non cambia le preferenze del soggetto.

• ASSIOMA 4: transitività delle alternative: tra tre alternative A, B, C, se l’individuo preferisce A a B (A > B), e preferisce B a C (B > C), allora deve essere vero che A è preferita a C (A > C); se questo non accade si creerebbe una circolarità e

l’individuo non sarebbe in grado di prendere una decisione.

Completezza e transitività sono considerati indispensabili per avere una classificazione delle preferenze degli individui.

• ASSIOMA 5: non sazietà: il consumatore non è mai sazio, una quantità maggiore sarà sempre preferita rispetto ad una quantità minore. La crescita della preferenza aumenta insieme alla crescita della probabilità, e date due alternative con gli stessi guadagni si preferisce quella con probabilità più alta.

L’idea fondamentale alla base di questa teoria, nel rispetto degli assiomi, è che gli individui agiscono in modo razionale e quindi sono sempre in grado di prendere delle decisioni in base alle proprie preferenze; la decisione viene vista come una elaborazione algebrica delle informazioni sulle probabilità in possesso al decisore.

Ricapitolando possiamo dire, che se i cinque assiomi sono verificati per il soggetto che effettua la scelta in base alle proprie preferenze è possibile costruire una funzione di utilità,

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in modo tale che se la scelta A è preferita alla scelta B, la funzione di utilità di A sarà maggiore della funzione di utilità di B e possiamo scrivere che: U(A) ≥ U(B).

In particolare, creata la funzione di utilità, l’individuo razionale sceglierà l’alternativa che massimizza il livello di utilità attesa U(x), definito come la media ponderata delle utilità delle singole alternative utilizzando come pesi le probabilità del verificarsi delle alternative considerate.

Il modello dell’Utilità Attesa studia le preferenze individuali in condizioni di rischio. Sappiamo che l’individuo è chiamato a prendere una decisione senza conoscere con certezza ex ante quale stato del mondo si verificherà, ma conosce la lista dei possibili eventi, a ciascuno dei quali associa una probabilità di realizzazione.

Assumiamo che i possibili stati del mondo siano solo due, gli stati del mondo 1 e 2, con probabilità di realizzazione π1 e π2.

Ex ante (nel momento in cui avviene la scelta) non si sa quale dei due stati si verificherà. Ex post, uno dei due eventi si verifica.

Chiamiamo c1 il reddito contingente allo stato del mondo 1 e c2 il reddito contingente allo stato del mondo 2.

L’individuo è chiamato a scegliere ex ante tra varie combinazioni rischiose (c1, c2). Ex post, ottiene c1 o c2, a seconda dello stato del mondo che si verifica.

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rischiose (c1, c2).

Il modello dell’Utilità Attesa viene specificato nel seguente modo: U(c1, c2) = π1 u(c1) + π2 u(c2)

I valori delle probabilità π1 e π2 sono noti al consumatore, per cui l’unico elemento da specificare nell’espressione è la funzione di utilità u(.), conosciuta come funzione di utilità Neumann- Morgenstern.

La funzione u(.) informa sul livello di utilità associato al consumo.

Una volta nota la forma funzionale di u(.), l’interpretazione dell’espressione è chiara: lo stato del mondo 1 si realizza con probabilità π1 e l’individuo consuma c1, ottenendo un’utilità pari a u(c1); lo stato del mondo 2 si realizza con probabilità π2 e l’individuo consuma c2, ottenendo un’utilità pari a u(c2).

Il lato destro dell’espressione rappresenta l’utilità che l’individuo si aspetta di ottenere ex ante (l’utilità attesa) dalla combinazione di consumo rischiosa (c1, c2). E’ ragionevole assumere che l’individuo scelga tra varie combinazioni rischiose sulla base dei rispettivi valori di utilità attesa: egli sceglierà la combinazione alla quale è associata l’utilità attesa più elevata.

Cruciale per la definizione di questo tipo di preferenze è la funzione di utilità Neumann- Morgenstern, in base alla quale si valuta l’attitudine al rischio.

A partire da questa conclusione, abbiamo rappresentato le curve di indifferenza nello spazio dei punti.

Un soggetto avverso, neutrale o propenso al rischio ha curve di indifferenza convesse, lineari o concave.

Si devono poi definire i concetti di equivalente certo e di premio per il rischio.

L’equivalente certo di una combinazione rischiosa di reddito/consumo è l’ammontare di moneta ricevuto con certezza che l’individuo considera equivalente alla combinazione rischiosa stessa.

Il premio per rischio rappresenta il pagamento massimo che l’individuo è disposto ad elargire per eliminare il rischio e ottenere con certezza il guadagno atteso della combinazione rischiosa.

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Un soggetto avverso al rischio sceglie sempre di assicurarsi completamente contro il rischio in un mercato delle assicurazioni equo; un soggetto neutrale al rischio è indifferente; un soggetto propenso al rischio utilizza il mercato delle assicurazioni per partecipare alla scelta rischiosa.

Infine, abbiamo considerato due casi particolari di funzioni di utilità di tipo Neumann-Morgenstern.

Il premio assoluto per il rischio, pagato da individui con una funzione di utilità con avversione assoluta al rischio constante, è indipendente dalla rischiosità.

Il premio relativo per il rischio, pagato da individui con una funzione di utilità con avversione relativa al rischio constante, è indipendente dalla scala della rischiosità. Secondo questa teoria,quindi, gli individui, invece di massimizzare il valore monetario atteso , massimizzano l’utilità attesa corrispondente a ciascun valore monetario.

L’utilità attesa si calcola sostituendo l’utilità al valore monetario nella formula del valore atteso.

Individui diversi hanno funzioni di utilità diverse e quindi preferenze diverse rispetto alla stessa scelta. Rispetto al calcolo del valore atteso, in questo caso ponderiamo con la probabilità, non l’incasso monetario, ma l’utilità garantita da quell’incasso. Il criterio è analogo, ma tiene conto delle caratteristiche dell’individuo.

Il punto cruciale della teoria è che non necessariamente la classificazione in base al valore atteso rispecchia quella delle preferenze, nel senso che i valori attesi degli esiti delle diverse alternative, possono non avere il medesimo ordinamento di preferenze delle utilità attese delle alternative.

Tali differenze negli ordinamenti di preferenze sono possibili in quanto l’utilità non sempre è una funzione lineare della ricchezza e ciò dipende in maniera determinante dalle attitudini del soggetto, cioè se egli sia più o meno propenso al rischio. Quest’ultima, è una caratteristica che esula del tutto da motivazioni di ordine congetturale, poiché infinite possono essere le variabili che inducono un soggetto ad essere in un modo o in un altro (certi individui possono essere talmente poveri da giudicare di “non avere nulla da perdere”, e quindi rischiare molto; altri possono decidere di scommettere per un motivo del tutto opposto, e cioè per avere tanto di quel denaro da “poter permettersi di perderlo”). Indipendentemente dalle motivazioni però, la funzione di utilità di questi individui è differente, a seconda che essi siano propensi o non al rischio.

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Un individuo avverso al rischio ha una funzione di utilità concava rispetto alla ricchezza, il che vuol dire che quando la ricchezza aumenta, l’utilità aumenta meno che proporzionalmente. Si dice anche che essa è caratterizzata da un’utilità marginale decrescente.

Gli individui avversi al rischio, rifiuteranno sempre di partecipare ai cosiddetti giochi equi, cioè giochi il cui valore atteso è pari a 0. Ciò è spiegabile proprio con la particolare forma che assume la funzione di utilità ad essi relativa.

Il punto di forza di questa teoria è rappresentato dal fatto che la decisione è vista come un’elaborazione algebrica di una serie di informazioni che si assume il soggetto possieda. Questo significa che è possibile ottenere facilmente una semplice modellizzazione matematica del processo decisionale, considerando puramente i vincoli esterni all’azione umana, cioè i vincoli di risorse e di informazione disponibili per il soggetto.

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1.1.3 Razionalità

Come noto, secondo Aristotele l'uomo è un animale razionale: "animale" perché condivide con gli altri animali una serie di caratteristiche fisiche, e "razionale" perché, a differenza degli animali che hanno soltanto un'anima vegetativa e sensitiva, ha anche un'anima razionale.

La razionalità ci definisce quindi per quello che siamo, e riuscire a comprenderla significa, come sottolinea Robert Nozick in The nature of rationality (1993), individuare le

caratteristiche essenziali della natura umana.

Tuttavia spiegare che cosa sia la razionalità, come con grande chiarezza e ricchezza di argomenti spiega Paolo Labinaz nel suo saggio ( La Razionalità, 2013), è compito tutt'altro che semplice. In prima battuta possiamo definire la razionalità come manifestazione del l'esercizio della ragione.

È razionale chi fa uso della ragione, perché il sonno della ragione genera mostri, come ricorda il titolo di una famosa acquaforte di Goya.

Potremmo dire che si comporta in maniera razionale chi è in grado di fornire ragioni dei propri pensieri e delle proprie azioni.

In realtà, però, per essere razionali non basta semplicemente fare uso della ragione, bisogna anche farne un buon uso. E questo risulta evidente in moltissime circostanze, da quelle più serie e importanti a quelle più frivole.

Il punto interessante poi non è soltanto che talvolta ragioniamo male, ma anche che spesso ci comportiamo in maniera palesemente irrazionale, magari ritenendo vero qualcosa solo perché lo desideriamo o agendo contro i nostri interessi.

Si pone quindi la questione di quali siano le norme alla base del comportamento razionale che, secondo Edward Stein, consiste nel ragionare secondo principi che si basano sulle regole della logica e sulle teorie della probabilità.

Al concetto di razionalità sono inoltre state attribuite la funzione esplicativo/predittiva (quando presupponiamo la razionalità degli altri esseri umani per spiegare e prevedere il loro comportamento), quella prescrittiva e quella valutativa (dove la razionalità è un obiettivo da raggiungere o un metro di valutazione).

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esplicativo/predittivo il cui presupposto di base è stato tuttavia ampiamente messo in discussione da ricerche sperimentali che, mostrando quanto spesso le persone compiano errori di ragionamento, avvalorano la tesi secondo la quale la razionalità non sia qualcosa di connaturato agli esseri umani e occorra invece rivalutarne la funzione prescrittiva e valutativa.

All'approccio normativo , che individua le regole di correttezza del ragionamento e sviluppa modelli di razionalità , si affianca quindi l'approccio descrittivo alla razionalità, che spiega come di fatto ragioniamo esplicitando i meccanismi cognitivi che stanno dietro le nostre pratiche di ragionamento.

Da questa diversità di approcci ha preso origine un vivace dibattito interdisciplinare da cui emerge come la difficoltà principale sia riuscire a chiarire lo scarto tra come gli esseri umani si comportano e come invece si dovrebbero comportare. Non stupisce quindi che si rivelino particolarmente interessanti quei modelli di razionalità "a misura d'uomo" tra i quali si colloca la teoria della razionalità limitata di Herbert Simon (Administrative Behavior 1958), secondo la quale occorre tenere conto dei limiti cognitivi e ambientali all'interno dei quali gli esseri umani prendono decisioni e ottengono determinati risultati. In questa direzione, altre ricerche importanti sono quelle condotte dagli psicologi

evoluzionisti , secondo i quali nello studio della razionalità occorre fare riferimento al sistema cognitivo umano e ai problemi adattivi ai quali ha dovuto far fronte nella sua storia evolutiva , e dagli studiosi attenti alla dimensione ecologica, secondo i quali occorre concentrarsi su come il comportamento degli esseri umani si è adattato al mondo circostante e ai suoi continui cambiamenti.

Forse quindi anche la razionalità, come l'essere secondo Aristotele, si dice «in molti modi». La Razionalità rappresenta il principio imposto alle scelte degli agenti economici,

supponendo che l’individuo ponga a confronto costi e benefici di tutte le possibili azioni e che venga scelta l’azione ritenuta migliore.

La razionalità diviene il principio cardine della teoria economica tradizionale nella

definizione che ne ha dato l’economista inglese L. Robbins : «L’economia è la scienza che studia la condotta umana nel momento in cui, data una graduatoria di obiettivi, si devono

operare scelte su mezzi scarsi applicabili ad usi alternativi». In questa definizione emergono gli elementi costitutivi della razionalità nella teoria

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In primo luogo, gli operatori economici sono motivati da fini personali: in particolare sono

in grado di valutare tutti i possibili esiti e di ordinarli secondo le proprie preferenze. In secondo luogo, ciascun agente dispone di risorse (materiali, di tempo, di capacità e altre

ancora); le dotazioni di queste risorse possono variare da individuo a individuo, ma sono per tutti date in quantità limitata. Infine, tali risorse possono essere impiegate per diversi usi, e il decisore economico sceglie l’esatto utilizzo delle proprie allo scopo di raggiungere in massimo grado gli obiettivi prefissati. La limitazione delle risorse determina l’esistenza di costi opportunità, ovvero la necessità di ridurre la quantità di risorse destinate ad altri impieghi al fine di poter incrementare quella destinata a un certo uso. Formalmente, il problema della scelta razionale prende la forma di massimizzazione

dell’utilità soggetta a vincoli che dipendono dalle risorse a disposizione. Una delle assunzioni più forti su cui il paradigma ortodosso in economia fonda i suoi

modelli previsionali è quella della razionalità assoluta. Il superuomo che emerge dalla formulazione analitica sottostante a tali modelli è un calcolatore. È una macchina perfetta in grado di valutare senza errori le informazioni a sua disposizione. Tali informazioni sono complete e totali, a significare, in altre parole, che questo individuo possiede la mappa corretta del mondo. Il processo di calcolo non produce, in media, errori sull’intera popolazione di riferimento e risponde a logiche di ottimizzazione per cui, in una qualunque funzione, si è sempre in grado di trovare un

massimo assoluto e stabile sotto determinati vincoli. Nel confrontare differenti possibilità, il “Giove Olimpico” in esame è in grado di valutare

tutti i risultati di una data scelta ed essa soddisfa requisiti quali la transitività, la

completezza, la continuità e la monotonicità. Per transitività s’intende la proprietà in base alla quale, se un individuo preferisce

un’opzione A all’opzione B e un’opzione B all’opzione C, allora dovrà necessariamente

anche preferire l’opzione A all’opzione C. La completezza invece richiede che un individuo possa ordinare le sue preferenze tra tutte

le alternative disponibili. La continuità è quella proprietà secondo cui se un individuo preferisce un'opzione A ad un'opzione B, allora un'opzione sufficientemente vicina ad A continuerà ad essere preferita

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a B. La monotonicità, infine, può essere esemplificata con un riferimento al consumo: se 2 panieri A e B contengono la stessa quantità di un bene, ma A contiene una quantità

maggiore dell’altro, allora A deve essere preferito a B in senso stretto. Continuando con le caratteristiche dell’Übermensch neoclassico, le aspettative rispetto al

futuro sono sempre corrette e il calcolo delle probabilità, riferito ad eventi incerti, non produce in media distorsioni. Quando l’investitore è razionale, valuta il titolo per il suo valore fondamentale, cioè il valore attuale dei dividendi futuri attesi, con un tasso di sconto corretto dal rischio. Quando viene a conoscenza di qualcosa sul valore fondamentale del titolo, risponde prontamente aumentando il prezzo d’offerta, quando la notizia è "buona" e diminuendolo,

quando la notizia è “cattiva”. Ciò porta all'efficienza dei mercati. Nel pensiero contemporaneo, però, la definizione dell’uomo come animale razionale è

stata messa in discussione fino a demolire l’idea di uomo come soggetto razionale, autocosciente e autonomo, quale era stato inteso dalla filosofia moderna e quale non possiamo più intenderlo dopo aver subito quelle che Freud riteneva grandi mortificazioni per l’umanità.

Epistemologicamente parlando non si può assolutamente escludere dalla vita, dalla

comprensione del mondo in generale, il fattore “irrazionale”, che è invece parte integrante di ogni sistema complesso, essere umano incluso con la “sua” psiche. L'avvicendarsi nel corso del tempo delle concezioni ideologiche dei modelli di Teoria Economica razionale ha spesso trascurato il fattore umano riconducendone di volta in volta i bisogni a schemi circoscrivibili in gabbie riduzionistiche. Un atteggiamento che si è spesso rivelato fatale ai danni di un'efficiente previsione sociologica ed economica. Occorre invece un radicale mutamento della visione antropologica al fine di riconsiderare i desideri positivi e la forza delle relazioni umane. Nell'ottica della Teoria Economica (TE) è doveroso sottolineare immediatamente che l’oggetto del campo di studio della è il comportamento umano, che genera fatti economici. Per questo motivo, è fondamentale affrontare il problema della razionalità economica partendo da un approccio multidisciplinare, in cui concezioni tipiche degli economisti si

intrecciano con quelle degli studiosi di discipline umanistiche. Gli economisti, se preoccupati del significato culturale e sociale della loro disciplina (oltre

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che del rigore scientifico), non possono non tendere a delineare modelli, che rispondano ad una concezione dell’uomo che ne rispetti l’integrità, ossia la totalità dei fattori che lo costituiscono. Questa prospettiva porta a percepire, nella razionalità normalmente

ipotizzata nella TE, un forte rischio di riduzionismo. Tutti i modelli della Teoria Economica sono fondati su un'ipotesi di razionalità: le persone

vengono genericamente rappresentate come “individui”, che si assume agiscano in modo razionale. La razionalità della Teoria Economica è peraltro “meccanica”: l’individuo ha obiettivi predefiniti dalla teoria (ad esempio il suo benessere) ed è determinato nel tentativo di raggiungerli. Questo significa che l’obiettivo dell’individuo è il benessere individuale, allora la sua razionalità consiste esclusivamente nel compiere quelle scelte che lo massimizzano. Se il fine esclusivo è il profitto dell’impresa, la razionalità consiste meccanicamente

nell’adottare quelle scelte che lo massimizzano. Una Teoria Economica, puramente razionale e astratta, che si limiti a disegnare un modello e persino pretenda che la realtà si adatti a tale modello, non solo risulterà riduttiva e

inefficace ma soprattutto pericolosa. La razionalità economica rischia di mettere in gioco la ragione solo nella forma della coerenza. In questa prospettiva, un modello coerente, per quanto astratto e riduttivo rispetto alla realtà, può auto-giustificarsi. Un oggetto così complesso, pluristratificato e spesso ambiguo come lo è il comportamento umano, che implica la libertà dei soggetti e il loro riferimento a sistemi di valori

enormemente diversificati e a esperienze individuali irriducibilmente differenziate, richiede da sempre un esercizio della ragione più complesso e flessibile, più capace di cambiarsi per aderire al nuovo, all’imprevisto, più capace di riformularsi affinando la propria

strumentazione concettuale, più capace di percepire la rilevanza dei fattori in gioco. È richiesto non il semplice esercizio della razionalità ma il dispiegarsi della ragionevolezza, che implica la razionalità ma la eccede .

«Mi domando chi sia stato a definire l’uomo un animale razionale. È la definizione più sconsiderata che sia mai stata data. L’uomo è tutto, fuorché razionale». Così si esprime lord Henry Wotton nel Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde.

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1.2 Le innovazioni di Simon

Il framework neoclassico si è affermato cristallizzando il processo della scelta razionale e spogliandolo di un qualsivoglia contenuto psicologico e descrittivo, rispetto a cui prevale un’anima più che altro meccanica, al servizio dei vincoli matematici di un procedere analitico. L’interpretazione iper-semplificata delle teorie di Adam Smith, secondo cui

l’autoregolazione dei mercati (la mano invisibile) garantisce, attraverso il perseguimento dell’interesse individuale dei membri di una collettività, il raggiungimento del massimo livello di ricchezza per la stessa, poggiava su un’idea di razionalità individuale assoluta, senza spazio alcuno per l’interazione. I modelli di Leon Walras, e non è un caso,

utilizzavano come esempio classico quello di Robinson Crusoe. La rivoluzione di Von Neumann e Morgenstern, padri della teoria dei giochi, aumenta la

complessità dell’analisi, pur rimanendo nell’ambito di una logica massimizzante dell’individuo.

“Lo studio della Crusoe economy e l’uso di metodi a essa applicabili è di valore molto più limitato di quanto sia stato finora creduto dai suoi più radicali critici. La ragione del suo limitato valore non sono le interazioni sociali, ma piuttosto il limitato valore della Crusoe economy che deriva dalle differenze concettuali tra il semplice problema della

massimizzazione fronteggiato da Crusoe e il ben più complesso problema di un individuo che deve confrontarsi con la strategia massimizzante di un altro individuo, facente parte del suo medesimo contesto sociale. ” (in Theory of Games and Economic Behaviour, 1944)

È sostanzialmente il contributo dato alla teoria della scelta razionale anche da John Nash: l’equilibrio che prende il suo nome fa riferimento all’esito di un gioco in cui nessuno dei soggetti ha interesse a modificare la propria strategia, a meno che non venga modificata la struttura di incentivi associata ad essa. Quest’idea di razionalità olimpica comincia a

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essere scardinata a metà del secolo XX°. Il merito degli studi pioneristici di Herbert Simon (1955), o di Jon Elster (1979), è quello

di mettere in discussione, appunto, il concetto stesso di razionalità. Il cervello umano comincia a essere trattato per quello che è: un organo con precisi limiti

di calcolo per quanto attiene alla capacità di elaborare informazioni. Le persone, nell’atto concreto di prendere una decisione, non rispondono a logiche ottimizzanti, ma seguono piuttosto euristiche. Significativi sono, in tal senso, lo studio del gioco degli scacchi, con l’introduzione della razionalità satisficing; o il self-commitment emblematico di Ulisse che, di fronte alle

sirene, si auto-limita conoscendo l’impossibilità di resistere razionalmente al loro canto. Su queste basi filosofiche, si innestano i primi esperimenti portati avanti da Maurice Allais

nel 1952, con il paradosso che da lui prende il nome e che mette in discussione la teoria dell’utilità attesa.

L’economista francese, durante un convegno a Parigi cui erano presenti i più brillanti ricercatori del tempo, tra cui lo stesso Morgenstern e Savage, sottopose ai partecipanti alcuni quesiti riguardanti lotterie dall’esito incerto. Il risultato importante fu che i

rispondenti non mostravano consistenza nelle loro risposte, con una sistematica violazione dell’ipotesi d’indipendenza tra le possibilità presentate. Per dirla grossolanamente, ma in modo comprensibile anche a un’audience meno tecnica, si trattava di un’embrionale evidenza del fatto che gli individui, contro le predizioni della teoria dell’utilità attesa, tendono a pesare diversamente eventi quasi certi ed eventi solo possibili, sottostimando

probabilità vicine a uno e sovrastimando, invece, probabilità prossime a zero. Allais non riscosse immediatamente l’attenzione che avrebbe, invece, ottenuto nei decenni

a venire. La prima reazione della comunità scientifica fu anzi quella, piuttosto consuetudinaria, di creare una batteria d’ipotesi ad hoc per “aggiustare” il tiro dell’utilità attesa,

salvaguardandone la validità di fondo. Negli anni vi furono tentativi di costruire teorie alternative, quali la regret theory di Sugden (1993) o la weighted utility theory di Chew (1979), sempre, però, rimanendo nell’alveo dell’ortodossia. Ma il paradigma della razionalità neoclassica cominciava a essere scardinato alle sue

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La teoria economica classica dipinge l’umanità come in grado di risolvere problemi di ottimizzazione dell’allocazione delle risorse, estremamente complessi. L’Uomo Economico è in grado di effettuare nell’ambiente in cui si trova, l’adattamento assolutamente migliore per i suoi bisogni e desideri. Se tutto questo fosse vero, l’uomo non sarebbe più tale. Il premio Nobel Herbert Simon è stato il primo a scuotere le acque della teoria economica, dimostrando che gli esseri umani non sono in grado di comportarsi come i soggetti

razionali descritti nei modelli teorici di scelta. Simon, pioniere nel campo dell’Intelligenza Artificiale, si accorse di questa incongruità,

mentre programmava un computer affinché “ragionasse” su un problema. Ciò che emerse dai suoi studi fu, che quando ci si trova davanti ad una questione

complessa, raramente troviamo la soluzione ragionando in modo chiaro e lineare. Piuttosto, procediamo a tentoni, cercando in modo un po’ casuale, fatti e informazioni

potenzialmente rilevanti, e normalmente smettiamo la nostra ricerca, una volta che la nostra comprensione del problema ha raggiunto un certo livello. Di conseguenza, le conclusioni cui giungiamo possono essere incoerenti, o del tutto sbagliate. Ciò nonostante, di solito otteniamo soluzioni, che seppur imperfette, possono funzionare: ci interessa cioè

trovare soluzioni soddisfacenti, non ottime. Al centro di questo modo di vedere le cose, sta il concetto di “razionalità limitata”, coniato

dallo stesso Simon, e che sta a testimoniare l’esistenza di limiti cognitivi del soggetto decisionale, limiti nella conoscenza e nella capacità di calcolo. Quando cioè una questione è molto complessa (come in genere lo sono le questioni che ci si propongono nella realtà, poiché infinite sono le variabili da tenere in considerazione), la raccolta di tutte le

informazioni può diventare troppo costosa. In questa condizione diventa irrazionale voler prendere una decisione secondo quanto

prescritto dai modelli più semplici della teoria della scelta razionale. Paradossalmente, diventa irrazionale voler essere completamente informati: di fronte a una situazione di scelta nella quale è impossibile ottimizzare, o dove il costo in termini di calcolo per farlo sembra oneroso, il soggetto di decisione può cercare un’alternativa soddisfacente anziché

ottimale. E’ il cosiddetto criterio di tipo satisficing. Le componenti psicologiche legate alla irrazionalità degli operatori/investitori e le

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Borsa è un "fenomeno" molto complesso ma prima di ogni aspetto è un fenomeno sociale, in quanto messo in atto da soggetti umani, e quindi va affrontato con metodologia

psicosociale, per cercare di arrivarne a capo e trarre conclusioni che ci possano essere di aiuto ai fini operativi.

Il mercato finanziario, a differenza della teoria, è caratterizzato da assenza di modelli dominanti. La pluralità delle opinioni genera comportamenti di massa e questi sono il risultato dei comportamenti di tanti individui: questi comportamenti che siano corretti o

meno dipende non dal mercato ma da noi, con il nostro "vissuto". Nella realtà gli investitori sembrano compiere sistematici errori di valutazione ed effettuare

scelte di investimento non massimizzanti. Infatti i mercati sembrano mostrare significativi e ripetuti allontanamenti dall'efficienza e non riflettono sempre il valore corretto delle attività finanziarie.

«Non è infatti possibile identificare con la ragione, perché l’uomo non è soltanto

ragionevole e non potrà mai esserlo. L’irrazionale non deve e non può essere estirpato. Gli dei non possono e non devono morire. Guai agli uomini che vogliono disinfettare

razionalmente il cielo.» (C.G. Jung).

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CAPITOLO 2

RAZIONALITA LIMITATA & FINANZA COMPORTAMENTALE 2.1 Razionalità limitata

Quando, nel 1833, Charles Babbage ideò la sua macchina analitica, era chiaro, dai suoi intenti, lo scopo di costruire un meccanismo in grado di sostituire quelle parti di lavoro mentale umano che sono ripetitive, ampliando così la capacità umana di svolgere calcoli razionali.

Ma la macchina analitica, oggi considerata il progenitore dell'elaboratore elettronico, fu ideata dal suo autore ad imitazione di un'altra macchina: il telaio Jacquard, dispositivo che rivoluzionò l'industria tessile nei primi anni dell'800, poiché permise di eseguire

automaticamente disegni tessuti di qualsiasi forma e colore.

Il dispositivo di Jacquard permise di sostituire lavoro umano con procedimenti automatici, e anche di ampliare le possibilità di produzione, superando i limiti precedentemente imposti dalla complessità del lavoro di tessitura manuale.

In entrambi i casi, macchine che possiamo considerare da un qualche punto di vista intelligenti svolsero un duplice compito nel processo di sviluppo industriale: sostituire lavoro umano e permettere di superare i limiti di capacità del lavoro umano ripetitivo, ampliando così la qualità e la quantità di ciò che è producibile.

Ma come è possibile che l'intelligenza che caratterizza lo svolgimento di un processo di lavorazione venga trasferita ad una macchina? Quale relazione vi è tra questo trasferimento e la divisione del lavoro? Che effetti hanno i fenomeni ora indicati sulla evoluzione di quegli organismi economici che chiamiamo imprese?

Sono domande che pongono al centro dell'interesse un argomento che per lungo tempo è stato trascurato nel mondo degli economisti teorici: il fenomeno dello sviluppo, o meglio dell'evoluzione delle economie industriali moderne.

Dopo la grande stagione del periodo classico, in cui tutti gli economisti di grande rilievo, da Adam Smith fino a Karl Marx, avevano posto al centro dell'analisi il problema dello

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sviluppo, la teoria dello sviluppo ha ricevuto contributi rilevanti quasi sempre e solo da economisti che, in qualche forma, non erano allineati con la ortodossia del paradigma vincente neoclassico; ciò vale anche per il presente.

Così, nel rileggere brani della teoria evolutiva dell'impresa, di R. Nelson e S. Winter ("An Evolutionary Theory of Economic Change", Belknap Press 1982), uno dei pochi approcci moderni ai problemi dello sviluppo, diviene palese il fatto che, nell'affrontare gli

interrogativi sopra elencati, gli autori debbono contrapporsi alla visione neoclassica standard.

Ciò perché in tale visione la divisione del lavoro e la sua automazione, il cambiamento delle tecnologie e delle forme organizzative, in una parola tutti i fenomeni tipici del mutamento economico sono considerati come elementi esogeni all'economia.

Va osservato che considerare esogeni tali elementi è una assunzione necessaria nell'ottica neoclassica; i comportamenti innovativi di individui ed imprese, che caratterizzano l'evoluzione economica, hanno infatti caratteristiche del tutto discordanti da quelle che la tradizione neoclassica attribuisce agli agenti economici.

Quest'ultima osservazione ci aiuta a comprendere la rilevanza del contributo che Herbert Simon ha portato all'analisi economica moderna: sviluppando una analisi approfondita del comportamento umano entro le organizzazioni, su una linea di analisi ben presto entrata in collisione con la tradizione, egli ha costituito un punto di partenza nuovo per l'analisi della evoluzione delle organizzazioni economiche (le imprese), e più in generale per lo studio dei fenomeni dello sviluppo.

Il punto che qui occorre porre in luce è il fatto che la linea di analisi simoniana rende possibile studiare il mutamento economico (strutturale) come fenomeno endogeno, intrinseco all'economia.

Per convincersene, basterà riprendere in esame le domande precedenti e tentare delle risposte servendoci della analisi di Nelson: come avviene la introduzione di una nuova macchina? Essa può avvenire allorché un determinato processo lavorativo è stato diviso in fasi ed operazioni distinte, e trasformato così in una procedura, o routine, che viene svolta da più individui cooperanti entro una organizzazione.

Progettata una certa divisione del lavoro, è possibile rendere automatiche parti delle sue fasi; deve esistere dunque una organizzazione entro la quale si elaborano nuove routines, allo scopo di superare i limiti imposti dalla scarsità delle risorse alle possibilità di sviluppo.

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Il carattere limitato delle risorse viene qui assunto come dato di partenza, ma

contemporaneamente la crescita dell'impresa come organizzazione, è determinata dal superamento dei limiti originari; la limitata abilità lavorativa, rendendo troppo costosa la produzione di tessuti di ogni tipo di disegno e colore, viene superata dalla introduzione del dispositivo di Jacquard, che attribuisce alle macchine la esecuzione del complesso compito di scegliere trame e colori.

L'inizio di spiegazione ora avanzato contiene diverse violazioni degli assunti neoclassici tradizionali: l'imprenditore non è un singolo agente che massimizza il profitto in base alla conoscenza di una tecnologia data: è una organizzazione che funziona in base a regole e routines interne, le cui decisioni non sono riconducibili al calcolo di un punto di ottimo, poiché le informazioni che permetterebbero questo calcolo non sono tutte disponibili; ed è proprio perché non sono disponibili le conoscenze sulle tecnologie future possibili, che l'attività di decisione diviene un processo di ricerca entro alternative costose i cui risultati non sono a priori conosciuti.

Il fondamento microeconomico tradizionale è così abbandonato, e sostituito da un punto di vista che costituisce il risultato di quella ampia riflessione sulla razionalità umana che dobbiamo ad Herbert Simon.

A partire dal suo pionieristico lavoro sul comportamento amministrativo degli anni '50, fino agli attuali studi sull'intelligenza artificiale, il nucleo centrale dell'interesse simoniano è centrato sull'analisi del comportamento umano in condizioni di scarsità.

Mentre nell'ottica neoclassica tale comportamento non può che essere ricondotto ad una scelta razionale sulla base di vincoli dati, Simon "scopre", tramite analisi empiriche, che è tipico del comportamento effettivo il tentativo di superare o eliminare gli elementi di scarsità che vincolano l'azione.

La scelta non è più, come nella tradizione, un atto, ma un processo in cui la vera risorsa scarsa è l'intelligenza.

In questo processo non è definito a priori un insieme di regole che permettano di giungere automaticamente al risultato desiderato: il problema è invece quello di trovare tali regole, di individuare una procedura adeguata, o satisficing.

La divisione del lavoro e la sua meccanizzazione(tipica della società moderna) non viene spiegata in alcun modo se ricorriamo alla immagine tradizionale dell'imprenditore razionale.

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Se qualche speranza di comprenderlo più a fondo sussiste, essa è certamente condizionata dalla possibilità di comprendere meglio la natura dei processi di analisi e decisione che avvengono entro le imprese e le organizzazioni sociali; e a questo scopo l'insegnamento di Simon costituisce una tappa obbligatoria.

In particolare, il decisore umano ha limiti perché ha:

• problemi di capacità di attenzione e limiti nel tempo a sua disposizione per decidere; • problemi di memoria: limitazioni nella capacità (quantitativa, di accuratezza e di velocità) di accumulo, ritenzione e recupero delle informazioni salienti;

• problemi di comprensione: limitazioni nella capacità di sintesi, di organizzazione, di connessione di informazioni;

• problemi di comunicazione.

La razionalità del decisore umana è dunque intenzionale e limitata.

Simon propone quindi di sostituire il modello uomo economico, perfettamente razionale, che interagisce con un mondo oggettivo, con il modello di uomo amministrativo,

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2.1.1 Osservazioni empiriche

L'esempio del gioco degli scacchi, che Simon analizza a fondo, contribuendo alla elaborazione degli attuali metodi di intelligenza artificiale per il gioco attraverso calcolatori, è una rappresentazione stilizzata di situazioni complesse in cui il comportamento umano è orientato alla ricerca di una procedura che permetta di raggiungere il risultato desiderato; un comportamento "ottimo" nel senso tradizionale consisterebbe nella adozione della strategia vincente, strategia che sicuramente esiste, ma che la nostra limitata razionalità ci impedisce di scoprire una volta per tutte.

L'approccio neoclassico, che assume una razionalità illimitata, è dunque irrealistico, secondo l'insegnamento di Simon; ma non si può ridurre a ciò il nucleo della sua critica perché in tal caso la sua analisi sarebbe classificabile come una mera variante

dell'approccio neoclassico, dotata al più di maggiore realismo.

Gli economisti che hanno assunto questa posizione interpretativa non si sono accorti che essa regge solo a patto di accettare una visione statica, immutabile, della vita economica. Se, invece, si assume al contrario che i sistemi economici evolvano, mutando nel tempo le loro caratteristiche strutturali, allora ci si accorge che, mentre la descrizione del

comportamento microeconomico che la tradizione neoclassica ci ha consegnato è del tutto inadeguata a spiegare come l'evoluzione avvenga, la descrizione simoniana è utilizzabile a questo scopo.

L'analisi del mutamento strutturale, dell'innovazione, può essere condotta, su un piano microanalitico, ricorrendo alla concettualizzazione simoniana.

E' proprio pensando alla scelta come ad un processo complesso di design che possiamo tentare di comprendere come vengano elaborate nuove strategie all'interno delle imprese e della mente umana, come vengano elaborate ed attuate le innovazioni.

La molteplicità di tematiche coinvolte dal concetto della Razionalità Limitata risiedono principalmente nella consapevolezza di un uso quanto mai esteso e residuale dell’oggetto teorico in questione.

‘Esteso’ in quanto esso investe un numero di discipline elevato, ‘residuale’ in quanto diventa il criterio che permea ogni contesto decisionale nel quale non si possa di fatto

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ricondurre il meccanismo di scelta a processi massimizzanti o di ‘migliore alternativa’ (Filippi, 1985).

Herbert Simon arriva a definire il sistema delineato dall’approccio comunemente utilizzato nello studio della scienza economica come “sistema artificiale”.

L'autore si riferisce ad un sistema estremamente semplice, dove un imprenditore mira a massimizzare i profitti confrontando la curva di costo, che collega la spesa in dollari al numero di “aggeggi” prodotti, a quella di ricavo.

L’obiettivo, ovvero massimizzare il profitto scegliendo quella quantità che porta alla differenza positiva più grande tra ricavo totale e costo totale, definisce completamente l’ambiente interno, mentre le due curve definiscono l’ambiente esterno a cui l’impresa si deve adattare.

Il tutto è condotto sempre secondo il principio di massima razionalità dell’imprenditore, definita “razionalità sostantiva”. Proprio questa, ovverosia l’obiettivo di massimizzazione del profitto, non è riscontrabile nella realtà, in quanto vige una perenne condizione di incertezza.

Ciò che invece gli studiosi dovrebbero considerare è, secondo Simon, un sistema economico incerto, soggetto ad un processo di adattamento e ad una condizione di razionalità procedurale.

Anche l'analisi del collega Alchian parte allo stesso modo da un’intuizione, di non poter, cioè, considerare valida un’impostazione basata sull’informazione completa e la certezza nella previsione.

Per Alchian la massimizzazione del profitto non è una linea guida per l’azione, in quanto nessuno riesce ad ottimizzare la sua situazione secondo questi diagrammi e questi concetti a causa dell’incertezza sia sulla posizione che sull’inclinazione delle funzioni di domanda e di offerta.

L’autore riesce a dimostrare la fondatezza dei suoi dubbi riprendendo la teoria di Gerhard Tintner, arrivando a proporre un approccio metodologico differente, basato sulle

interrelazioni tra ambiente e comportamento e su un meccanismo di selezione naturale. Agendo nell’ottica tanto criticata da Simon ed Alchian, ovvero quella di perfetta razionalità degli operatori, l’unica regola di equilibrio per le imprese è di produrre fino al punto in cui i costi marginali eguaglieranno i ricavi marginali. Questa prescinde dal contesto di

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