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Diffusione delle mafie in aree non tradizional

Nell’ultimo ventennio, alla crescita della presenza mafiosa nelle regioni di insedia- mento tradizionale si è affiancata un’espansione territoriale del fenomeno mafioso in altre aree del Mezzogiorno e in alcune zone del Nord e Centro Italia. In base ai contesti locali e ai meccanismi di diffusione, è possibile individuare diverse tesi e interpretazioni riguardanti le forme che può assumere l’espansione della criminalità organizzata in aree non tradizionali69.

La prima tesi da considerare è quella della non esportabilità della mafia, che ritiene il fenomeno mafioso riproducibile solo in presenza di determinate condizioni di contesto. In tale prospettiva, si cerca di cogliere le dinamiche di ciascuna organizzazione criminale in relazione al contesto di origine e di espansione.

Un’altra tesi è la cosiddetta metafora del contagio, «in base alla quale la mafia è vista come un fenomeno che si propaga per infezione in aree precedentemente immuni»70. In

questa prospettiva, la diffusione può essere considerata una conseguenza imprevista di

fatti demografici, come i movimenti migratori provenienti dal Sud Italia o l’invio al sog-

giorno obbligato di alcuni esponenti mafiosi in zone non tradizionali. Di conseguenza, essa viene immaginata «come una malattia contagiosa che si sviluppa attraverso agenti patogeni»71. Un caso particolare di espansione del modello mafioso basata sul contagio è

quello di Cosa Nostra americana, in cui il flusso migratorio diretto dall’Italia meridionale verso gli Stati Uniti ha rivestito un ruolo fondamentale. Tuttavia, questo flusso non deve essere inteso a senso unico, poiché si sono avuti anche effetti di ritorno dei gruppi mafiosi americani sulla terra d’origine72. La vicenda di Cosa Nostra americana testi-

monia che le zone di nuovo insediamento mafioso si incrociano con quelle tradizionali sull’asse dei traffici a lunga distanza di merci e persone.

Un gruppo di interpretazioni sui meccanismi di diffusione della criminalità orga- nizzata si basa sulle strategie di espansione messe in atto dagli attori. In tale ottica, si

69 Sulle tesi e sulle interpretazioni che saranno esposte cfr. R. Sciarrone, Le mafie dalla società locale

all’economia globale, in «Meridiana», n. 43, 2002, pp. 58-69; Id., Mafie vecchie, mafie nuove. Radicamento ed espansione, Donzelli, Roma 2009, pp. 113-153; Id., Tra Sud e Nord. Le mafie nelle aree non tradizionali, in

Id. (a cura di) Mafie del Nord. Strategie criminali e contesti locali, Donzelli, Roma 2014, pp. 5-38.

70 R. Sciarrone, Le mafie dalla società locale all’economia globale, cit., in «Meridiana», n. 43, 2002, p. 61. 71 Ibidem.

72 Sul caso americano si rimanda a S. Lupo, R. Mangiameli, Mafia di ieri, mafia di oggi, in «Meridiana», n. 7-8, 1990, p. 39.

possono distinguere tre forme principali di diffusione del fenomeno mafioso: 1) la colo-

nizzazione, cioè l’espansione su un nuovo territorio, che può essere basata sull’orga-

nizzazione del controllo territoriale o sulla pianificazione dei traffici illeciti; 2) l’imita-

zione, ossia «una sorta di riproduzione endogena, attraverso cui, in aree non tradizionali,

gruppi autonomi tendono a riprodurre modelli di azione e di organizzazione dei gruppi mafiosi di più antica origine»73; 3) l’ibridazione, che consiste nella graduale emancipa-

zione di un gruppo criminale dalla matrice originaria fino all’acquisizione di una forma di autonomia rispetto all’organizzazione di provenienza attraverso la valorizzazione di competenze, opportunità e risorse presenti nel contesto di nuovo insediamento. I casi concreti di espansione mafiosa derivano da una combinazione dei tre modelli descritti, uno dei quali risulta generalmente prevalente.

Nell’ambito della colonizzazione, per definire il caso di un’espansione mafiosa fondata sull’organizzazione del controllo territoriale si parla di radicamento, ossia di un insedia- mento stabile e consolidato che può realizzarsi in presenza di specifiche condizioni quando la mafia è insediata da molti anni su un certo territorio. Si usa invece il termine

infiltrazione per indicare una forma di presenza sul territorio che segue principalmente

la logica degli affari. In questo caso si collocano le organizzazioni mafiose che tendono a operare soprattutto nel campo dei traffici illeciti o a svolgere attività d’impresa in deter- minati ambiti o settori. Radicamento e infiltrazione non si escludono reciprocamente, anzi possono diventare due fasi distinte del processo di espansione nel caso di una si- tuazione in cui si passa dalla semplice presenza di malavitosi in traffici illeciti alla for- mazione di un insediamento stabile nel territorio.

Inoltre, bisogna fare una distinzione fra strategie di vera e propria espansione terri- toriale, che portano alla formazione di uno stabile insediamento mafioso, e strategie di penetrazione economico-finanziaria. L’espansione può avvenire attraverso la semplice estensione dei confini di una zona controllata da un’organizzazione mafiosa se il terri- torio contiguo non è controllato da un’altra cosca. In caso contrario, il processo espan- sivo può realizzarsi tramite un accordo tra le cosche o una guerra di conquista del terri- torio. L’infiltrazione dei mafiosi nel sistema economico-finanziario può avvenire invece attraverso innovazioni organizzative e produttive o accordi collusivi di tipo verticale tra gruppo criminale originario e gruppi insediati in specifici territori.

La colonizzazione di un nuovo territorio è spesso il risultato di un’azione intrapresa per altri fini, configurandosi ad esempio come conseguenza di un’estensione della rete dei traffici illeciti. Nelle aree non tradizionali il carattere di impresa può prevalere sulla dimensione di società segreta. Nelle zone di nuovo insediamento, infatti, «le organizza- zioni mafiose tendono inizialmente a controllare uno o più settori dei mercati illegali e successivamente possono specializzarsi nell’offerta di protezione su attività illegali svolte da altri soggetti criminali, per arrivare a stabilire, infine, qualche forma più estesa di controllo della comunità locale»74.

Le organizzazioni criminali tendono a seguire logiche di cartello, stipulando accordi che limitano la concorrenza e fissando regole per la divisione di determinate quote del mercato o la spartizione del territorio in zone di influenza. Di conseguenza, è possibile che gli stessi individui che inizialmente abbiano contribuito alla costruzione di un mer- cato nero decidano poi di lasciare ad altri la gestione diretta degli affari di questo mer- cato, limitandosi ad offrire un servizio di protezione. Quando vi sono condizioni favo- revoli, l’offerta di protezione può estendersi eventualmente anche ai mercati illegali, fino a divenire una forma di controllo del territorio. Ciò si è verificato, ad esempio, in molte aree non tradizionali del Nord e Centro Italia.

Meccanismi simili a quello indicato possono spiegare in molte situazioni il passaggio dal controllo dei traffici illeciti alla gestione delle attività economiche, legali e illegali, che si svolgono su un certo territorio. Nelle zone di nuovo insediamento dei mafiosi, le atti- vità dell’enterprise syndicate possono essere così intrecciate con attività riconducibili al

power syndicate. In questo caso, oltre ad usare la violenza in modo efficace e a control-

lare i criminali presenti nella zona, l’organizzazione mafiosa potrà cercare di raggiun- gere una serie di obiettivi, come: trovare qualche forma di gestione del mercato del la- voro; rendere visibile il potere dell’organizzazione; costituire rapidi canali di riciclaggio; organizzare attività di copertura per i componenti impegnati in determinate attività ille- cite. Il raggiungimento di tali obiettivi permette di fare il primo passo fondamentale verso una definitiva assunzione del controllo del territorio, anche se saranno necessarie altre condizioni, come ad esempio la presenza di una qualificata manodopera criminale, la possibilità di assicurarsi l’impunità e la capacità di stabilire rapporti di scambio con l’ambiente della politica.

La tesi di una strategia centralizzata di diffusione, come anche quella del «complotto», può essere ricondotta all’immagine della mafia come «piovra», che presuppone la possi- bilità di rappresentare in un’unica maniera qualsiasi forma di illegalità e di eversione dell’ordine costituito, o che ipotizza l’esistenza di un «grande vecchio», il quale guida da dietro le quinte oscure manovre e macchinazioni politiche. In tale prospettiva, la mafia è vista come una piovra che ha esteso i suoi tentacoli in ogni settore della società.

Per cogliere la rilevanza dei diversi meccanismi e del loro intreccio a vari livelli, è opportuno ricorrere a interpretazioni più complesse e articolate. Da questo punto di vi- sta, si ritiene che i processi di diffusione delle mafie in aree non tradizionali siano ca- ratterizzati dalla reciproca interazione di più fattori di diverso tipo. Uno di questi fattori è l’aspetto economico-finanziario dei processi di diffusione. Di solito, i mafiosi dispon- gono di consistenti capitali che derivano dalle loro attività illecite. Nonostante ciò, il mafioso non può essere considerato un soggetto finanziario molto rilevante dato che il potere all’interno di una cosca dipende soprattutto dalla violenza che si è grado di di- spiegare e dal rapporto con soggetti esterni, in particolare imprenditori e politici.

Nelle aree tradizionali, l’organizzazione mafiosa controlla saldamente il territorio e tende a intervenire prevalentemente nei settori più collegati alla realtà territoriale. Nelle zone non tradizionali, invece, i gruppi malavitosi tendono a controllare i traffici illegali che si svolgono tra diversi ambiti territoriali. Solo nella fase di espansione, dunque, la gestione dei mercati illegali può essere la principale attività economica.

La prima manifestazione della presenza di gruppi mafiosi in aree non tradizionali può assumere un carattere finanziario che si esplica nella circolazione di denaro liquido in quantità eccessive, in offerte di acquisto di attività commerciali, negozi o licenze a prezzi superiori a quelli di mercato, nell’apertura di società finanziarie in numero sproporzio- nato rispetto alle effettive esigenze o nella improvvisa trasformazione di società sem- plici in società a responsabilità limitata.

Un altro fattore da prendere in considerazione nello studio dei processi di diffusione della criminalità organizzata è il concetto di adattamento. Prendendo in prestito una ter- minologia sociologica, è possibile classificare i comportamenti adattativi in alloplastici,

autoplastici ed esotropici. I comportamenti alloplastici sono quelli «che tendono a inter-

venire sull’ambiente per modificarlo e adeguarlo ai propri caratteri»75. I comportamenti

autoplastici sono quelli che modificano azioni, strutture o risorse utilizzate per renderle adeguate a un certo ambiente. I comportamenti esotropici, infine, sono quelli che cer- cano di ottenere da un nuovo ambiente le risorse che non si riescono ad avere dall’am- biente originario.

Le regioni di origine dei mafiosi si connettono spesso con quelle di nuova espansione attraverso l’estensione della rete dei traffici illeciti. Mentre nelle aree tradizionali l’orga- nizzazione del controllo territoriale prevale nettamente rispetto alla programmazione dei traffici illeciti, nelle aree non tradizionali quest’ultima ha il sopravvento. In queste zone il mafioso può limitarsi ad agire solamente sui mercati illegali. In base alla sua estensione spazio-temporale, l’attività di un mafioso che opera sul mercato illegale «può essere occasionale o continuativa e può svolgersi nello spazio interno o in quello esterno in cui l’organizzazione-madre è localizzata»76.

Dal punto di vista spaziale, i processi di diffusione della criminalità organizzata pos- sono svilupparsi «non solo attraverso la logica del puzzle, per contiguità territoriale, ma anche attraverso la configurazione di nicchie favorevoli, con un’espansione a chiazze»77.

Le vicende relative alla criminalità organizzata in Puglia e in Basilicata e il caso del basso Lazio mostrano la rilevanza della contiguità territoriale rispetto alle aree tradizionali. In particolare, la camorra campana, le organizzazioni criminali pugliesi e la ‘ndrangheta ca- labrese hanno contribuito allo sviluppo di un gruppo criminale organizzato lucano: i Ba- silischi78. Il loro nome deriva probabilmente da quello di un film del 1963 diretto da Lina

Wertmüller, intitolato appunto “I Basilischi” e girato tra Puglia e Basilicata. L’associa- zione si costituì ufficialmente nel 1994, quando Giuseppe Morabito, noto boss ‘ndran- ghetista, concesse a Giovanni Luigi Cosentino, noto come «viso d’angelo», l’autorizza- zione a costituire la cosiddetta «Famiglia Basilischi», dotata di sue proprie caratteristi- che, membri e mercati. Come in altre organizzazioni mafiose, anche nella Famiglia Basi- lischi i membri dovevano pronunciare un giuramento di fronte ad altri affiliati. I mafiosi lucani si dedicavano ad attività tradizionali come il traffico di armi e droga e l’usura e ad attività più moderne e ricercate come lo smaltimento illegale dei rifiuti e il furto di ma- teriale radioattivo. Rituali di derivazione massonica, simboli oscuri e varie cerimonie di

76 Ivi, p. 142.

77 R. Sciarrone, Mafie vecchie, mafie nuove, cit., p. 151.

78 Sul caso della mafia in Basilicata si veda A. Sergi, Addio Lucania Felix. I Basilischi e gli ultimi 20 anni di

criminalità organizzata in Basilicata, in E. Ciconte (a cura di), Atlante delle mafie, vol. II, Rubbettino, So-

iniziazione costituivano il collante che teneva unita l’organizzazione. Grazie ad inter- cettazioni della polizia e all’intervento dello Stato, nel 1999 tutti i capi della Famiglia Ba- silischi sono stati arrestasti e sottoposti ad un procedimento giudiziario che si sarebbe concluso nel 2007 con una sentenza che avrebbe riconosciuto l’associazione mafiosa. Un altro aspetto importante è la dimensione demografica: alcune ricerche hanno evi- denziato che i comuni di piccola e media grandezza sono più predisposti all’insedia- mento mafioso rispetto ai grandi centri urbani. Il fattore demografico ha influito in modo determinante sulla diffusione delle mafie nelle regioni del Centro-Nord, e in particolare nelle città medio-grandi adiacenti ad aree metropolitane (come nei casi di Milano e To- rino) o collocate in una posizione strategica per il movimento di merci e persone (ad esempio l’estremo Ponente ligure).

Il caso più famoso nel Nord Italia è quello di Bardonecchia, sulle Alpi piemontesi, a po- chi chilometri dal confine con la Francia79. Nel 1995, il Comune di Bardonecchia è stato

sciolto dal governo centrale per infiltrazioni mafiose. Molti anni prima la ‘ndrangheta si era insediata nella cittadina piemontese sfruttando le opportunità di guadagno offerte dalla locale stazione di sport invernali. Il boss che aveva guidato l’ascesa della sua orga- nizzazione a Bardonecchia e, più in generale, nel Torinese durante il boom edilizio degli anni Sessanta era Rocco Lo Presti. Tra il 1969 e il 1983 si registrarono 45 omicidi di mafia nella cittadina piemontese. Una delle vittime fu il magistrato Bruno Caccia, ucciso la sera del 26 giugno 1983 mentre portava a spasso il suo cane.

I gruppi mafiosi possono insediarsi agevolmente in contesti caratterizzati da un buon livello di sviluppo economico, che in alcuni casi offrono occasioni favorevoli per realizza- re investimenti o per proporsi nel ruolo tradizionale di protettori e mediatori. Al tempo stesso, in situazioni di crisi economica, i mafiosi possono ricavare qualche vantaggio offrendo risorse finanziarie ad imprenditori in difficoltà o acquistando attività econo- miche dissestate allo scopo di effettuare operazioni di riciclaggio del denaro sporco. Un caso significativo di espansione legata allo sviluppo economico è quello di Reggio Emilia, dove nel 1982 ebbe inizio l’avvento della ‘ndrangheta con l’invio al soggiorno obbligato di Antonio Dragone, boss di Cutro (KR)80. Condannato a 25 anni di reclusione

per omicidio, Dragone entrò in carcere nel 1983 e vi restò per 20 anni. Nel periodo della

79 Il caso di Bardonecchia è esposto brevemente in J. Dickie, Mafia Republic, cit., pp. 107-111.

80 Su questo caso si rimanda a G. Vignali, Reggio Emilia, una piccola città emiliana, in E. Ciconte (a cura di), Atlante delle mafie, vol. II, cit., pp. 61-95.

sua detenzione, egli si comportò comunque da capobastone, influendo su Cutro e gui- dando le attività della sua ‘ndrina a Reggio Emilia. Il locale di ‘ndrangheta che si costituì nella città emiliana era composto da molti uomini che gestivano una serie di attività illecite, tra cui soprattutto il traffico di cocaina ed eroina. Dopo la prima ondata di inve- stimenti sulla droga, gli ‘ndranghetisti concentrarono la loro attenzione sull’edilizia. Questo cambio di direzione fu determinato dall’uccisione di Dragone nel 2004 e dal con- seguente passaggio del controllo degli affari a Reggio Emilia nelle mani di Nicolino Grande Aracri, divenuto il boss incontrastato di Cutro alla metà degli anni Novanta. Negli ultimi anni nella città emiliana si sono insediati anche i Casalesi, che hanno stretto un patto di non belligeranza con i calabresi. Recenti inchieste condotte in Emilia-Romagna rivelano che attualmente, a causa della crisi economica, i clan di Reggio si starebbero spostando su nuovi settori: i negozi di compravendita di oggetti preziosi, le slot machine e i piccoli istituti di credito.

Come in Emilia-Romagna, anche in Puglia gli appartenenti alle organizzazioni mafiose tradizionali hanno seguito, sin dall’inizio, strategie legate alle esigenze poste dalla ge- stione degli affari. L’obiettivo dei mafiosi operanti nella regione «non è tanto quello di imporre il controllo del territorio secondo le modalità sperimentate nelle zone d’origine, quanto piuttosto di riuscire a ottenere quel tanto di controllo dell’ambiente, soprattutto di quello criminale, necessario per svolgere con una certa tranquillità i traffici illeciti»81.

Il prossimo capitolo sarà dedicato allo studio delle principali organizzazioni mafiose pu- gliesi, che compongono il quadro di un’espansione a chiazze della criminalità organiz- zata in un’area contigua a quelle tradizionali. Alcune di queste organizzazioni si sono strutturate secondo il modello della «società segreta», mentre altre hanno fatto proprio lo schema dell’«impresa».

CAPITOLO II