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La Sacra Corona Unita: struttura e ritual

Scenari e strategie del crimine in Puglia

2.2. La Sacra Corona Unita: struttura e ritual

Nel 1983, il mesagnese Giuseppe Rogoli, già affiliato alla ‘ndrangheta, fondò all’in- terno del carcere di Bari una nuova organizzazione mafiosa: la Sacra Corona Unita (Scu). L’origine del nome è incerta: probabilmente, il termine si riferisce alle principali caratte- ristiche del sodalizio criminale (sacralità e unità) o al Sanfedismo filoborbonico6.

L’associazione creata da Rogoli con il sostegno di due boss ‘ndranghetisti (Umberto Bellocco e Carmine Alvaro) e di altri detenuti del carcere di Bari (Cosimo Cappellari, Giosuè Rizzi, Giuseppe Iannelli e Savino Parisi) era caratterizzata inizialmente da una compresenza di affiliati provenienti da ogni parte della Puglia. A differenza di quanto accadeva nelle cosiddette «mafie storiche» (camorra, mafia e ‘ndrangheta), appesantite da un eccessivo centralismo, nella Scu si riscontrava dunque «un inestricabile intreccio di relazioni tra famiglie, un mosaico variegato di clan tra loro autonomi, eppure coagu- lati in un’appartenenza comune»7.

L’esistenza di stretti rapporti di frequentazione e di collaborazione reciproca con al- cuni capibastone calabresi costituì effettivamente l’elemento cruciale che rese possibile la creazione di questa nuova realtà criminale. I boss pugliesi ricevettero dagli ‘ndranghe- tisti una sorta di investitura formale a operare autonomamente in varie attività illecite (contrabbando di sigarette, traffico di droga, estorsioni ecc.). Tale investitura era ricono- sciuta formalmente anche nello statuto di fondazione della Scu, rinvenuto nel 1984 nella cella del carcere barese ove Rogoli era rinchiuso. Dato lo stato di detenzione del leader del sodalizio pugliese ⎼ finito in carcere nel 1981 con una condanna ultraventennale per omicidio e rapina commessi a Giovinazzo (BA) ⎼ il compito di autorizzare la promozione degli affiliati da un grado all’altro dell’organizzazione gerarchica interna venne svolto proprio dai calabresi.

Uno dei tratti singolari della Sacra Corona Unita era l’incapacità dei suoi membri di mantenere un rigido segreto sull’esistenza dell’organizzazione. Già nel 1984 lo stesso fondatore, contravvenendo alle regole di qualsiasi setta clandestina, riconosceva da- vanti ad Alberto Maritati, giudice istruttore del Tribunale di Bari, l’esistenza di un’asso-

6 Sull’origine del termine cfr. N. Palmieri, Criminali di Puglia, cit., pp. 56-57; A. Apollonio, Storia della

Sacra corona unita. Ascesa e declino di una mafia anomala, Rubbettino, Soveria Mannelli 2016, pp. 43-44.

7 A. Apollonio, Sacra corona unita: riciclaggio, contrabbando. Profili penali economici del crimine im-

ciazione criminale nata in carcere per regolare e decidere alcune questioni insorte tra i detenuti.

Grazie ai tanti manoscritti rinvenuti dagli inquirenti all’interno del carcere di Bari, sappiamo che la Sacra Corona Unita si articolava in una serie di «doti» o gradi, simili a quelli della ‘ndrangheta. Innanzitutto, l’organizzazione era divisa in una «società mi- nore» e in una «società maggiore». Il grado più basso nella società minore era quello di «picciotto», al di sopra del quale stava il «camorrista». Dopo aver trascorso un certo periodo di militanza, l’iniziato poteva accedere alla società maggiore, e divenire così «sgarrista», per poi aspirare alla dote successiva, quella di «santista», che dava la possi- bilità di creare una propria famiglia e reclutare altri adepti. Coloro che deliberavano le decisioni più importanti per l’intera organizzazione ricoprivano le doti di «vangelo» e «tre quartino». Infine, vi erano i gradi di «crimine» e «crimine distaccato», che, nella ge- rarchia ‘ndranghetista, corrisponderebbero rispettivamente ai gradi di «diritto al meda- glione» e «diritto al medaglione con catena». Ovviamente, all’interno di questa struttura piramidale Rogoli occupava il vertice, equivalente al grado di crimine distaccato.

Il principio dell’inconoscibilità marcava nettamente la carriera criminale dell’affiliato: gli adepti appartenenti ai gradi minori non conoscevano l’identità dei loro superiori. L’affiliato che aveva ricevuto una determinata dote era individuabile attraverso dei simboli di riconoscimento, che consistevano in tatuaggi in diverse parti del corpo e pic- cole incisioni. Cosicché, quando la rosa venne scelta come simbolo della Scu, molti se la fecero tatuare sulla spalla o sul braccio destro. Sulla pelle dei mafiosi pugliesi venivano incisi anche elementi della simbologia marina (bussole da navigazione, navi corsare, ve- lieri) e segni minimali (una linea, un punto, piccole croci)8.

Tutte le cerimonie della Sacra Corona Unita prevedevano, come atto iniziale, il «batte- simo» del locale, ossia la purificazione dell’ambiente in cui si sarebbe svolto il rito vero e proprio. All’interno di questo luogo, il momento dell’affiliazione all’organizzazione ve- niva sancito da un giuramento di sangue basato su una formula, che sarebbe stata così strutturata: «Giuro su questa punta di pugnale di sangue di essere fedele a questo corpo di società formata da uomini attivi, liberi, franchi e affermativi, con tutte le regole e pre- scrizioni sociali. Giuro di sconoscere padre, madre, fratelli e sorelle, fino alla settima ge- nerazione. Giuro di dividere centesimo per centesimo, millesimo per millesimo come lo

8 Sui simboli di riconoscimento degli affiliati alla Scu cfr. M. Massari, La Sacra Corona Unita, cit., pp. 128- 129; A. Apollonio, Storia della Sacra corona unita, cit., pp. 47-48.

divisero i nostri vecchi fondatori della camorra: Conte Ugolino, Fiorentin di Russia e Ca- valier di Spagna: che nella mano destra impugnavano un pugnale che tagliavano e rin- tagliavano pelle, carne e ossa, fino all’ultima stilla di sangue. Giuro di mettere un piede nella fossa e l’altro nella catena per dare un forte abbraccio alla galera»9.

Un altro elemento caratteristico dei rituali adottati dalla Scu era l’uso di particolari oggetti simbolici, che rappresentavano veri e propri strumenti del rito10. Alla spilla con

cui si praticava l’incisione sulla mano o sul dito dell’iniziato e al santino raffigurante San Michele Arcangelo, si aggiungevano: i fazzoletti di seta bianca, che rappresentavano la purezza dell’animo dell’adepto; le sigarette, simbolizzanti i guadagni del sodalizio che dovevano essere divisi equamente; una pastiglia, che sarebbe stata utile per suicidarsi in caso di violazione dei principi di fedeltà; un fucile, simbolo della punizione dell’affiliato traditore; un limone, che serviva a guarire le ferite, e un batuffolo di cotone, che, secondo la leggenda, rappresentava il Monte Bianco, luogo ritenuto sacro.

Nei riti d’iniziazione e nelle regole contenute in codici sociali o statuti dell’organizza- zione vi è un’abbondanza significativa di riferimenti religiosi, immagini simbolico-esote- riche, parole ed espressioni di difficile comprensione, avvolte nel mistero. Il significato profondo di questo patrimonio culturale deve essere ricercato in una «dimensione psi- cologica» che ha assunto nella Scu un ruolo fondamentale nel processo di costruzione di un’identità in cui sono coinvolti i singoli affiliati e l’associazione nel suo complesso. In sostanza, questo apparato simbolico-rituale ha fornito al sodalizio un’occasione per pre- sentarsi come un’organizzazione forte, potente e ramificata sul territorio agli occhi dei suoi affiliati. Il contemporaneo bisogno di libertà e di relazioni esterne che caratterizza ogni società segreta, si è espresso nella Scu tramite una peculiare sottolineatura degli aspetti esteriori tipici della forma rituale.

Il caso della Sacra Corona Unita rivela dunque con estrema chiarezza che un’associa- zione criminale, oltre a cercare di risolvere problemi relativi alla sua sopravvivenza e alle strategie da seguire, sente «la necessità di importare dall’esterno e di adattarli alle sue esigenze non solo modi specifici di organizzazione interna, ma anche simboli, rituali, miti, elementi cioè, attraverso i quali l’organizzazione si racconta a se stessa, definendo,

9 La formula del giuramento di affiliazione è riportata in: Corte d’Assise di Lecce, Sentenza contro De

Tommasi Giovanni più 133, 23 maggio 1991, pp. 368-369.

10 Gli oggetti simbolici utilizzati durante i rituali sacristi sono elencati in M. Massari, La Sacra Corona

Unita, cit., pp. 129-130; Id., Mafie, culture e identità plurali: il caso della Sacra Corona Unita, in A. Dino, L.

contemporaneamente, i suoi confini rispetto a forme meno strutturate di agire crimi- nale»11.

Nella sentenza del primo maxiprocesso alla Scu è riportato un episodio che appare, in tal senso, significativo. Si tratta del tentativo, mai realizzato, di costituire a Taranto un gruppo criminale legato all’organizzazione salentina e denominato «Il Drago»12. La

vicenda è ricostruita attraverso la corrispondenza tra due imputati, Vincenzo Fella e Fer- dinando Porcelli. Fella, che avrebbe dovuto guidare il gruppo tarantino legato alla Sacra Corona Unita, venne subito messo al corrente dei complessi rituali della Scu. Allo scopo di dare legittimità al nuovo gruppo, egli avrebbe dovuto, infatti, compiere una serie di rituali divenendo, al contempo, depositario della «religione», ossia l’insieme di regole, simboli e procedure tipici della Sacra Corona Unita. Inoltre, avrebbe dovuto stringere rapporti stabili con politici e magistrati, allo scopo di garantire le necessarie coperture istituzionali. Contemporaneamente, Fella e la Scu sarebbero rimasti legati da rapporti di interesse nell’ambito di affari illegali (in particolare lo spaccio di droga).

Come si è già detto, la Sacra Corona Unita è stata una «federazione» tra vari clan pu- gliesi, non un unico blocco criminale. Nella seconda metà degli anni Ottanta, alcune asso- ciazioni si sono «staccate» dall’organizzazione-madre per rendersi autonome o si sono formate in un contesto diverso per poi aggregarsi al sodalizio sacrista. Inoltre, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta in Puglia c’erano gruppi criminali che si muovevano in piena autonomia. Esamineremo ora queste diverse forme associative di stampo mafioso presenti nelle province pugliesi evidenziandone le caratteristiche e le principali attività.

11 M. Longo, Sacra Corona Unita. Storia, struttura, rituali, Pensa Multimedia, Lecce 1997, p. 118. 12 Cfr. Corte d’Assise di Lecce, Sentenza contro De Tommasi Giovanni più 133, cit., pp. 78-85.

crimine

trequartino

vangelo

santista

picciotto

SOCIETÀ MAGGIORE SOCIETÀ MINORE

Fig. 1. La gerarchia della Sacra Corona Unita crimine

distaccato