A partire dagli anni ’80, le economie occidentali sono state caratterizzate da una crescita esponenziale e da una sempre maggiore propensione alla globalizzazione. Questi fenomeni sono stati significativi in quanto hanno segnato la linea di demarcazione tra una visione “tradizionale” dell’economia ed una invece più “moderna”.
Tradizionalmente il processo produttivo della quasi totalità delle realtà imprenditoriali occidentali, restava circoscritto allo Stato di appartenenza per tutto il suo corso e cioè dalla fase di approvvigionamento delle materie prime fino a quella di vendita al consumatore finale.
Questa concezione è stata progressivamente superata e si può affermare che il momento in cui la procedura di modernizzazione ha avuto inizio coincide con quello in cui le aziende (inizialmente i detentori di grandi quantità di capitale ma successivamente anche le realtà più modeste), hanno cominciato a terziarizzarsi, a de-industrializzarsi ma soprattutto a spostare la fase di produzione nei paesi del far east.
Questo cambiamento è stato il frutto di alcuni fenomeni economici come il dumping salariale ed ha portato in breve tempo alla generazione di una ricchezza fino a quel 42
momento impensabile.
Le aziende sono riuscite perciò ad ottenere grandi margini di profitto grazie alle favorevoli condizioni economiche, che consentivano di produrre i medesimi beni ma a prezzi considerevolmente inferiori.
Una volta però raggiunta la saturazione produttiva però, i capitali così generati, sono progressivamente rientrati nei circuiti della finanza occidentale chiudendo il cerchio venutosi a creare. 43
Per dumping salariale si fa riferimento allo sfruttamento da parte delle imprese di squilibri
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tra nazioni sul costo del lavoro per ottenere vantaggi reddituali.
Orlandini G. (2017), “Distacco transnazionale e dumping salariale nell’Unione europea”. Cfr. Klein N. (2008), “Shock Economy, l’ascesa del capitalismo dei disastri”, Edizioni BUR.
Non potendo più sfruttare questo meccanismo legato al dislocamento di unità produttive, molti soggetti hanno cercato nella finanza una nuova realtà da cui trarre profitti, dando così vita ad un nuovo fenomeno: la finanziarizzazione dell’economia. Con questo termine si fa riferimento ad uno “schema di accumulazione” in cui i profitti derivano in misura sempre maggiore dai canali finanziari piuttosto che dalla produzione e dal commercio di beni sul mercato. In sostanza si tratta di creare 44
denaro dal denaro stesso.
Gerald Epstein, noto economista americano, definisce la “finanziarizzazione” come il ruolo crescente dei movimenti finanziari, dei mercati finanziari, degli attori finanziari e delle istituzioni finanziarie nel funzionamento delle economie nazionali ed internazionali. 45
Con l’affermarsi di questo novo fenomeno un numero sempre maggiore di soggetti ha iniziato ad avvicinarsi al mondo della contrattazione di titoli e, anche grazie alla riduzione dei costi di transazione, ciò ha portato alla diffusione ed affermazione dei derivati su larga scala. 46
Se da un lato i derivati sono strumenti finanziari ideati e progettati con il preciso scopo di offrire ai propri acquirenti un vantaggio in termini di risk management, dall’altro è innegabile che le caratteristiche che essi possiedono sono un elemento determinante che ha permesso loro di espandersi a livello globale.
Infatti, come già spiegato nei precedenti paragrafi, la conformazione stessa di questi contratti ben si presta al conseguimento di obiettivi differenti rispetto a quello della mera copertura dei rischi economico-finanziari e le difficoltà valutative connesse alla complessità crescente degli strumenti presenti sul mercato non ha fatto altro che accrescerne la diffusione per fini speculativi e di arbitraggio.
Krippner G.R. (2012), Capitalizing on Crisis: The Political Origins of the Rise of Finance,
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Cambridge, MA, Harvard University Press.
Esptein G. (a cura di) (2005), Financialization and the World Economy, Edward Elgar
45
Publishing.
Cfr. Angiuli G. (2013). Il ruolo dei derivati finanziari nell'economia globale e nello scenario
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Inoltre, se in un primo momento i derivati sottoscritti dagli operatori potevano essere considerati “elementari”, il passare degli anni ha dato vita ad una serie indefinita di variazioni e combinazioni degli stessi, che ha portato alla quasi impossibilità anche solamente di riuscire a classificarli in maniera definita e definitiva. 47
Dunque la reale motivazione alla base della diffusione così repentina di questi strumenti finanziari è da ricercarsi nella possibilità da parte degli operatori di sfruttare la leva finanziaria.
I contratti derivati, infatti, consentono all’investitore di acquistare o vendere attività finanziarie per un ammontare superiore al capitale realmente posseduto e, per questo motivo, di beneficiare grazie all’effetto leva di un rendimento potenziale maggiore rispetto a quello derivante da un investimento diretto nel sottostante. 48
Ad esempio, si consideri un operatore che decide di investire andando ad acquistare un’azione di una società. Nel fare questo investimento, egli si trova di fronte a due possibili alternative: la prima opzione consiste nel limitarsi ad effettuare il normale acquisto dell’azione mentre la seconda consiste invece nell’acquistare un contratto derivato il cui sottostante è l’azione stessa.
Qualora l’operatore si limiti ad acquistare l’azione, in un primo momento (tempo 0) egli dovrà effettuare un esborso monetario per ottenerne la proprietà, ma successivamente (tempo 1), nel caso in cui il valore di questa azione si riveli aumentato, egli conseguirà un profitto.
Se invece l’operatore sceglie la seconda opzione a disposizione e quindi va a sottoscrivere un contratto a termine sull’azione stessa, egli ottiene il medesimo effetto finanziario (cioè un profitto nel caso in cui il valore dell’azione abbia un incremento), ma, non avendo avuto l’uscita monetaria iniziale, egli è esposto solamente al rischio relativo all’andamento del prezzo.
In questo modo l’operatore, ha la possibilità di aumentare il numero di posizioni aperte senza dover incrementare in modo proporzionale il capitale investito.
op.cit. Girino E. (2010)
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Glossario finanziario, borsaitaliana.it
Grafico n.6 49
Azione vs Derivato
Grazie a questo meccanismo, più che ad una lenta e progressiva propagazione diei derivati, i mercati mondiali hanno invece assistito e sono stati luogo di un uso smodato degli stessi.
A tal proposito, sebbene la quantificazione del numero di derivati in circolazione sia un compito tutt’altro che semplice, alcuni recenti studi sono riusciti a dare un’indicazione approssimativa della portata di questo fenomeno.
Secondo l’ESMA (European Securities and Markets Authority) ovvero l’autorità indipendente che contribuisce alla salvaguardia della stabilità del sistema finanziario dell’Unione Europea, il valore nozionale dei contratti derivati della sola area UE a fine 2018 risultava essere pari a 735tn € (ovvero 735 mila miliardi di euro) con un aumento rispetto all’anno precedente dell’11%. 50
Questo valore complessivo è così ripartito in base alla natura del sottostante: la parte predominante è relativa agli IRDs ovvero gli Interest Rate Derivatives, che
Personale elaborazione;
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Cfr: (2018), La gestione dei rischi, lezioni 13-14 del corso Politiche Finanziarie e Strategie di Investimento, unive.it
ESMA (2019), ESMA Annual Statistical Report, EU Derivatives Markets
rappresentano il 76% dell’ammontare nozionale totale; circa il 15% è invece la quota di spettanza dei derivati valutari; si ferma al 9% la totalità dei contratti derivati su equity, credito e commodities.
Grafico n.7
Total notional amount by asset class (fonte: ESMA Annual Statistical Report)
Oltre all’ESMA, è importante tener conto anche di un’altra autorità in materia, la BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali) secondo cui l’ammontare di contratti derivati oggetto di contrattazione nei mercati europei rappresenta meno di un quarto della totalità mondiale .51
Considerando simultaneamente il valore ipotizzato dall’ESMA e l’assunzione elaborata dalla BRI, il valore complessivo globale che si ottiene risulta di poco inferiore ai 3.000tn € (3 milioni di miliardi di euro).
Riuscire a comprendere e razionalizzare questa cifra valutandola singolarmente è sicuramente difficile, se non addirittura impossibile, in quanto essa si discosta
Cfr. Olivieri A. (2018), Banche, allarme derivati: valgono 33 volte il PIL mondiale,
51 ilsole24ore.com 1% 2% 6% 15% 76%
Interest Rate Currency Equity Credit Commodity
fortemente dalle grandezze di misura che siamo abituati a conoscere e riconoscere nella realtà quotidiana.
Per essere in grado di elaborare un’opinione soddisfacente in merito, infatti, è necessario rapportare questa cifra ad un altro importo significativo.
Ad esempio, se il valore ottenuto viene rapportato a quello del GDP (Gross Domestic
Product o PIL) globale dello stesso anno, ovvero il 2018, pari a circa 86tn € , ci si 52
rende conto che, secondo le congetture effettuate, il valore dei derivati in circolazione risulta essere circa 34 volte maggiore rispetto a quello totale dei beni e servizi prodotti in un anno e quindi della ricchezza annua generata a livello mondiale.
Questa sbalorditiva relazione oltre a destare stupore per la sua immensità e curiosità verso la conoscenza profonda dei motivi che l’hanno generata, non può che provocare anche preoccupazione per il futuro, tenuto conto degli incrementi percentuali annui che, come detto poc’anzi, non accennano a diminuire.
World Bank national accounts data, and OECD National Accounts data files.
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