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IL FAIR VALUE, LA SUA GERARCHIA E LE DIFFICOLTÀ NEL PROCESSO DI VALUTAZIONE

II LA CONTABILIZZAZIONE DEI DERIVATI E LA DISCLOSURE DI BILANCIO

II.III IL FAIR VALUE, LA SUA GERARCHIA E LE DIFFICOLTÀ NEL PROCESSO DI VALUTAZIONE

Come accennato nei precedenti paragrafi, l’obbligo di iscrizione dei derivati al fair

value, previsto dalla normativa contabile nazionale, viene esteso anche ad una

categoria particolare di derivati, cioè i cosiddetti “derivati incorporati” ; questi sono accordi contrattuali composti da un contratto principale (ospite) a cui ne viene “agganciato” uno secondario di natura derivata.

Garesio G. (2016), “Il recepimento della Direttiva 2013/34/UE: il progressivo allineamento

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delle disposizioni contabili racchiuse nel Codice Civile ai principi IAS/IFRS”. Rivista Orizzonti

Per quanto riguarda questa tipologia di strumenti, la regola vuole che il management vada a scorporarli per poi procedere alla loro valutazione separata, ma ciò risulta essere possibile unicamente nel caso in cui vengano rispettati due specifici requisiti obbligatori :70

1. Le caratteristiche economiche ed i rischi del derivato incorporato non sono strettamente correlati alle caratteristiche economiche ed ai rischi del contratto primario;

2. il contratto soddisfa tutti gli elementi caratterizzanti la definizione di derivato presentata al par.11 del suddetto principio.

Benché inizialmente l’utilizzo dei “derivati incorporati” avvenisse in modo sporadico, in quanto reputati eccessivamente complessi, nel tempo questi strumenti, frutto dell’ingegneria finanziaria, sono diventati sempre più frequenti nella prassi comune. Ciò non si è rilevato privo di conseguenze, ma anzi tali strumenti hanno comportato l’insorgere di problematiche non solo di carattere contabile ma anche valutativo. Oltre al crescente utilizzo dei “derivati incorporati”, l’aumento del grado di complessità dei derivati in circolazione è riconducibile allo sviluppo dell’ingegneria finanziaria e delle sue tecniche.

Ciò ha portato alla creazione di un gran numero di derivati definiti “esotici” per la componente di creatività che li contraddistingue e che ne ampia il divario con i derivati denominati “plain vanilla” per la loro semplicità e per la standardizzazione delle condizioni su cui si basano.

nella prassi comune i contratti derivati “esotici” sono frutto di una progettazione “su misura” (tailor-made derivatives), a seconda delle esigenze dell’acquirente. Proprio per questo motivo, essi vengono scambiati al di fuori dei mercati regolamentati, a differenza di quanto accade invece quando si ha a che fare con derivati con caratteristiche standardizzate. 71

OIC 32 par.42 pp.9

70

(s.d.) “I contratti derivati: rilevazione e modalità di esposizione in bilancio”,

71

Questo ha contribuito allo sviluppo esponenziale dei mercati OTC (Over The Counter) nei quali, ad oggi, avviene la gran parte della compravendita di strumenti finanziari derivati. 72

Inevitabilmente, come detto poc’anzi, si sono registrate difficoltà in sede di valutazione degli strumenti finanziari derivati da parte delle imprese sottoscrittrici che hanno spinto il Legislatore ad intervenire direttamente per definirne un “workflow” operativo per il management societario.

Si è giunti pertanto alla definizione di una gerarchia del Fair Value, mutuata dall’IFRS 13, ovvero di una suddivisione di questi contratti sulla base degli input utilizzati nella fase di valutazione degli stessi.

• Il Fair Value di Livello 1, fa riferimento a tutti quei contratti scambiati su mercati regolamentati e per i quali, perciò, è facilmente individuabile un mercato attivo. 
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Per quanto riguarda questa particolare fattispecie contrattuale non è difficile individuare il valore equo dei derivati, in quanto tale importo coincide esattamente con l’ultimo prezzo a cui tali contratti vengono scambiati sul mercato di riferimento.
 In questo caso gli input utilizzati derivano direttamente dal mercato e ciò li rende esenti da possibili bias cognitivi che potrebbero inficiare una valutazione reale ed efficiente da parte del management; questi input vengono quindi definiti come “Mark-to-market”.

• Scendendo lungo la catena gerarchica, il Fair Value di Livello 2 si riferisce a tutti quei contratti per i quali non è possibile rinvenire uno strumento esattamente uguale sul mercato (come avviene per il Livello 1), ma per i quali sono rintracciabili componenti o contratti similari a quello posseduto.


In questo caso, la valutazione del derivato non avviene per via diretta, ma piuttosto viene eseguita indirettamente, procedendo per derivazione a partire dal valore dei

Signorini L.F. (2015), “Indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati”, Testimonianza

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del Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, pp.5

Un mercato è attivo quando le quotazioni riflettono normali operazioni di mercato, sono

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prontamente e regolarmente disponibili e rappresentano effettive e regolari operazioni di mercato.

relativi componenti o strumenti analoghi. 
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Gli input utilizzati per il calcolo di questo livello di Fair Value vengono definiti “Mark-

to-matrix” in quanto riescono a fornire una misura del valore equo degli strumenti

solamente dopo aggiustamenti ed elaborazioni da parte del management.

• In ultima istanza, qualora non sia possibile procedere con il calcolo del Fair value di livello 2, si deve procedere alla stima di quello di livello 3, che occupa l’ultimo gradino della gerarchia prevista dal Legislatore nazionale.


In assenza di un mercato attivo e delle relative informazioni, idonee alle due fattispecie sopra enunciate, il calcolo del valore equo deve passare necessariamente attraverso l’applicazione di “modelli e tecniche di valutazione

generalmente accettati”. 
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Queste tecniche, seppur non desumibili direttamente da parametri di mercato, devono essere in grado di assicurare una ragionevole approssimazione del valore equo dello strumento posseduto.


Gli input di terzo livello vengono definiti anche “Mark-to-model” in quanto, oltre a dover tenere in considerazione le assunzioni che altri operatori di mercato farebbero in sede di valutazione dello strumento in questione, prima di restituire un valore di

fair value devono necessariamente essere inseriti in modelli matematici elaborati

dalla stessa impresa.


Nel caso in cui un derivato venga valutato in un primo momento tramite i prezzi di mercato (fair value di livello 1), ma nei successivi esercizi non sia più possibile dare continuità a questo metodo valutativo a causa di mutamenti intercorsi e quindi si debba procedere con l’utilizzo di modelli matematici (fair value di livello 3), questi devono essere strutturati in modo tale da poter restituire, alla data di prima iscrizione, un valore in linea con quello desunto in precedenza dal mercato.


Questa precisa indicazione, contenuta nell’OIC 32, mira infatti all’eliminazione di possibili asimmetrie che potrebbero presentarsi nella determinazione del valore di

Devalle A. (2018), “Derivati e OIC 32: Problematiche civilistiche e fiscali”

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OIC 32, Appendice B, par.b10, pp.34

un contratto derivato in seguito alla modifica degli input utilizzati per la sua determinazione.

Vista la particolare attenzione posta dal Legislatore in merito alla valutazione di questi strumenti, corroborata anche dagli esempi proposti in calce al principio emanato, è da ritenersi un’assoluta eccezione l’impossibilità di ottenere, indipendentemente dalle metodologie adottate, una stima attendibile di fair value.

L’ampia articolazione delle indicazioni fornite in merito, è volta infatti al superamento anche delle situazioni più critiche e complesse allo scopo di garantire a qualsiasi strumento derivato, a prescindere dalla sua complessità intrinseca, una veritiera e corretta esposizione all’interno del bilancio d’esercizio.

Nel caso in cui, dopo tutte le analisi effettuate, si arrivi alla conclusione che nessun metodo valutativo permetta di giungere ad una stima attendibile del valore equo dello strumento posseduto, allora si dovrà procedere con la descrizione delle sue caratteristiche in Nota Integrativa, accompagnata dalle motivazioni che hanno portato a ritenere la sua stima inattendibile. 76

Più probabile è invece il caso in cui il management, sfruttando l’arbitrarietà delle procedure previste dalla normativa oppure commettendo errori di misurazione non intenzionali, possa non rappresentare i derivati in bilancio in modo accurato.

Come accennato in precedenza, scegliere di utilizzare i prezzi di mercato per calcolare il fair value di livello 1, rappresenta senza dubbio la migliore metodologia per giungere alla determinazione del valore equo di un derivato, sebbene la sua applicabilità risulti limitata agli strumenti contrattati nei mercati regolamentati.

Per tutti gli altri strumenti si rende necessario, anche se in modi e forme differenti, l’intervento da parte del management societario per rintracciare i dati da utilizzare per le analisi e successivamente per elaborarli al fine di ottenere un valore che possa rappresentare con buona approssimazione quello reale del contratto posseduto.

In merito si era già espresso l’OIC 3, il nuovo principio contabile n.32 ripropone la stessa

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impostazione prevedendo l’esposizione delle motivazioni in Nota Integrativa. OIC 32, par.15, pag.112

Di conseguenza, scendendo lungo la linea gerarchica delineata dal Legislatore, è inevitabile che il grado di affidabilità dei risultati ottenuti in sede di calcolo di fair value diminuisca.

Lo stesso Warren Buffet, è arrivato a soprannominare il “Mark-to-model” come “Mark-to-myth” sottolineando proprio come la valutazione arbitraria a cui sono sottoposti questi derivati esotici possa portare a distorsioni in sede della loro valutazione. 77

Grafico n.8 78

Fair Value Hierarchy

Level 1

Mark-to-Market Level 2 Mark-to-Matrix Level 3 Mark-to-Model

Description Assets with observable market pricing.

Assets with inputs based on observable market prices.

Not based on market prices, but rather management estimates.

Valutation Precision Most Less Least

Hyman M.H. (2006), “New Ways for Managing Global Financial Risks: The Next

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Generation”, pp.60, Wiley Finance.

Personale elaborazione

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Cfr. Beder T.S., Marshall C.M. (2011), “Financial Engineering: The Evolution of a Profession”, Kolb Series In Finance