Prima di dedicare l’attenzione all’esame del Regolamento (CE) n. 2201/2003, che costituisce l’atto comunitario di importanza determinante per l’individuazione delle norme predisposte alla disciplina dell’affido dei minori di età, occorre soffermarsi sulla descrizione della condizione dei fanciulli, nella famiglia, a livello internazionale. In particolare è importante enunciare quali sono i diritti tutelati in ambito europeo e quali i valori che, concretamente, dovrebbero guidare le autorità giudiziarie chiamate a decidere nelle situazioni di dissolvimento dell’unione di coppia fra i genitori e quindi in quelle particolari circostanze in cui i minori necessitano di maggiore protezione.
Il mondo dell’infanzia, dell’adolescenza e della gioventù vive nel presente profonde tensioni che dipendono da molteplici fattori: l’evoluzione degli stili di vita, dei costumi,
44 La Convenzione di Bruxelles del 1968 è stata trasfusa nel Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, riguardante la competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; tale documento normativo, analogamente alla Convenzione del 1968, disciplina le obbligazioni alimentari.
45 Del Regolamento (CE) n. 2201/2003 si tratterà approfonditamente in seguito.
46 J.LONG, Il diritto italiano della famiglia alla prova delle fonti internazionali, cit., p. 29 ss.
135 delle relazioni sociali, dei modelli educativi; le trasformazioni della famiglia, la sua crescente fragilità; il fenomeno dell’immigrazione; la mobilità dei singoli e delle coppie, che oggigiorno non conosce più confini.47 Coloro a cui è demandato il compito di formulare le regole indirizzate alla disciplina dei rapporti parentali in ambito europeo, si trovano a dover fare i conti con un universo complesso al cui interno le dinamiche che interessano le singole unità familiari si inseriscono in una estesa rete di relazioni sociali della quale spesso risulta difficile comprendere il funzionamento. Consapevoli delle differenze che intercorrono fra i modelli familiari esistenti nei varii Paesi del Vecchio continente, ancora più complesso per i policy maker risulta il percorso indirizzato alla realizzazione di uno spazio giudiziario comunitario in cui i minori, all’interno delle cellule sociali fondamentali, siano soggetti allo stesso regime di tutela in ogni Stato membro.
Riflettendo sulle profonde trasformazioni che hanno investito la condizione del fanciullo nei suoi rapporti con l’universo degli adulti, sono noti i profondi cambiamenti che hanno investito la condizione del minore nella famiglia e nella società nell’ultima metà del secolo scorso. A partire dal secondo dopoguerra, in ambito internazionale e nel diritto interno, si assiste al passaggio ad una nuova concezione del minore inteso come
“persona”, titolare di diritti pienamente tutelati nell’ambito della famiglia e della società. Questo processo prende l’avvio con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, cui fanno seguito la Dichiarazione dei diritti del fanciullo approvata dal medesimo Organo il 20 novembre 1959, fino alla più recente Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo adottata dall’Assemblea Generale il 20 novembre 1989. Anche in ambito europeo si affermano i diritti del minore nella famiglia e nella società (v. art. 8 Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, Roma, 1950; Carta sociale europea, 1961; art. 24 Patto internazionale sui diritti civili e politici, 1966; Convenzione di Strasburgo sui diritti del fanciullo del 1996), e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza, 2000, ora Trattato costituzionale di Lisbona) si enunciano, all’art. 24, i fondamentali “diritti del bambino” ed il loro carattere “preminente” su
47 G.FERRANDO, I diritti dei minori nella famiglia in difficoltà, cit., p. 1174.
136 quello degli adulti 48 e nello stesso tempo si afferma il diritto dei genitori ad educarli ed istruirli (art. 14).49
I minori sono quindi titolari dei diritti che gli strumenti internazionali riconoscono specificatamente loro, a causa della condizione di immaturità fisica e psichica, che li ostacola nella cura degli interessi di cui sono portatori e che li rende meritevoli di una tutela “particolare”. Questa protezione speciale si realizza da un lato riconoscendo ai minori alcuni specifici diritti che, per loro natura, riguardano esclusivamente questo gruppo di soggetti; dall’altro lato specificando e adattando alla peculiare situazione del minore i diritti che gli strumenti internazionali generali in materia di diritti umani riconoscono ad ogni persona.50
Dall’analisi dei documenti menzionati emerge un comune denominatore che li unisce e al contempo li indirizza verso un obiettivo condiviso. L’interesse del minore (il noto best interest of the child) costituisce oggi in tutti i paesi di matrice culturale europea il criterio-guida che informa l’intero diritto minorile, inteso come l’espressione delle norme che attuano il diritto del fanciullo ad una speciale protezione.51 L’interesse del minore fonda anzitutto il riconoscimento al bambino di specifici diritti e la predisposizione di valide garanzie sostanziali e procedurali astrattamente idonee a realizzare queste prerogative. Esso, inoltre, deve guidare il singolo operatore, in relazione ai casi concreti sottoposti alla sua attenzione, nell’interpretazione del diritto e nell’individuazione delle soluzioni da adottare. Grazie alla sua formulazione generica, la
48 Art 24: “I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente. Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”.
49 G.FERRANDO, I diritti dei minori nella famiglia in difficoltà, cit., pp. 1174- 1175.
50 I principali diritti riconosciuti ai minorenni dalla Convenzione ONU sui diritti del minore e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sono: il diritto di essere “allevati” dai propri genitori, di non essere “separati da essi contro la loro volontà” e, nel caso di separazione da uno o da entrambi i genitori, di “intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori” (art. 7 c. 1˚, art. 9 cc. 1˚ e 3˚ Conv. diritti del minore), espressioni queste del più generale diritto al rispetto della vita familiare (art. 12 Dich. univ. dir. uomo; art. 8 CEDU; art 17 Patto int. dir. civ. e pol.);
il diritto di essere registrati al momento della nascita, il diritto al nome e alla cittadinanza, il diritto di conoscere i propri genitori (art. 7 c. 1˚ Conv. diritti del minore), ricompresi questi nel diritto individuale al rispetto della vita privata (art. 8 CEDU); il diritto del minore “capace di discernimento di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa” (art. 12 Conv. diritti del minore), che costituisce una specificazione del diritto alla libertà di espressione e di pensiero riconosciuto ad ogni essere umano (art. 18 Dich. univ. dir uomo, art. 18 Patto int. dir. civ. e pol., art. 9 CEDU. Inoltre i minori figli naturali hanno il diritto di non essere discriminati rispetto ai minori figli legittimi, manifestazione questa del divieto generale di discriminazioni fra esseri umani a causa della nascita.
51 Sull’interesse del minore cfr. E.QUADRI, L’interesse del minore nel sistema della legge civile, in Fam.
e dir., 1990, p. 80 ss.; M.DOGLIOTTI, Che cos’è l’interesse del minore?, in Dir. Fam., 1992, p. 1093 ss;
137 clausola generale relativa all’interesse del fanciullo consente all’Autorità giudiziale di valutare le peculiarità della situazione al suo esame adottando la decisione che, nel caso concreto, appare la più adatta alla realizzazione dell’obiettivo suddetto.
Nel diritto internazionale, l’interesse del minore compare nel corso del XX Secolo, nel quadro del generale processo di approfondimento e articolazione della tutela dei diritti dell’uomo. Nella maggioranza dei documenti generali in materia di diritti umani elaborati dopo la fine della seconda guerra mondiale, sono inserite norme che riconoscono il diritto dei minori, in quanto soggetti in condizione di debolezza, ad una protezione “particolare”.52 Nessuna norma riguardante i minori è invece contenuta nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo; malgrado ciò, la Corte per via giurisprudenziale ha da subito riconosciuto e attuato i diritti dei soggetti minorenni.53 Per l’enunciazione in termini generali del principio del superiore interesse del minore occorre attendere il noto art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del minore del 1989, ove si legge per la prima volta la proclamazione in termini generali del principio del superiore interesse del minore: “in tutte le decisioni relative ai minori, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del minore deve essere considerato in posizione preminente”. Il principio è oggi ribadito in modo sostanzialmente analogo anche nel c. 2˚ dell’art. 24 della Carta di Nizza (oggi art. II-84 della Costituzione europea).54
Ai fini della presente ricerca è sembrato opportuno sottolineare l’importanza attribuita all’interesse del soggetto minore di età in virtù della funzione esercitata dalla disposizione in esame nell’ambito dei procedimenti che interessano la famiglia in crisi.
Come è stato ribadito più volte in questo lavoro, in particolare facendo riferimento alla normativa italiana in materia di affidamento, la necessità di porre in primo piano le esigenze dei fanciulli informa tutti gli istituti in cui i minori, considerati soggetti deboli, hanno un bisogno inequivocabile di essere difesi e protetti. Come è stato appena mostrato, numerosi Atti internazionali e regionali hanno riconosciuto questa esigenza e hanno predisposto strumenti capaci di raccomandare ai singoli Paesi la predisposizione
52 Art. 25 c. 2˚ della Dich. univ. dir. uomo; art. 6 c. 5˚, art. 14 c. 1˚ e art. 24 del Patto int. sui dir. civ. e pol.; art. 10 c. 3˚ e art. 12 c. 2˚ lett. a) del Patto int. sui dir. econ. soc. e cult.
53 V. Corte EDU, sentenza 13 giugno 1979, Marckx c. Belgio, in www.Foro.it.
54 J.LONG, Il diritto italiano della famiglia alla prova delle fonti internazionali, cit., p. 52 ss.
138 di mezzi in grado di rendere effettiva, dal punto di vista sostanziale e procedurale, la realizzazione del supremo interesse del fanciullo.
Giunti a questo punto, occorre avvicinarsi all’oggetto principe della nostra trattazione;
questo avverrà inizialmente abbandonando i profili generali relativi ai diritti riconosciuti ai minori a livello internazionale, a favore dell’analisi delle regole internazionali e comunitarie riguardanti il minore collocato all’interno della famiglia.
In una famiglia che ha ormai il suo centro di gravità nel bambino (famiglia
“puerocentrica” come si suole chiamarla) la relazione fra genitori e figli costituisce il legame fondamentale per la formazione della personalità del minore.55 Si tratta dell’unica relazione davvero indissolubile, a fronte della fragilità del rapporto di coppia.
Genitori e figli si trovano alleati nel chiedere la tutela di questa relazione, dei vincoli di affetto e di solidarietà che in essa si dispiegano, in quanto momento fondamentale di realizzazione e crescita della persona. Il diritto del bambino di essere cresciuto nell’ambito della sua famiglia costituisce la nuova bussola per orientare gli interventi socio-assistenziali verso la famiglia e le concrete modalità della loro attuazione.
Riguardato dal punto di vista delle relazioni fra genitori e figli, e dei genitori fra loro, tale prerogativa si declina in termini di diritto a stabilire e conservare relazioni con entrambi i genitori: un diritto che ha straordinarie potenzialità sia sul versante dell’accertamento di stato, sia su quello delle relazioni parentali in seguito alla crisi coniugale.56
La tutela dei legami familiari presuppone non solo il riconoscimento del diritto a stabilire queste relazioni, ma anche la predisposizione degli strumenti normativi atti a consentire il mantenimento dei rapporti parentali. In questo quadro, la proclamazione del diritto del figlio (e del genitore) alla reciproca frequentazione svolge un ruolo importante. A livello europeo, l’art. 8 CEDU afferma che ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza e che le autorità pubbliche degli Stati contraenti non possono ingerirsi nell’esercizio di tale diritto. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, questo diritto, comporta per lo Stato obbligazioni negative e positive. Tra le obbligazioni positive assume particolare rilievo l’impegno di agire in modo tale da
55 V.POCAR, Mutamenti sociali, relazione coniugale e funzione genitoriale, in Separazione, divorzio, affidamento dei minori: quale diritto per l’Europa, a cura di M. Sesta, Milano, 2000, p. 33 ss.
56 G.FERRANDO, I diritti dei minori nella famiglia in difficoltà, cit., p. 1182.
139 consentire ai legami familiari di svilupparsi normalmente.57 Per quanto concerne in particolare i rapporti fra genitori e figli, la Corte ha più volte ribadito che “il godimento da parte del genitore e del figlio della reciproca compagnia costituisce un elemento fondamentale della vita familiare”.58 Un principio sostanzialmente analogo è proclamato nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: “ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”.59
Nel nostro ordinamento, il diritto a conservare il rapporto parentale trova attuazione nella l. 54/2006 che, innovando gli artt. 155 ss. c. c., prevede l’affido condiviso come modalità ordinaria di regolamentazione dei rapporti successivi alla crisi coniugale. La Riforma si basa sul principio, che ispira la gran parte delle leggi europee, secondo cui la separazione dei genitori (non importa se coniugati o non) tendenzialmente non incide sulla responsabilità parentale che resta intatta anche dopo la cessazione della vita in comune.60
Per concludere questa breve e selezionata rassegna dei diritti del fanciullo nella famiglia proclamati a livello internazionale e comunitario, è opportuno fare un accenno ad una prerogativa riconosciuta al fanciullo nel corso dei procedimenti giudiziari che lo interessano: il diritto all’ascolto. A livello internazionale, il diritto del minore “capace di discernimento” all’ascolto, in ogni procedura giudiziaria che lo concerne, è specificamente riconosciuto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del minore del 1989 (art. 12, c. 2˚) e dalla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, aperta alla firma a Strasburgo il 25 gennaio 1996 (artt. 3 e 6). Quest’ultimo documento precisa il contenuto dell’ascolto: il minore ha diritto di “ricevere tutte le informazioni pertinenti; essere consultato ed esprimere la sua opinione; essere informato sulle possibili conseguenze dell’attuazione dei suoi desideri e sulle possibili conseguenze di ogni decisione”. Entrambe le Convenzioni prevedono, accanto all’ascolto diretto da parte dell’autorità innanzi a cui si svolge il procedimento, l’ascolto indiretto, cioè la possibilità di delegare l’audizione ad un soggetto esterno che senta il minore e riferisca poi all’organo giudicante nel processo. Sia la Convenzione delle Nazioni Unite, sia la Convenzione di Strasburgo, inquadrano l’ascolto del minore nella
57 Corte EDU, sentenza 18 dicembre 1986, Johnston c. Irlanda, in www.osservatoriocedu.it.
58 Corte EDU, sentenza 24 marzo 1988, Olsson I c. Svezia, in www.osservatoriocedu.it.
59 Art 24 c. 3˚ Carta diritti fondamentali UE.
60 V. Capitolo II.
140 libertà di espressione, che deve essere riconosciuta ad ogni essere umano, e dunque anche al minorenne. La Convenzione delle Nazioni Unite, infatti, inserisce il riconoscimento del diritto processuale all’ascolto in un articolo che si apre con la proclamazione del diritto del “minore capace di discernimento” “di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa” (art. 12 c. 1˚): “ a tal fine si darà in particolare al minore la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura
…” (art. 12 c. 2˚). Allo stesso modo, la relazione esplicativa alla Convenzione di Strasburgo afferma che “il testo costituisce dunque un progresso nel riconoscimento dei diritti dei minori nell’ambito delle procedure di diritto familiare che li interessano. I minori non rappresentano più soltanto l’oggetto di tale procedure, ma possono anche parteciparvi … A questo proposito il diritto di chiedere ed ottenere ogni informazione pertinente e il diritto di essere consultato danno al minore in questione l’effettiva possibilità di esprimere la sua opinione”.61 Il diritto dei minori a “esprimere liberamente la propria opinione” e a che questa venga “presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità” 62 è peraltro espressamente proclamato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.63
7. La prima pietra per la costruzione di un diritto europeo delle relazioni familiari: il Regolamento n. 1347/2000.
Nell’intento di fornire al lettore un quadro il più possibile chiaro del percorso che ha interessato il Vecchio continente in materia diritto di famiglia, nelle pagine che seguono si procederà all’esame dell’atto comunitario che ha preceduto il Regolamento (CE) 2201/2003. Tale approfondimento risulta utile non solo al fine di comprendere i limiti della precedente disciplina, ma anche allo scopo di cogliere le motivazioni che hanno portato le istituzioni europee alla redazione del nuovo Regolamento.
Il Regolamento (CE) n. 1347/2000 del Consiglio dell’Unione relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, rappresenta il primo e serio risultato di matrice comunitaria diretto a “unificare le norme sui conflitti di competenza
61 Sull’ascolto nella Convenzione di Strasburgo, cfr. G.MAGNO, Il minore come soggetto processuale, Milano, 2001, p. 24 ss.; L.FADIGA, La Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli e la legge di ratifica (l. 20 marzo 2003 n. 77), in www.minoriefamiglia.it.
62 Art. 24 c. 1˚ Carta diritti fondamentali UE.
63 J.LONG, Il diritto italiano della famiglia alla prova delle fonti internazionali, cit., p. 113 ss.
141 in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori semplificando le formalità per un rapido ed automatico riconoscimento delle decisioni e per la loro esecuzione”
(n. 4 del Preambolo). Questa normativa parte dalla constatazione dell’insufficienza, per gli Stati membri, di realizzare gli obiettivi del Regolamento in base ai principii di sussidiarietà e di proporzionalità di cui all’art. 5 del Trattato istitutivo della Comunità (n. 5, del Preambolo); tende ad assicurare, per realizzare il fine della libera circolazione delle decisioni emesse in materia matrimoniale e di potestà dei genitori, il riconoscimento all’estero della competenza e delle relative decisioni, “attraverso un atto giuridico comunitario cogente e direttamente applicabile” (n. 7, del Preambolo) ed esige che “venga applicato anche ai cittadini di Stati terzi che hanno vincoli sufficientemente forti con il territorio degli Stati membri, conformemente ai criteri di competenza previsti dal Regolamento” (n. 8, del Preambolo).
Venendo ora all’esame di ciò che prescrive il documento, le norme di cui agli artt. 2 – 8 costituiscono il vero fulcro della normativa comunitaria ed è qui che il Regolamento si differenzia in modo sensibile dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, pure presa a modello. Infatti, quest’ultima prevede l’incarnazione della competenza in riferimento al domicilio del convenuto nel territorio di uno Stato contraente (artt. 2 e 3 della Convenzione di Bruxelles); se detta condizione non ha luogo si utilizza la lex fori, salva l’applicazione delle c. d. competenze esclusive, di cui all’art.
16 ed atteso il disposto dell’art. 5 sulle competenze speciali: questa la Convenzione del 1968, da cui si discosta in modo rilevante il Regolamento. Quest’ultimo, in riferimento alle “cause matrimoniali”, prevede criterii alternativi e, quindi, non gerarchici, pur sempre ancorati, nella stragrande maggioranza, alla residenza abituale e, poi, alla cittadinanza o al domicile. Invero, la c. d. “competenza internazionale” del giudice dello Stato membro è identificata dal giudice di esso Stato: 1) nel cui territorio si trova la residenza abituale dei coniugi o l’ultima residenza abituale del convenuto o, in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi o la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto per un anno immediatamente prima della domanda o, e in omaggio alla cittadinanza dello Stato membro, se vi ha risieduto almeno sei mesi prima della domanda o nel caso del di Regno Unito e Irlanda ha ivi il proprio domicile;
2) di cui i due coniugi sono cittadini e, nel caso di Regno Unito e Irlanda, abbiano il loro domicile (con rinvio recettizio per questa nozione). A differenza della Convenzione del 1968, che richiama la lex fori per determinare il luogo in cui una parte è domiciliata
142 (art. 52), il Regolamento lascia al giudice la valutazione dell’esistenza del collegamento, anche se si dovrebbe prendere in esame la definizione che di residenza abituale ha dato la Corte di Giustizia.64
In tema di responsabilità parentale è competente sempre il giudice di cui all’art. 2 se il figlio risiede abitualmente in tale Stato membro (art. 3, n. 1); se il figlio non risiede abitualmente in esso, ma in un altro Stato membro, occorre che almeno uno dei coniugi eserciti la potestà sul figlio e vi sia accettazione della giurisdizione da parte dei coniugi e sia corrispondente all’interesse superiore del figlio (art. 3 n. 2, lett. a e b). Il foro della decisione sulla patologia del vincolo cessa in caso di decisione passata in giudicato o se il provvedimento sulla potestà, anche in pendenza di una decisione matrimoniale
In tema di responsabilità parentale è competente sempre il giudice di cui all’art. 2 se il figlio risiede abitualmente in tale Stato membro (art. 3, n. 1); se il figlio non risiede abitualmente in esso, ma in un altro Stato membro, occorre che almeno uno dei coniugi eserciti la potestà sul figlio e vi sia accettazione della giurisdizione da parte dei coniugi e sia corrispondente all’interesse superiore del figlio (art. 3 n. 2, lett. a e b). Il foro della decisione sulla patologia del vincolo cessa in caso di decisione passata in giudicato o se il provvedimento sulla potestà, anche in pendenza di una decisione matrimoniale