Nelle pagine che seguono si delineerà il quadro normativo internazionale, dal quale il nostro legislatore ha tratto le dovute linee di indirizzo nella formulazione delle disposizioni inerenti la garanzia dei diritti minorili nei casi di disgregazione familiare. Il rilievo sempre più accentuato che la condizione del soggetto in formazione ha ricevuto all’interno delle Convenzioni internazionali, ha infatti promosso, anche nell’ordinamento italiano, l’inizio di una attività rivolta alla costruzione di provvedimenti legislativi idonei alla traduzione dei contenuti delle disposizioni sovrastatali anche nel complesso di norme interno.
Ai fini della nostra ricerca è opportuno dare brevemente una descrizione dei contenuti delle principali Convenzioni internazionali (quella dell’ONU del 1989 e quella europea di Strasburgo del 1996) proprio per agevolare la comprensione delle misure di legge, in termini di procedimenti di affidamento dei minori, previste oggi dal nostro sistema.
La Convenzione dell’ONU o di New York del 20 novembre 1989, composta da un preambolo e da 54 articoli, pone in essere un vero e proprio statuto dei diritti dei minori, con riflessi considerevoli sugli ordinamenti degli Stati contraenti. Nel patto in parola c’è una dichiarazione chiara dei diritti dell’infanzia, quali: il diritto alla vita (art. 6), al nome, all’identità, alla nazionalità (art. 7); il diritto alla famiglia (art. 8), il diritto di esprimere la propria opinione su ogni questione che interessi il minore capace di discernimento (art. 12); il diritto alla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione (artt. 13 e 14); il diritto alla libertà di associazione (art. 15); il diritto alla salute (art. 34). La Convenzione proclama solennemente: il principio di eguaglianza tra minori contro ogni discriminazione connessa alla razza, al colore della pelle, al sesso, alla lingua, alla religione e all’opinione politica (art. 2 comma 1); e l’altro principio della preminente tutela dell’interesse del fanciullo, postulato enunciato nell’art. 3, che recita
“in tutte le decisioni relative ai fanciulli di competenza delle Istituzioni pubbliche o
35 M.C.PALMA, Bigenitorialità e nuova cultura della paternità, cit., p. 968 ss.
22 private o di assistenza sociale, dei Tribunali, delle Autorità amministrative e degli Organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere nella considerazione preminente”; e nell’art. 21, che afferma “l’interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia di adozione da parte di stati che l’ammettono e/o l’autorizzano”.36
La Convenzione sui diritti dell’infanzia rappresenta lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di promozione e tutela dei diritti di coloro che, a causa della loro minor età, sono considerati soggetti più vulnerabili. Il testo contempla l’intera gamma dei diritti e delle libertà attribuiti anche agli adulti (diritti civili, politici, sociali, economici e culturali); costituisce uno strumento giuridico vincolante per gli Stati che lo ratificano, oltre ad offrire un quadro di riferimento organico, all’interno del quale collocare tutti gli sforzi compiuti in cinquant’anni a difesa dei diritti dei bambini. Il Trattato è stato approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 a New York ed è entrato in vigore il 2 settembre 1990. La Carta è stata recepita in Italia il 27 maggio 1991con la legge n. 176 e a tutt’oggi 193 stati, un numero addirittura assai superiore a quello degli Stati membri dell’ONU, sono parte della Convenzione. In quanto dotato di valenza obbligatoria e vincolante il Trattato obbliga gli Stati aderenti ad uniformare le norme di diritto interno a quelle dell’Accordo e ad attuare tutti i provvedimenti necessarii ad assistere i genitori e le istituzioni nell’adempimento dei loro obblighi nei confronti dei minori. Di fondamentale importanza è il meccanismo di monitoraggio previsto dall’art. 44: tutti gli Stati che hanno preso parte al Concordato sono infatti sottoposti all’obbligo di presentare al Comitato dei Diritti dell’Infanzia un rapporto periodico sull’attuazione, nel loro rispettivo territorio di competenza, dei diritti proclamati dalla Convenzione.37
Un ruolo importante all’interno del panorama pattizio internazionale è rivestito inoltre dalla Convenzione Europea firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 sull’esercizio dei diritti del fanciulli. Il contenuto del Trattato in questione è stato recepito dal nostro ordinamento e reso esecutivo con la legge del 20 marzo 2003 n. 77 in vigore dal 18 aprile 2003. L’oggetto espresso e le formalità perseguite dall’Accordo riguardano essenzialmente: la promozione, nell’interesse superiore di coloro che non hanno ancora raggiunto la maggior età, dei diritti degli stessi; la concessione, in loro favore, dei diritti
36 G.MORANI, La tutela della prole nelle crisi familiari: soluzioni e rimedi dei patti internazionali e del sistema normativo interno, in Dir. Fam., 2009, p. 1985 ss.
37 www.unicef.it
23 processuali; l’agevolazione dell’esercizio di questi ultimi; la vigilanza a che i minori, direttamente o per il tramite di altre persone o organi, possano essere informati e autorizzati a partecipare alle procedure che li riguardano dinanzi ad una autorità giudiziaria. Ai fini della presente trattazione è importante altresì evidenziare che la Convenzione europea prevede al suo interno misure di legge inerenti i procedimenti giurisdizionali in materia familiare e nello specifico quelli relativi all’esercizio delle responsabilità genitoriali. In particolare, riguardo alla residenza e al diritto di visita nei confronti dei figli, l’ambito di operatività dell’Accordo risulta circoscritto (art. 1 comma 4) alle controversie indicate, in sede di deposito dello strumento di ratifica, dal singolo Stato che, all’atto della firma o della consegna dello strumento predetto, deve designare almeno tre categorie di contrasti familiari. L’Accordo di Strasburgo, inoltre, specifica esplicitamente quali sono i diritti attuali dei minori, cioè quelle prerogative immediatamente garantite una volta che i contenuti del Trattato sono stati recepiti all’interno di uno Stato membro.
Uno dei principii contenuti nelle disposizioni pattizie in questione, merita particolare attenzione. Il minore diventa una entità processuale, una persona che può stare in giudizio, agire, partecipare, essere ascoltato come soggetto e non soltanto come oggetto di interessi altrui. Il Trattato internazionale perviene al riconoscimento del fanciullo come parte processuale autonoma, cioè come soggetto in una posizione primaria in giudizio ed in questo può prendere la parola in proprio o mediante eventuali rappresentanti da lui nominati per far valere ragioni indipendenti e avanzare istanze anche in contrasto con quelle degli altri attori. In sostanza: la Convenzione europea del 1996 enuncia fra i suoi obiettivi quello di assicurare, nel corso del procedimento dinanzi all’Autorità giudiziaria, l’ascolto, la presenza e la partecipazione del minore.38 La previsione di un coinvolgimento attivo del fanciullo non rappresenta una novità trascurabile; occorre appunto ricordare che l’audizione del soggetto minore di età ritenuto capace di discernimento configura una innovazione di notevole importanza, soprattutto all’interno di sistemi normativi che, come il nostro, per decenni hanno previsto l’assoluta soggezione dei figli nei confronti dei genitori.
Dopo aver proceduto alla presentazione delle Convenzioni internazionali più importanti in materia minorile, risulta agevole l’individuazione dei punti fondamentali, sui quali tali Accordi si concentrano. Si ricorda infatti che il Trattato europeo evoca e ribadisce i
38 G.MAGNO, Il minore come soggetto processuale, in Dir. Fam., 2009, p. 179.
24 principii proclamati in sede ONU. Tali aspetti riguardano da un lato la tutela dell’interesse preminente dell’individuo minore di età (inteso come interesse alla serenità ed alla stabilità dei rapporti effettivi con entrambe le figure parentali, il c.d.
diritto alla bigenitorialità, al soddisfacimento del suo bisogno di un equilibrato sviluppo psicofisico ed al rispetto della personalità individuale, interesse che, pertanto deve avere preminenza assoluta sulle aspettative e sulle pretese dei genitori); dall’altro il riconoscimento, entro certi limiti e a determinate condizioni, di una capacità autonoma del minore di stare in giudizio, di esprimere una opinione, personalmente o per mezzo di un rappresentante, e di far valere i diritti di cui è titolare.39 La volontà del fanciullo inizia quindi ad acquisire un posto di rilievo all’interno dei procedimenti inerenti il suo affidamento, il minore diventa protagonista delle sue scelte esistenziali potendo esprimere le sue opinioni in merito attraverso l’esercizio del diritto all’ascolto.
Naturalmente l’attività partecipativa del minore potrebbe dare luogo a complicazioni procedimentali, derivanti dalla necessità di interpretare le affermazioni dell’infante tenendo conto delle relazioni che il soggetto intrattiene con le figure genitoriali; tutto questo però non fa ombra all’innovazione introdotta. Il fanciullo, sulla base dei principii esposti all’interno della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e della Convezione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, diventa soggetto capace di manifestare le sue preferenze in modo, si auspica, spontaneo e indipendente da potenziali favoritismi nei confronti della madre o del padre. È necessario sottolineare che, all’interno dei sistemi normativi dei varii Stati, una volta stabiliti i presupposti sulla base dei quali il minore verrà ritenuto idoneo alla partecipazione al procedimento giudiziale, sarà poi compito del giudice esprimere la valutazione in relazione al caso concreto. Relativamente alla sua deliberazione definitiva, l’Autorità giudiziaria potrà decidere se dare una lettura soggettiva dell’interesse del fanciullo rispettando la sua volontà in quanto tale, oppure se attribuire alle opinioni di quest’ultimo un carattere oggettivo la cui valutazione dovrà essere rimessa all’apprezzamento del giudice, poiché il minore potrebbe aver espresso una preferenza contraria al suo interesse. Una posizione intermedia potrebbe consistere infine nel far rientrare le opinioni del minore, fra gli elementi che l’Autorità dovrà analizzare per determinare l’interesse del “soggetto debole”.40 Tuttavia, il problema che emerge riguarda la spontaneità delle decisioni del
39 G.MORANI, La tutela della prole nelle crisi familiari: soluzioni e rimedi dei patti internazionali e del sistema normativo interno, cit., p. 1989.
40 M.MAGLIETTA, Con l’arrivo della legge 54/2006 le preferenze del ragazzo assumono una rilevanza particolare, Dossier: Affidamento Condiviso: le scelte del minore, Gli spazi di autodeterminazione e i
25 fanciullo e la genuinità delle sue affermazioni. L’accettazione del principio di autodeterminazione del minore dotato di capacità di discernimento potrebbe infatti dare luogo a manipolazioni da parte delle parti genitoriali, al fine di ottenere dall’infante quella dichiarazione che risponde nel modo migliore ai loro differenti interessi.
Allontanandosi dai potenziali profili conflittuali fra coniugi connessi all’audizione del minore, è opportuno ora concentrarsi sulle previsioni che il nostro legislatore ha formulato proprio allo scopo di rendere applicabili i postulati internazionali inseriti negli Accordi a cui l’Italia ha aderito. Com’è noto, nel nostro ordinamento il minore di diciotto anni è considerato individuo giuridicamente capace (cioè ha la capacità giuridica, che consiste nella titolarità dei diritti che acquisisce con la nascita), ma è incapace di agire, in quanto la capacità di agire (cioè l’idoneità del soggetto, giuridicamente capace, a compiere efficacemente attività rilevanti per il diritto) si acquisisce con il raggiungimento della maggior età. A differenza di quanto accade nel rapporto fra coniugi o partners, regolato dal principio di uguaglianza, nel rapporto verticale fra genitori e figli non opera il detto principio, giacché ad entrambi i genitori il nostro ordinamento riconosce un potere peculiare: la potestà parentale. Quest’ultima rappresenta nient’altro che un ufficio, un munus in funzione educativa diretto allo sviluppo della personalità dei figli. La posizione particolare dei genitori, da un lato, e quella della prole, dall’altro, hanno una loro singolare dinamicità, attraverso la quale poteri e doveri si bilanciano e si attenuano nel tempo con il progressivo sviluppo della maturità dei figli, maturità cui consegue una crescente autonomia di questi ultimi.41 Il progressivo avvicendarsi delle interazioni fra genitori e figli comporta, da un lato, l’affermazione di un potere/dovere parentale sulla base del quale legittimare le decisioni genitoriali relative alla prole, dall’altro l’emersione della volontà del minore che, nel corso della crescita, tende a manifestare le sue intenzioni seguendo le proprie inclinazioni. Il diritto del minore a crescere nell’ambito di un legame genitoriale rispettoso delle sue aspirazioni, è sancito all’interno dell’art. 147 c.c. e trova conferma nei precetti costituzionali indirizzati al rispetto delle prerogative individuali fondamentali. È importante inoltre ricordare che la condizione di soggezione del minore alle decisioni dei genitori trova all’interno del Codice numerose eccezioni; avendo come punto di riferimento la tutela del suo interesse, infatti, si è deciso che il minore possa, in
nuovi orientamenti dei tribunali, a cura di M.MAGLIETTA e S.A.R.GALLUZZO, in Guida al Diritto (Famiglia e Minori), 2010, p. II ss.
41 G.MORANI, La tutela della prole nelle crisi familiari: soluzioni e rimedi dei patti internazionali e del sistema normativo interno, cit., p. 1990.
26 specifiche situazioni, disporre dei diritti di cui è titolare differentemente rispetto alla regola generale. Le eccezioni previste, però, non sono state sufficienti a mutare la condizione di soggezione in cui è collocato il fanciullo, al quale, privo per l’età di autonomia e di capacità di autodeterminazione, è negata la possibilità di essere parte attiva in tutte quelle situazioni di natura personale.
Connettendo la normativa italiana alle previsioni contenute all’interno delle Convenzioni internazionali, segnatamente alla capacità di agire del minore per l’ottenimento della tutela dei suoi interessi, occorre rilevare gli ostacoli inerenti l’applicazione delle norme contenute all’interno degli Accordi internazionali suddetti.
Nello specifico, lo schema secondo il quale i genitori, esclusivi titolari della potestà sui figli, esercitano sui minori un potere/dovere mirante alla tutela dei loro interessi, fatica ad aprirsi ad una visione del fanciullo inteso come soggetto capace di intervenire in veste di parte attiva ad ausilio del giudice per la formulazione dei provvedimenti che lo riguardano. L’ascolto del minore, ora previsto come obbligatorio dall’art.155 sexies c.c.
nei procedimenti di separazione personale dei coniugi, è stato introdotto dalla l. n.
74/1987 di modifica della disciplina del divorzio (l. n. 898/1970) con il comma 8 dell’art. 4, che attribuisce al giudice il potere di sentire i figli minori “qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età”. Tale norma, contrariamente alle lodevoli intenzioni del legislatore, ha avuto scarsa applicazione nei giudizi predetti.42
L’ascolto del fanciullo dotato di capacità di discernimento, quest’ultima intesa come capacità del bambino di elaborare e comunicare una personale valutazione della situazione nella quale è coinvolto, di percepire i fatti ed il contesto relazionale, familiare e sociale, di avviare un nuovo processo fornendo indicazioni utili ai fini dei provvedimenti da adottare dando, così, un contributo significativo e rilevante alla decisione, occupa un ruolo riduttivo all’interno dei procedimenti relativi all’affidamento della prole nelle situazioni di dissolvimento dell’unità familiare. È innegabile infatti che all’interno del nostro Paese si sia manifestata la tendenza a ridurre sul piano normativo, tanto l’ampiezza delle previsioni contenute negli Accordi internazionali, quanto gli impegni solennemente assunti dal nostro Stato con le altre Nazioni contraenti. Riguardo alla complessità dell’ascolto in sede interpretativa, è stato suggerito il ricorso, allo scopo di poter realizzare le disposizioni internazionali relative all’audizione del minore,
42 G.MORANI, La tutela della prole nelle crisi familiari: soluzioni e rimedi dei patti internazionali e del sistema normativo interno, cit., p. 1992 ss.
27 a strumenti specifici capaci di mitigare la rigidità potenziale di un approccio processuale. In particolare, si tratta di prevedere l’ascolto del minore da parte di soggetti specializzati nelle relazioni infantili (psicologi, operatori psico- sociali degli enti locali o dei consultori familiari). Tali figure dovrebbero svolgere un’opera di supporto al giudice nelle sue decisioni di sostegno a minori e adulti coinvolti in situazioni di disgregazione o di crisi del nucleo primario. È stata inoltre sollecitata l’istituzione di un Ufficio di tutela o di garanzia del minore, al fine di assicurare una più efficace protezione della personalità del bambino nei procedimenti di separazione e di divorzio. Da ultimo è stata ribadita la necessità di una partecipazione attiva del minore alle decisioni e ai procedimenti che lo riguardano; riconoscere al fanciullo i diritti processuali (di ricevere informazioni pertinenti al caso; di essere consultato e di esprimere la propria opinione;
di essere informato circa le conseguenza di ogni possibile deliberazione, conforme o non conforme ai suoi desideri) rappresenta l’obiettivo concreto ai cui il nostro ordinamento interno dovrebbe giungere.43
In conclusione, alla luce dell’ultima riforma normativa introdotta dalla l. n. 54/2006, deve ritenersi obbligatorio anche in Italia l’ascolto del minore nei procedimenti di separazione giudiziale dei coniugi, sempre che il bambino possegga una sufficiente capacità di discernimento, secondo le previsioni dell’art. 12 della Convenzione dei New York del 1989 e dell’art. 3 della Convenzione di Strasburgo1996. Tuttavia, nonostante l’inserimento del principio dell’audizione del minore all’interno dei precetti normativi del nostro ordinamento, risulta utile un confronto fra l’elevato grado di evoluzione della normativa pattizia internazionale, così avanzata in tema di tutela della personalità dei soggetti in formazione, ed il mancato adeguamento a quella normativa, nonché gli evidenti limiti e carenze rispetto alla stessa, della nostra legislazione minorile.
Differentemente da quanto previsto negli Accordi internazionali infatti, all’interno dei quali viene posto l’accento sui diritti del minore nel processo anziché sul suo superiore interesse, nel corso delle nostre udienze minorili gli interessi delle parti (genitori e figli) non hanno la struttura del diritto soggettivo. Il figlio, in contrapposizione alla potestà parentale che le figure genitoriali esercitano nel suo esclusivo e superiore interesse, a sua volta non vanta un diritto alla prestazione educativa azionabile in via autonoma; per il nostro diritto interno inoltre l’ambito di operatività della Convenzione europea di Strasburgo risulta limitato alle controversie indicate in sede di deposito dello strumento
43 A.LIUZZI, L’ascolto del minore tra Convenzioni Internazionali e normativa interna, in Fam. e Dir., 2001, n. 6, p. 679 ss.
28 di ratifica. Riguardo a quest’ultimo aspetto è essenziale sottolineare che il nostro Governo non solo non ha indicato i procedimenti familiari ai quali applicare le norme pattizie citate, ma ha al contempo ridotto in termini estremamente esigui l’ambito di applicazione dello stesso Accordo europeo.
Sulla base delle considerazioni esposte in queste pagine, è necessario ribadire che, nella sfera del nostro diritto minorile, al fine di rendere concrete le innovazioni salienti dei due più importanti Accordi internazionali ed anche allo scopo di adeguare il sistema legislativo interno alle direttrici del progresso tracciate dagli Accordi medesimi, occorrono inevitabilmente un impegno forte, un’attenzione costante ed intensa all’affermazione ed alla divulgazione della cultura di protezione dell’infanzia e dell’adolescenza. Occorre infine auspicare, il rafforzamento di quegli organismi ai quali il minorenne può rivolgersi efficacemente per l’attuazione di quei diritti che la legge si limita ad affermare puramente e semplicemente.44
6. Evoluzione del quadro normativo riguardante i provvedimenti indirizzati