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Evoluzione del quadro normativo riguardante i provvedimenti indirizzati alla prole nelle situazioni di crisi familiare: la disciplina previgente e i suoi

limiti.

Dopo aver più volte ribadito la necessità di fornire al minore le adeguate garanzie nei casi di disgregazione del nucleo primario, e aver sottolineato l’importanza di distinguere le patologie del rapporto di coppia dalla contrapposta solidità che caratterizza il legame genitoriale, risulta essenziale procedere all’esposizione dei provvedimenti normativi che il legislatore italiano nel corso dei decenni passati ha formulato e conseguentemente applicato in proposito. L’analisi della normativa che precede la Riforma del 2006, riguardante i provvedimenti relativi alla prole nel corso di una crisi familiare, appare utile nonché indispensabile al fine di comprendere da un lato il modello familiare creato attraverso le misure dei decenni trascorsi, dall’altro le carenze e le inefficienze che la vecchia disciplina mostrava in ambito formativo- educativo e la necessità di costruire un sistema capace di rispondere alle esigenze di quella famiglia che nel corso del tempo ha subito numerose mutazioni.

44 G.MORANI, La tutela della prole nelle crisi familiari: soluzioni e rimedi dei patti internazionali e del sistema normativo interno, cit., p. 1998 ss.

29 In primo luogo, la disciplina antecedente la Riforma si è occupata di delineare i tratti del

“nuovo rapporto genitori- figli” riferendosi esclusivamente alle situazioni di crisi familiare rispondenti alle patologie del matrimonio. La mancanza per decenni di una disciplina organica e unitaria capace di porre sul medesimo piano tutte quelle situazioni all’interno delle quali fosse venuta a mancare la convivenza familiare, ha costituito un grave problema. Sebbene la disciplina non fosse omogenea, dottrina e giurisprudenza erano concordi nel ritenere che il dato strutturale che differenzia nullità, separazione e divorzio non assumeva alcuna rilevanza per quel che riguardava la determinazione degli

“effetti della disgregazione della coppia rispetto ai figli”. Tuttavia, nel succedersi di riforme, il legislatore non si è mai preoccupato di sancire espressamente quell’unità raggiunta attraverso interpretazioni uniformanti.45 Relativamente all’affidamento dei minori nei casi di crisi coniugale la mancata omogeneizzazione legislativa non ha fatto altro che perpetuare la frammentazione della disciplina relativa alla tutela degli interessi dei figli in dipendenza della crisi coniugale. Frammentazione che, dando luogo ad un vero e proprio inseguimento tra le norme dettate nelle diverse sedi, ha generato solo confusione e incertezza.46

Nel corso degli anni che hanno preceduto l’avvento della Riforma, le discussioni non hanno certo riguardato il diritto dei minori alla bigenitorialità che per tutti ha sempre rappresentato un punto, nel contempo, sia di partenza che di arrivo, ma hanno interessato essenzialmente le procedure più idonee attraverso le quali garantire il perseguimento del diritto suddetto. Occorre osservare che già nella passata disciplina la dottrina più sensibile riteneva ovvio che “la tutela della posizione dei figli a seguito dell’evento in sé pregiudizievole della separazione, fosse perseguita fondamentalmente conservando e garantendo i doveri dei genitori nascenti dalla filiazione”.47 Inoltre, il

“prevalente interesse del minore”, quale principio gerarchicamente superiore, avrebbe dovuto garantire l’infante dai possibili danni derivanti dalla dissoluzione del legame fra padre e madre. Tuttavia, pur in presenza della concordia interpretativa sulle prerogative da garantire, in sede processuale i problemi sono sorti riguardo alle modalità attraverso le quali permettere al minore di conservare e sviluppare un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambe le figure genitoriali. Nelle ipotesi di disgregazione familiare infatti, attraverso la tutela dell’interesse del minore (principio insufficiente a garantire

45 L.ROSSI CARLEO, Famiglie disgregate: le modalità di attuazione dell’affidamento dei figli fra disciplina attuale e prospettive di riforma, in Familia, 2004, p. 1 ss.

46 F.RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale , cit., p. 14.

47 C.M.BIANCA, Diritto civile 2, La famiglia. Le successioni, Milano, 2005, 4ͣ ed., p. 217.

30 un equo bilanciamento fra i diversi diritti delle parti coinvolte) si rischiava di privilegiare un genitore rispetto ad un altro, risultando impossibile imporre in via giudiziale una logica di bilanciamento come indicazione mirata a stabilire comportamenti futuri.48

Appare evidente che, a seguito della separazione, o meglio, a seguito della rottura della convivenza fra i genitori, l’interrogativo più difficile, al quale occorre dare una risposta, riguarda la scelta del genitore con il quale i figli debbano continuare a risiedere, in considerazione del fatto che la convivenza costituisce, comunque, un aspetto di cura diretta e sembra pertanto offrire maggiori opportunità per la prosecuzione di uno stretto rapporto relazionale con i figli. Il problema è costituito dal fatto che, seppure i diritti- doveri che competono ai genitori secondo l’art. 30 Cost. e l’art. 147 c. c. restino immutati, tuttavia il venir meno della coabitazione influisce profondamente sulle modalità di adempimento degli stessi doveri.49

L’art. 155 c.c., nel testo anteriore alla Riforma, stabiliva che il giudice, pronunciando la separazione, doveva dichiarare a quale dei coniugi dovessero essere affidati i figli minori, ponendo alla base della decisione esclusivamente la tutela del loro interesse morale e materiale. Veniva così sancita la regola dell’affidamento della prole ad uno dei due genitori (c.d. affidamento esclusivo) e precisamente a quello ritenuto dal giudice più idoneo a ridurre al minimo i danni derivanti dalla crisi familiare e ad assicurare lo sviluppo fisico, morale e psicologico del minore. La giurisprudenza, sulla base dell’affermata applicabilità analogica dell’art. 6 comma 2, l. div., aveva riconosciuto al giudice il potere di disporre, anche nella separazione, ove ritenuto utile all’interesse dei minori anche in relazione alla loro età, l’affidamento congiunto o alternato previsto per il divorzio. Occorre tuttavia rilevare come l’affidamento congiunto, pur ammissibile, abbia trovato nel sistema previgente una applicazione del tutto marginale, essendo la sua adozione condizionata alla ricorrenza, al momento della separazione, del massimo spirito collaborativo fra i genitori, ai quali finiva per essere demandata la esclusiva valutazione sulle opportunità della sua adozione. L’affidamento ad entrambi i genitori infatti, non era quasi mai disposto o imposto dal giudice, il quale si limitava a recepire una conforme volontà dei coniugi; la mancanza di spirito collaborativo, e quindi

48 L.ROSSI CARLEO, Famiglie disgregate: le modalità di attuazione dell’affidamento dei figli fra disciplina attuale e prospettive di riforma, cit., p. 4-5.

49 L.ROSSI CARLEO, I provvedimenti riguardo ai figli , in Trattato di Diritto Privato, diretto da M.

Bessone, Torino, 1999, p. 235.

31 l’inesistenza del presupposto stesso dell’affidamento congiunto, si desumeva dalla stessa richiesta di separazione giudiziale o di affidamento (esclusivo) della prole. In un certo senso, si può affermare che la richiesta di affidamento congiunto fosse il risultato di una decisione realmente ed effettivamente condivisa da entrambi i genitori.50

Il legislatore quindi, oltre all’affidamento “esclusivo” ad uno dei coniugi, affidamento che, tuttavia, prevedeva solo un “esercizio differenziato della potestà”, visto che il genitore non affidatario partecipava alle decisioni di maggiore interesse e aveva il diritto- dovere di vigilare sull’andamento ordinario della vita del figlio, potendo, peraltro, ricorrere al giudice (art. 155 comma 3, c. c), o meglio al tribunale (art. 6, comma 4, l. n. 898/1970) quando riteneva che fossero state assunte decisioni pregiudizievoli all’interesse del minore, aveva espressamente previsto anche la possibilità di un affidamento congiunto o alternato (art. 6, comma 2 l. div., così come modificato dalla l. n. 74/1987). Si prevedevano così ulteriori e diverse modalità con le quali il genitore che non conviveva abitualmente con il figlio avrebbe potuto porsi su un piano di eguaglianza rispetto all’altro genitore per quanto riguardava l’esercizio dei suoi diritti.51

Le critiche maggiori riguardo alle statuizioni previgenti si sono concentrate sull’affidamento esclusivo, in particolare i motivi di disappunto sono sorti in ordine alla titolarità e all’esercizio della potestà parentale sui figli minori da parte delle figure genitoriali. La previsione dell’affidamento condiviso quale eccezione metodologica di organizzazione della “nuova famiglia”, attraverso la collaborazione, ove ritenuta possibile, fra il padre e la madre, non ha consentito di trascurare gli evidenti limiti contenuti nella normativa passata. Soprattutto relativamente alla potestà genitoria la previsione generale secondo cui il coniuge al quale erano affidati i figli aveva l’esercizio esclusivo della potestà su di essi, faceva emergere la profonda contraddizione esistente fra le prescrizioni in ordine alle quali del diritto- dovere suddetto sono titolari entrambi i genitori e la realtà concreta, realtà al cui interno ad un solo genitore era demandato il compito di decidere riguardo alle quotidiane esigenze di vita del minore.

Risultava palese, difatti, come il prevedere come modalità generale l’affidamento ad uno dei genitori, il quale, con l’affidamento, acquisiva il diritto all’esercizio esclusivo

50 R.MARINI, Conflittualità dei coniugi e affidamento condiviso, in Dir. Fam., 2007, pp. 931- 932.

51 L.ROSSI CARLEO, I provvedimenti riguardo ai figli, cit., p. 235- 237.

32 della potestà, rappresentasse un ostacolo alla corretta realizzazione del principio di parità.52

Al genitore non affidatario erano attributi poteri di controllo e di vigilanza sull’operato dell’affidatario, ma è ovvio che tali poteri non fossero sufficienti a controbilanciare l’attività di cura, educazione e formazione esercitata dal genitore che condivideva con i figli la casa familiare.

Nella preesistente disciplina, relativamente al profilo economico, successivamente alla disgregazione dell’unità familiare, permaneva comunque in capo ad ambedue i genitori il dovere di contribuire al mantenimento del figlio, in base al criterio generale, dettato all’interno della normativa relativa al matrimonio, della proporzionalità alle sostanze e alla capacità di lavoro. È dunque in base ai criterii stabiliti dall’art. 148 comma 1 c. c.

che il giudice doveva far riferimento per stabilire la misura e il modo con cui l’altro coniuge non affidatario avrebbe dovuto contribuire al mantenimento, all’educazione e all’istruzione dei figli (art. 155 comma 2 c. c.). La linea tendenziale perseguita fino a poco tempo prima della Novella dal legislatore, fra i possibili modi di contribuzione privilegiava l’attribuzione di un assegno al coniuge affidatario, che direttamente si occupava di provvedere, attraverso l’utilizzo della somma che gli veniva corrisposta, alla gestione del denaro versatogli in funzione delle esigenze del figlio.53 La previsione del versamento periodico di un assegno a beneficio del minore tuttavia, contrariamente alle intenzioni normative, invece che favorire la stabilità del legame fra genitore non affidatario e minore non ha fatto altro che far apparire il primo come una sorta di

“ufficiale pagatore” tenuto unicamente a corrispondere una somma di denaro fissata dal giudice, o deputato a far trascorrere pigri e noiosi weekend ai figli, nella vana ricerca di una sorta di parità fra i genitori in crisi.54

Si è quindi rilevata, anche analizzando le previsioni inerenti il mantenimento della prole, l’assenza di uno schema disciplinare capace di riunire un insieme di norme idonee alla realizzazione del diritto del minore al mantenimento di un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambe le figure genitoriali. Relazione intesa non solo dal punto di vista materiale ed economico, ma composta da momenti esperienziali in cui il legame genitoriale potesse emergere in modo naturale ed effettivo.

52 L.ROSSI CARLEO, Famiglie disgregate: le modalità di attuazione dell’affidamento dei figli fra disciplina attuale e prospettive di riforma, cit., p. 11.

53 L.ROSSI CARLEO, I provvedimenti riguardo ai figli, cit., p. 241.

54 R.MARINI, Conflittualità dei coniugi e affidamento condiviso, cit., p. 933.

33 Ancora riguardo ai dettami della disciplina precedente, è necessario sottolineare come la previsione dell’affidamento monogenitoriale quale regola generale nei casi di disgregazione della comunione di vita all’interno del nucleo primario, abbia costituto una scelta legislativa che affondava la radici nella convinzione che quel particolare modello fosse idoneo alla realizzazione del supremo interesse del minore.

L’affidamento esclusivo non rappresentava una forma di punizione per uno dei due coniugi né lo strumento per servirsi dei figli come armi di ritorsione o di ricatto nei confronti dell’altro coniuge, ma lo strumento per rispettare i sentimenti dei minori. È possibile quindi affermare che l’interesse del fanciullo, nell’affidamento, rappresentava e rappresenta tutt’ora un criterio che opera fra responsabilità e libertà dei genitori, in un quadro di rispetto e valorizzazione della persona umana.55

Senza mettere in ombra la rilevanza rivestita dalla regola generale in tema di affidamento prevista dal complesso di norme previgenti, è utile al fine di delineare un quadro il più possibile chiaro delle disposizioni passate, analizzare brevemente i contenuti delle norme inerenti l’affidamento congiunto o alternato. In particolare l’art. 6 comma 2, ultima parte l. n. 898/1970, prevedeva che, ove il tribunale l’avesse ritenuto utile all’interesse del minore, poteva essere disposto, in deroga alla disciplina generale, l’affidamento congiunto o alternato del minore. La norma, accusata di esaltare eccessivamente le tendenze dei tempi moderni ovvero, contrariamente, valutata positivamente nella sua funzione promozionale, rifletteva, a ben vedere, gli atteggiamenti della giurisprudenza che, al verificarsi di precise condizioni, aveva già previsto forme di affidamento congiunto, secondo un orientamento coerente con la considerazione dell’autonomia domestica.56 Così, la vicinanza della residenza dei famigliari, la disponibilità dei genitori ed il grado di maturità dei figli, avrebbero potuto giustificare l’affidamento congiunto, in un’ottica in cui al minore si garantiva la possibilità di un contatto costante con entrambi i genitori, ritenuto indispensabile per lo sviluppo equilibrato della sua personalità. In questo senso si poneva la funzione promozionale della norma. In realtà, l’affidamento alternato, oltre ad avere scarsa applicazione giurisprudenziale, trovava concorde la dottrina nell’interrogativo, che rappresentava una vera e propria critica, circa la sua congruità a realizzare concretamente l’interesse morale e materiale della prole: in tal senso l’affidamento alternato poteva creare squilibri sulla personalità del figlio destinato a vivere di giorno

55 G.GIACOBBE,F.FREZZA, Ipotesi di disciplina comune nella separazione e nel divorzio, cit. p. 1317.

56 V. Trib. Piacenza, 4 febbraio 1986, in Dir. Fam., 1986, p. 183.

34 con un genitore e di notte con l’altro, anche nel caso in cui il minore avesse continuato a godere dell’habitat domestico e cioè della casa familiare ove si era oggettivizzata la residenza della famiglia nella fase fisiologica.57

Dopo aver sommariamente delineato i tratti del complesso di norme previgenti in tema di affidamento della prole nelle situazioni di crisi della famiglia, risulta chiaro come l’analisi degli esiti generati dalla concretizzazione delle regole previste in passato, abbia dato luogo ad un diffuso disagio che ha trovato una valvola di sfogo nelle varie proposte di riforma che si sono susseguite nel corso degli anni antecedenti alla Novella. Le profonde ragioni del malessere affondavano le loro radici in una concezione della separazione volta ad intendere la frattura come un momento a partire dal quale occorreva dividere, fra le altre “cose”, il “bene” figlio. A questa concezione proprietaria si legava quella conflittualità che impediva di cogliere, nella indispensabile elasticità del sistema, il perdurare di quel dovere di collaborazione che, allentati o cessati i rapporti fra i coniugi, per quanto riguardava i rapporti con i figli doveva necessariamente continuare, sebbene la stessa collaborazione fosse mutata nelle sue modalità operative.58

Proprio a partire dalla constatazione dell’ineludibilità della costante presenza dei genitori durante il percorso formativo dei figli, sono state formulate quelle disposizioni che sono in seguito andate a comporre il “puzzle” della Novella. Attraverso le norme contenute all’interno della l. n. 54/2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, il legislatore sembra abbia inteso responsabilizzare i coniugi inducendoli ad assumere un compito genitoriale pieno. La scelta dell’affidamento condiviso quale regime tipico di affidamento (e la previsione di quello esclusivo come soluzione residuale) ha avuto l’obiettivo di differenziare i rapporti interni alla coppia da quelli relativi ai figli. I due legami, cioè, sono e devono restare, nell’intenzione del legislatore, del tutto distinti e autonomi, dovendo i genitori, pur se in crisi, impegnarsi nella prosecuzione del processo educativo dei figli minori, che non possono essere le vittime sacrificali di egoismi e incomprensioni. Con la Riforma il centro della disciplina non è più, come accadeva in passato, la valutazione del tasso di conflittualità fra coniugi al momento della separazione, ma la possibilità che la crisi coniugale non interferisca nel rapporto con i figli e cioè che i figli, in forza del

57 G.GIACOBBE,F.FREZZA, Ipotesi di disciplina comune nella separazione e nel divorzio, cit., p. 1333.

58 L.ROSSI CARLEO, Famiglie disgregate: le modalità di attuazione dell’affidamento dei figli fra disciplina attuale e prospettive di riforma, cit. p. 13.

35 principio di bigenitorialità, mantengano un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore e ricevano cura, educazione e istruzione da entrambi. 59

59 R.MARINI, Conflittualità dei coniugi e affidamento condiviso, cit., p. 935.

37 CAPITOLO II

LA RIFORMA DELLAFFIDAMENTO: DALLAFFIDAMENTO ESCLUSIVO A QUELLO CONDIVISO.

Premessa.

Dopo aver descritto il percorso normativo, del quale è stato oggetto l’aggregato sociale primario nel corso della seconda metà del Secolo scorso, nelle pagine che seguono l’obiettivo sarà quello di disegnare il regime legislativo attuale relativo all’affidamento dei minori, nei casi di disgregazione del rapporto familiare. Inizialmente, ci si soffermerà sull’analisi delle spinte sociali e culturali che hanno dato origine alla necessità di costruire un impianto disciplinare idoneo alla regolamentazione delle situazioni di crisi della cellula comunitaria fondamentale; in particolare, verrà posta l’attenzione sui punti di collegamento fra la precedente normativa, risultata inadeguata, e le disposizioni contenute nel testo di Riforma. In seguito, si procederà all’approfondimento dei contenuti enunciati all’interno del nuovo art. 155 c. c.: si rileveranno le novità introdotte da tale norma. Ci si concentrerà, soprattutto, sulla proclamata necessità di garantire il mantenimento di un rapporto continuativo fra il minore ed entrambe le figure genitoriali, sottolineando la stretta relazione esistente tra il diritto del minore alla bigenitorialità e l’esigenza di assicurare il supremo interesse della prole. Al centro della trattazione, occuperà un ruolo fondamentale la definizione della nuova tipologia di affidamento enunciata all’interno della Novella del 2006.

Dopo aver descritto le modalità attraverso le quali l’affidamento condiviso prende vita, si procederà all’analisi delle conseguenze che il nuovo sistema di relazioni famigliari comporta, con particolare riguardo all’esercizio della potestà genitoriale, al tempo di permanenza del bambino presso ciascun genitore, alla maniera in cui ciascuna delle figure parentali deve provvedere al suo mantenimento e alle modalità attraverso le quali padre e madre contribuiscono all’educazione, all’istruzione e alla cura della prole. Allo scopo di delineare un quadro il più possibile chiaro, si cercherà poi di approfondire, oltre ai profili decisionali riguardanti la potestà genitoriale, i caratteri patrimoniali del rapporto conseguente la rinnovata tipologia di affidamento introdotta; in particolare, ci si concentrerà sulle previsioni inerenti il contributo al “mantenimento” da parte di ciascun genitore, indipendentemente dal fatto che il minore conviva con uno di essi.

Per quanto riguarda le forme di affidamento previste all’interno della precedente normativa, verrà evidenziata l’attuale permanenza, nell’insieme di disposizioni vigenti,

38 dell’istituto dell’affidamento esclusivo quale provvedimento residuale relegato a situazioni ritenute eccezionali dall’Autorità chiamata a decidere.

Successivamente, verrà affrontata la questione relativa all’assegnazione della casa familiare, trattando specificatamente delle regole che la nuova normativa prevede in proposito. Nella parte finale, dopo aver descritto le disposizioni contenute nei nuovi artt.

155 quinquies e 155 sexies c. c. in favore dei figli maggiorenni e in materia di poteri del giudice e ascolto del minore, si procederà ad una esposizione delle contraddizioni e dei punti di debolezza, individuati all’interno di quella che è stata definita da alcuni come un lacunoso insieme di norme di diritto familiare.

39 1. La disciplina previgente e la volontà di ovviare alle lacune normative

presenti al suo interno: l’importanza della Riforma del 2006.

Prima di iniziare ad esporre i tratti essenziali che caratterizzano l’attuale disciplina normativa relativa ai provvedimenti riguardanti i minori nei casi di cessazione della comunione di vita fra i genitori, è essenziale ripercorrere brevemente l’evoluzione che ha interessato l'aggregato familiare nel corso degli ultimi decenni. Occorre, infatti, ricordare che la legislazione relativa ai rapporti familiari subisce necessariamente l’influenza delle trasformazioni che intervengono all’interno dei rapporti parentali, nonché le pressioni derivanti dalla configurazione di nuove modalità di interazione fra i componenti della famiglia, che richiedono nuove tipologie di regolamentazione.

Oggi, il diritto di famiglia, quale disciplina della vita familiare all’interno del suo nucleo e dei rapporti di natura personale e patrimoniale tra i suoi componenti e i terzi estranei,

Oggi, il diritto di famiglia, quale disciplina della vita familiare all’interno del suo nucleo e dei rapporti di natura personale e patrimoniale tra i suoi componenti e i terzi estranei,