Nella fase contenziosa dei giudizi di separazione e divorzio è sempre più preponderante, come oggetto di vivace dibattito processuale, la problematica dell’assegnazione della casa familiare, in quanto bene economico di valore e peso fondamentale nell’ambito di una ordinaria economia, a maggior ragione in una situazione in cui le economie, a seguito della rottura dell’unità familiare, divengono due.114
Prima della Riforma, l’art. 155, comma 4, c. c., relativo alla regolamentazione del regime giuridico della casa familiare in sede di disgregazione dell’unione fra coniugi, recitava: “L’abitazione della casa coniugale spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”. La giurisprudenza riteneva poi applicabile anche alle separazioni la disciplina dettata per lo scioglimento del matrimonio, in quanto più favorevole per le parti deboli del rapporto. La norma di riferimento era, pertanto, l’art.
6, comma 6 della legge 898/1970, dal seguente tenore: “L’abitazione della casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole.”115 La ratio delle norme richiamate è evidente: assicurare adeguate condizioni di vita e formazione della prole. In tal senso, era considerata prevalente rispetto ad ogni ulteriore valutazione, l’interesse del figlio alla conservazione dell’habitat domestico inteso come centro di affetti, interessi e consuetudini nei quali si articola la vita familiare. Di conseguenza, l’assegnazione non avrebbe dovuto avere ragion d’essere se, per vicende sopravvenute, la casa non fosse stata più idonea a svolgere tale funzione.116 Tuttavia, i contenuti delle disposizioni appena enunciate diedero luogo a numerosi contrasti interpretativi, in particolare, il tenore della norma che conteneva un riferimento diretto alle condizioni economiche dei coniugi, determinò il formarsi di un orientamento favorevole a ritenere che l’assegnazione della casa
113 B.DE FILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, cit., pp. 119- 120.
114 V.BARBALUCCA, L’assegnazione della casa coniugale: in particolare la questione dell’assegnazione in mancanza di figli, in www.iussit.it, dicembre 2005.
115 B.DE FILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, cit., pp. 120- 121.
116 In tal senso, Cass. Civ. Sez. I, 23 maggio 2000, n. 6706, in www.iussit.it.
86 familiare non dovesse essere più configurata soltanto come strumento di protezione della prole, ma potesse costituire un istituto volto a garantire anche il conseguimento di altre finalità, quali quella dell’equilibrio delle condizioni economiche dei coniugi dopo il divorzio, dell’equità della permanenza di un coniuge nella casa familiare in connessione alle ragioni della decisione ed al favore per il coniuge più debole.117
Le norme precedentemente citate non contemplavano un obbligo per il giudice di procedere tout court all’assegnazione della casa familiare necessariamente al coniuge affidatario dei figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti, ma dettavano un ordine di preferenza, nell’ambito del criterio di scelta fra i due coniugi.
Seguendo tale orientamento, l’assegnazione dell’immobile adibito a residenza della famiglia andava configurata non soltanto come mezzo di protezione della prole ma, allo stesso tempo, come elemento atto a garantire un bilanciamento delle condizioni patrimoniali dei genitori.118
Riguardo alle controversie relative ai criterii di assegnazione dell’abitazione familiare in sede di cessazione della comunione di vita fra i genitori, occorre ricordare che il contrasto interpretativo già insorto, all’indomani della Riforma del diritto di famiglia, in sede di applicazione dell’art. 155, comma 4, c. c., fu composto dalle Sezioni Unite con la sent. 23 aprile 1982, n. 2494, che, qualificando come “eccezionale” la norma menzionata, affermarono che essa “(…) prescinde dal problema del mantenimento del coniuge debole e deve ritenersi dettata nell’esclusivo interesse della prole minorenne, rispetto alla quale la ratio della preferenza legislativa per il suo mantenimento nella casa familiare risulta chiarissima, in relazione alle finalità di assicurare una pronta e convivente sistemazione dei minori con l’affidatario, di impedire che essi, oltre al trauma della separazione dei genitori, abbiano a subire anche quello dell’allontanamento dall’ambiente in cui vivono e, infine, di favorire la continuazione della convivenza fra loro, evitando, per quanto possibile, di separarli”.119
Nonostante la chiarezza della pronuncia citata, ulteriori problematiche si riproposero in seguito alla Riforma della legge sullo scioglimento del matrimonio (legge n. 74 del 1987). La nuova disciplina introdotta nella normativa relativa al divorzio, conteneva,
117 M.PALADINI, L’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso, in Fam. e Dir., 2006, p.
330.
118 V.BARBALUCCA, L’assegnazione della casa coniugale: in particolare la questione dell’assegnazione in mancanza di figli, in www.iussit.it, dicembre 2005
119 M.PALADINI, L’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso, cit., p. 330.
87 indubbiamente, più di un’innovazione anche rispetto a quanto all’art. 155 c. c. (testo previgente) era disposto per regolare l’assegnazione della casa familiare nella separazione personale. Per un primo profilo, tuttavia, la forza innovatrice era stata depotenziata dall’interpretazione che di una delle innovazioni avevano dato le Sezioni Unite della Suprema Corte. Ci si riferisce, in particolare, all’espressa previsione, mancante nella disciplina della separazione, del dovere, per il giudice, di valutare, ai fini dell’assegnazione, anche le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione, nonché di favorire il coniuge più debole, che, inizialmente, pareva recare un importante argomento a favore dell’assegnabilità della casa familiare anche a prescindere dall’affidamento della prole.120 La Cassazione a Sezioni Unite, nell’interpretare la ricordata disposizione, aveva affermato che, per la legittimità dell’assegnazione della casa familiare ad uno degli ex coniugi, e, soprattutto, per la legittimità della compressione del diritto dell’altro ex coniuge, era presupposto pur sempre necessario che il genitore assegnatario fosse anche l’affidatario della prole.
Siffatto presupposto, però, non era, da solo, sufficiente. In altri termini, vi era una esplicita previsione di ulteriori elementi, oltre all’affidamento della prole, che dovevano essere valutati nella decisione sull’assegnazione, ma questi elementi potevano avere rilievo solo nella decisione se assegnare o non assegnare la casa, e non anche nella scelta del genitore al quale assegnarla, il quale non poteva che essere, necessariamente, l’affidatario dei figli minorenni, o il convivente con i figli maggiorenni.121 Nella medesima direzione la stessa Corte ribadì, a distanza di pochi anni, che la norma risultante dalla Novella del 1987 non attribuiva al giudice il potere di disporre l’assegnazione in favore del coniuge che non vantava alcun diritto (reale o personale) sull’immobile e che non era affidatario della prole minorenne o convivente con i figli maggiorenni non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri. Ad avviso dei Supremi giudici, non diversamente da quanto stabilito con riferimento alla disposizione parallela dell’art. 155, comma 4, c. c., la locuzione “spetta di preferenza”
andava interpretata nel contesto ed all’interno della fattispecie regolata dalla norma, in modo che la scelta preferenziale dovesse intendersi riferita, come già avevano precisato le Sezioni Unite nella sent. n. 2494/82, non già al soggetto destinatario dell’assegnazione, ma allo stesso provvedimento di assegnazione, nel senso che “(…)
120 G.F.BASINI, I provvedimenti relativi alla prole, in Lo scioglimento del matrimonio,G.BONILINI e F.
TOMMASEO, in Codice civile- Commentario, diretto da SCHLESINGER, Milano, 1997, p. 772 ss.
121 G.F.BASINI, I provvedimenti riguardati i figli nella crisi della famiglia, cit. p. 1062. Sul tema si veda anche G.F.BASINI, Il diritto del genitore assegnatario della casa familiare, alcuni profili problematici, in Fam. Pers. Succ., vol. IV, aprile 2010, p. 291 ss.
88 l’alternativa all’assegnazione in favore del coniuge affidatario della prole (o convivente con figli maggiorenni non autonomi) non consiste nell’assegnare la casa al coniuge che di tale qualifica sia privo, ma nella possibilità di non emettere il provvedimento, pur in presenza della situazione- presupposto, e di lasciare quindi l’immobile nella disponibilità del coniuge proprietario titolare di altro diritto di godimento”.122
È importante rilevare che, nonostante il reiterato intervento delle Sezioni Unite, a fronte di un prevalente orientamento conforme, non sono mancati in giurisprudenza nuovi dissonanti interventi, favorevoli a qualificare l’attribuzione in godimento della casa familiare alla stregua di un provvedimento di contenuto e a valenza economica avente la funzione di tutelare, unitamente all’attribuzione dell’assegno di mantenimento, la posizione del coniuge economicamente più debole il quale sia sprovvisto di redditi propri idonei a garantire la conservazione di un tenore di vita corrispondente a quello tenuto in costanza di matrimonio.123
In tale contesto interpretativo e applicativo, caratterizzato da differenti letture della normativa in ordine all’assegnazione della casa coniugale, il legislatore ha avvertito la necessità di riformare l’intero istituto indicando come unico criterio l’interesse dei figli.
I redattori, pur non escludendo altri elementi di valutazione che possono concorrere alla determinazione della decisione relativa all’attribuzione dell’immobile, hanno inteso collocare in secondo piano le conseguenze che tale assegnazione necessariamente comporta nei rapporti patrimoniali fra i genitori, occupandosi “primariamente” di assicurare la residenza del minore all’interno del luogo in cui ha vissuto fino al momento di disgregazione dell’unità familiare. Nei casi di crisi dell’aggregato sociale fondamentale, infatti, l’assegnazione della casa familiare risponde all’esigenza di garantire l’interesse dei figli alla conservazione dell’ambiente domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi, e delle abitudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, al fine di evitare loro l’ulteriore trauma di un allontanamento dal luogo ove si svolgerà la loro esistenza e di assicurare una certezza ed una prospettiva di stabilità in un momento di precario equilibrio familiare.124 Ciò premesso, risultano chiare le ragioni per cui il legislatore del testo di Riforma abbia inteso attribuire al provvedimento di assegnazione una natura prevalentemente conservativa dello spazio casalingo, e non già
122 V. Cass. sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11297, in Nuova giur. civ. comm., 1996, I, p. 517.
123 M.PALADINI, L’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso, cit., p. 331.
124 Cass. 2 febbraio 2006, n. 2338,in www.affidamentocondiviso.it.
89 un’impropria finalità di forma di contribuzione economica, in quanto quest’ultima deve realizzarsi esclusivamente mediante altri strumenti.125
L’art. 155 quater c. c., introdotto dall’art. 1, comma 2, legge 8 febbraio 2006 n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), detta una nuova regolamentazione dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare in costanza di cessazione della comunione di vita fra i genitori recitando che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.
Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici fra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643”.126
La portata generale della nuova norma sull’assegnazione della casa familiare vale innanzitutto a superare (ai sensi dell’art.4, comma 2, della l. 8 febbraio 2006 n. 54, che dichiara senz’altro applicabili le introdotte disposizioni “anche in caso di scioglimento del matrimonio, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati) i problemi in precedenza suscitati dalla mancanza di qualsiasi esplicita regolamentazione circa la sorte dell’abitazione nel caso di cessazione della convivenza fra genitori non uniti in matrimonio.127
Nel valutare quali siano gli aspetti di novità e, ove sussistano, quelli di continuità tra la vecchia e l’attuale disciplina, il primo problema che si pone all’interprete è quello di stabilire se la nuova modalità di affidamento “condiviso” dei figli incida sui criterii di emanazione e attuazione del provvedimento di assegnazione della casa familiare. Non vi è dubbio che il tenore del previgente art. 155, comma 4, secondo cui l’assegnazione era disposta, “(…) di preferenza e ove sia possibile al coniuge cui vengono affidati i figli”, non poteva essere riproposto in un contesto normativo che sancisce la regola dell’affidamento ad entrambi i genitori, posto che è evidentemente impossibile una pronuncia di assegnazione dell’immobile in favore di entrambi i genitori affidatari.
125 M.SANTINI, L’assegnazione della casa coniugale in caso di separazione (ai sensi della l. n. 54 del 8- 2- 2006), in www.legali.com, marzo 2007.
126M.PALADINI, L’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso, cit., 2006, p. 329
127 E.QUADRI, Assegnazione della casa familiare: gli interessi rilevanti alla luce della nuova disciplina dell’affidamento, in Fam. e Dir., 2007, p. 962.
90 L’art. 155 quater, nel ribadire implicitamente la necessità di garantire l’interesse dei figli alla conservazione dell’ambiente domestico in cui si è svolta la loro esistenza fino al dissolvimento dell’unione familiare, consente di ritenere che, anche nel caso di affidamento condiviso, l’Autorità giudicante abbia il potere- dovere di determinare una localizzazione prevalente della vita della prole, a tutela della quale egli provveda ad assegnare la casa familiare al coniuge con il quale i figli, secondo il piano di affidamento predisposto nel provvedimento giudiziario, debbano intrattenere più stabili e frequenti relazioni. In tal senso è possibile affermare che la norma sull’abitazione della casa familiare fornisce una chiave interpretativa dello stesso principio generale dell’affidamento bigenitoriale, che non può implicare, proprio per quelle ragioni di tutela della serenità e stabilità affettiva della prole, che devono orientare la determinazione delle modalità di attuazione del diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (art. 155, comma 1), l’incerto e continuo “peregrinare” del figlio fra le rispettive abitazioni dei genitori stessi, ma comporta la determinazione della “residenza” del minore e, pertanto, la necessità di garantire il godimento della casa familiare al genitore che con il figlio conviva nella medesima abitazione.128
L’art. 155 quater, ora vigente, è adeguato ai principii ed alle modalità di applicazione dell’affidamento condiviso. Il giudice, infatti, non deve più assegnare la casa al genitore cui sono affidati i figli, ma deve attribuire il godimento dell’immobile in funzione del provvedimento adottato per l’affidamento. Ciò significa che, se i provvedimenti prevedono che i figli trascorrano la maggior parte della giornata con uno dei genitori, la casa potrà essere assegnata allo stesso, per consentire l’uso di essa da parte dei figli.
Ugualmente, nel caso in cui i figli trascorrano il loro tempo in parti uguali fra i genitori, la casa potrà essere assegnata alla parte economicamente più debole, per consentire alla stessa di svolgere la sua funzione in relazione ad essi, potendo l’altra sopperire diversamente, grazie alle sue potenzialità economiche. In ogni caso, il giudice deve tener conto del valore della casa già coniugale come centro di relazioni affettive e di stabilità psicologica per i figli, adeguando a questo principio il provvedimento di attribuzione in godimento.129
128 M.PALADINI, L’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso, cit., 2006, p. 329.
129 B.DE FILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, cit., p. 121.
91 Riguardo alla regolazione dei rapporti economici fra i soggetti parentali, argomento nei confronti del quale la precedente disciplina mancava di precisazione, la Novella indica chiaramente la necessità di ammettere un collegamento diretto fra il provvedimento di assegnazione e il contributo dovuto da ciascun genitore per il mantenimento dei figli.
Tuttavia, deve escludersi che l’istituto della casa familiare possa essere estensivamente applicato come misura economica alternativa o integrativa dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge debole. A sostegno di tale interpretazione depongono, oltre al consolidato orientamento giurisprudenziale, alcuni dati sistematici come, anzitutto, il fatto che il legislatore abbia mantenuto intatta la distinzione fra
“provvedimenti riguardo ai figli” (rubrica del precedente e dell’attuale art. 155 c. c.) ed
“effetti della separazione sui rapporti patrimoniali fra coniugi” (rubrica dell’immutato art. 156 c. c. ). Non vi è dubbio che le nuove norme degli artt. bis- sexies c. c. facciano tutte riferimento a misure in favore della prole e non si propongano di innovare i profili concernenti i rapporti patrimoniali tra i coniugi: se avesse inteso estendere la funzione dell’assegnazione della casa familiare, il legislatore avrebbe dovuto quanto meno mutare la collocazione della relativa norma, ponendola in posizione seguente all’art.
156 c. c., per evidenziare anche plasticamente la sua biunivoca applicabilità in funzione dell’interesse dei figli o di quello del coniuge debole.130
Occorre inoltre sottolineare come, all’interno della disposizione in commento, il riferimento al “titolo di proprietà” sta a significare che il sacrificio compiuto da uno dei genitori deve essere valutato in relazione all’esistenza o meno della proprietà. Se, infatti, la casa assegnata all’altro è di proprietà di un genitore, questi contribuisce al mantenimento dei figli in modo agevolmente valutabile dal punto di vista economico, con riferimento alla somma dovuta per l’alloggio, che egli avrebbe potuto risparmiare, se avesse utilizzato il bene per sé o guadagnare se l’avesse ceduto a terzi. La situazione è diversa se il bene è di comproprietà e ulteriormente differente se tale titolo manca ed il godimento è riconducibile a locazione o a comodato.131
Nella seconda parte del dettato normativo in esame, il legislatore si è occupato di determinare in quali circostanze il diritto di abitazione della casa familiare sia soggetto a
130 M.PALADINI, L’abitazione della casa familiare nell’affidamento condiviso, cit., pp. 331- 332.
131 B.DE FILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, cit. p. 122.
Sull’argomento vedi anche S.MARCHETTI, L’assegnazione della casa familiare e la regolazione dei rapporti economici fra i genitori, in Fam. Pers. Succ. 2007, p. 212 ss. Sulla natura del diritto del coniuge assegnatario cfr. C.RIMINI, L’assegnazione della casa familiare: l’art. 155 quater c. c alla luce delle più recenti affermazioni giurisprudenziali, in Fam. Pers. Succ., 2007, p. 497 ss.
92 revoca. Alcune delle ipotesi per cui oggi si prevede l’estinzione del diritto a godere della casa, già erano indicate da dottrina e giurisprudenza; così è, ad esempio, per l’ipotesi in cui l’assegnatario non viva stabilmente nella casa di cui gli è stato attribuito il godimento, altre ipotesi di estinzione invece sono state introdotte ex novo e paiono del tutto incongrue rispetto ad una assegnazione che dovrebbe essere disposta “tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”. Il riferimento è alle nuove nozze o alla convivenza more uxorio dell’assegnatario. Un’assegnazione che deve essere disposta facendo innanzitutto riferimento all’interesse della prole, parrebbe poter cessare per cause che, sicuramente, non indicano il venir meno di tale interesse, ne hanno alcuna relazione con esso.132 La previsione in oggetto desta perplessità sotto diversi profili.
Sull’assegnazione dell’immobile influisce una variabile indipendente rispetto al criterio guida dettato all’inizio della disposizione in commento. Non pare infatti convincente l’idea che alla base della disposizione vi sia l’interesse dei figli a non entrare in comunione di vita con il coniuge o con il convivente del genitore. La norma, da questo punto di vista, finisce per esprimere una netta disapprovazione verso le ricomposizioni familiari. Inoltre, tale criterio non risulta idoneo a garantire una maggiore tutela al coniuge debole, ma al contrario finisce per aggravarne ulteriormente la posizione. Si pongono peraltro anche dubbi di incostituzionalità; appare infatti inconciliabile con il principio di ragionevolezza l’idea per cui il diritto ad abitare nella casa coniugale, che spetta sul presupposto della convivenza con i figli, possa venire meno a seguito del nuova “situazione di coppia” del genitore. Si potrebbe anche prospettare un’illegittimità in relazione all’art. 2 Cost., giacché la libertà di convivere more uxorio o di contrarre matrimonio del genitore assegnatario verrebbe pregiudicata dalla prospettiva di perdere il diritto al godimento della casa familiare.133
L’ultima parte dell’art. 155 quater, comma 1, stabilisce che “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643”. Le esigenze di tutela del diritto del coniuge assegnatario, che l’alienazione dell’immobile da parte dell’altro coniuge esclusivo proprietario pregiudicava irrimediabilmente (secondo l’interpretazione che prevalse all’indomani della Riforma del diritto di famiglia), furono riconosciute dalla legge del 1987, che, nel riformare l’art. 6 della legge n. 898/1970, stabilì che l’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 del Codice civile. La
132 G.F.BASINI, I provvedimenti riguardati i figli nella crisi della famiglia, cit., p. 1072.
133 M.SESTA, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: a) profili sostanziali, cit., p. 387.