5. Una prima valutazione critica su FRONTEX
5.1. Diritti umani e violazione del principio di non-refoulement
Tra le tante critiche che vengono mosse a FRONTEX, la violazione dei diritti umani è sicuramente quella più reiterata nonché quella più grave. Diverse organizzazioni non governative hanno focalizzato nel corso degli anni la loro attenzione sul trattamento riservato dall’Agenzia ai migranti soccorsi, in particolar modo a coloro che giungevano via mare. I risultati di anni di osservazione delle operazioni svolte dagli ufficiali europei non sono certo lusinghieri, anzi. In seguito a tali indagini, è stato evidenziato come il trattamento riservato ai migranti fosse tutt’altro che rispettoso dei diritti umani. Questa violazione è stata riscontrata durante ognuno dei momenti principali nei quali si articolano le
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operazioni congiunte: l’intercettazione in alto mare, lo sbarco e i momenti immediatamente posteriori ad esso, e la detenzione nel paese nel quale quest’ultimo avviene. Scopo del paragrafo è effettuare una disamina delle attività condotte durante ciascuno di tali momenti per verificare di cosa FRONTEX è stata accusata esattamente e quanto siano attendibili le accuse formulate nei suoi confronti. Infine, mi concentrerò sulle recenti modifiche effettuate al Regolamento istitutivo dell’Agenzia (2011), le quali costituiscono una vera e propria svolta per quest’ultima nell’ambito del rispetto dei diritti umani.
Per quanto riguarda l’intercettazione in alto mare, la violazione più grave che si può verificare in questo primo momento delle operazioni condotte dall’Agenzia per la gestione delle frontiere esterne concerne il principio di non-
refoulement. Come si può evincere dalla definizione del principio riportata nei
capitoli precedenti, la giurisprudenza non dà delle indicazioni riguardo al momento in cui sorge il divieto di rispedire i clandestini al paese di partenza: esso risulta valido sia nel momento in cui i migranti si trovino ancora in alto mare sia quando essi abbiano già raggiunto le coste di uno Stato terzo presso il quale probabilmente intendono presentare richiesta d’asilo. Tuttavia, la prassi mostra come gli Stati membri tendano a considerarlo valido solo a partire dal momento in cui i migranti abbiano raggiunto le proprie coste o siano riusciti a penetrare all’interno del proprio territorio107
; di conseguenza, essi si sentono in diritto di rimandare i barconi al paese d’origine prima che questo accada, cioè quando essi si trovano ancora in alto mare. È già accaduto che uno Stato europeo fosse condannato per aver attuato un tale comportamento lesivo dei diritti umani dei migranti. Era il 2009 e lo Stato in questione era l’Italia. Il 6 maggio di quell’anno, tre barconi con a bordo oltre duecento persone salpavano dalla Libia con l’intenzione di giungere fino alle coste dell’isolotto italiano di Lampedusa. La Guardia di Finanza italiana intercettava tali navi nella zona SAR di competenza maltese e, nell’ambito dell’accordo bilaterale di cooperazione firmato con le autorità libiche, prima trasferiva tutti i migranti su navi italiane e in seguito, senza
107 Guild Elspeth and Moreno-Lax Violeta, Current Challenges regarding the International
Refugee Law, with focus on EU Policies and EU Co-operation with UNHCR, documento CEPS in “Liberty and Security in Europe”, n. 59, settembre 2013, http://www.ceps.be/book/current- challenges-regarding-international-refugee-law-focus-eu-policies-and-eu-co-operation-un
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informarli su quanto stava accadendo, li riconduceva al porto di Tripoli. Alcuni tra i migranti presenti sui barconi, tra cui Somali ed Eritrei, decidevano quindi di presentare un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Quest’ultima, in data 23 febbraio 2012, considerava l’Italia responsabile per l’azione di respingimento intrapresa tre anni prima. La sentenza Hirsi Jamaa et al. v Italy è abbastanza chiara in tal senso. Essa ritiene che lo Stato italiano sia incorso in tre particolari tipologie di violazioni. Innanzitutto quest’ultimo non aveva diritto di effettuare il respingimento poiché la nave intercettata si trovava al di fuori delle sue acque territoriali e pertanto risultava soggetta solo all’autorità dello Stato del quale batteva bandiera. In secondo luogo, la corte riteneva l’Italia responsabile di violazione del principio di non-refoulement, in quanto la Libia, paese nel quale i presunti clandestini sono stati inviati, non può essere considerato “luogo sicuro” e pertanto non vi era la sicurezza che, una volta giunti sul suo territorio, i migranti non fossero sottoposti a tortura o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Infine, la Corte accusava l’Italia di aver effettuato un vero e proprio respingimento collettivo, il quale è vietato già dall’art. 4 del Protocollo n.4 della CEDU. Nonostante la sentenza emessa dalla Corte fosse di chiara condanna nei confronti dell’Italia, le autorità italiane si sono impegnate, anche successivamente ad essa, a far apparire la pratica dei respingimenti collettivi in alto mare come fondamentale ai fini della sicurezza del paese.
Cosa c’entra FRONTEX con una sentenza emessa nei confronti dell’Italia, sì Stato membro dell’Agenzia, ma in quel caso specifico operante nell’ambito di un accordo bilaterale? Nella suddetta sentenza, la Corte ha citato anche l’Agenzia per la gestione delle frontiere esterne. Essa ha infatti richiesto al governo italiano una dichiarazione relativa al rapporto tra le operazioni da esso condotte nell’ambito dell’accordo bilaterale con la Libia e l’operazione congiunta condotta da FRONTEX nella stessa area operativa, che in quel periodo consisteva nella quarta fase di “Nautilus”. A tal proposito, Marin afferma:
“the judgment did not assess the role of Frontex; however, the mere request for clarification of the operational area is a sign of the lack of transparency regarding agencies’ activities and their unclear relation to the facts under dispute. Absent any official disclosure from Frontex of the operational area of JO Nautilus in the days of the
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Italian push-backs, one must rely on the sources available: in this specific case, Frontex’s press releases and NGO reports, which suggest that it is impossible to deny some complementarity between the Italian and Frontex activities”108
.
Seppur sia impossibile stabilire un eventuale coinvolgimento dell’Agenzia nella pratica in questione, è comunque certo che la sentenza abbia contribuito a identificare dei limiti d’azione ben chiari nelle pratiche condotte in alto mare, validi in primis per gli Stati membri ma non trascurabili neppure da FRONTEX. La procedura di accoglienza dei migranti sul suolo europeo prevede che una volta effettuato lo sbarco nell’area territoriale di competenza questi vengano intervistati per comprenderne la nazionalità e valutare eventuali richieste di protezione internazionale. Il riconoscimento della loro condizione di richiedenti asilo è necessario anche in previsione dell’applicazione del principio di non-refoulement; questo è stato riconosciuto anche dall’Alto Commissariato delle nazioni Unite per i Rifugiati:
“Every refugee is, initially, also an asylum applicant; therefore, to protect refugees, asylum applicants must be treated on the assumption that they may be refugees until their status has been determined. Without such a rule, the principle of non-refoulement would not provide effective protection for refugees, because applicants might be rejected at the frontier or otherwise returned to persecution on the grounds that their claim had not been established”109
.
Lo Stato territoriale che ha accolto i migranti è l’unico responsabile per il trattamento inflitto a questi ultimi; ad esso spetta dunque la presa in carico delle domande d’asilo eventualmente presentate dai clandestini. Tuttavia, la maggior parte delle operazioni congiunte condotte da FRONTEX prevede che i migranti intercettati vengano sottoposti a delle interviste volte a comprenderne il paese d’origine e quindi valutarne un’eventuale richiesta d’asilo. Bisogna riconoscere che non esiste una procedura universale utilizzata dall’Agenzia in questi casi: non
108 Marin Luisa, Protecting the EU’s borders from… fundamental rights? Squaring the circle
between Frontex’s border surveillance and human rights, in “Freedom, Security and Justice after Lisbon: Internal and External Dimensions of Increased Cooperation in the European Union”, edito da R. Holzhacker & P. Luif, Springer, New York, 2013, http://www.europeanrights.eu/public/commenti/Marin.Holzhacker.Luif.pdf.
109 Alto Commissariato delle Nazioni Unite per I Rifugiati, Note on the Principle of Non-
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vi è dunque la sicurezza che tutti i migranti siano sottoposti agli interrogatori e quindi che la totalità di essi abbia garantita la facoltà di esercitare il proprio diritto d’asilo.
Anche quando un barcone non venga respinto in alto mare e tutti i migranti intercettati vengano fatti sbarcare sul suolo europeo, non vi è alcuna garanzia che non intervenga nell’immediato futuro una violazione dei loro diritti fondamentali. Il trattamento riservato ai migranti sbarcati nel territorio dello Stato europeo di competenza rimane uno dei punti più problematici del lavoro svolto da FRONTEX alle frontiere esterne. Non vi sono infatti informazioni certe riguardo a quanto avviene nei centri di accoglienza che dovrebbero ospitare i migranti nel periodo immediatamente successivo al loro arrivo sul territorio dello Stato in questione. Le organizzazioni di diritti umani allora si organizzano da sé: spesso conducono delle indagini tramite i propri operatori, i quali si recano a verificare la situazione sul campo, visitando i migranti detenuti nei centri di accoglienza e redigendo in seguito un report che evidenzi le violazioni riscontrate. È successo così nel caso del rapporto stilato da “Human Rights Watch” su diversi centri di detenzione greci nel 2010:
“In December 2010, during the RABIT deployment, Human Rights Watch visited detention centers in the Evros region of Greece and found that the Greek authorities were holding migrants, including members of vulnerable groups such as unaccompanied children, for weeks or months in conditions that amounted to inhuman and degrading treatment”110
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In questo caso, “Human Rights Watch” considerava anche FRONTEX come parte coinvolta poiché erano proprio i suoi ufficiali a condurre i migranti nei centri di detenzione incriminati, per cui risulta molto difficile credere che essi fossero all’oscuro di tali pratiche. Le condizioni di detenzione erano pessime, ma questa situazione non era nuova agli operatori dell’organizzazione, visto che già nel 2008 questi avevano condotto un’analoga indagine sulle condizioni di detenzione dei migranti in Grecia, la quale aveva fornito gli stessi risultati. Nel gennaio 2011 la
110 “Human Rights Watch” Report, The EU’s Dirty Hands. Frontex Involvement in Ill-Treatment
of Migrant Detainees in Greece, settembre 2011, http://www.hrw.org/reports/2011/09/21/eu-s- dirty-hands-0.
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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riconosceva le condizioni già individuate dall’organizzazione:
“overcrowding, dirt, lack of ventilation, little or no possibility of taking a walk, no place to relax, insufficient mattresses, no free access to toilets, inadequate sanitary facilities, no privacy, limited access to care. Many of the people interviewed also complained of insults, particularly racist insults, proffered by staff and the use of physical violence by guards”111
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“Human Rights Watch” invitava pertanto il Management Board di FRONTEX a: sospendere immediatamente l’impiego di guardie europee fino a quando i migranti non potessero essere trasferiti in altri centri sia in Grecia che all’estero nei quali fosse garantito il rispetto dei diritti umani dei detenuti; intervenire sugli ufficiali greci affinché si impegnassero nel trasferire i migranti sottoposti a trattamenti degradanti in centri nei quali questo non avvenisse; verificare che vi fossero le condizioni atte al rispetto dei diritti umani, prima di intraprendere qualunque operazione congiunta. Allo stesso modo, il report di denuncia si rivolgeva anche agli Stati membri di FRONTEX, invitandoli a non prendere più parte ad operazioni che rischiavano di non rispettare i diritti umani dei migranti e ad istruire le guardie di confine nazionali prendenti parte alle operazioni congiunte sulla legislazione in materia di tali diritti. Infine, l’organizzazione si rivolgeva anche alle istituzioni europee, invitandole ad emendare il Regolamento, inserendovi un esplicito riferimento ai diritti umani dei migranti coinvolti nelle operazioni di ricerca e soccorso.
Effettivamente, nel 2011 il Regolamento istitutivo dell’Agenzia per la gestione della cooperazione alle frontiere esterne conosceva un progetto di riforma, il quale poneva particolare attenzione proprio sul settore dei diritti umani. Tale progetto veniva approvato dal Paramento Europeo con 431 voti a favore, 49 contrari e 48 astensioni112. Esso prevedeva l’istituzione di un Responsabile per i diritti fondamentali e di un forum consultivo sull’applicazione di tali diritti. Quest’ultimo avrebbe incluso l’Agenzia per i Diritti Fondamentali (FRA),
111 Ibidem.
112 Frontex: nuovi poteri e ispettori per i diritti umani, Comunicato stampa del Parlamento
Europeo, 13 settembre 2011, http://www.europarl.europa.eu/news/it/news- room/content/20110913IPR26455/html/Frontex-nuovi-poteri-e-ispettori-per-i-diritti-umani.
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l’Ufficio Europeo di Sostegno per l’Asilo (EASO), l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ed esperti provenienti da varie ONG attive nel settore dei diritti umani. La riforma prevedeva inoltre la clausola, di fondamentale importanza, secondo la quale un’operazione sarebbe potuta essere immediatamente sospesa nel caso in cui fosse stata riscontrata una violazione dei diritti umani durante il suo svolgimento. Infine, FRONTEX avrebbe dovuto predisporre un codice di condotta atto a garantire la conformità ai diritti umani di tutte le sue missioni (codice che è stato stilato successivamente, in seguito alla collaborazione con il forum consultivo sui diritti fondamentali, ed è effettivamente entrato in vigore l’8 ottobre 2013) e in particolare si sarebbe dovuto impegnare nel rispetto del principio di non-refoulement in ogni circostanza.