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La gestione integrata delle frontiere marittime dell’UE: l’attività di FRONTEX nel Mare Nostrum

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione ... 1

1. Da Schengen a EUROSUR: nascita ed evoluzione di FRONTEX ... 5

1.1. L’idea di una gestione comune delle frontiere esterne ... 6

1.2. L’opzione mancata: la creazione degli European Corps of Border Guard.. 9

1.3. L’Agenzia per la gestione delle frontiere esterne ... 15

1.4. Ulteriori sviluppi: da FRONTEX al Programma di Stoccolma ... 17

1.5. Uno strumento complementare: EUROSUR ... 23

2. Come funziona FRONTEX? ... 27

2.1. Le sei missioni dell’Agenzia ... 28

2.1.1. Coordinamento della cooperazione operativa tra gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne ... 29

2.1.2. Formazione del corpo nazionale delle guardie di confine ... 32

2.1.3. Analisi dei rischi ... 33

2.1.4. Ricerca sul controllo e la sorveglianza delle frontiere esterne ... 36

2.1.5. Assistenza tecnica e operativa agli stati membri alle frontiere esterne 39 2.1.6. Organizzazione di operazioni di rimpatrio congiunte ... 41

2.2. Come nasce un’operazione congiunta ... 44

2.3. Gli attori che compongono il team FRONTEX ... 45

2.4. La gestione del budget ... 47

2.5. FRONTEX e la cooperazione con altre Agenzie europee: FRA ed EASO ... 48

3. Il quadro giuridico in cui si inseriscono le attività di FRONTEX ... 51

3.1. Strumenti giuridici con finalità umanitarie ... 52

3.1.1. La Convenzione di Ginevra del 1951 ... 53

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3.1.3. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e

delle libertà fondamentali ... 57

3.2. Strumenti giuridici di diritto marittimo ... 59

3.2.1. La Convenzione SOLAS ... 60

3.2.2. La Convenzione SAR ... 62

3.2.3. La Convenzione UNCLOS ... 63

3.3. Strumenti complementari ... 64

3.3.1. Protocollo contro il traffico di migranti via terra, mare e aria ... 65

3.3.2. Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare ... 66

3.3.3. Guida ai principi e pratiche da applicarsi a migranti e rifugiati ... 67

3.3.4. Convenzione per la Facilitazione del traffico marittimo ... 68

3.3.5. Principi relativi alle procedure amministrative per lo sbarco di persone soccorse in mare... 69

3.3.6. Decisione del Consiglio No. 2010/252 ... 70

4. Le operazioni FRONTEX nel Mediterraneo: una lettura qualitativa dei risultati raggiunti ... 72

4.1. L’operazione “Agios” ... 73

4.2. L’operazione “Gate of Africa” ... 74

4.3. L’operazione “Hera” ... 76 4.4. L’operazione “Nautilus” ... 83 4.5. L’operazione “Minerva” ... 88 4.6. L’operazione “Indalo” ... 90 4.7. L’operazione “Poseidon”... 91 4.8. L’operazione “Hermes” ... 93 4.9. L’operazione “Aeneas” ... 94 4.10. Valutazioni di sintesi ... 95

5. Una prima valutazione critica su FRONTEX ... 97

5.1. Diritti umani e violazione del principio di non-refoulement ... 99

5.2. La visione securitaria dell’immigrazione ... 105

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5.4. La perpetuazione della “cultura della segretezza”... 115

6. La ripresa dei flussi nel 2013: tragedie e risposte ... 118

6.1. Le risposte delle istituzioni ... 120

6.2. L’operazione “Triton” ... 124

Conclusioni ... 127

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Introduzione

L’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea nasce nel 2004 e diventa pienamente operativa l’anno successivo, nel 2005. Il 2014 costituisce quindi il suo decimo anno di attività. Scopo del mio lavoro di tesi è quello di tracciare l’evoluzione dell’Agenzia dalla sua creazione ad oggi e dunque comprendere quel delicato processo di evoluzione che essa ha conosciuto in questo suo primo decennio di vita. La mia analisi si incentra in particolare sull’azione che FRONTEX ha svolto nel mar Mediterraneo, quindi prevalentemente sulle coste di Spagna, Italia e Grecia; prendo in esame dunque le operazioni marittime da essa condotte sulle coste meridionali dell’Unione Europea.

Ho ritenuto opportuno suddividere la mia trattazione in sei capitoli, ciascuno inerente a una particolare tematica relativa all’Agenzia. I primi tre capitoli costituiscono una dissertazione di carattere teorico e normativo, mentre gli ultimi tre ne analizzano l’attività da un punto di vista più pratico.

Il primo capitolo analizza il percorso storico che ha portato alla creazione di FRONTEX. Ho deciso di identificare come punto di partenza di questo ideale viaggio nel tempo il 1957, poiché in questo anno sei Stati europei decidevano di firmare i cosiddetti “Trattati di Roma”, i quali gettavano le basi per la progressiva creazione di un’area di libera circolazione per le merci. Si trattava dunque di una primitiva forma di gestione integrata delle frontiere. Altro grande passaggio compiuto circa trent’anni dopo è stato l’Accordo di Schengen, una sorta di cooperazione rafforzata tra cinque Stati europei che decidevano di abolire i controlli alle proprie frontiere interne. Era il 1985: per arrivare al 2004 mancavano ancora circa vent’anni, eppure è stato proprio questo in questo periodo che in un’alternanza di piccoli successi e soluzioni fallimentari si è giunti a un accordo sulla creazione di un’Agenzia. Tuttavia, FRONTEX non ha costituito solo un punto di arrivo in materia di gestione integrata delle frontiere esterne ma, come emerge dai capitoli seguenti, essa si configura anche e soprattutto come un punto

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di partenza verso nuove metodologie operative intraprese dai singoli Stati e coordinate a livello europeo.

Il secondo capitolo analizza l’Agenzia nei suoi aspetti più pratici, guardando ai compiti che essa si pone di svolgere e alle modalità tramite le quali questo avviene. Vengono esaminate dunque innanzitutto le sei missioni fondamentali di FRONTEX, già sancite dal suo regolamento istitutivo: coordinamento della cooperazione tra gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne; formazione dei corpi nazionali di guardie di confine; analisi dei rischi; attività di ricerca; assistenza tecnica e operativa agli Stati membri alle frontiere esterne; organizzazione di operazioni di rimpatrio congiunte. In secondo luogo, questo capitolo approfondisce le modalità tramite le quali nasce un’operazione congiunta, si focalizza sugli attori che operano all’interno dell’Agenzia, questi ultimi intesi sia come singoli operatori sia come Stati membri, sulle modalità di gestione del budget e sulla cooperazione di FRONTEX con due altre Agenzie Europee: l’Agenzia per i Diritti Fondamentali e l’Ufficio Europeo di Sostegno per l’Asilo. Il terzo capitolo si differenzia dai due precedenti in quanto non ha per oggetto l’Agenzia in sé, ma si occupa di delineare il contesto nel quale essa si ritrova ad operare. Il regolamento istitutivo di FRONTEX si inserisce infatti all’interno di un quadro giuridico composto da atti di varia natura. Ho suddiviso questi atti in due categorie: strumenti giuridici con finalità umanitarie e strumenti giuridici di diritto marittimo. Nel primo caso ho analizzato la Convenzione di Ginevra del 1951, la quale contiene la definizione di rifugiato nonché il riferimento al principio di

non-refoulement, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e la

Convenzione Europea dei diritti Umani. Per quanto riguarda invece la seconda categoria, ho preso in esame le due Convenzioni dell’Organizzazione Marittima Internazionale SOLAS e SAR, nonché la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Se la prima tipologia di strumenti definisce una serie di principi ai quali FRONTEX deve attenersi nel trattamento dei migranti, la seconda fornisce invece delle indicazioni sulle modalità operative adottate nel corso delle operazioni congiunte.

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Il quarto capitolo è dedicato all’analisi delle singole missioni condotte da FRONTEX nel mar Mediterraneo. Le operazioni congiunte che prenderò in esame saranno nove e saranno presentate in ordine cronologico; di queste, due verranno trattate in maniera più approfondita in quanto interventi di natura più rilevante e quindi maggiormente meritevoli di attenzione: “Hera” e “Poseidon”. La missione “Hera” è stata la prima vera e propria operazione condotta da FRONTEX in assoluto, si è svolta in Spagna e si è posta l’obiettivo di aiutare il governo spagnolo nel contrastare l’immigrazione irregolare proveniente dal nord Africa; “Poseidon” si è occupata invece di uno Stato europeo collocato nell’area mediterranea opposta a quella spagnola, cioè la Grecia e il suo confine con la Turchia. Entrambe queste missioni sono state trasformate in operazioni permanenti; ciò implica la presenza costante e continuativa degli operatori FRONTEX nelle zone d’azione specifiche per ciascuna di esse.

Il quinto capitolo si pone l’obiettivo di far luce sulle critiche che vengono mosse all’Agenzia sin dalla sua istituzione, cercando di capire quali di esse siano attendibili e quali invece no. Il primo di questi aspetti critici riguarda i diritti umani, in primis il principio di non-refoulement. L’Agenzia è stata accusata in passato di non aver rispettato tale principio e quindi di aver rinviato dei migranti al proprio paese d’origine sottovalutando il rischio che essi fossero sottoposti a torture o altri trattamenti disumani o degradanti. La seconda critica rilevante riguarda la presunta “securitizzazione” dell’immigrazione, e il ruolo che secondo alcuni autori FRONTEX avrebbe svolto nel dipingere l’immigrazione come una minaccia dalla quale l’Europa necessita di difendersi. Un altro aspetto discusso riguarda l’accountability, cioè quel meccanismo di responsabilità che l’Agenzia deve necessariamente instaurare da un lato con le istituzioni europee deleganti e dall’altro con gli Stati che ne sono membri. Infine, ultimo punto saliente: la questione relativa alla trasparenza, grave carenza che si ripercuote nel meccanismo operativo di FRONTEX.

Infine, il sesto e ultimo capitolo del mio lavoro prende in esame la cosiddetta “tragedia di Lampedusa”, cioè il naufragio avvenuto nel 2013 al largo delle coste italiane, che ha causato la morte di centinaia di migranti diretti verso la Sicilia e

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ha fatto sì che i riflettori della stampa di tutto il mondo venissero puntati, ancora una volta, sull’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne. Nonostante l’Agenzia non possa essere considerata direttamente responsabile di quanto accaduto nel mar Mediterraneo nella notte tra il 2 e il 3 ottobre 2013, essa è intervenuta in quell’occasione in aiuto dello Stato italiano, il quale evidentemente viveva un periodo di grande difficoltà dal punto di vista della gestione delle frontiere esterne e richiedeva un intervento europeo in tale settore. Ecco quindi che FRONTEX si è impegnata con una nuova operazione congiunta denominata “Triton”, la quale sostituisce dal 2013 “Mare Nostrum”, la precedente operazione di ricerca e soccorso attuata dalla Marina Militare italiana nelle acque siciliane. “Triton” viene analizzata nel dettaglio nelle ultime pagine della mia tesi, tramite un confronto con “Mare Nostrum”; si tratta tuttavia di un confronto meramente teorico, in quanto i tempi non sono ancora maturi per pronunciarsi circa gli esiti dell’operazione europea tutt’ora in corso.

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CAPITOLO I

1. Da Schengen a EUROSUR: nascita ed evoluzione di FRONTEX

Il Regolamento istitutivo dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (d’ora in avanti: FRONTEX) è stato approvato il 26 ottobre 2004 (n. 2004/2007) ed è entrato in vigore il 26 novembre dello stesso anno. L’Agenzia è diventata pienamente operativa qualche mese più tardi. Tuttavia la creazione di FRONTEX è da considerarsi come un punto di arrivo, oltre che come un nuovo punto di partenza nel contesto politico dell’Unione Europea. Trovare una comune posizione sulla gestione delle frontiere esterne che soddisfacesse tutti gli Stati membri non è stato facile, anzi, ha richiesto anni di trattative. La studiosa Hélène Jorry afferma che per comprenderlo appieno sia necessario consultare oltre 300 documenti tra risoluzioni, proposte e comunicazioni prodotte dalle istituzioni europee tra il 2001 e il 20101. In effetti si tratta di un’operazione molto laboriosa, poiché appunto laborioso è stato il percorso tramite il quale si è giunti ad un compromesso. Dall’iniziale e vaga idea di una gestione comune delle frontiere esterne si è passati all’idea di un corpo di guardie gestito a livello comunitario e infine si è scelto di concretizzare gli sforzi in un’Agenzia che si occupasse della materia in maniera esclusiva; in seguito si è cercato di migliorare sempre più i risultati raggiunti tramite misure aggiuntive complementari a FRONTEX e al lavoro che quest’ultima svolge. Proprio per questo motivo ritengo sia importante ripercorrere le tappe del processo che ha avuto come risultato ultimo la nascita dell’Agenzia: per comprendere come la decisione finalmente adottata nel 2004 sia stata generalmente apprezzata e condivisa.

Mi appresto dunque in questo primo capitolo a tracciare le linee di quello che ad oggi potremmo definire come l’inizio della storia di FRONTEX.

1 Jorry Hélène, Construction of a European Institutional Model for Managing Operational

Cooperation at the EU’s External Borders: is the FRONTEX Agency a decisive step forward?, documento di ricerca n.6 pubblicato all’interno del programma CEPS CHALLENGE “Changing Landscape of European Liberty and Security”, 22 marzo 2007, http://www.ceps.eu/book/construction-european-institutional-model-managing-operational-cooperation-eu%E2%80%99s-external-border.

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Nel primo paragrafo accennerò alle condizioni storiche che sin dagli ultimi decenni degli anni ’90 del secolo scorso hanno dato vita all’idea di un Integrated

Border Management; analizzerò quindi nel dettaglio lo sviluppo dell’acquis di

Schengen e il processo tramite il quale esso è stato comunitarizzato, nel 1999. Nel secondo paragrafo analizzerò le alternative ponderate dagli Stati membri in materia di gestione comune delle frontiere esterne. Mi soffermerò in particolare sull’”opzione mancata” degli European Border Guard Corps, progetto inizialmente avallato dalle istituzioni ma ritenuto forse troppo impegnativo dagli Stati membri e pertanto mai realizzato.

Il terzo paragrafo sarà dedicato al momento vero e proprio in cui finalmente gli Stati membri hanno raggiunto un accordo e hanno deciso di creare un’Agenzia. Mi concentrerò pertanto sui due anni immediatamente precedenti al 2004, anni estremamente produttivi dal punto di vista della legislazione comunitaria in materia di gestione congiunta delle frontiere esterne.

Da ultimo, descriverò brevemente ciò che ha seguito la nascita di FRONTEX. In particolare, nel quarto paragrafo esporrò i cambiamenti apportati e le prospettive aperte in materia dal Trattato di Lisbona e dal Programma di Stoccolma; il quinto e ultimo paragrafo, infine, sarà interamente dedicato al nuovo sistema di sorveglianza delle frontiere marittime meridionali, EUROSUR.

1.1. L’idea di una gestione comune delle frontiere esterne

L’idea dell’abolizione delle frontiere interne tra gli Stati membri di quella che è oggi l’Unione Europea è nata con i Trattati di Roma del 1957 istitutivi, fra l’altro, della Comunità Economica Europea. Già allora, infatti, si sono gettate le basi per la progressiva creazione di un’area di libera circolazione per le merci, la quale avrebbe permesso l’abolizione di dazi doganali tra paesi firmatari. Qualche anno dopo si è giunti, attraverso legislazione secondaria, a istituire la libera circolazione per i lavoratori, fino ad arrivare ad una totale abolizione dei controlli alle frontiere interne degli Stati membri nei primi anni ’90 dello scorso secolo. L’obiettivo temporale che gli Stati membri si sono posti per la realizzazione dello spazio senza frontiere interne era il 1992; eppure, già prima di questo termine cinque degli Stati originariamente firmatari del Trattato di Roma (Belgio, Olanda,

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Lussemburgo, Francia e Germania) decidevano di istituire quella che oggi potremmo definire come una cooperazione rafforzata volta ad accelerare tale processo. I capi di governo si riunirono nella cittadina lussemburghese di Schengen il 14 giugno 1985 e siglarono un accordo che proprio da tale cittadina prende il nome. Cinque anni dopo, l’Accordo di Schengen fu integrato dalla Convenzione di Applicazione dell’Accordo di Schengen; i due atti giuridici costituiscono oggi quello che viene comunemente definito “l’acquis di Schengen”. Occorre precisare, comunque, che ancora nei primi anni ’90, l’acquis restava “esterno” rispetto all’Unione Europea; bisognerà aspettare il 1999, con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, affinché sia integrato nella legislazione comunitaria. Esso fu trasferito nel Titolo IV del Trattato CE concernente visti, asilo, immigrazione e altre politiche relative alla libera circolazione delle persone. Gli articoli in questione sono i seguenti: 62(1), 62(2)(a), 62(3) e 63(3). In particolare, l’art. 62 ai punti (1) e (2) afferma:

“Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 67, entro un periodo di cinque anni a decorrere dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam adotta

1) misure volte a garantire, in conformità all’articolo 14, che non vi siano controlli sulle persone, sia cittadini dell’Unione sia cittadini di paesi terzi, all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne

2) misure relative all’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, che definiscono

a) norme e procedure cui gli Stati membri devono attenersi per l’effettuazione di controlli sulle persone alle suddette frontiere”2

.

Da questo momento, le questioni relative all’asilo e all’immigrazione passarono sotto la competenza del primo pilastro, il pilastro comunitario; ciò implicava una maggiore partecipazione delle istituzioni europee al processo decisionale, il quale precedentemente giaceva perlopiù nelle mani degli Stati membri. Tuttavia, era previsto un periodo di transizione di cinque anni (che si sarebbe quindi prolungato fino al 2004) durante il quale la Commissione e gli Stati avrebbero condiviso il potere d’iniziativa, mentre al Consiglio si votava per unanimità e il Parlamento

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era interessato solo in quanto parte consultiva, non essendo pienamente integrato nel processo decisionale. In ogni caso, il Trattato di Amsterdam costituiva la prima vera e propria base legale per qualunque azione l’Unione volesse intraprendere in materia di immigrazione e asilo; ben 39 misure sono state adottate in quest’ambito nel quinquennio 1999-20043

. In particolare, come si evince dal testo sopra citato, l’art. 62(2) può essere considerato ad oggi come la base legale per la creazione di FRONTEX, in quanto l’Agenzia costituisce proprio un’ulteriore procedura voluta dalle istituzioni europee nell’ambito della gestione delle frontiere esterne.

La comunitarizzazione dell’acquis di Schengen non è stata l’unica innovazione prodotta in materia di immigrazione dal Trattato di Amsterdam: quest’ultimo prevedeva infatti anche la creazione di un gruppo intergovernativo denominato SCIFA, acronimo dell’inglese Strategic Committee on Immigration,

Frontiers and Asylum. SCIFA si componeva di ufficiali degli Stati membri, i

quali si ponevano l’obiettivo di sorvegliare e coordinare i gruppi attivi nel settore dell’asilo e dell’immigrazione già esistenti in seno al Consiglio. Uno tra i gruppi particolarmente attivi in quel periodo, creato solo due anni prima, era l’High Level

Working Group on Asylum and Migration: esso fungeva da forum per le

discussioni relative a migranti e rifugiati e si proponeva di redigere dei piani d’azione specifici per missioni da intraprendere in diverse parti del mondo. SCIFA riportava sull’azione di questo e altri gruppi direttamente al COREPER; fu proprio il COREPER, tramite una raccomandazione, a suggerire che gli ufficiali di SCIFA organizzassero degli incontri con i rappresentanti dei corpi nazionali di guardie di frontiera, realmente impegnati sul campo. Da tali meeting nacque SCIFA+, evoluzione dell’originario comitato strategico, il quale si poneva un compito più pratico, cioè la coordinazione dei centri ad-hoc per i controlli alle frontiere. SCIFA comunque continuava ad esistere ed esiste ancora oggi; SCIFA+ ha avuto invece una durata limitata nel tempo in quanto i successivi sviluppi delle politiche europee hanno fatto sì che esso fosse sostituito da strumenti più efficaci.

3 Geddes Andrews, Europe’s Border Relationships and International Migration Relations, in

“Journal of Common Market Studies”, vol. 43 (4), pp. 747-806, novembre 2005, http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1468-5965.2005.00596.x/abstract.

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Nel frattempo, nello stesso anno in cui entrò in vigore il Trattato di Amsterdam (lo ricordiamo, il 1999) fu lanciato il Programma di Tampere. Si trattava di un piano d’azione voluto dagli Stati membri dell’Unione e deciso in seguito al summit tenutosi, appunto, a Tampere nell’ottobre 1999. Esso si proponeva di elaborare

“politiche comuni in materia di asilo e immigrazione, considerando nel contempo l'esigenza di un controllo coerente alle frontiere esterne per arrestare l'immigrazione clandestina e combattere coloro che la organizzano commettendo i reati internazionali ad essa collegati”4

.

Il Programma riconosceva inoltre l’utilità dell’High Level Working Group on

Asylum and Migration e raccomandava di intensificare le relazioni con i paesi

terzi ai fini di sviluppare politiche migratorie sempre più mirate e, dunque, efficaci.

1.2. L’opzione mancata: la creazione degli European Corps of Border Guard Con l’arrivo del nuovo millennio l’attenzione posta dall’Unione Europea sulle questioni legate all’immigrazione si è intensificata. La causa fondamentale di questo interesse consiste negli attentati terroristici al World Trade Center del 2001, i quali avevano mostrato la fragilità di una grande potenza mondiale, gli Stati Uniti, ma al contempo non potevano lasciare indifferenti i paesi occidentali. Eppure, nonostante il contesto storico richiedesse delle decisioni severe e irrevocabili in materia di politica estera, gli Stati membri faticavano a trovare un accordo. Analizzando le conclusioni del Consiglio europeo tenutosi a Laeken, in Finlandia, appena tre mesi dopo il crollo delle Torri Gemelle, si nota come effettivamente in quell’occasione sia stato affrontato l’argomento della sicurezza delle frontiere esterne, nonché sia stata sottolineata la necessità di procedere verso delle misure atte a combattere l’immigrazione illegale. Ecco cosa scrivevano i capi di governo in quell’occasione:

“Una gestione più efficace del controllo alle frontiere esterne dell'Unione contribuirà alla lotta contro il terrorismo, le organizzazioni d'immigrazione clandestina e la tratta degli

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esseri umani. Il Consiglio europeo chiede al Consiglio e alla Commissione di definire i meccanismi di cooperazione tra i servizi incaricati dei controlli alle frontiere esterne e di studiare le condizioni per la creazione di un meccanismo o di servizi comuni di controllo delle frontiere esterne”5

.

Si tratta dell’unico riferimento a un legame esistente tra terrorismo e immigrazione. Nel resto del documento, la questione relativa alla gestione delle frontiere esterne viene trattata disgiuntamente rispetto alle questioni relative alla minaccia potenziale che gli attentati hanno rappresentato per gli Stati membri.

L’Integrated Border Management è definito come una delle tante sfide delle quali

l’Unione dovrà occuparsi negli anni a seguire, senza particolari toni allarmistici ma, anzi, congiuntamente a tanti altri obiettivi che essa si pone di raggiungere. Edler, analizzando i risultati del Consiglio di Laeken, giunge alla medesime conclusioni:

“Although terrorism is taken as a serious threat, it is interesting to see that the first ordinary meeting resolution after the attacks deals with this issue as one of a series of security challenges faced by the EU. Furthermore, the Laeken conclusions do not mention emergency, urgency or exception, it proposes a better formula for border management. Shortly after September 11th, the European Council was more worried with the difficulties arising from the adoption of the Euro, and the perspectives about the general quality of life in the Union, than with special security policies. According to the Laeken resolution, the response for this issue should be “deeper integration” and the adoption of measures proposed years before, in the Tampere Summit (1999) and the Treaty of Amsterdam (1997)”6

.

Le conclusioni redatte dalla Presidenza in seguito al summit di Laeken contenevano una raccomandazione ben precisa: intensificare gli sforzi al fine di creare un meccanismo di controllo efficace nella gestione dei confini. In risposta al Consiglio, la Commissione presentava già qualche mese dopo una Comunicazione intitolata “Verso una gestione integrata delle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea”. Tale documento prendeva atto

5 Conclusioni della Presidenza, Consiglio Europeo di Laeken, 14 e 15 dicembre 2001.

6 Edler Daniel, Securitization and (In)security Practices in Europe: The creation of Frontex,

Articolo per la 43esima Conferenza Annuale di UACES, Leeds, 2-4 settembre 2013, http://www.uaces.org/archive/papers/abstract.php?paper_id=743.

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dell’incompleta attuazione degli accordi siglati in seno all’acquis di Schengen, in quanto ben cinque anni dopo l’entrata in vigore dello stesso i controlli alle frontiere esterne erano ancora gestiti da ciascuno Stato membro in piena autonomia; non si era quindi verificata quell’armonizzazione di fatto che ci si auspicava al momento della firma dell’Accordo. La Commissone inoltre elaborava i cinque punti fondamentali intorno ai quali una nuova politica europea di gestione comune delle frontiere esterne avrebbe dovuto articolarsi:

 “Un corpus legislativo comune;

 Un meccanismo comune di concertazione e cooperazione operativa;  Una valutazione comune e integrata dei rischi;

 Personale formato alla dimensione europea e attrezzature interoperative;

 Una ripartizione degli oneri fra gli Stati membri nella prospettiva di un Corpo europeo di guardie di frontiera”7.

Proseguendo nell’esplicazione di ogni singolo punto, la Commissione effettuava delle proposte concrete riguardanti la cooperazione alle frontiere esterne. In particolare, i punti che concernono la nostra trattazione e che pertanto mi accingo ad analizzare sono due: il secondo e il quinto.

Per quanto riguarda il “meccanismo comune di concertazione e cooperazione operativa”, veniva proposta la creazione di un organo comune di esperti in materia di frontiere esterne (d’ora in avanti: PCU, dall’acronimo inglese

External Border Practitioners Common Unit); da esso avrebbe dovuto svilupparsi

un processo permanente di scambio e trattamento di dati tra gli operatori alle frontiere e gli operatori all’interno dell’area Schengen. Il PCU si sarebbe dovuto appoggiare allo SCIFA, il quale già possedeva il know-how necessario in materia di gestione delle frontiere esterne; esso avrebbe inoltre dovuto ricoprire quattro ruoli fondamentali:

 “agire come la "testa" della politica comune di gestione delle frontiere esterne per effettuare la valutazione comune e integrata dei rischi;

 agire come un "direttore d'orchestra", coordinando e dirigendo azioni operative sul campo, in particolare in situazioni di crisi;

7 Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo, “Verso una gestione

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 agire come gestore e come stratega per assicurare una maggiore convergenza fra le politiche nazionali per le questioni relative al personale e alle attrezzature;  esercitare una forma di potere di ispezione, in particolare in situazioni di crisi o se

la valutazione dei rischi dovesse richiederlo”8.

Per quanto riguarda invece la creazione di un Corpo Europeo di Guardie di Frontiera, esso avrebbe dovuto essere subordinato al PCU; in un primo momento avrebbe dovuto svolgere funzioni di sorveglianza alle frontiere esterne, mentre in un secondo momento avrebbe potuto effettuare veri e propri controlli pratici. In ogni caso, già la Commissione evidenziava che tale innovazione sarebbe stata la più difficile da attuare; mentre infatti la creazione del PCU veniva inserita tra gli obiettivi raggiungibili a breve termine, per la creazione degli European Border

Guard Corps si lasciava un margine di tempo più ampio, anche perché

probabilmente si sarebbe resa necessaria una revisione dei Trattati al fine di dotare le nuove guardie della legittimazione necessaria ad effettuare tali controlli.

A ben guardare, la creazione di un Corpo Europeo di Guardie di Frontiera non era un’idea del tutto innovativa per gli Stati membri. Già nel 2001 la presidenza italiana aveva presentato un’iniziativa congiunta volta a realizzare uno studio sulla possibilità di creare una Polizia di Frontiera Europea; tale studio vide la collaborazione, oltre all’Italia, anche di Germania, Belgio, Francia e Spagna. I risultati furono resi pubblici nel maggio 2002, ma non furono giudicati attendibili: come già sottolinea Léonard, ciò che si evinceva dalle conclusioni redatte era solo una grande confusione dovuta alla mancanza di consenso tra gli Stati partecipanti9. Sempre nel maggio 2002, la Commissione pubblicava la sua Comunicazione la quale, come abbiamo visto, conteneva due proposte più concrete nell’ambito della gestione delle frontiere esterne; tuttavia bisogna specificare che la stessa Commissione scriveva in una nota che già la presidenza finlandese aveva richiesto l’istituzione di un “Forum per le frontiere esterne” nel 2001. La Comunicazione quindi perdeva il suo carattere di originalità, benché sia

8 Ibidem.

9 Léonard Sarah, The Creation of FRONTEX and the Politics of Institutionalisation in the EU

External Borders Policy, in “Journal of Contemporary European Research”, vol. 5 (3), pp. 371-388, anno 2009, http://www.jcer.net/ojs/index.php/jcer/article/view/239/164.

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innegabile che dal momento in cui essa fu presentata agli Stati membri i lavori in tale ambito subirono una notevole accelerazione.

Appena un mese dopo la Comunicazione del maggio 2002, il Consiglio presentava un “Piano d’Azione per la Gestione delle Frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea”. Esso conteneva proposte ancora più caute rispetto a quelle presentate dalla Commissione: pur sottolineando infatti la necessità di istituire un organo comune europeo all’interno dello SCIFA, il Consiglio prendeva al contempo le distanze da un’iniziativa che sarebbe apparsa molto più impegnativa, ossia la creazione di un vero e proprio Corpo di Guardie di Frontiera. Quest’ultimo veniva proposto come un’opzione aggiuntiva, non realizzabile nell’immediato; piuttosto, avrebbe dovuto aggiungersi ai già operativi servizi nazionali e non sostituirsi ad essi. Questa prospettiva appariva molto più rassicurante per gli Stati membri, i quali in generale approvarono quest’approccio più cauto e moderato. Tale soddisfazione fu pienamente espressa durante il successivo summit dei capi di governo, tenutosi a Siviglia il 21 e 22 giugno dello stesso anno:

“Il Consiglio europeo si compiace della recente approvazione di un piano per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri elaborato sulla base delle tre iniziative citate10 che dovrà contribuire tra l’altro a un migliore controllo dei flussi migratori. Chiede che sia istituito al più presto, nell’ambito del Consiglio, l’organo comune di esperti delle frontiere esterne, composto dai capi dei servizi di controllo alle frontiere degli Stati membri e incaricato di coordinare le misure previste dal piano”11.

L’organo comune fortemente voluto dal Consiglio diventava operativo entro pochi mesi, lanciando la sua prima missione nell’autunno 2002; esso agiva nel contesto operativo di SCIFA+ e aveva una sede principale a Berlino, nella quale venivano decise le strategie volte all’attuazione delle operazioni congiunte e dei progetti pilota. Tuttavia, nonostante i grandi sforzi compiuti per creare il PCU, appena un anno dopo la sua piena presa dei poteri esso mostrava già qualche

10 Le tre iniziative, citate nel punto precedente del documento, sono: la Comunicazione della

Commissione "Verso una gestione integrata delle frontiere esterne degli Stati membri", lo studio di fattibilità eseguito sotto la direzione dell’Italia concernente la creazione di una polizia europea delle frontiere e lo studio su "Polizia e sicurezza delle frontiere" realizzato da tre Stati membri nel quadro del programma di cooperazione OISIN.

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debolezza. Ciò non venne percepito solo dagli Stati membri, ma anche dalle stesse istituzioni. La Commissione aveva adottato il 3 giugno 2003 la “Comunicazione relativa allo sviluppo di una politica comune in materia di immigrazione illegale, traffico di migranti clandestini e tratta di esseri umani, frontiere esterne e rimpatrio di residenti illegali”. In essa notiamo come già prenda forma l’idea di una struttura dedicata alla gestione delle frontiere esterne più complessa rispetto a quelle fino ad allora elaborate:

“La Commissione è del parere che le necessarie attività di pianificazione, di sostegno (formazione, raccolta e trattamento delle informazioni, analisi della rete) di organizzazione e di valutazione delle forme di cooperazione operativa potrebbero sfociare, oltre che nell'istituzione di un'unità comune di esperti, nella realizzazione di una struttura operativa comunitaria. […] Potrebbe costituire la prima tappa verso l'istituzione di un "corpo europeo delle Guardie di frontiera", della cui necessità la Commissione è sempre stata convinta a sostegno e complemento dell'azione dei servizi degli Stati membri nella gestione delle loro frontiere esterne”12

.

Tale nuova struttura permanente avrebbe gestito unicamente i compiti più pratici, mentre la definizione delle strategie sarebbe comunque rimasta nella sfera di competenza del PCU. Nello stesso giorno, in aggiunta alla Comunicazione della Commissione, la Presidenza del Consiglio presentava un resoconto sull’attività di SCIFA. Si trattava di un’analisi molto critica, la quale evidenziava quindi i punti deboli di tale gruppo di lavoro che portavano a pensare che qualcosa nel suo meccanismo operativo necessitava di un cambiamento. In risposta ai due documenti prodotti nello stesso giorno dalla Commissione e dalla Presidenza del Consiglio, quest’ultimo adottava dopo circa settantadue ore le sue “Conclusioni sulla gestione effettiva delle Frontiere Esterne degli Stati Membri dell’Unione Europea”: il punto saliente del documento è costituito dalla proposta di separare il PCU da SCIFA +, lasciando al primo il compito di sviluppare una cooperazione operativa indipendente. Tale proposta venne in seguito ripresa dal seguente Consiglio europeo di Salonicco, tenutosi il 19 e 20 giugno 2003. In realtà a Salonicco veniva compiuto un’ulteriore passo in avanti, in quanto i capi di

12 Comunicazione della Commissione relativa allo sviluppo di una politica comune in materia di

immigrazione illegale, traffico di migranti clandestini e tratta di esseri umani, frontiere esterne e rimpatrio di residenti illegali, 3 giugno 2003.

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governo sembravano già convinti della necessità di proseguire verso iniziative più impegnative:

“Il Consiglio europeo invita la Commissione ad esaminare a tempo debito, sulla base dell'esperienza tratta dalle attività dell'organo comune, la necessità di creare nuovi meccanismi istituzionali, compresa l'eventuale creazione di una struttura operativa della Comunità, al fine di rafforzare la cooperazione operativa per la gestione delle frontiere esterne”13

.

Questa nuova “struttura operativa della comunità” rappresenta l’idea primitiva dalla quale ben presto si svilupperà FRONTEX.

1.3. L’Agenzia per la gestione delle frontiere esterne

Poiché un compromesso sembrava esser stato finalmente trovato, la Commissione pubblicò la proposta di un Regolamento del Consiglio che istituisse un’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne; tale proposta elencava già tutte le caratteristiche essenziali del corpo nascente, nonché i compiti che esso avrebbe dovuto svolgere. Il Consiglio colse la palla al balzo e stilò il Regolamento che la Commissione aveva richiesto, così da rendere la nuova Agenza operativa al più presto possibile. Vista da questa prospettiva, la nascita di FRONTEX è la perfetta esemplificazione di un processo di compromesso tra Commissione, Consiglio e Stati membri; la pensa così anche Marin, la quale afferma:

“though the Commission was oriented toward a supranational agency inspired by the proposal of 'European Border Police' it had to accept the solution put forward by the Council, acknowledging the need to increase cooperation, coordination, convergence and consistency between borders' practitioners in the EU MSs, and pushing for the creation of a number of pilot projects and national contact points, within the framework of the mentioned External Borders' Practitioners Common Unit”14

.

13 Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Salonicco, 19 e 20 giugno 2003. 14

Marin Luisa, Policing the EU's External Borders: A Challenge for the Rule of Law and

Fundamental Rights in the Area of Freedom, Security and Justice? An Analysis of Frontex Joint Operations at the Southern Maritime Border, in” Journal of Contemporary European Research”,

Volume 7 (4), pp. 468-487, anno 2011,

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16

C’è una ragione ben precisa se il compromesso della creazione di un’Agenzia è stato raggiunto proprio in quel momento storico; anzi, potremmo identificare tre motivazioni in seguito alle quali questo è accaduto:

 Gli intensi flussi migratori che hanno interessato gli Stati membri dopo la fine della Guerra Fredda, in seguito ai quali gli stessi paesi hanno deciso di dotarsi di misure più restrittive per quanto riguarda l’accesso dei migranti e dei richiedenti asilo ai propri territori;

 Il già citato allargamento dell’Unione Europea del 2004, il quale istituiva nuove frontiere che si temeva i nuovi Stati non fossero in grado di controllare adeguatamente;

 La nuova minaccia terroristica in seguito agli attacchi dell’11 settembre 2001 al World Trade Center.

Si trattava di tre minacce reali e storicamente verificate, alle quali da anni si cercava una soluzione condivisa; tuttavia la decisione di creare un’Agenzia è stata raggiunta nel giro di qualche mese e sorprendentemente tutti gli Stati membri si sono trovati subito d’accordo su di essa. Come mai? Ancora una volta, possiamo citare Léonard, la quale individua due scadenze che hanno fatto sì che gli Stati membri raggiungessero un compromesso in un lasso di tempo così breve:

 il cosiddetto big-bang enlargement, cioè l’adesione all’Unione dei dieci Stati ex-sovietici, il quale era previsto per il 2004;

 il passaggio alla procedura di co-decisione sule questioni relative alla gestione delle frontiere esterne, che sarebbe avvenuto il 1 gennaio 2005 e avrebbe comportato un maggiore coinvolgimento del Parlamento nel meccanismo di creazione dell’Agenzia; coinvolgimento evidentemente poco gradito, in quanto anche gli emendamenti che i parlamentari avevano proposto sul Regolamento redatto dal Consiglio non erano stati da quest’ultimo tenuti in considerazione.

Infine, la studiosa si chiede perché la struttura cooperativa che ha incontrato il favore di tutti sia consistita proprio in un’Agenzia; la risposta è da ricercare, a suo parere, nella stessa proposta della Commissione la quale già citava

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17

“some of the classic justifications for agency creation. In particular, it emphasised the policy expertise and technical know-how that the Agency would be able to develop. It also argued that the establishment of FRONTEX would increase the visibility of EU action in the field of border controls”15

.

1.4. Ulteriori sviluppi: da FRONTEX al Programma di Stoccolma

Nonostante l’istituzione di FRONTEX abbia costituito un notevole passo avanti nella gestione delle frontiere esterne dell’UE, l’attività delle istituzioni europee in tale ambito non si è arrestata con la creazione dell’Agenzia. Anche dopo il 2004 sono state intraprese diverse iniziative che hanno contribuito, ciascuna nel proprio settore specifico, a definire una politica dell’immigrazione europea precisa e quanto più possibile efficace. Da questo punto di vista, potremmo definire FRONTEX come uno spartiacque tra un “prima” e un “dopo” nelle politiche europee sull’immigrazione. La pensa così anche Sergio Carrera, che nel suo articolo The EU Border Management Strategy. FRONTEX and the Challenges of Irregular Immigration in the Canary Islands, espone la sua teoria secondo la

quale sia possibile identificare due momenti ben distinti nell’ideazione e attuazione di tali politiche:

una “prima generazione dell’Integrated Border Management”, la quale consiste nell’istituzione dei pilastri fondamentali della politica dell’immigrazione europea, vale a dire la redazione e l’implementazione del Codice Schengen e la creazione di FRONTEX;

una “seconda generazione dell’Integrated Border Management”, la quale consiste invece in tutte quelle decisioni che sono state prese successivamente alla creazione dell’Agenzia, in primis la decisione di istituire Sistema di Sorveglianza Europeo per le Frontiere (EUROSUR)16.

Tenendo conto di tale suddivisione, potremmo quindi inserire tutte le politiche finora descritte nella prima fase identificata da Carrera, mentre da questo momento in poi ci accingeremmo a descrivere tutto ciò che rientrerebbe nella

15 Léonard Sarah, op.cit.

16 Carrera Sergio, The EU Border Management Strategy. FRONTEX and the Challenges of

Irregular Immigration in the Canary Islands, documento di lavoro CEPS n. 261, 22 marzo 2007, http://papers.ssrn.com/sol3/Papers.cfm?abstract_id=1338019.

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18

seconda fase. Vedremo che quest’ultima consiste in una serie di decisioni mirate

in primis al controllo dei confini marittimi, piuttosto che genericamente alla

gestione dei flussi migratori com’era stato fino al 2004.

Il 2004 è un anno particolarmente importante perché, oltre all’istituzione di FRONTEX, è l’anno in cui venne lanciato il Programma dell’Aia, un piano d’azione quinquennale che sarebbe diventato pienamente operativo l’anno successivo. Esso andava a sostituire, o forse faremmo meglio a dire a completare, quegli obiettivi che fino ad allora erano stati inquadrati nell’ambito del Programma di Tampere. La gestione dei flussi migratori occupava un ruolo di primo piano tra gli interessi del Consiglio: quest’ultimo esprimeva, in particolare, la sua soddisfazione per il risultato raggiunto con la creazione di FRONTEX e incaricava la Commissione di redigere

“entro il 2007 una valutazione dell'Agenzia. La valutazione dovrebbe contenere un riesame dei compiti dell'Agenzia e analizzare se l'Agenzia debba interessarsi ad altri aspetti della gestione delle frontiere, compresa una maggiore collaborazione con i servizi doganali e le altre autorità competenti in materia di sicurezza delle merci”17.

Niente che fosse dato per scontato dunque; ma, anzi, la volontà di migliorare sempre più la cooperazione tra gli Stati e l’efficienza degli strumenti già attuati. Tale volontà si traduceva, già due anni dopo, nella presentazione di due Comunicazioni, atti giuridici non vincolanti ma certamente d’indirizzo, da parte della Commissione.

La prima è incentrata sul rafforzamento della gestione dei confini marittimi meridionali dell’Unione Europea e contiene dei punti chiave quali l’ulteriore rafforzamento di FRONTEX ai confini marittimi meridionali dell’Unione Europea e l’eventuale istituzione di una Rete di Pattuglie europee, nonché di un sistema di sorveglianza europea per i confini esterni: tutte misure volte alla lotta contro l’immigrazione illegale, in particolar modo contro gli arrivi dei clandestini dai Paesi nordafricani; proprio con tali paesi inoltre l’Unione Europea si accingeva a stringere partenariati e accordi volti ad una gestione congiunta dei flussi migratori.

17 Programma dell'Aia: rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell’Unione

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19

La seconda Comunicazione emanata dalla Commissione nel 2006 si intitola “L'approccio globale in materia di migrazione un anno dopo: verso una politica europea globale della migrazione”. Essa fa riferimento al testo “Approccio globale in materia di migrazione: Azioni prioritarie incentrate sull'Africa e il Mediterraneo” adottato dal Consiglio europeo nel 2005 e si pone due obiettivi fondamentali:

“costituisce una risposta all'invito, rivolto dal Consiglio alla Commissione, a riferire sui progressi compiuti nell'attuazione della prima fase dell'approccio globale e delle azioni prioritarie incentrate sull'Africa e sul Mediterraneo entro la fine del 2006. In secondo luogo, essa contiene proposte intese a rendere l'approccio dell'Unione europea un approccio realmente globale […]18

.

Ancora una volta, dunque, l’Unione Europea sottolinea l’importanza della cooperazione sia tra Stati membri, sia tra questi e gli stati terzi nella gestione dell’immigrazione illegale che si compie nel Mediterraneo verso l’Europa. L’argomento viene affrontato nuovamente dal Consiglio dell’Unione Europea (Giustizia e affari interni) del 5-6 dicembre 2006. Nelle conclusioni di tale meeting si evince che durante la discussione si è molto dibattuto sulla questione della cooperazione alle frontiere esterne e in particolare sono state attentamente valutate le due Comunicazioni appena citate; il testo specifica inoltre i tre elementi fondamentali dell’Integrated Border Management:

 Un corpus legislativo comune, in particolare il codice frontiere Schengen e il regolamento che stabilisce norme sul traffico frontaliero locale;

 La cooperazione operativa tra Stati membri, inclusa la cooperazione coordinata dall'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea (FRONTEX);

 La solidarietà tra gli Stati membri e la Comunità attraverso l'istituzione di un Fondo per le frontiere esterne.

18 Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo, “L'approccio globale

in materia di migrazione un anno dopo: verso una politica europea globale della migrazione”, 30 novembre 2006.

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Il Consiglio passa poi a specificare le 5 dimensioni che costituiscono l’Integrated

Border Management:

 Controlli alle frontiere (verifiche e sorveglianza) definiti nel codice frontiere Schengen, inclusa la pertinente analisi dei rischi e l'intelligence criminale;

 Individuazione e investigazione della criminalità transnazionale in coordinamento con tutte le competenti autorità incaricate dell'applicazione della legge;

 Modello di controllo dell'accesso articolato su quattro livelli (misure nei paesi terzi, cooperazione con i paesi limitrofi, controlli alle frontiere, misure di controllo all'interno dello spazio di libera circolazione, inclusi i rimpatri);

 Cooperazione tra le agenzie preposte alla gestione delle frontiere (guardie di frontiera, dogane, polizia, autorità di sicurezza nazionale ed altre autorità pertinenti) e cooperazione internazionale;

 Coordinamento e coerenza delle attività degli Stati membri e delle istituzioni e altri organismi della Comunità e dell'Unione19.

Qualche giorno dopo la riunione del Consiglio dell’UE, aveva luogo a Bruxelles il summit dei capi di governo dell’Unione. Anche in quest’occasione il “problema” immigrazione ricevette grande attenzione. Le conclusioni mostrano una condivisione di intenti nel potenziamento di FRONTEX e l’annuncio della “creazione di un sistema europeo di sorveglianza delle frontiere marittime meridionali”; si invitava pertanto “l'Agenzia FRONTEX ad istituire quanto prima, unitamente con gli Stati membri della regione, una rete permanente di pattuglie costiere alle frontiere marittime meridionali”20

.

Nel 2008 la Commissione ha presentato il cosiddetto “pacchetto frontiere dell’UE”. Si tratta di tre comunicazioni che affrontano altrettanti punti chiave relativi all’immigrazione:

19 Comunicato stampa relativo alla 2768ª sessione del Consiglio dell’Unione Europea su Giustizia

e affari interni, Lussemburgo, 4-5 dicembre 2006.

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 Un meccanismo di gestione degli attraversamenti delle frontiere tramite il sistema dei “viaggiatori in buona fede”, il monitoraggio degli ingressi e delle uscite e il sistema ESTA, che obbligherebbe i passeggeri a dotarsi di un’autorizzazione preventiva prima di imbarcarsi su qualunque mezzo di trasporto verso l’Europa;

 Un ulteriore sviluppo di FRONTEX, la quale dovrebbe dotarsi di mezzi propri e dovrebbe iniziare ad intervenire anche al di fuori dei territori degli Stati membri;

 Un’evoluzione dei controlli alle frontiere tramite il sistema EUROSUR per la sorveglianza delle acque del Mediterraneo.

Il 2008 è un anno particolarmente produttivo per quanto riguarda la legislazione sull’immigrazione europea. In questo anno si sviluppa infatti anche il “Gruppo sul Futuro”, forum di discussione sul delicato argomento dell’ampliamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia; viene inoltre siglato il Patto Europeo sull’immigrazione, il quale costituirà la base giuridica sia per una nuova Agenzia Europea dedicata alla procedura d’asilo europea (EASO, dall’acronimo inglese

European Asylum Support Office), sia per il nuovo Programma di Stoccolma.

Entrambe queste ultime iniziative verranno avviate nel 2010; tuttavia, prima di giungere alla loro piena implementazione un altro traguardo importante era stato raggiunto dagli Stati membri. Nel 2009 è infatti entrato in vigore il Trattato di Lisbona, il quale apportava notevoli innovazioni alla politica migratoria europea. Innanzitutto, esso sanciva la nascita di un’unica area di Libertà, Sicurezza e Giustizia; ciò comportava che tutte le politiche intraprese in quest’ambito fossero sottoposte alla medesima procedura decisionale: maggioranza qualificata al Consiglio; poteri co-legislativi del Parlamento Europeo e la revisione giuridica della Corte di Giustizia Europea. Altre novità introdotte da Lisbona relativamente all’Integrated Border Management consistono in:

 La conversione della Carta Europea dei Diritti Fondamentali in atto legalmente vincolante per l’Unione;

 L’obiettivo della creazione di una politica comune di asilo, protezione sussidiaria e protezione temporanea per i cittadini di stati terzi;

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22

 Il requisito di solidarietà tra gli Stati membri, secondo il quale nel caso in cui uno Stato membro sia colpito da un flusso particolarmente intenso di immigrazione, l’UE può intervenire in suo favore;

 La prevenzione e la corretta gestione dei flussi di immigrazione irregolare in tutta l’UE e il giusto trattamento degli immigrati irregolari.

Per quanto riguarda il Programma di Stoccolma, come ho già accennato esso viene avviato nel 2010 e resterà attivo per un quinquennio; si tratta della continuazione ideale del Programma di Tampere e dell’Aia. Esso può essere considerato in un certo qual senso “complementare” al Trattato di Lisbona in quanto definisce le politiche legate all’immigrazione che dovranno aver luogo nel nuovo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, attuando quindi le disposizioni già espresse dagli Stati membri: Lisbona definisce le nuove leggi per la gestione delle frontiere europee mentre Stoccolma elabora le linee guida per le operazioni che avverranno in questo nuovo contesto politico. I tratti innovativi proposti nel Programma di Stoccolma sono ben pochi, come nota già Tackle:

“The Stockholm programme specifies how the Lisbon Treaty enables the EU to act with increased strength internationally, but there is little new of substance on the global approach to migration. It mainly reiterates and affirms the global approach to migration […]”21

.

Il Programma di Stoccolma diverrà pienamente operativo solo in seguito all’adozione del piano d’azione della Commissione per l’attuazione del Programma di Stoccolma, il 20 aprile 2010.

Il 25 ottobre 2011 la Commissione presenta la sua Comunicazione sulle Frontiere Intelligenti, la quale attua quei principi volti ad incrementare i controlli sull’immigrazione già anticipati dal “pacchetto frontiere del 2008”, in primis il sistema di ingressi/uscite e un programma per i viaggiatori registrati.

21 Takle Marianne, The Treaty of Lisbon and the European Border Control Regime, in “Journal of

Contemporary European Research”, vol. 8 (3), pp. 280-299, anno 2012, http://www.jcer.net/index.php/jcer/article/view/365.

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1.5. Uno strumento complementare: EUROSUR

Il 12 dicembre 2011 la Commissione ha presentato la proposta legislativa concernente il sistema di sorveglianza EUROSUR. L’idea dell’istituzione di un tale sistema non era comunque nuova agli Stati membri: già concepita nel 2006, era stata in seguito ripresa dalla Comunicazione della Commissione del 2008, inserita all’interno del cosiddetto “pacchetto frontiere”; il 2011 non era quindi che l’anno in cui il progetto inziale diventava finalmente realtà, promettendo un miglioramento dell’attività di FRONTEX grazie ad un incremento nello scambio di informazioni, nonché un potenziamento dei controlli a livello marittimo che avrebbe permesso di identificare con più facilità le rotte dell’immigrazione clandestina verso l’Europa. Il regolamento istitutivo di EUROSUR è entrato in vigore il 26 novembre 2013 e è divenuto pienamente operativo dal 2 dicembre 2013. Tuttavia, come specifica il Regolamento, gli Stati membri disponevano di due differenti deadlines relative all’istituzione dei centri di coordinamento previsti dal nuovo sistema:

“Per un avvio graduale di EUROSUR in termini geografici, è opportuno che l'obbligo di designare e attivare i centri nazionali di coordinamento si applichi in due fasi successive: in una prima fase agli Stati membri situati lungo le frontiere esterne meridionali e orientali e, in una seconda fase, agli altri Stati membri”22.

La prima fase coinvolgeva infatti Bulgaria, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia e Finlandia, i quali avrebbero dovuto attivare i propri centri di coordinamento entro il 1 dicembre 2013; mentre la seconda fase riguardava i restanti Stati membri e si poneva come data limite il 1 dicembre 2014.

Abbiamo visto che all’idea di un sistema di sorveglianza delle frontiere marittime meridionali europee si lavorava già da tempo. Affinché tale ipotesi astratta divenisse realtà, gli Stati membri hanno condotto due differenti studi che mostrassero l’eventuale meccanismo operativo e le conseguenze che il nuovo sistema avrebbe potuto avere sulle politiche già esistenti. I due studi principali che

22 Regolamento (UE) n. 1052/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013

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24

hanno mostrato la fattibilità del progetto EUROSUR sono chiamati MEDSEA e BORTEC.

 MEDSEA: si tratta di uno studio condotto nel 2006 allo scopo di comprendere il funzionamento di un eventuale Coastal Patrol Network nel mar Mediterraneo. Ha permesso di identificare il compito principale della futura rete di controllo e cioè l’investigazione e l’intercettamento di persone provenienti dai territori degli Stati Membri, al fine di assicurare il salvataggio di vite in mare, e inoltre avere uno sguardo d’insieme sui flussi di persone che entrano o escono dall’area europea. MEDSEA è stato solo parzialmente reso pubblico, nello stesso 2006.

 BORTEC: condotto successivamente a MEDSEA allo scopo di dimostrare come le nuove tecnologie potessero essere utilizzate nello sviluppo di questa nuova rete di controllo. Ad esempio, sono stati presi in considerazione il Sistema Satellitare Europeo dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, nonché il Sistema GALILEO, cioè il Sistema Satellitare di Navigazione Globale; si è giunti alla conclusione che entrambi questi ultimi sistemi potrebbero avere una propria utilità ai fini di investigazione sui flussi migratori previsti dal nuovo sistema EUROSUR. BORTEC tuttavia, a differenza di MEDSEA, rimane ad oggi completamente segreto.

Per quanto riguarda la struttura operativa vera e propria, EUROSUR presenta sei componenti:

 Centri nazionali di coordinamento, attivi in ogni Stato membro, i quali fungono da tramite tra FRONTEX e le autorità nazionali incaricate dei controlli alle frontiere, nonché si impegnano della diffusione delle informazioni anche tra gli stessi centri di coordinamento nazionali;

 Quadri situazionali nazionali, ossia un insieme di informazioni ottenute tramite i mezzi a disposizione di EUROSUR, al fine di ottenere un’immagine chiara e completa della situazione nazionale di un singolo Stato membro;

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 Rete di comunicazione, sia tra FRONTEX e i centri di coordinamento, sia tra questi ultimi; permette di scambiare le informazioni ottenute tramite EUROSUR in tempo reale, 24/7;

 Quadro situazionale europeo, cioè informazioni raccolte prevalentemente da FRONTEX al fine di diramarle agli Stati membri e ottenere dunque un quadro completo di ciò che avviene a livello europeo;

 Quadro comune di intelligence pre-frontaliera, come già i quadri situazionali nazionale ed europeo, prevede la raccolta di informazioni, relative però in questo caso alle zone pre-frontaliere, allo scopo di diffonderle ai centri di coordinamento;

 Applicazione comune degli strumenti di sorveglianza, cioè il coordinamento di tutti gli strumenti posseduti da EUROSUR al fine di ottenere informazioni quanto più precise possibili da trasmettere in seguito ai centri di coordinamento o utili alla stessa Agenzia.

Il Regolamento 1052/2013, inoltre, istituisce delle vere e proprie “sezioni” di frontiere esterne, cioè analizza le zone di confine degli Stati membri, che siano esse terrestri o marittime, e assegna a ciascuna di esse un differente livello di impatto; quest’ultimo potrebbe essere definito come il “livello di pericolosità” della frontiera in questione e può essere alto, medio o basso, implicando quindi misure di sorveglianza adeguate.

Nonostante EUROSUR sia attivo da poco, e non sia ancora pienamente operativo per la totalità degli Stati membri, diverse critiche sono già state rivolte al suo funzionamento e quindi, secondo il processo dei corsi e ricorsi storici, si sarebbe portati a pensare che anch’esso sarà presto rivisto alla luce delle nuove esigenze che si stanno presentando e si presenteranno all’Europa. In primis, bisognerà risolvere il problema del bilancio: i fondi sono reputati abbondanti ma si teme che non vengano utilizzati al meglio. Inoltre viene criticata la modalità in cui EUROSUR conduce le sue missioni; si teme che essa non apporti benefici reali alla gestione integrata delle frontiere esterne. Eppure, qualche mese è un lasso di tempo davvero troppo breve per affrettarsi a giudicare l’operato del nuovo Sistema di Sorveglianza europeo; quello che ad oggi appare come uno strumento

(30)

26

inefficace ed inefficiente necessita di essere messo alla prova e giudicato solo nel momento in cui esso abbia espletato appieno i compiti per i quali è stato creato.

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27

CAPITOLO II

2. Come funziona FRONTEX?

In base alla denominazione dell’Agenzia contenuta nel Regolamento istitutivo, FRONTEX svolge il compito fondamentale di “gestire la cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’UE”. Come questo avvenga, in base a quali meccanismi, è spiegato in dettaglio nello stesso documento, precisamente all’articolo 2:

“L'Agenzia svolge i seguenti compiti:

a) coordina la cooperazione operativa tra gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne;

b) assiste gli Stati membri in materia di formazione del corpo nazionale delle guardie di confine, anche per quanto riguarda la definizione di standard comuni di formazione; c) effettua analisi dei rischi;

d) segue gli sviluppi della ricerca pertinenti al controllo e alla sorveglianza delle frontiere esterne;

e) aiuta gli Stati membri in circostanze che richiedono una maggiore assistenza tecnica e operativa alle frontiere esterne;

f) offre agli Stati membri il supporto necessario per l'organizzazione di operazioni di rimpatrio congiunte”23

.

Bisogna ricordare che il Regolamento 2007/2004 è stato aggiornato negli anni, quindi diverse disposizioni che riscontriamo nella versione definitiva del documento non erano presenti inizialmente. Mi riferisco, ad esempio, alla creazione dei RABITs, le squadre di emergenza volute dagli Stati membri ed introdotte in un secondo momento, cioè in seguito alla riforma del 2007. Per cercare di fornire un’immagine quanto più possibile completa e aggiornata del

modus operandi dell’Agenzia, in questo capitolo farò riferimento al Regolamento

già emendato piuttosto che alla versione originale approvata nel 2004. Alla luce di ciò, questa seconda parte si articolerà come segue.

23 Regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004 che istituisce un'Agenzia

europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea.

(32)

28

Il primo paragrafo sarà dedicato ai sei compiti fondamentali dell’Agenzia, già elencati dall’art. 2; ciascuno di essi sarà analizzato singolarmente e contestualizzato all’interno della missione generale di FRONTEX.

Nel secondo paragrafo mi soffermerò sul metodo operativo tramite il quale l’Agenzia attua le decisioni già prese in linea teorica; illustrerò dunque le modalità tramite le quali si passa dall’iniziale progetto astratto alle operazioni condotte sul campo.

Il terzo paragrafo sarà incentrato interamente sugli attori che operano all’interno dell’Agenzia; attori intesi sia come Stati membri partecipanti, sia come persone vere e proprie che operano alle frontiere. In quest’ultimo caso mi soffermerò sui differenti ruoli che gli ufficiali rivestono e sul modo in cui essi coordinano tali mansioni.

Nel quarto paragrafo mi concentrerò sulla questione del budget. I fondi a disposizione di FRONTEX sono aumentati sempre più dal 2004 ad oggi e soprattutto è cambiata la ridistribuzione di tali fondi tra le attività svolte nell’ambito della gestione delle frontiere esterne.

Il quinto paragrafo, infine, tratterà della cooperazione tra FRONTEX e le altre Agenzie europee, in particolare l’Agenzia per i Diritti Fondamentali (FRA) e l’Ufficio Europeo di Sostegno per l’Asilo (EASO).

2.1. Le sei missioni dell’Agenzia

La missione che FRONTEX si propone di svolgere è ambiziosa e delicata. Tale missione può essere suddivisa in sei compiti i quali, ciascuno nel suo specifico ambito, contribuiscono all’efficienza dell’Agenzia nel suo complesso. Come abbiamo visto nello scorso capitolo, si tratta di attività che gli Stati membri si ponevano come obiettivo da realizzare già diversi anni prima che venisse presa la decisione di istituire un’Agenzia che se ne facesse carico. Tra essi troviamo raccomandazioni più generiche, quali il “coordinamento nella gestione delle frontiere esterne”, vero e proprio scopo per il quale l’Agenzia è stata creata, nonché intenzioni più specifiche, come ad esempio la creazione di un meccanismo che avrebbe permesso agli Stati membri di organizzare delle operazioni di rimpatrio congiunte. Vedremo in questo paragrafo come sia necessario che

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29

ciascuna di queste missioni sia portata a termine affinché la grande macchina FRONTEX possa di volta in volta mettersi in moto e agire in maniera quanto più efficace possibile.

2.1.1. Coordinamento della cooperazione operativa tra gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne

Il primo compito affidato dalle Istituzioni europee all’Agenzia è previsto già dall’art. 3 del Regolamento 2004/2007: coordinare le operazioni congiunte avviate dagli Stati membri alle frontiere aeree, marittime e terrestri. Si tratta di un incarico di fondamentale importanza: esso riguarda proprio la motivazione principale per la quale si è deciso di creare FRONTEX. Le iniziative che gli Stati membri possono intraprendere sono di due tipi:

 Operazioni congiunte, le quali si propongono di rafforzare la sorveglianza di una frontiera specifica o di focalizzare l’attenzione su una zona particolarmente problematica, attraverso la collaborazione di tutti o parte degli Stati membri di FRONTEX;

 Progetti pilota, una sorta di “banco di prova” per le nuove soluzioni che si intende adottare nell’ambito di operazioni congiunte, quindi un mezzo per verificare se tali soluzioni funzionerebbero o meno; un esempio di progetti pilota sono gli studi di fattibilità o il processo di individuazione e raccolta delle prassi migliori24.

Per poter portare a termine questi compiti, l’Agenzia non dispone di un equipaggiamento fisso o di mezzi propri da impiegare dove e quando ve ne si presenti la necessità. Come sancito dall’art. 7 del Regolamento 2004/2007, infatti, le attrezzature usate per il controllo e la sorveglianza delle frontiere esterne rimangono di proprietà degli Stati membri; sono questi ultimi a decidere se e quando metterli a disposizione dell’Agenzia o di un altro Stato membro nel corso di una missione. Tale cessione ha comunque carattere temporaneo, in base alle caratteristiche della missione da intraprendere. FRONTEX dispone di un registro

24 La differenza tra operazione congiunta e progetto pilota è esplicata dalla stessa Agenzia nel

documento ufficiale da essa prodotto “Frontex. Relazione generale 2006”, disponibile al seguente link: http://frontex.europa.eu/about-frontex/governance-documents/2006.

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