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3. Il quadro giuridico in cui si inseriscono le attività di FRONTEX

3.2. Strumenti giuridici di diritto marittimo

Gli strumenti giuridici di diritto marittimo costituiscono anch’essi, come già gli strumenti umanitari, un vincolo importantissimo per il lavoro svolto da FRONTEX. Ovviamente, le operazioni condotte dall’Agenzia non si sviluppano solo via mare; tuttavia essendo l’oggetto della mia trattazione relativo alla gestione delle frontiere marittime, ritengo sia utile focalizzare la mia attenzione proprio su questo settore dell’attività di FRONTEX, in particolare per quanto concerne il mar Mediterraneo. A maggior ragione poiché anche i testi degli strumenti giuridici di diritto marittimo, come già accadeva per quelli relativi ai diritti umani, rimangono in determinati punti ambigui, causando equivoci e malintesi anche tra gli stessi Stati che partecipano ad una medesima missione. Un esempio è costituto da quella che Di Filippo definisce la “saga italo-maltese”, ossia il continuo processo di scaricabarile tra il governo italiano e quello maltese sullo sbarco degli immigrati. Scrive Di Filippo:

“While Malta […] maintains that rescued persons must be disembarked at the closest safe port (usually at Lampedusa or in Sicily), Italy replies that unless a different arrangement is reached on a case-by-case basis, the state competent for the relevant SAR zone must allow the disembarkation: given the extension of the Maltese SAR area, this would mean La Valletta’s port in the majority of cases”54

.

La situazione di confusione è dovuta anche al fatto che gli sbarchi di clandestini sulle coste meridionali dell’Unione Europea sono aumentati moltissimo negli ultimi anni; di conseguenza gli strumenti che prima potevano essere sufficienti a disciplinare la situazione adesso non lo sono più. Per quanto si sia cercato di aggiornarli (come vedremo nei prossimi paragrafi), non sempre le parti contraenti

54 Di Filippo Marcello, Irregular migration across the Mediterranean Sea: problematic issues

concerning the international rules on safeguard of life at sea in “Paix et sécurité internationales, revue Maroco-Espagnole de droit international et relations internationale”s, n. 1, gennaio-dicembre 2013, pp.53-76.

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hanno accettato i cambiamenti, temendo forse un eccessivo coinvolgimento o uno sbilanciamento nel dispiegamento di forze tra gli Stati membri.

Si può notare inoltre come gli strumenti cosiddetti di diritto marittimo presentino un legame intrinseco con quelli relativi ai diritti umani: talvolta, le stesse definizioni utilizzate nell’ambito dei diritti umani ci vengono in aiuto nel chiarire dei concetti che nel diritto marittimo restano confusi. Un esempio è costituito dalla definizione di “safest close port”. Essa viene solitamente utilizzata nella situazione in cui i migranti debbano essere trasportati in “porti sicuri”, ma cosa si intende per “porto sicuro”? Possiamo rispondere tramite un rimando al principio di non-refoulement. Un porto è sicuro, infatti, quando al suo interno i migranti non rischiano di essere sottoposti a tortura, trattamenti inumani o degradanti, ma soprattutto quando non rischiano di essere rimandati ai loro paesi d’origine. In ogni caso, la questione fondamentale relativamente agli strumenti di diritto marittimo resta quella relativa allo Stato di competenza nelle operazioni di soccorso prima, e di sbarco poi; tutti gli atti prodotti dalle istituzioni in tale ambito infatti non chiariscono quale Stato sia obbligato a farsi carico di un’imbarcazione in pericolo in mare. Diverse indicazioni sembrano suggerire che tale responsabilità spetti allo stato nella cui zona SAR è avvenuto il ritrovamento, ma nessun documento ufficiale esplicita a chiare lettere tale obbligo.

3.2.1. La Convenzione SOLAS

La Convenzione Internazionale per la Sicurezza della Vita in Mare (SOLAS, acronimo dell’inglese Safety of Life at Sea) è stata firmata a Londra il 1 novembre 1974 nell’ambito dell’IMO (International Maritime Organization). Una prima proposta di elaborazione della Convenzione era stata avanzata nel 1914 in seguito al disastro del Titanic, avvenuto due anni prima. In seguito l’idea era stata abbandonata a causa della prima Guerra Mondiale; solo nel secondo dopoguerra ricominciarono i lavori e si giunse quindi nel 1974 alla redazione di un testo definitivo, insieme a un Protocollo che sarebbe dovuto entrare in vigore successivamente (cosa che poi effettivamente accadde, nel 1978).

La Convenzione SOLAS è molto vasta e tratta diverse materie relative alla sicurezza delle imbarcazioni; appare ovvio quindi che non tutte le parti che la compongono siano interessanti ai fini della mia trattazione. Le parti più pertinenti

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da questo punto di vista risultano quelle relative al comportamento di una nave che avvisti un’imbarcazione in difficoltà. L’art. 7 del capitolo 5, in particolare, contiene una raccomandazione per il capitano di una nave che si trovi nella suddetta condizione:

“ensure that necessary arrangements are made for distress communication and co- ordination in their area of responsibility and for the rescue of persons in distress at sea around its coasts. These arrangements shall include the establishment, operation and maintenance of such search and rescue facilities as are deemed practicable and necessary”55

.

Si tratta dunque di una generica raccomandazione di immediato soccorso in una situazione di emergenza. In seguito, le condizioni del soccorso in mare sono state ulteriormente specificate; nel 2004 infatti sono stati approvati degli emendamenti che hanno disciplinato l’attività di ricerca e soccorso in maniera ancora più precisa e puntuale. Mi riferisco in particolare all’art. 4.1-1, riformulato come segue:

“Contracting Governments shall co-ordinate and co-operate to ensure that masters of ships providing assistance by embarking persons in distress at sea are released from their obligations with minimum further deviation from the ships’ intended voyage, provided that releasing the master of the ship from the obligations under the current regulation does not further endanger the safety of life at sea. The Contracting Government responsible for the search and rescue region in which such assistance is rendered shall exercise primary responsibility for ensuring such co-ordination and co-operation occurs, so that survivors assisted are disembarked from the assisting ship and delivered to a place of safety, taking into account the particular circumstances of the case and guidelines developed by the Organization. In these cases the relevant Contracting Governments shall arrange for such disembarkation to be effective as soon as reasonably practicable”56

.

Viene dunque sancito che lo Stato incaricato delle operazioni di ricerca e soccorso è lo Stato responsabile della zona SAR nella quale è stata pervenuta l’imbarcazione in difficoltà, tuttavia questa responsabilità non è attribuita come un obbligo, ma assume il carattere di una raccomandazione. Inoltre, permane una

55 Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, conclusa a Londra il 1

novembre 1974.

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condizione di incertezza laddove si afferma che i migranti devono essere trasportati in un luogo sicuro, in quanto non si specifica lo Stato di competenza relativamente alle operazioni di sbarco, ma si lascia agli Stati contraenti la libertà di accordarsi tra loro per organizzare tali operazioni.

3.2.2. La Convenzione SAR

La Convenzione sulla Ricerca e il Soccorso in Mare (SAR, acronimo dell’inglese inglese Search and Rescue) è stata firmata sempre nel contesto dell’IMO, parimenti alla Convenzione SOLAS, con la quale molto spesso è citata in contemporanea. È stata siglata comunque successivamente alla Convenzione SOLAS, in quanto è stata firmata ad Amburgo il 27 aprile 1979. Essa suddivide i mari in tredici zone di ricerca e soccorso, le quali a loro volta sono state suddivise in regioni; ciascuna regione è assegnata a un differente Stato, cosicché tale Stato diventi responsabile di ciò che accade nello spazio marittimo di sua competenza. Per sorvegliare il proprio spazio marittimo, il quale non coincide con le acque nazionali dei singoli Stati né costituisce un ulteriore allargamento dei confini dello Stato in questione, le autorità nazionali costituiscono un proprio Centro di coordinamento del Soccorso. Di conseguenza, la Convenzione implica che ciascuno Stato debba soccorrere i migranti in difficoltà all’interno della propria regione di competenza, a prescindere dalla loro nazionalità o delle circostanze nelle quali è avvenuto il ritrovamento.

Appare chiaro che si tratti di una Convenzione che influenza notevolmente il lavoro di FRONTEX. L’Unione Europea non è tra i firmatari, ma molti dei suoi Stati membri lo sono, e di questo l’Agenzia deve tener conto nello svolgimento delle missioni di salvataggio che avvengono nel mar Mediterraneo. L’articolo in particolare che riguarda il lavoro dell’Agenzia è il 3.1.9, il quale è stato emendato nel 2004, così come è già avvenuto per la Convenzione SOLAS. Esso sembra attribuire la competenza di soccorrere i barconi di migranti alla deriva allo Stato che gestisce l’area SAR in cui è avvenuto il ritrovamento; questo perché in realtà i termini utilizzati nella riformulazione dell’articolo sono quasi del tutto identici a quelli utilizzati nel già citato emendamento all’art. 4.1. della Convenzione SOLAS.

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Di conseguenza, permangono gli stessi problemi già evidenziati relativamente a quest’ultima: il linguaggio utilizzato nel testo e nei suoi successivi emendamenti non è abbastanza esplicito da attribuire un chiaro obbligo ad uno Stato in particolare piuttosto che a un altro. Un ulteriore ostacolo consiste nel fatto che alcuni Stati non hanno accettato gli emendamenti del 2004. Tra essi, Malta in particolare rimane firmataria della Convenzione ma non contempla l’adesione ai suoi aggiornamenti e lo stesso avviene per quanto riguarda la Convenzione SOLAS.

Allo scopo di risolvere questi problemi, la stessa IMO ha richiesto l’aiuto di un Comitato di Facilitazione, creato originariamente per facilitare l’adozione della Convenzione sulla Facilitazione del Traffico Marittimo Internazionale. Tale Comitato ha adottato una circolare intitolata “Principi relativi alle procedure amministrative per lo sbarco di persone soccorse in mare”; la analizzerò nel dettaglio nell’ultima parte del capitolo.

Tra le altre iniziative intraprese per cercare di ovviare al problema delle competenze, l’Italia e la Spagna hanno presentato agli Stati parte delle due Convenzioni IMO ulteriori proposte di emendamento le quali però, pur dopo un’attenta discussione, non sono state approvate dalla maggioranza dei contraenti. Sia l’Italia che la Spagna sono due Stati particolarmente interessati dagli sbarchi di clandestini via mare, per cui appare chiaro il loro interesse nella formulazione di testi che sanciscano con chiarezza le responsabilità di ciascuno Stato nelle operazioni di ricerca e soccorso; le stesse preoccupazioni sicuramente sembrano essere meno sentite dagli Stati rimanenti, i quali appaiono meno interessati dalla grave problematica dell’attraversamento irregolare delle frontiere marittime da parte di cittadini di Stati terzi.

3.2.3. La Convenzione UNCLOS

La Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS, acronimo dell’inglese United Nations Convention on the Law of the Sea) è stata firmata nel 1982. Essa sancisce gli stessi principi già affermati dalle Convenzioni SOLAS e SAR, cioè la responsabilità di qualunque capitano di una nave che trovi un’imbarcazione in difficoltà di soccorrere la stessa attraverso ogni mezzo in suo possesso. A differenza delle due precedenti però, in questo caso l’Unione Europea

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è parte attiva della Convenzione, e non solo i suoi Stati membri. L’articolo principale della Convenzione UNCLOS è il 98, il quale riunisce in un certo qual modo le disposizioni contenute già nelle due Convenzioni siglate in seno all’IMO; esso afferma:

“Every State shall require the master of a ship flying its flag, in so far as he can do so without serious danger to the ship, the crew or the passengers:

(a) to render assistance to any person found at sea in danger of being lost;

(b) to proceed with all possible speed to the rescue of persons in distress, if informed of their need of assistance, in so far as such action may reasonably be expected of him; (c) after a collision, to render assistance to the other ship, its crew and its passengers and, where possible, to inform the other ship of the name of his own ship, its port of registry and the nearest port at which it will call. 2. Every coastal State shall promote the establishment, operation and maintenance of an adequate and effective search and rescue service regarding safety on and over the sea and, where circumstances so require, by way of mutual regional arrangements cooperate with neighbouring States for this purpose”57

. Quello che si può evidenziare, anche in questo caso, come già accadeva per le due Convenzioni precedenti, è il carattere raccomandatorio delle indicazioni contenute nel testo, per cui ancora una volta non si stabilisce nessuna responsabilità specifica nei confronti di uno Stato. Altro grande problema della Convenzione UNCLOS è che essa manca di una base legale la quale autorizzi gli stati firmatari ad intervenire sui barconi di migranti in difficoltà58.